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Autore: Angel_Strings    20/10/2018    3 recensioni
Due donne ma un solo segreto.
Due uomini ma una sola arma. 
Maledetti cuori
Maledetti destini
-//-
"Amore o solitudine?
Lui aveva scelto l’amore. Qualcosa per cui lottare e alimentare ogni giorno, aveva scelto la famiglia, che comportava il vivere non solo per se stesso, ma anche per il bene degli altri.
Io non avevo qualcuno per cui far battere il mio cuore, non avevo motivo di scegliere qualcosa che nessuno si era preso la briga di insegnarmi.
Non puoi fare del male se non conosci il bene. Privazione di privazione."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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♠CHAPTER V - MALEDETTO INDUGIO
 

Kim Min-Jun.
 
Non avevo mai sentito quel nome prima d’ora, e fu alquanto strano.
Avevo pur sempre lavorato per una delle società più richieste del paese, la conoscenza era un requisito fondamentale.
In molti avevano criticato la mia scelta e quella di Hei-Ran di lasciare la Bulletproof Security, ritenevano fosse più opportuno restare e continuare a fare il lavoro di sempre ma, per quanto potesse essere comodo, avrebbe distratto entrambe dallo scopo principale.
 
La B.T.S non era una agenzia di sicurezza qualunque.
 
Per potervi accedere bisognava anzitutto rinunciare alla propria vita, ai propri cari. Probabilmente io e Hei-Ran fummo privilegiate in questo.
Avevamo quindici anni quando vidi il nostro futuro strappato malignamente dalle mani di entrambe, quando morì anche nostra madre.
Di lei solo una frase scritta su un misero pezzo di carta stropicciato.
 
“Fate ciò che vi dice. Questa è la mia punizione,
Omma.”
 
Quelle parole, ora, suonavano ancora più incomprensibili di sette anni fa.
Con il senno di poi supposi che la persona a cui si riferisse fosse Choi Yong-Ho-ssi, il CEO della B.T.S, ma non ne ero più così sicura.
Ogni volta che provavo a chiedergli dei miei genitori rispondeva di non saperne nulla, che aveva visto in noi delle potenzialità e che ci avrebbe mantenute fino a formazione completa.
Più insistevo e più si rabbuiava, talvolta rispondendomi in malo modo e, dopo qualche mese, iniziai a tacere perché non volevo vederlo arrabbiato.
 
Il secondo step per potervi accedere, invece, era un accordo di riservatezza che, naturalmente, non era un contratto qualunque.
Era ASSOLUTAMENTE vietato parlare di ciò che succedeva all'interno dell’azienda: avevano comunque i mezzi per scoprire se un dipendente lo avesse fatto omettendo la cosa.
Meglio non scherzare con il fuoco, la penale sarebbe stata decisamente salata.
Non solo a livello pecuniario.
Per quanto ne sapessi vi fu un solo traditore nella storia della Bulletproof Security, e di quel traditore, una volta scoperto, si erano perse le tracce.
Come se non fosse mai esistito.
 
Appurate queste premesse rimaneva solo il training, prima di entrare ufficialmente nel corpo dell’azienda come dipendente riconosciuto.
Anche il training, però, differiva da persona a persona in base a ciò che essa avrebbe poi dovuto svolgere al suo interno, e generalmente poteva durare dai sei mesi ai tre anni.
Il nostro training durò esattamente tre anni, lunghi e difficili, terminati i quali eravamo già pronte e robotizzate ad eseguire gli ordini dei nostri superiori.
 
La B.T.S, infatti, era suddivisa in “strati”.
Il primo strato, la Basic Supervision, era lo strato che richiedeva il training più corto.
Si estendeva dal primo al quinto piano del palazzo, e ricercava una accurata conoscenza delle reti informatiche ampliate su tutto il suolo coreano.
Ogni singolo macchinario di quella stanza riceveva a tempo zero informazioni dall’esterno, le codificava e, se la situazione non era stabile, veniva mandato un allarme ai piani alti.
 
Il secondo strato, lungo altrettanti cinque piani sopra il primo, si chiamava Basic Security.
Più che una mente allenata come alla Supervision, bisognava avere un corpo temprato, massiccio ma agile.
Lì dentro vi erano centinaia di uomini -per la maggior parte- il cui scopo era quello di affiancare personaggi di spicco di tutti gli ambiti, principalmente politici o azionisti di ragguardevole fama.
La conoscenza di almeno due arti marziali era fondamentale.
 
Al terzo strato le cose si facevano più serie. Più segrete.
La Advanced Security non aveva nulla a che fare con la Basic precedente. Si estendeva fino al quindicesimo piano, e si preoccupava solo di una cosa: far rispettare le leggi.
Con la forza, se necessario.
Operavano in superficie accompagnati sempre da un’arma nella fondina nascosta sotto al completo nero e bianco che erano obbligati ad indossare ogni fottuto giorno, simile ad uno smoking ma meno fastidioso.

Poi c’era lui. Il sedicesimo.
Il fantasma.
Il Black Stratum.
Lo strato di cui non avrei mai potuto dare una definizione esatta per essere considerata soddisfacente.
Lo strato “debole” (potevano essere classificati tutti tali) non poteva salire, ma non viceversa, eccetto per il quarto.
Nessuno poteva accedervi ad eccezione degli stessi componenti e del CEO e, a prescindere, vi erano controlli di ogni genere sia quando si entrava che quando si usciva.
Nessuna pietà.
Nemmeno per lo stesso Choi Yong-Ho, questione di sicurezza nazionale.
Il quarto strato, per farla breve, poteva essere paragonabile all’FBI, motivo per cui l’accesso richiedeva così tanti anni di training, un miscuglio di conoscenze informatiche, marziali, destrezza con le armi, una dose di adrenalina fuori dal comune e, per finire, discrezione.
Noi agenti considerati “speciali” potevamo essere amici, fidanzati, cameriere… dovevamo trasformarci in qualunque cosa e utilizzare qualunque mezzo pur di completare la missione assegnataci.
 
Ora la mia missione era scoprirne di più su questo Kim Min-Jun.
Nonostante avesse detto che ci avrebbe ricontattate, erano già passati cinque giorni da quella assurda telefonata.
Inizialmente avevo provato ad inserire il suo nome nel motore di ricerca del mio fedelissimo portatile datato Era Dinosauri, ma nulla.
Nemmeno qualcosa riconducibile ad un CEO di qualche piccola organizzazione.
Vuoto cosmico.
«Ancora in ballo con quel nome?» Hei-Ran si accomodò accanto a me, tra le mani aveva un piatto fumate di ramen, che guardai esterrefatta.
Roteò gli occhi. «Davvero divertente. È ramen istantaneo.» Tirai un sospiro di sollievo, e mi resi conto che erano già le nove inoltrate quando il mio stomaco iniziò a brontolare dalla fame, ma non potevo fermarmi.
«Qualcosa non torna.»
«Quando mai ti torna qualcosa?» Le diedi uno sberlone sul collo.
«Porca puttana, Ha-Nun!» Tutto il ramen che si trovava nella ciotola era comodamente steso sulle su gambe. «Ti sta bene, stronza.»
Si alzò seccata dalla sedia e andò in cucina, probabilmente per prepararsene un altro mentre io, mordicchiandomi il labbro inferiore, decisi di tentare l’ultima sponda che mi era rimasta.

«Sei una stupida se pensi di poter accedere lì dentro.»
Sobbalzai dallo spavento.
«La prossima volta che ti metti di soppiatto dietro di me, giuro, sarà anche l’ultima. Perché non dovrebbe funzionare?» Non diede molto peso alle mie parole, piuttosto la guardai mentre afferrava il pc dalle mie mani e si riposizionava al mio fianco.
«Sai che il sistema informatico è pressoché infallibile. La tua rete verrebbe fatta rimbalzare da tutt’altra parte.» Il mio sguardo si fece rigido, e lei continuò la frase. «Beh, tanto vale provare. Lascia fare a me, sono più afferrata con queste cose.» Hei-Ran iniziò a pigiare così tanti tasti in una volta che, per un attimo, mi andò insieme la vista, perciò mi spostai per farla agire indisturbata.
 
Fu proprio in quel momento che il telefono squillò per la seconda volta in quella settimana.
 
«Kim Min-Jun, immagino.» Ci fu qualche secondo di silenzio prima di una vera e propria risposta.
«Sei davvero scaltra come dicono, Yun Ha-Nun.»
Poi, l’illuminazione.
«Anche lei è niente male, visto che ha dato a mia sorella un nome falso.»
«Sospettavo avreste fatto delle ricerche.» Rispose l’uomo.
«Date le dubbie circostanze, oserei dire che fosse scontato.» Replicai io.
Sogghignò. «Presentatevi per le diciassette e trenta al parco vicino alla scuola Sarang. Ci sarà una macchina ad attendevi, la riconoscerete subito.»
«Non ho mai detto che avrei accettato.»
«Ma non hai nemmeno rifiutato. Che peperina. Sarà proprio un bell’affare.» E, dopo quella frase, riagganciò, lasciandomi abbastanza perplessa.
Mi voltai a guardare la mia gemella, così assorta da quel maledetto schermo da non essersi accorta di nulla.
«Non ne abbiamo più bisogno, Hei-Ran.»
 
⁕⁕⁕
 
«La tua faccia sembra urlare “pericolo!”» La fulminai con lo sguardo.
«Ma davvero?» Chiesi sarcasticamente. Scoppiò a ridere, nonostante io non ci trovassi proprio nulla di divertente in tutta quella storia. Quello stronzo aveva pure avuto il coraggio di fare il simpaticone. Forse non aveva capito con chi avesse a che fare. Ero davvero furiosa, con lui e con me stessa per non averlo mandato a fare in culo subito.
«Saremo preparate ad ogni evenienza, domani. Non ti preoccupare. Mi copri le spalle?»
La guardai dritta negli occhi, decisa.
«Sempre.»



N.D.A


Ed eccoci con un altro capitolo.
Devo dire di essermi divertita abbastanza mentre lo scrivevo, specialmente le scene tra Hei-Ran e Ha-Nun.
Questo capitolo è più lungo del solito, spero non sia troppo pesante ma, in compenso, sapete qualcosa di molto importante sul passato delle gemelle.
Volevo fare una precisazione, onde evitare fraintendimenti, per quanto concerne la B.T.S:
Il primo strato non può salire al secondo, il secondo al terzo e il terzo al quarto.
Il terzo strato può scendere al primo e al secondo, mentre quest'ultimo solo al primo.
Tutto questo chiaramente per una questione di "gerarchia" (non che la Basic Supervision sia poco importante, anzi). 

Volevo nel frattempo approfittarne facendo un ringraziamento a tutte le persone che hanno inserito questa storia -per quanto sia ancora all'inizio- tra le seguite, preferite e ricordate. 
Ci riempite il cuore di gioia, spero tanto di non deludervi! 
Un bacione a tutti e buon weekend!
S.






 
  
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