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Autore: criceto killer    15/10/2018    0 recensioni
Al principe Death non piaceva essere in balia di altre persone, odiava sentirsi debole e vulnerabile, odiava la presenza di suo padre, odiava il suo nome e persino sè stesso.
Sono più di 10 anni che non mette piede fuori dal castello.
Nelle favole, le principesse vengono rinchiuse per proteggerle da qualcosa di oscuro o semplicemente dal mondo esterno, ma per Death è diverso.
È il mondo esterno che deve essere protetto da lui.
Nessuno gli ha mai insegnato ad amare o a sorridere.
Il suo mondo è costruito con odio e rabbia.
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico, Sovrannaturale
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Erano passate poche ore dal momento in cui il Re lo aveva assunto come servo personale del principe ma Connor non aveva certo perso tempo, sua madre lo attendeva a casa.

Aprì lentamente la porta di legno cercando di farla scricchiolare il meno possibile, una piccola candela era ancora accesa sul tavolo e rischiarava un piatto ormai freddo di brodo e un pezzo di pane sporco. La luce riusciva a mettere in risalto il bel profilo della madre addormentata sul tavolo nel vano tentativo di aspettarlo sveglia. 

Aveva i capelli sporchi e scompigliati, il viso segnato dal duro lavoro ma la sua pelle pareva comunque liscia e candida, il nasino all'insù le conferiva un aspetto grazioso, non una ruga le solcava il viso, le labbra erano carnose e rosee. Aveva molti pretendenti ma lei spesso diceva che l'unico uomo di cui sarebbe rimasta innamorata per sempre era proprio lui, suo figlio. 

Connor la coprì delicatamente con una coperta logora tentando di non svegliarla, era sempre più sicuro riguardo la propria decisione, sua madre non si sarebbe mai più distrutta di lavoro per far bere del brodo insapore a lui. 

-Mh.. Conny?- la donna aprì gli occhi, la voce ancora impastata dal sonno.

-Scusa mamma, non volevo svegliarti-

Lei gli sorrise, gli sorrideva sempre, qualunque cosa succedesse lei sorrideva, persino quando suo padre li lasciò lei continuò a sorridere.

-Non preoccuparti, dai racconta. Com'è andata?-

-Ehm.. ecco.. - Connor deglutì, aveva sempre pensato che quel lavoro avrebbe aiutato la loro situazione economica, ma non si era mai preoccupato di cosa ne avrebbe seriamente pensato la madre. -mi hanno assegnato come servo personale del principe, devo stare con lui 24 ore su 24, per questo possiamo trasferirci al palazzo- 

La donna lo guardò per qualche secondo come se si aspettasse che, da un momento all'altro, il figlio scoppiasse in una grassa risata. 

-Non voglio tu lo faccia, è pericoloso! Ti prego Conny..- 

Connor non poté farne a meno e la interruppe.

-Mamma, non succederà nulla, possiamo finalmente vivere mangiando qualcosa di decente! Non è magnifico? Potrai riposare un po', fare dei lavori più leggeri- 

Delle lacrime gli solcarono il viso, era stufo di farsi sanguinare le gengive nel tentativo di mangiare un pezzo di pane troppo duro e già sbocconcellato da qualche animale, era stufo di sentire la pancia della madre brontolare per tutta la notte perché l'unica cena che erano riusciti a permettersi lei l'aveva data ancora una volta a lui, era stufo di vedere i vestiti andarle sempre più larghi, era stufo di soffrire, era stufo di aver paura di perderla. 

-Starò bene, ok? Non devi preoccuparti, andrà tutto bene-

La donna lo attirò a sé abbracciandolo stretto, mentre lui affondava il viso nel suo grembo.

Non aveva mai visto sua madre piangere eppure mentre pronunciò quella parola giurò di averla sentita singhiozzare. 

-D'accordo.-




Death si sentiva stordito per tutto il tempo passato a dormire, dalle pesanti tende filtrava a malapena la luce del tramonto. Si passò una mano sulla fronte facendo cadere una pezza ormai asciutta e calda. 

-Ma quanto ho dormito?- si chiese ad alta voce.

-Tutta la notte e quasi tutto il giorno direi.-

Conosceva bene quella voce, cercò di mettersi seduto ma il dolore all'addome gli strappò un gemito.

-Mio principe dovete stare steso, la guarigione non è ancora completa.- 

Il dottor Van De Meer gli era rimasto accanto tutto il tempo, sapeva che probabilmente stava solo facendo il suo lavoro ma la cosa gli diede i brividi.

-Allora affrettati a terminarla.- 

-Temo non sia possibile- 

Death sbuffò alzando gli occhi al cielo strappando un sorriso all'uomo, i suoi occhi scuri si contornavano sempre di qualche ruga e la lunga barba bianca pareva prendere vita, il principe arrossì ricordando quando da piccolo si divertiva a tirargliela. 

-Dov'è il ragazzo? Quello con gli occhi strani- 

-Oh, intendete il ragazzo che vi ha salvato!-

-Tsk! Ma per favore, lui non mi ha salvato- 

Il dottor Van De Meer si divertiva un mondo a fare leva sull'orgoglio ostinato del ragazzino: spesso si imbronciava, la sua fronte si corrugava, le guance arrossivano leggermente e il suo sguardo si faceva ancora più duro del solito.

-Sta bene, lo mando a chiamare? Potrebbe tenervi compagnia durante la convalescenza-

-Fa come ti pare-



Death era quasi sul punto di addormentarsi quando il rumore di alcuni passi incerti e lo scricchiolare della porta annunciò l'ingresso di un ragazzino dai capelli neri e gli occhi etero-cromi.

-S-salve- balbettò non osando avvicinarsi al capezzale del ferito, un maggiordomo lo aveva chiamato non appena arrivato, lo aveva condotto tra quei anonimi corridoi ma ora era da solo contro quei occhi capaci di gelarti il sangue. 

Se solo avesse potuto bruciare con lo sguardo, il mondo non esisterebbe più.

-Perché lo hai fatto?- la sua voce era roca ma ferma, stonava con il suo aspetto pallido e febbricitante. 

-Io... bhe, se devo essere sincero, mi è venuto naturale farlo.-

-Non ne avevo bisogno, lo avrei fermato da solo- Connor abbassò lo sguardo incapace di sostenere tutta quella rabbia, tutto quell'odio che gli stava riversando contro.

-Mi dispiace, eravate ferito e mi è venuto spontaneo difendervi, inoltre, il Re mi ha assegnato come vostro servo personale, quindi io...-

-Il Re dovrebbe farsi i cazzi suoi- Death sospirò come se fosse stanco eppure quella frase non faceva che metterlo a disagio, parlare male del Re era un crimine, aveva visto persone impiccate implorare e cercare di negare per un fatto simile. 

Distolse lo sguardo deglutendo, forse, essendo il figlio poteva permetterselo. 

-Posso fare qualcosa per voi?-

Per tutta risposta il ragazzo fece un cenno con la testa verso la porta. 

-Perché non ti levi di torno?- 

Connor strinse i pugni, si costrinse ad inchinarsi per poi uscire. Avrebbe dovuto sopportare questo trattamento tutti i giorni? Che diritto aveva lui di farlo solo perché nato qualche gradino più in alto nella piramide sociale?



Un urlo a pieni polmoni squarciò il silenzio svegliando di soprassalto gli ospiti di mezzo palazzo.

Connor si mise di scatto seduto, con il cuore che batteva all'impazzata gli ci volle un momento per fare mente locale e capire dove si trovasse.

-Sta tranquillo, lo fa tutte le notti, ci pensano le guardie-

Mormorò un ragazzo poco più grande di lui che riposava nel letto a fianco al suo.

-Chi lo fa tutte le notti?- 

-Il principe- Il ragazzo sospirò esasperato -urla così tutte le notti, alcuni si abituano, altri se ne vanno dalla disperazione-

Connor era confuso, avrebbe voluto porre più domande, per esempio sul motivo per cui un principe dovesse mettersi ad urlare di terrore ogni notte ma il ragazzo si era già voltato dandogli la schiena.

In quel momento sentì un trambusto fuori dalla porta, il rumore metallico che accompagna ad ogni passo le guardie.

Socchiuse la porta appena in tempo per vederne correre un gruppo verso l'ala ovest, verso la camera del principe.

-In fondo devo occuparmi di lui- si disse tra sé e sé per cercare di convincersi che ciò che stava per fare fosse del tutto lecito.

Corse a piedi scalzi per il buio dei corridoi cercando di orientarsi solo con il rumore dei passi dei soldati, non riusciva a scorgerli, per quanto corresse, erano sempre un corridoio davanti a lui.

Finalmente svoltò l'ultimo angolo, una luce soffusa proveniva dalla stanza di Death così come i gemiti di dolore e il fragore di oggetti infranti. 

Corse alla porta in tempo per vedere la sua furia. Death era in piedi, le guardie erano già tutte a terra, alcune si scontrarono contro di lui nel tentativo di fuggire.

Lui era lì, ansimante, in mezzo a quella camera distrutta, i piedi scalzi su cocci di vetro rotti, le sedie rovesciate, le tende strappate, le ante scardinate, eppure quegli occhi blu puntati su di lui ne volevano ancora.

Gli era capitato spesso che la gente lo prendesse in giro, lo picchiasse, cercasse di aggredirlo per rivenderlo al mercato degli schiavi a causa della particolarità dei suoi occhi, lo avevano guardato con paura, lo avevano guardato con fascino, disgusto ma mai con tutto quell'odio.

Death dal canto suo si era immobilizzato davanti la presenza intrusiva di quel ragazzino, gli occhi sgranati e il viso distorto di chi una tale rabbia non la concepisce. 

Invece lui non poteva farne a meno, a volte era così furioso da aver paura di andare in pezzi semplicemente gridando, di far andare in pezzi tutto quanto, allora cercava di tenere tutto dentro, di spingere quella rabbia sempre più in fondo, fino ad occupare ogni centimetro di sé stesso. Lui non aveva deciso di essere così, come non aveva deciso di essere un principe, semplicemente il mondo lo aveva condannato quando ancora era in culla, quindi, forse, un po' se lo meritava di esser ripagato con certi spettacoli.

Avrebbe voluto continuare, avrebbe voluto dimostrare a Connor che errore madornale avesse fatto nel salvarlo eppure le forze lo avevano abbandonato.

Per un attimo la stanza prese a vorticare, si ritrovò appoggiato di schiena ad un armadio mezzo scassato nel tentativo di reggersi in piedi, ora che l'adrenalina lo aveva abbandonato poteva sentirlo quel dolore allucinante all'addome. Si lasciò cadere seduto con una smorfia mentre con orrore notò la maglia sporca del suo sangue. 

La ferita si era riaperta. 

E in fondo a lui andava bene così. 
  
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