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Autore: WhiteLight Girl    13/10/2018    1 recensioni
Dopo gli eventi di Nella tela del ragno, Adrien non si dà pace e parte per la Cina. Il suo viaggio, però, prende una piega inaspettata quando un varco si apre sotto i suoi piedi e lui finisce in una dimensione sconosciuta. Rimasto solo con Plagg, osa sperare che questo l'abbia portato più vicino a Marinette di quanto lo sia stato nei mesi precendenti, per una volta la fortuna sembra girare a suo favore, ma è davvero così o c'è di nuovo qualcosa o qualcuno che manovra i fili di ciò che gli sta accadendo attorno?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BRICIOLE DI PANE

Il pavimento della carrozza aveva lasciato il posto al vuoto, il profilo delle montagne della Cina a dei rivoli ondeggianti simili a colore liquido che scivolava contro la parete di un tunnel.
Adrien atterrò sul marmo freddo con un colpo di schiena che ed un gemito di dolore.
«Cazzo!» esclamò.
Di per sé, la caduta non era stata neanche tanto lunga, ma l’impatto era stato abbastanza forte da lasciarlo senza fiato per alcuni secondi. Invece Plagg gli fluttuava attorno, incuriosito e per nulla disturbato dall’accaduto; doveva aver frenato in volo prima di dare una musata al pavimento ed Adrien lo invidiava abbastanza per questo.
«Un viaggio interdimensionale!» esclamò il kwami euforico «Erano secoli che non ne facevo uno!» Fece un paio di giri attorno ad Adrien che, con uno sbuffo, inspirò forte e cercò di sollevarsi. Lo zaino si era rovesciato in volo ed ora i diari di Marinette erano sparpagliati attorno a loro assieme agli avanzi del pranzo e le altre poche cose che si era portato dietro in quel viaggio. Della valigia con i vestiti di ricambio, però, non c’era traccia.
Adrien sollevò il taccuino con i propri appunti e si guardò attorno; la sala era grande ed a tre navate, nel soffitto alto c’erano una serie di volte a crociera che collegavano tra loro diverse colonne intarsiate. Quello che attirò la sua attenzione, però, fu il piccolo altare posto a pochi metri da lui, rialzato sopra una specie di piedistallo e raggiungibile grazie a tre scalini che vi correvano attorno. Pareva che l’altare fosse un tutt’uno con il pavimento, a pensarci pareva che lo fossero anche le colonne. Forse l’intero edificio era stato scolpito da un unico enorme blocco di marmo. Era privo di finestre, ma la luce illuminava l’intera stanza e non c’era un solo angolo in ombra, nonostante non ci fosse alcuna lampada o candela.
Domandandosi come fossero arrivati lì, Adrien rimise nello zaino i diari e seguì Plagg verso l’altare; il kwami lo stava studiando, ma non aveva idea di cosa stesse cercando. Lo vide sorridere e lo lasciò fare, domandandosi quando si sarebbe reso conto di non aver ancora cercato di usare la scusa del lungo viaggio per avere un pezzo di camembert.
«Guarda! È magia del sangue!» lo sentì dire.
Gli parve che Plagg si aspettasse che sapesse qualcosa al riguardo, perché gli sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi, ma lui non aveva idea di cosa stesse parlando.
«È ancora fresco.» disse, stringendo gli occhioni verdi.
Adrien si sporse sull’altare, sulla cui superficie alcune piccole gocce di sangue erano disposte in circolo, mentre altre erano scivolate giù lungo il rialzo in marmo. Era l’unico tocco di colore nella stanza e sembrava così fuori posto che Adrien sentì la nausea smuovergli lo stomaco, ma non era certo che non fossero i postumi del viaggio appena compiuto.
«Cos’è la magia del sangue?» domandò a Plagg.
Lui sbatté le palpebre e piegò le spalle, l’entusiasmo scemato all’improvviso.
«È un tipo di magia che si usa sfruttando il sangue. Puoi dare una certa quantità di sangue per chiedere in cambio qualcosa – di solito il pagamento deve essere proporzionale alla richiesta – oppure altre cose, come invocazioni.» s’illuminò, ripensando a chissà cosa. «Alcuni la usano per legare a loro spiriti, demoni, creature magiche, ma non credo che sia il caso. C’è troppo poco sangue per quel tipo di incantesimo.»
Adrien si sforzò di memorizzare quelle informazioni, chiedendosi se in futuro avrebbero potuto essergli utili, caricò in spalla lo zaino e si rilassò nel sentire sulla schiena il familiare peso dei diari di Marinette.
«Dobbiamo trovare qualcuno che ci spieghi dove siamo.» disse.
Plagg spalancò la bocca. «Macché, sei matto? Non sai chi abita in questo posto. Non possiamo farci vedere!»
Fu categorico, Adrien l’aveva visto poche volte così sicuro di sé e sapeva che quando succedeva c’era sempre una valida ragione, quindi non fece storie e si preparò ad obbedire, anche se ormai la curiosità gli rodeva.
«Dobbiamo capire dove siamo senza farci notare.» ordinò Plagg.
Adrien pensò a come avrebbe potuto mescolarsi alla gente del posto se avessero avuto sembianze umane, ma se avesse scoperto che gli abitanti di quel mondo fossero enormi draghi, elfi dalle orecchie a punta o cavalli con tre teste allora sarebbe stato ben difficile.
«Faccio un giro di ricognizione.» esordì il kwami alla fine «Tu aspettami qui.» disse. Sfrecciò via prima che Adrien potesse dirgli qualcosa.
Anche il portone di ingresso era bianco – il ragazzo si chiese come Plagg avesse fatto a trovarlo così in fretta, ma era in legno ed arrivava fin quasi al soffitto. Ad uno sguardo più attento si poteva notare la piccola porticina sulla destra che sarebbe stato ben più facile aprire senza essere notati. Mentre si faceva di lato per avvicinarsi alla piccola porta, lo sguardo gli cadde sul pavimento; c’erano altre macchie di sangue, ma chi le aveva perse era passato attraverso il portone più grande e forse non l’aveva fatto da solo. Si accostò alla porticina e vi posò sopra l’orecchio, quando fu certo che oltre essa non ci fossero voci o segni di vita diede una piccola spinta allo stipite e sbirciò all’esterno, curioso di scoprire il nuovo mondo.
Con sua grande delusione, si trovava in una grande vallata di nulla; c’era solo una distesa di quel marmo in cui era stato scolpito l’edificio, ma poteva guardare l’orizzonte senza ostacoli e osservare il cielo senza che nulla lo distraesse da ciò. In lontananza c’erano una serie di nuvole grigie; le vide schiarirsi e diventare ancora nere nell’arco di pochi istanti, poi lo sguardo si spostò verso un lembo di terra dove, a chilometri di distanza, probabilmente stava per scatenarsi una tempesta. Avrebbe osservato anche oltre, se non avesse sentito le grida e le incitazioni che provenivano dal fianco dell’edificio. Rimase per un secondo immobile, incerto se tornare dentro o uscire a trovare un rifugio migliore, poiché non gli pareva affatto che ci fosse un solo posto, sotto le tre navate illuminate, che gli avrebbe dato la copertura di cui avrebbe avuto bisogno.
Quando Plagg gli ricomparve davanti all’improvviso, Adrien quasi urlò.
«Non sono amici.» disse ansante, afferrandolo per una manica e trascinandolo verso l’esterno.
Adrien lo assecondò, incespicando oltre la porta ed uscendo allo scoperto. Lì non c’era tutta quella luce che c’era all’interno, ma il fatto che fossero in penombra non gli dava alcuna consolazione.
«Dobbiamo seminarli!» disse a Plagg. Lo vide annuire con la coda dell’occhio e accennò un sorriso. «Plagg! Fuori gli artigli!» esclamò.
Era la prima volta che si trasformava dopo mesi, ma non ricordava di essere mai stato così in ansia mentre il costume magico compariva sulla sua pelle prendendo il posto dei vestiti. Il cuore gli batteva forte nel petto, rimbombava nelle orecchie mentre il drappello di uomini lo inseguiva. Le loro armature sferragliavano ed una volta trasformato, Chat Noir dedicò loro un’occhiata veloce prima di dar loro le spalle e ricominciare a correre. Erano una dozzina, erano alti, barbuti e dalla pelle scura, alcune delle loro armature erano decorate, sugli scudi era dipinto un falco da cui lo sguardo fu catturato per qualche secondo di troppo. Si fece di lato appena in tempo per evitare che una freccia lo colpisse in pieno, ma non riuscì a non tornare ad osservare la familiare figura sugli scudi.
Ricordava ciò che Alya, Nino e Chloe avevano detto della carovana, ma non voleva illudersi di essere davvero vicino a ritrovare Marinette, specialmente dato che non sapeva in che modo ciò fosse successo. Diede ancora le spalle ai cavalieri, si assicurò che lo zaino fosse ben sicuro sulla propria schiena e puntò il bastone per terra per poi allungarlo. Lasciò indietro con un balzò il drappello di uomini straniti e si lasciò scivolare verso una vallata rigogliosa che dal basso non aveva visto, dove iniziava un bosco fitto in cui sperava avrebbe potuto nascondersi facilmente.


   
 
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