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Autore: La_Sakura    17/10/2018    7 recensioni
Genzo Wakabayashi non è solo il portiere più acclamato e titolato del momento: è anche l’erede dell’impero della Wakabayashi Corp., una delle multinazionali più importanti sul mercato.
Non se n’è mai preoccupato troppo: con suo padre fisso al comando, e i fratelli già ampiamente attivi in varie filiali, non ha mai dovuto prendere le redini, riuscendo così a posticipare costantemente il suo completo inserimento in azienda. Forte della collaborazione della Personal Assistant di suo padre, ha continuato a concentrarsi sulla sua carriera di portiere paratutto del FC Bayern München, riuscendo pienamente a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
O, per lo meno, così è stato fino ad ora.
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Serie "Im Sturm des Lebens"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Im Sturm des Lebens'
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ET - Capitolo 1

 

Quando Julia raggiunse Genzo nell’ufficio del padre, lo trovò seduto alla scrivania, col MacBook aperto, intento a scrivere velocemente. Il ragazzo alzò appena lo sguardo dallo schermo giusto il tempo per sorriderle, poi si concentrò nuovamente su ciò che stava facendo.

La giovane si sedette di fronte a lui e iniziò a rileggere i propri appunti per impostare la relazione. Rimasero in silenzio per qualche minuto finché lui non chiuse di scatto il laptop.

«Direi che possiamo andare a pranzo, se sei d’accordo.»

Non si era nemmeno accorta dell’orario, erano già le 13 passate, ma il suo stomaco, quasi a compiacere la proposta, iniziò a borbottare.

«Per me va bene, tra l’altro sentivo giusto un buon profumino provenire dalla mensa.»

«Aggiudicato!»

La sala mensa era affollata, saranno stati più di un centinaio di dipendenti intenti a consumare il loro pasto. La maggior parte di essi erano uomini in giacca e cravatta, tra di loro qualche donna vestita in maniera sobria. In un angolo, quasi a suggellare la differenza tra i due mondi, una ventina di occidentali si erano appropriati di una tavolata e chiacchieravano in maniera tranquilla.

Ryo alzò un braccio verso Genzo e Julia, che lo raggiunsero in un attimo.

«Julia, lascia che ti presenti il tuo equivalente qui alla Nihon no Wakabayashi Corp.: lei è Daisy Mannington. Lavorava con me a Santa Monica, non ha esitato a seguirmi qui quando le hanno proposto il lavoro.»

«Piacere di conoscerla, io sono Julia Wagner.»

L’americana si alzò appena e le strinse la mano: aveva circa 40 anni, il fisico atletico fasciato da un succinto abito in raso color confetto, i capelli raccolti in una crocchia e tenuti fermi da due bastoncini in stile giapponese dello stesso colore del vestito. Trucco perfetto, abbronzatura da lampade. Un cyborg, più che una donna, pensò Julia, limitandosi comunque a sorridere mentre si sedeva tra Ryo e Genzo.

Daisy iniziò a tempestare Genzo di domande sulla salute di suo padre, mentre se lo mangiava con gli occhi: il ragazzo, dal canto suo, rispondeva con calma e aplomb senza quasi rendersi conto della voracità sessuale dell’americana. Julia si limitò a mangiare il suo riso in silenzio, annuendo di tanto in tanto e osservando l’ambiente circostante. Il jet lag iniziava a farsi sentire e quando Genzo le chiese se volesse per caso andare in albergo a riposarsi qualche ora, accettò di buon grado.

«A questo punto credo che possiamo vederci direttamente domattina per fare il punto della situazione, che ne dite? Per te può andare, Julia?»

«Non c’è nessun problema, Ryo.»

«Nel caso, mi trovi sul cellulare.» concluse Genzo prima di montare sulla limousine. Lo chauffeur li accolse con un lieve cenno della testa e li condusse in hotel.

 

«Grande la mia Julia! Sono così orgogliosa di te!»

La voce squillante di Heidi la travolse, dovette allontanare il telefono dall’orecchio per non rischiare di rimanere sorda.

«Sì, anch’io sono contenta; è andata bene. Adesso rimarremo ancora qualche giorno qui per controllare le ultime cose, poi dopo la partita di beneficenza torneremo a Monaco…»

«Con Genzo tutto bene, vero? Immagino che tu non ti stia ammazzando di chiacchiere con lui…»

«Credo che senta la pressione e la responsabilità dell’incarico… è normale… io cerco solo di fare il mio lavoro per aiutarlo al meglio, poi il resto è tutto nelle sue mani.»

«Ma sì dai, andrà tutto bene…»

«Era presente in videoconferenza anche uno dei suoi fratelli…»

«Veramente?!»

«Sì, dirige la filiale di Santa Monica… Herr Wakabayashi mi aveva accennato qualcosa, e… ops, bussano alla porta, ci sentiamo, ok?»

«Ok, un abbraccio!»

Bussarono di nuovo, Julia lanciò il Blackberry sul letto e corse ad aprire.

«Ehi, Genzo, tutto bene?»

Il ragazzo era pallido. Scosse la testa in senso di diniego e abbassò lo sguardo: Julia si scostò per farlo entrare.

«Ho parlato con Akio… Dice che ha parlato con mamma e Takayuki…»

Indicò al ragazzo il letto, per farlo accomodare.

«Che ti ha detto?»

«Mia madre ha raccontato loro come si sono svolti i fatti… la litigata, l’ictus… e loro mi hanno dato la colpa.»

«Che cosa?!»

«Dicono che i medici sono stati categorici, è stato lo sbalzo di pressione a scatenare il tutto. Mio padre non si ricorda di aver avuto dei segnali premonitori e…» al ragazzo sfuggì un singhiozzo. Julia era rimasta impietrita, non sapeva che dire. Come potevano accanirsi su di lui? Stava facendo di tutto per mandare avanti l’azienda, si stava impegnando a fondo.

«Di che tipo di “segnali” parlano i medici?»

«Non saprei… sono stati vaghi… Julia, tu pensi davvero che sia colpa mia?»

«Ma stiamo scherzando? Genzo, è un ictus! Lo sai che è la terza causa di morte in Europa?»

«Io mi sento in colpa…»

Quella rivelazione scatenò una reazione inaspettata in lui. L’ebano delle sue iridi si inumidì, come un pozzo profondo che veniva pian piano riempito da acque nere. Sbatté le palpebre e le lacrime rigarono il volto, raggiunsero la punta del mento e da lì caddero sulle mani appoggiate sulle ginocchia.

Julia ne osservò il percorso senza riuscire a proferire verbo: non era abituata a questo tipo di rapporto con il ragazzo... Eppure da quando avevano iniziato a lavorare gomito a gomito qualcosa era cambiato, come se fossero passati a un livello successivo, più profondo, un’amicizia che andava al di là dell’ufficio. Si sedette accanto a lui e gli passò un braccio attorno alle spalle: Genzo le appoggiò la testa nell’incavo della clavicola, lasciandosi andare a un pianto sommesso. Rimasero così per un tempo incalcolabile, entrambi persi nei propri pensieri, fino a quando Genzo si scostò da lei. Si asciugò gli occhi, poi si alzò, dandole le spalle, e senza dire nulla uscì dalla stanza. La giovane rimase basita a osservare la porta chiusa, le braccia ancora sollevate e lo sguardo attonito. Si lasciò cadere sul letto e scosse il capo, non avrebbe mai capito fino in fondo i Wakabayashi.

 

Genzo non si riferì mai all’episodio del pianto, né parlò più dei suoi fratelli o delle accuse riguardanti il malore del padre. Né lei si scompose del fatto che lui sembrasse ignorarla, o almeno, così le pareva. Possibile che quel ragazzo riuscisse a passare dal “Ti prego, confortami” al “Scusi, ci conosciamo?” in così poco tempo? Il suo psicologo si sarebbe sfregato le mani davanti a un caso simile.

«Julia, sei con noi?»

Si accorse che Ryo le stava scuotendo la mano davanti al volto e si riscosse dai pensieri: arrossì delicatamente e si scusò, adducendo a un mal di testa per giustificare la sua mancanza di concentrazione. Daisy le offrì subito una compressa per il dolore, mentre Genzo la fissava con aria interrogativa: lei gli fece l’occhiolino e tornò a concentrarsi sull’argomento della riunione.

 

«Stai meglio?» le chiese il giovane mentre stavano rientrando in albergo.

«Sì, decisamente, grazie. Daisy deve avermi dato una di quelle bombe in commercio negli Stati Uniti.»

«Domani ci spostiamo a Osaka, ti va di uscire a cena stasera? Abbiamo sempre cenato in albergo, mi piacerebbe farti vedere qualcosa della città.»

«Volentieri. Tra l’altro mi dispiace di aver boicottato il tuo shopping…»

L’atmosfera tra di loro era gelida. Dopo il picco dello sfogo di Genzo, i due si erano allontanati, come se avessero deciso di raffreddare il rapporto per evitare situazioni imbarazzanti. In realtà Genzo avrebbe voluto sfogarsi nuovamente, parlare ancora con lei, ottenere consigli non solo lavorativi ma qualcosa gli impediva di farlo, come se fidarsi di lei una volta avesse già messo in pericolo la sua incolumità. Dal canto suo Julia non era abituata a dover pensare a qualcun altro, era sempre stata sufficiente a sé stessa.

Seduti nel sedile posteriore della limousine, guardando entrambi fuori dal finestrino, pensavano involontariamente alla stessa cosa, al loro rapporto, e a cosa ne sarebbe stato una volta rientrati in Germania.

«Sei nervosa? Per l’incontro con i sudamericani, intendo…» specificò subito il ragazzo.

«Un po’… mi chiedo come reagiranno quando vedranno noi due anziché Herr Wakabayashi. Ma abbiamo svolto un ottimo lavoro e sono sicura che andrà bene.»

«Sempre ottimista.»

«Devo, il pessimista lo fai già tu.»

Quella frase, buttata lì apparentemente a caso, gelò Genzo: si stava comportando così male da farle credere di essere un pessimista cronico? Lui non vedeva tutto nero… decise che le avrebbe detto qualcosa, qualunque cosa: glielo doveva.

«Akio e Takayuki sono sempre stati molto uniti: tra loro c’è un solo anno di differenza e sono cresciuti insieme senza particolari problemi. Poi sono arrivato io: loro erano adolescenti, e non capivano, o forse si erano riscoperti tutto a un tratto gelosi dei loro genitori. Fatto sta che si sono sempre comportati come se io non ci fossi. Poi, sono diventato un calciatore, un calciatore famoso. E loro, nel loro piccolo, hanno iniziato ad essere orgogliosi di me. Credo che nessuno di loro si sia mai perso una partita. Ma ormai… io sono diffidente, sono cresciuto così. – si voltò verso di lei, che continuava a guardare fuori dal finestrino – Non ho mai avuto… nessuno che mi coccolasse quando ero piccolo, e credevo di non meritarlo.»

«A volte ci convinciamo di cose che pensiamo che siano, e invece non sono. L’importante è non farsi abbattere.»

«Akio è sposato con una ragazza americana, per questo vive a Santa Monica; Takayuki è rimasto in Giappone, gira per le varie sedi e gestisce i contatti. »

«Sarà per questo che non ho mai avuto l’occasione di incontrarli.»

«Se io non fossi stato in Germania, non avresti conosciuto neanche me.»

Quell’affermazione le scatenò un brivido lungo la spina dorsale: si voltò verso di lui e lo vide tormentarsi le mani; gliele liberò, in modo che non potesse più farlo.

«Lascia stare, non ne vale la pena: queste sono preziose. La dirigenza del Bayern potrebbe uccidermi se sapesse che ti ho permesso di toglierti le pellicine.»

La guardò con lo sguardo pieno di gratitudine e le sorrise sincero.

 

«Questi sono i migliori uramaki che io abbia mai mangiato!» esclamò Julia, riempiendo nuovamente la ciotolina di terracotta con la salsa di soia e disperdendoci, all’interno, una punta di wasabi per intingerci l’ultimo uramaki che aveva nel piatto, nonostante lo sguardo di disapprovazione di Genzo.

«Sì, ho notato che ti piacciono parecchio. Vuoi che ne ordiniamo ancora?»

«No per carità, potrei scoppiare. Ma grazie per avermi portato in un vero sushi bar.»

«Non sapevo che ti piacesse il cibo giapponese.»

«Non sai molte cose di me.» rispose lei, bevendo un sorso di birra e guardandolo con sguardo finto malizioso.

«Sentiamo, cosa c’è da sapere?»

Si pulì la bocca con il tovagliolo per creare un po’ di suspense.

«Per esempio che sono nata in Svizzera, a Lucerna. Sono tornata in Germania a pochi mesi, sono cresciuta a Wolfach, nella Foresta Nera. Sono circa 360 km da Monaco.»

«I tuoi che facevano?»

«Sono cresciuta con i nonni…»

A Genzo non sfuggì la scintilla che aveva attraversato gli occhi nocciola di Julia. Non gli era sfuggita per niente. Era una scintilla di dolore, velata di malinconia. Lei bevve un ulteriore sorso di birra e continuò il suo racconto.

«A 19 anni, dopo aver tentato inutilmente la strada universitaria, ho deciso di trasferirmi a Monaco: mi ha sempre affascinato come città, e devo dire che non mi ha deluso per niente. Ho iniziato a lavorare per la Wakacorp ed eccoci qua.»

«Come hai conosciuto Heidi?»

«Ci siamo trovate a dividere l’appartamento: lei frequentava la LMU(1), studiava Scienze Sociali, e cercava una coinquilina. Sono stati gli anni migliori della mia vita, da quel punto di vista.»

«Diceva che non potevi uscire, o sbaglio?»

A Julia si formò quasi un groppo in gola, e cercò di scioglierlo dissimulando indifferenza.

«In realtà… è una storia vecchia e…»

«Una storia che ti rabbuia non è una bella storia, chiaramente. – disse Genzo, annuendo –Sono il primo a dire che non è facile raccontare di sé.»

«Non è solo difficile… in quel periodo frequentavo una persona, un ragazzo, per questo non amavo tanto uscire. Lui era molto geloso e io volevo evitare le discussioni.»

«Mi stai dicendo che non voleva che tu uscissi con le tue amiche?»

«Non se lui non era presente, perché non poteva sapere cosa avrebbero fatto gli altri uomini con me e diceva che la cosa lo uccideva. Ho capito che era una bugia quando...»

Julia trattenne il respiro: doveva raccontarglielo o no? Era un grandissimo atto di fiducia, quello di raccontargli quel particolare del suo passato. Solo Heidi ne era a conoscenza, e solo perché vivevano insieme, in quel periodo.

«Mi ha chiuso in camera, una sera… ha letteralmente girato la chiave nella toppa e se l’è portata via, per impedirmi di andare a una festa di compleanno.»

Genzo la fissava immobile, a sentire il racconto gli si era gelato il sangue nelle vene.

«Stai scherzando!?»

«No… per fortuna Heidi è tornata a casa a cercarmi e mi ha aperto con la chiave della sua stanza: erano tutte uguali… mi ha convinto a lasciarlo anche se io ero davvero innamorata…»

«Che ne è stato di lui?»

«Ha provato a ricontattarmi più e più volte, ma Heidi e Daniel mi spalleggiavano e mi hanno aiutato a rompere tutti i ponti. Deve avere trovato un’altra donna nel giro di breve tempo, perché è sparito. Mi ritengo fortunata, non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere, a che livello di cattiveria sarebbe potuto arrivare…»

«Non l’hai denunciato?»

«Non c’erano gli estremi per farlo, era un caso isolato. E poi probabilmente se n’è proprio andato via da Monaco perché non l’ho più visto.»

Genzo annuì e d’istinto le prese la mano.

«Mi dispiace…»

Lei gli posò a sua volta una mano sulla sua, senza alzare lo sguardo, e sorrise.

«Va tutto bene, è passato tanto di quel tempo che ormai è solo un ricordo spiacevole. Te l’ho detto, sono stata molto fortunata.»

Decise di cambiare argomento, voleva farla sorridere, non farla stare male. Sciolse le mani che si stavano ancora tenendo e si alzò.

«Andiamo a fare una passeggiata dai, così entrambi ci scrolliamo di dosso i cattivi pensieri.»

Camminarono per un’ora, nel centro di Tokyo, che non era affollato sia data l’ora sia per il giorno infrasettimanale. Ogni tanto Genzo faceva una battuta oppure cercava di spiegare qualcosa e il suo tedesco arrancava, allora Julia scoppiava a ridere gettando la testa all’indietro, i lunghi capelli che ondeggiavano mentre lei si asciugava le lacrime.

Rientrarono in albergo che ancora ridevano, il concierge li guardò divertito.

«Buonanotte Genzo, grazie per la serata. E grazie per avermi fatto svagare.»

«Grazie a te. Ci vediamo domattina alle otto e mezza per la colazione, ok?»

«Ok…» rispose lei, sorridendo. Si guardarono per qualche secondo negli occhi, entrambi incerti sul da farsi, finché Genzo non si sporse e le posò un bacio sulla guancia. Quando si tirò indietro le fece l’occhiolino e si voltò per raggiungere la stanza.

Julia aprì la porta e la richiuse, vi si appoggiò e si guardò le mani. Tremavano. Merda… pensò. Non era il momento per farsi prevaricare dai sentimenti.

 

 

1 Ludwig-Maximilians-Universität München: è la seconda università della Germania.


I fratelli di Genzo - che vivono lontani dalla Germania, e questo spiega perché non si siano precipitati immediatamente al capezzale del padre - se la prendono con lui per il malore che ha colto Herr Wakabayashi. A nulla servono le parole di Julia, che si è evidentemente informata sulla percentuale di morte in Europa per questo malore (dato che - al 2013 - era corretto, purtroppo ai tempi non mi sono segnata le pagine da cui li ho presi, ma basta fare una piccola ricerca su Google per rendersi conto di quanto siano allarmanti i dati). Genzo si sfoga, e poi si alza e se ne va, una volta consolato. E non ne riparla, per orgoglio o per cosa, al momento, non è dato saperlo. 

E finalmente, Julia ci racconta un po' di sé: non molto in realtà. Scopriamo che è nata in Svizzera e cresciuta con i nonni in una cittadina del Baden-Württenberg. Perché proprio Wolfach? Perché nella primavera del 2013 ero in vacanza in Provenza, e ho conosciuto dei signori tedeschi che mi parlavano di una delle ultime Brauerei statali della Germania. Quando sono tornata a cercare la città, che aveva un nome che assomigliava molto a Wolfach, ahimé non ho trovato nulla, quindi la mia memoria sicuramente mi ha tradito... ero però in fase di stesura di ET, e la città da cui proveniva Julia era ancora indicata con una bella XYZ, così ho cercato sulla cartina la località, e ho pensato "Perché no?". Mi sono consolata così XD 

Lucerna, invece, è una città svizzera in cui ho passato alcuni periodi della mia infanzia, andando a trovare una pro-zia. Diciamo quindi che questa scelta è stata dettata più da un legame affettivo che altro. 

Un'altra piccola curiosità riguarda Julia che scioglie il wasabi nella salsa di soia: i giapponesi tendono a non farlo, loro preferiscono mettere pezzettini di wasabi direttamente o tra riso e pesce, o sui maki, e siccome io soffro di una rara dipendenza da wasabi (più ne mangio, più ne mangerei XD) ho felicemente adottato questa tecnica, e scasso le pelotas a tutti quelli che non lo fanno XD (vi metto QUI il link che mi ha cambiato la vita). 

Adesso, però, vi saluto, perché a questo giro le note sono quasi più lunghe del capitolo XD 

Vi abbraccio forte, con Julia e Genzo ci riaggiorniamo settimana prossima :) 

   
 
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