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Autore: GabBeauv    14/10/2018    1 recensioni
Una vita ne vale cento?
Hermione non sa cosa rispondere anche se una risposta deve trovarla a ragione della sua condanna a morte. Vive in un limbo dalla giorno della disfatta: al sicuro, ma mai per davvero.
Una vita ne vale cento?
In tempi di guerra, dove tutto rifugge dalla logica e dall'amore, Draco le dà una risposta a metà.
[Questa storia partecipa al contest “La magia delle parole - II Edizione” indetto da Nirvana_04 sul forum di Efp]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Nome(Efp e Forum): GabBeauv; GabrielleBeauv
Nome del contest: La magia delle parole - II Edizione
Categoria: La goccia che scava la roccia
Titolo:  Ambitiosa Morte (o Prima che il gallo canti)
Genere: Drammatico
Rating: Arancione
Fandom: Harry Potter
Beta Reading: No
N.d.A: La storia è ispirata - malamente - a quel filone filosofico/letterario che fa capo allo stoicismo. L’utilizzo del “doppio titolo” serve a soddisfare i canoni richiesti dalla categoria scelta: Ambitiosa Morte è il fine dei dialoghi; Prima che il gallo canti è la negazione delle parole stesse: come Pietro fece con Cristo, il silenzio (o il mendace utilizzo delle stesse) nega l’affetto o il sacrificio della persona amata - e così, anche quanto detto.
Si tratta di una What if? in quanto ambientata in un contesto dove la guerra non termina con gli eventi del settimo libro.
 
 
 
 
Ambitiosa Morte (o Prima che il gallo canti)
 
 
 
Il rifugio fu costruito su terra venefica dove l’insolente coraggio di timidi boccioli è punito da un Sole che non carezzerà mai i loro petali.
Le pareti sono intonaco e carta di giornali: la leggerezza della storia, di date e di nomi che infestano mura di una carcere di memorie che li divorerà vivi.
Quella casa è un non, come un non è la loro sopravvivenza: un non-luogo, un non-tempo, dove lenzuola che sanno di pulito e che si trovano lì, ma che potrebbero trovarsi anche altrove, li cullano la notte nell’ubiqua speranza di un giorno senza fuochi.
Balle, pensa Hermione, che tra quelle lenzuola è pietra come se morta lo fosse già.
 
“Allora sei sveglia.”
 
Che tra quelle lenzuola ha consumato un amore vittima di un poemetto sterile, nella cui interlinea leggono entrambi nomi senza corpo che di comune accordo hanno deciso di non svelare.
 
“Sono sveglia”, gli dice sorridendo.
Lui, quieto come un bambino, le sorride di ricambio. Quando si siede sul bordo del letto, il suo peso è piuma perché incorporea è la vita dei superstiti.
“Cos’hai fatto oggi?”, le chiede come ogni notte, perché è così che si deve fare.
 
Forse è quello l’Opus Magnum del loro amore: parole di polvere che celano il sangue.
 
“Ho letto”, dice, perché è così che si deve fare. Perché ricorda l’inedia edace che dormiva accanto a lei prima che Draco ne prendesse il posto.
Sì, quell’amore è indarno e aveva preso abbrivo dalle premesse sbagliate.
Sì, quell’amore è il palliativo che giustifica un’esistenza che dovrebbe spirare a breve.
 
Draco annuisce e accanto a lei si stende. È freddo, freddo da morire perché blasfema al calore della carne la sua pelle lo è sempre stata.
È distante, soprattutto - ma questo a Hermione par nuovo, anche se deve aspettarselo.
 
È cominciato ieri. Una condanna sulla sua testa e la trattano già come un fantasma.
O come una di troppo.
Sanno tutti che non è un’eroina. Hermione li ripudia perché venefici sono anche i loro respiri, anche se il coraggio di ammetterlo manca; il nemico vuole lei, ora, ma loro saranno i prossimi.
 
Una vita ne vale cento?
Il buonsenso direbbe di no.
Hermione crede che la vita stessa sia un’offesa in tempi di guerra perché di umano non c’è niente nella carnalità di un odio senza fondo; nella confutazione dei palazzi della ragione; nella mercificazione dei baci; nelle conversazioni lunari con volti senza bocca.
E allora tanto vale che a morire siano facce senza volto. Non lei.
 
“Shakebolt passerà domani. Forse potremo mangiare patate per cena.”
“Perfetto.”
“E preparare dei sedativi, magari. Quelli ci mancano.”
“Posso aiutarti, se vuoi.”
Ne accarezza insolente le forme dalle lenzuola avvolte con lo sguardo: Hermione è glabra, troppo vecchia per quei pochi vent’anni.
Vacui sono anche gli occhi mercuriali di Draco: lo vede farsi strada a fatica, quel ricordo di passioni umide come l’orgasmo che lì gridava; umido come il sangue che cercavano di scordare. Era stato bello - diverso, assaporare quell’amore fittizio eppure così salvifico. I suoi baci. Le sue mani. Ora però ha scordato, Draco, come si faccia l’amore.
Forse Hermione non è abbastanza: quella ragazza rotta dalla nascita e dipinta di un rosso di fango e melma.
Forse perché si è accorto che è già morta - che morta, in realtà, lo è da prima della sua formale condanna.
Da quando ha perso loro - il candore di un abbraccio vero; l’ingenuità di una giovinezza che sembrava appartenerle.
Da quando ha trovato lui - la menzogna del sesso e la verità della solitudine.
La guerra li ha messi insieme e n’era nato un amore come un uroboro: un serpente che si morde la coda nel primevo timore del vuoto e che, nel tentativo di evitarlo, si nutre e al tempo stesso si avvelena attraverso quella lisergica morte apparente.
 
“Le mie mani sono più sapienti delle tue, mia cara.”
“Non ne dubito, Malfoy.”
“Ne sei sicura? O vuoi costringermi a ricordartelo?”
Hermione ride. “Me lo ricordi in continuazione, non credi? Ne parli molto, di come fai l’amore. Sei proprio un chiacchierone, sai? Anche se non parli mai delle cose giuste.”
“E questo cosa vuol dire?”
“Niente. Non vuol dire niente.”
Draco scuote la testa e si lascia scivolare contro il cuscino. Guarda il soffitto perché sa di aver perso: nemmeno quella notte la toccherà; Hermione ci aveva sperato.
 
Non sta cercando il suo ultimo orgasmo; non vuole che sia il suo ultimo orgasmo.
 
Una vita vale quella di cento?
Sì, dice la propaganda, che parla dall’alto di un’intoccabilità immemore: ella sopravviverà; ella non ha altro affetto che la litania che muove il popolo verso il declino della sommossa.
Hermione però ha ancora qualcosa da dire.
Hermione ha ancora un ordine costituito da difendere.
 
“Cosa pensi che dovrei fare?”
“Credo che ti sia già data una risposta.”
“Ma non vuoi conoscerla.”
“Mi starà bene qualsiasi cosa tu voglia fare. Sappi soltanto che non cambierà poi molto.”
Non dovrebbe odiarlo ma è umana e lo fa comunque. Il suo è il privilegio del sopravvissuto, del non essere il prescelto. Hermione penserebbe lo stesso: meglio lui che me.
“Nessuno sopravvive realmente. Cosa faresti se io morissi?”
Quel periodo ipotetico smuove qualcosa. Ora la odia anche lui. “Ti piangerei per giorni. Ma abbiamo ancora molto da fare.”
“Arriverà anche il tuo turno.”
“Forse. Probabile. Ma mi piace vivere il momento.”
“Insomma, sei felice di mandarmi al patibolo, eh?”
“Non è quello che intendevo dire.”
“Non mi sembra. Tu intendi molto e dici poco.”
“Mi stai accusando di qualcosa?”
“Solo se intendi quel che dico come accuse.”
“Vuoi sapere quel che penso? Che forse ti amerei di più da morta. Perché da queste parti funziona così, mh? Si fa l’amore su una bara.”
“COSA?!”
 
Vorrebbe baciarlo, ora. Vorrebbe fare l’amore sulla limpidezza di una verità sepolta sotto il cuscino.
Lo ama, lo ama solo in quel momento. Lo ama perché è la prima volta che li vede per ciò che sono - indegni dello spazio che abusivamente occupano.
 
“Cosa sono io se non solo pelle? Sono costretto, Hermione, in questa pelle. E tu voli sempre altrove.”
“Potrei dire lo stesso di te.”
“Mia madre è morta. Io lo so bene.”
“Anche Harry e Ron lo sono. Questo lo sai, Draco?”
 
I loro nomi sono amari: li sente abbandonare la sua lingua e toccare la bocca di lui, scottandola. Sono loro, il celato: sono le anime che si infiltrano i quei pochi centimetri di distanza che la separano da Draco quando lui è dentro di lei.
Li odia, Draco; li ha sempre odiati. Li odia ora più che mai perché è per colpa loro, dice, che quella non può chiamarsi vita.
Hermione vede più lungo: è il paradosso dei sopravvissuti odiare l’immobilità volatile dei morti - statue di cera, loro, eppure talmente liberi da perseguitarli.
 
“Lo so. E avrei pensato che ti sarebbe proprio piaciuto raggiungerli.”
IO NON VOGLIO MORIRE!
“Sai che novità! Perché, credi che il tuo amore o il tuo prescelto lo desiderassero? Buone nuove, Granger: non esistono eroi davanti al patibolo!”
“Non voglio esserlo. Voglio solo…Vivere. Forse potremmo invecchiare qui, insieme. Chissà? Magari, un giorno, ci dimenticheremo di questa storia. Forse impareremo anche ad amarci.”
“Non succederà. Nessuno ti amerà se ti rifiuti di morire. Nemmeno io.”
“Non posso crederci!”, insinua irata e via. “Valgo così poco per te, Draco?”
“In un’altra vita, Granger,” dice con voce tremante come un bambino piange sulla tomba della madre. “In un’altra vita avrei amato i tuoi seni quanto la tua mente. In un’altra vita avrei mendicato davanti all’entrata della tua bocca come della tua mente. Ti avrei fatta mia per sempre, Hermione Granger. Ma lo sai, vero? Non possiamo amare, noi. Non sopravviveremo, non lo faremo mai realmente e la nostra condanna è questa: lo capiamo, noi. Ma quelle persone? Quelle persone che minacciano di uccidere al tuo posto? Plebe. Illusi. Credono che guerra finisca con un trattato ma non è così. Lasciaglielo credere, Hermione. Lasciali illudere.”
Le scopre la coscia e il suo tocco è velluto serafico.
La sovrasta con il suo corpo e spinge la fronte contro la sua nell’intento di schiacciarla; forse, di entrarle dentro. Respira a fatica: Hermione vorrebbe pensare che quel corpo in stasi stia rimembrando l’eccitazione di sentirla sotto di sé; sa, però, che quelle parole l’hanno consumato e che la libido una volta umida è secca come la sua gola.
“I tuo amici ci perseguitano, Hermione. Non te ne ho mai parlato perché sono troppo codardo per farlo. Ora capisco, però, ch’è meglio non parlarne. Che rimangano anime pure che tu possa amare nella tua solitudine.”
“Mi penserai in questo modo?”
“Ricorderò tutto. Ricorderò la tua tristezza e la tua gioia. La tua gentilezza, Hermione - e quest’ultimo atto d’amore.”
“Sono pavida, Draco.”
“Questo tua esistenza a metà lo è. Non può esistere furore, né coraggio, in un mondo immobile - perché lo sai, Hermione: stiamo tornando al passato. Non c’è spazio per la ragione, l’amore, la fede: nulla si muove in guerra.”
“Devo andare a morire”, sussurra e si sfiora le labbra con un indice. La prima scelta che liberamente compie da tempo immemore ne segna la disfatta. Si accarezza e già si sente polvere. “Già, devo andare a morire. Per loro. Per te. Forse per me, soprattutto”, capisce.
 
Non rammenta né dove né quando perché anche la memoria è immobile di quei tempi, ma ricorda di aver intravisto per sbaglio un termine buttato lì in una pagina: Ambitiosa Morte.
L’atto fatale liberamente inflitto come rivolta contro il tiranno - forse, contro lo stesso dio che aveva fatto di quel che si chiama capolavoro umano un contenitore mortale.
Forse è quello, il suo caso; forse è solo il modo per romanzare il sacrificio dovuto di una donna qualunque, nell’ultimo sforzo di sentirsi il centro di tutto.
 
“Voglio andare a morire”, si corregge, perché ora capisce che in dittatura, l’unica scelta degli schiavi è quella tra il vivere e il morire.
 
Ora Draco la ama ma odia se stesso. Ha rinnegato il suo nome e quell’amore che dalla solitudine lo aveva salvato.
Non sa che lo farà due volte ancora.
 
***
 
 
Lo evoca una seconda volta nottetempo: Hermione è già una firma profana sul suo corpo - inchiostro che laverà via poco prima di portarla sull’altare.
Hermione è il sacrificio che la guerra reclama affinché lui possa vivere.
Draco ha mentito: lui spera ancora di poter amare, un giorno.
Meglio lei che me, pensa mentre ci fa l’amore per l’ultima volta. Lo pensa e se ne vergogna perché buono non lo è mai stato, ma carogna nemmeno.
 
Perlomeno può darsi il merito di aver costituito all’abbrivo di quell’Albedo, cominciata con la morte dei suoi migliori amici.
Ora, Hermione ormai compatta, può avviarsi verso la sua personale Rubedo: di rosso sangue si abbevererà la sua vita eterea; nell’opaco lascerà questo mondo di spettri talvolta informi e talvolta corporei.
Draco un po’ la invidia: alla rozzezza dello spirito è condannato per nascita anche se di quell’amore aveva ingoiato luce.
 
Ne bacia quanto resta di quel corpo poco umano e più celeste.
Lo bacia per la prima volta senza che fantasmi prendano parte all’atto di amore più perfetto.
Forse aveva ragione lei.
Forse sarebbero potuti invecchiare insieme.
 
È umano.
Lo è più di lei, anche se ha paura.
 
 
***
 
 
La terza volta impara che blasfemia è anche rinnegare un nome.
Draco è uno scarafaggio: alle rovine è sopravvissuto e da lì darà impulso ad una nuova progenie indegna quanto la prima.
Hermione è la parola che a sua moglie nasconde in un mondo che ha dimenticato i suoi morti e che di nuovo vive in quell’umana illusione che mai la guerra tornerà a tormentarli.
Spera che comprenda quel silenzio perché Hermione conosceva lo stereotipo del sopravvissuto meglio di lui.
È l’apostolo di tempi che non conoscevano luce; è un apostolo negligente, però, perché né Hermione, né la guerra, Draco vuole più ricordare.
Quindi tace. Tace per sempre.
Ora è vivo e lo sarà per un po’; ma mai lo sarà del tutto.
  
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