III.
Giorno trentuno.
Quel motel puzza di fumo di sigaretta. È colpa di Chuuya che ha fumato.
Dazai dovrebbe dirgli di smettere, ma non importa: in fin dei conti non tornerà più in quel motel.
C’è una piccola cucina che comunica con la stanza da letto. Dazai si trova lì, fermo, lo sguardo che osserva il linoleum scadente del pavimento. È scrostato qui e là. Dovrebbe dire al proprietario di farlo cambiare, ma non importa nemmeno questo.
Dazai tocca le bende, sistema il nodo dietro al collo e sospira. Un’azione meccanica, potrebbe averla ripetuta milioni di volte e farla ad occhi chiusi.
Fuori fa caldo, la nebbia della mattina si è alzata. Chuuya è uscito e chissà quando tornerà. Ma va bene, perché non importa.
Da tutta la vita a Dazai importa poco delle cose, anche di quelle più rilevanti. Forse anche per questo Dazai è diverso.
Esattamente sopra la testa di Dazai c’è una spessa trave, che sostiene lo stipite della porta.
Sotto c’è una sedia.
Su quella sedia Dazai ci sta in piedi, una robusta corda stretta intorno al collo.
La vita gli ha tolto il fiato, lo ha distrutto. Gli ha tolto più di quanto avesse e lo ha privato dell’ultimo barlume di speranza.
Le parole di Oda non sono bastate perché Dazai sente, crede di non poter fare la differenza.
La Mafia, l’Agenzia dei detective armati.
È la sua anima che è morta e un’anima morta non può cambiare nulla, non importa per quale causa combatte.
Non è mai stato un uomo buono, nemmeno con se stesso.
Dazai non ha mai desiderato morire davvero, perché altrimenti sarebbe già morto. Ottiene sempre ciò che vuole, dopotutto.
E ora, Dazai lo vuole.
Guarda fisso davanti a sé a quell’altezza innaturale.
« Giorno trentuno. »
Il numero di giorni che è riuscito a resistere prima di essere privato di ogni speranza, di abbandonarsi.
Dazai compie allora il passo che avrebbe potuto fare per cambiare vita, nel vuoto. La sedia cade e il cappio si stringe.
Mentre l’aria se ne va, Dazai non si ribella e ricorda: aveva la disarmante certezza che restando nella mafia sarebbe morto.
Non con un proiettile conficcato nel petto, non per un’esecuzione.
Restando nella mafia è morto, ma per mano propria.