Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Tenar80    21/10/2018    1 recensioni
Di Victor, che deve fare i conti con la realtà
Di Yuuri, che deve fare i conti con Victor
Di Otabek, che deve fare i conti con i propri desideri
Di Yuri, che pretende che tutti che facciano i conti con lui.
Di quello che accade dopo l'ultima immagine della serie, della difficoltà di ancorare le fiabe alla realtà. Una realtà che abbonda di elementi disturbanti quali omofobia, doping, accenni a molestie e ad abuso d'alcool, ma in cui c'è ancora spazio per la tenerezza.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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Yuuri si era aspettato di trovare a San Pietroburgo qualche risposta su Victor. Invece aveva trovato altre domande.

    A quanto pareva, nella stanza che occupava ad Hasetsu Victor aveva riprodotto in miniatura il salotto del proprio appartamento. Stessi toni grigi, poltrona e lampada nella stessa posizione. Per essere così attratto dalle novità, nel cuore della propria vita Victor era inaspettatamente abitudinario. Alle pareti, lì, c’erano delle fotografie. Yuuri sospettava che fosse solo una selezione delle sue vittorie. Nella foto più vecchia, quella del mondiale juniores, aveva un sorriso di un entusiasmo contagioso. Se lo ricordava, lui, quel sorriso. Lo aveva visto in televisione ed era stato il miglior incentivo ad andare avanti che avesse potuto ricevere. Chiunque avrebbe voluto trovarsi un giorno con quell’espressione di felicità pura. Le foto in successione dei cinque podi mondiali assoluti raccontavano una storia diversa. Nell’ultima fotografia sembrava un imputato in attesa di ascoltare la sentenza. Il che poteva anche adattarsi a certi sportivi che vivono le gare quasi come una religione. Il kazako, arrivato terzo, aveva un’espressione simile, ma, da quello che Yuuri aveva visto, Otabek non aveva una muscolatura facciale adatta al sorriso. Quelle poche volte che lo faceva sembrava persino inquietante. Il sorriso, d’altro canto, era la natura di Victor, aveva mille sfumature di sorriso diverse, persino quella per esprimere rabbia o delusione. In quella foto era quasi come se non fosse del tutto se stesso. Il corpo di Victor privato della sua anima. 

    Poi c’erano le assenze. C’era una fotografia in cui appariva Yakov e una in cui Victor aveva al collo la medaglia d’argento dell’olimpiade di Vancouver ed era al fianco di Giacometti, medaglia di bronzo, al centro il portafazzoletti di peluche posizionato come se bevesse da una cannuccia. Per il resto le uniche altre persone ritratte erano quelle che dividevano con lui il podio. Anche quando parlava di sé, Victor nominava un numero assai limitato di persone. Yakov, i membri dello staff della squadra. I compagni di allenamento, alcuni dei quali ormai facevano tutt’altro, qualche avversario, qualche ragazza con cui era uscito, qualche ragazzo, quasi nessun altro. C’erano di sicuro delle omissioni studiate, Ludmilla ne era la prova evidente, ma Yuuri si chiedeva quante di quelle assenze corrispondessero ad effettive mancanze.

    – Vuoi mangiare qualcosa? Non hai quasi toccato il rassolnik – chiese Victor, mentre riempiva la ciotola di Makkachin.

    Quindi quella roba aveva un nome terribile quasi quanto il suo sapore. 

    – No, grazie. Credo di non aver digerito Ludmilla.

    Victor si esibì nel suo miglior sorriso da scuse imbarazzate.

    – Avrei dovuto parlartene, vero?

    – Eh, sì. L’ho vista sui cartelloni pubblicitari, ma avrei dovuto sapere qualcosa di più.

    Victor diede una pacca affettuosa al cane. Poi prese un respiro e si sedette di sbieco sulla poltrona.

    – Avresti dovuto, sì… Vieni qui, Yuuri.

    Il giovane scosse il capo. Si era seduto su un puff di fronte a lui e non avrebbe ceduto quella posizione di vantaggio.

    – Bene… Abbiamo girato insieme delle pubblicità, come certamente hai visto – esordì il russo. – Funzionava bene e ci hanno consigliato di farci vedere insieme… E poi, come sai, non sono bravo a mantenere le distanze e a… dividere gli aspetti della mia vita. 

    – Te la sei portata a letto e lei si è fatta delle illusioni – continuò Yuuri.

    Difficile non capirla.

    Victor scosse il capo.

    – Non pensare a Ludmilla come una vittima innocente del mio charme. Per lei è sempre stata una questione d’immagine.

    – E per te?

    – Per me è stata una questione di disperazione.

    Yuuri rimase spiazzato dalla risposta. A volte Victor era del tutto trasparente. A volte Yuuri sentiva di non avere indizi per discriminare tra verità e menzogna. A volte Yuuri sentiva di sperare di trovarsi di fronte a una menzogna.

    – In ogni caso era finita ben prima che partissi per il Giappone.

    Il fatto che si fosse premurato di precisare fece incurvare le labbra di Yuuri in una smorfia.

    – Cosa voleva?

    – Minacciarmi. Ma credo di essere stato io a minacciare lei.

    Sì, a volte era meglio pensare che Victor mentisse. Yuuri non aveva mai visto i suoi occhi farsi così freddi e le labbra stringersi in un sorriso, sì, ma il genere di sorriso che potrebbe avere un killer nel momento in cui prende la mira.

    – Tra me e lei, ormai, c’è solo rancore, tuttavia c’è ancora aperto l’aspetto promozionale – continuò Victor. – Domani devo andare a una sorta di aperitivo con lei, a mezzogiorno, me ne ero dimenticato… Se preferisci, però, trovo una scusa di qualche tipo.

    C’è solo rancore… Yuuri si chiese se valesse la pena di spendere il proprio cuore per ottenere in cambio solo quello. Guardò l’anello al suo dito. Un legame è sempre anche un potenziale cappio. Cercò di immaginarsi Victor che parlava di lui con quel tono piatto e desolato a qualcun altro, a qualcun’altra. Non riuscì, tuttavia, a immaginare l’opposto.

    – Vai. Sei stato via mesi. Sei un simbolo, qua in Russia, e come tale hai dei doveri che hai trascurato. È questo che ti hanno fatto pagare questa mattina, vero? Non era il punteggio che ti meritavi.

    Yuuri aveva evitato per tutta la giornata di parlare di quel terzo posto. L’esibizione di Victor non era stata al livello di quella di Yurio, ma era stata senza dubbio più tecnica e elegante di quella di Georgi, eppure Georgi era secondo e lui terzo. Il giovane era competitivo, cercava di negarlo anche di fronte all’evidenza, ma odiava perdere. Quello che era lui, però, era niente rispetto alla competitività di Victor. Dopo la finale del Grand Prix, dall’annuncio del proprio ritorno alle gare, qualcosa era cambiato in lui. Victor era rimasto l’uomo svagato e dagli atteggiamenti buffi che Yuuri aveva conosciuto, per tutto ciò che non riguardava il pattinaggio. Solo che il pattinaggio era tornato a inglobare la quasi totalità della vita. Nei giorni che avevano trascorso insieme in Giappone dopo la finale, Victor si era sempre alzato ben prima dell’alba, quando Yuuri riemergeva dalla propria camera era già di ritorno dalla pista. Andavano a correre insieme, un’attività che Yuuri amava e Victor odiava con tutto se stesso. In quei primi giorni il giapponese aveva imparato tutta una serie di imprecazioni in russo di cui il suo allenatore, nei mesi precedenti, non aveva mai fatto uso. Andavano insieme in palestra, poi il russo studiava le coreografie e infine seguiva l’allenamento di Yuuri sul ghiaccio. Durante il periodo natalizio Victor si era nutrito di quasi solo insalata, riso bollito e un poco di pesce. Da lui esigeva delle buone performance, da se stesso la perfezione. Un paio di volte, alla sera, Victor si era addormentato mentre Yuuri gli stava parlando o mentre stavano guardando un film insieme. Lo aveva visto tremare di fatica, bloccarsi a metà scala per un qualche dolore muscolare, eppure ripartire il giorno dopo come se niente fosse successo. Yuuri era arrivato a pentirsi di aver insistito così tanto per il suo ritorno alle gare, perché aveva avuto modo di toccare con mano di quanta vita si privasse Victor pur di primeggiare. Vedere tutta quella fatica resa inutile dai capricci dei giudici faceva male e Yuuri capiva che fosse un dolore che magari l’altro non voleva condividere.

    Adesso Victor fece una smorfia, come se avesse appena assaggiato qualcosa di disgustoso. Guardò l’orologio.

    – Sono le nove – constatò. – Ormai dovrebbe essere finita anche la gara femminile. Stavo quasi pensando di chiedere a Yakov di tornare in pista, per studiare qualcosa per domenica… Dio, sono un fidanzato pessimo! Volevo essere solo questo, almeno per tre giorni. Rimango muto per mezza giornata, poi ti servo una scenata con la mia ex e infine progetto di mollarti a casa per la serata.

    Yuuri si alzò per andare a toccarlo con un dito sulla testa, in un gesto che ormai per lui era diventato un benevolo rimprovero.

    – Stupido Victor. È la tua gara di rientro. È ovvio che venga prima di tutto. 

    Tuttavia Yuuri si chiese come se la sarebbero cavata quando la gara sarebbe stati di entrambi. Anche sorvolando sul piccolo particolare dell’intero continente che separava le loro due abitazioni, anche se Victor si fosse deciso a chiedergli di venir a vivere lì… Yuuri provò ad immaginarsi, in quell’appartamento arioso, ma chiuso nel buio gelido dell’inverno, nel pieno della sua ansia da pre gara, con un compagno allenatore avversario, avviluppato dai quei troppi ruoli, anche lui con il diritto alle proprie ansie…

    – Cosa pensi di fare? – chiese.

    – Ho ripreso i programmi della stagione 2006/2007. Praticamente non li avevo usati, perché ho passato tre quarti della stagione infortunato: sono persino riuscito a farmi operare a un polso… Ma è evidente che non sono abbastanza. Per il lungo avevo anche un’altra versione della stessa musica. L’ho tratta da un musical francese e più personaggi cantavano sulla stessa melodia. Allora ne avevo scelto uno, ma forse, per il me stesso di adesso, è meglio la versione che allora avevo scartato. Per l’aspetto tecnico voglio sentire Yakov. Posso tollerare di essere battuto da chi ha appena fatto il record del mondo, ma di certo non da Georgi.

    – Non ti sta proprio simpatico, eh?

    – Georgi? – Victor arricciò il naso. – Ci abbiamo provato, credo, tanto tempo fa, a tollerarci. Ma io non sono bravo come te a farmi degli amici in pista.

    – Stai scherzando, vero? – domandò Yuuri.

    Victor lo guardò come se non capisse cosa avesse detto che non andava.

    – Io sono famoso per non essere in grado di farmi degli amici! – protestò il giapponese.

    – Ma non è vero. Yuko e suo marito? Pich? Quanti amici credi che abbia io? 

    Tutte quelle telefonate mai arrivate…

    – Chris? – provò Yuuri.

    – Chris – concesse Victor. – Non ci siamo mai allenati insieme, però.

    – Perché?

    – Perché cosa?

    – Insomma, ti alleni nella stessa pista da che sei ragazzino. E persino io mi sono fatto degli amici, pattinando.

    Victor scosse la testa, come faceva il suo cane per togliersi l’acqua dalle orecchie.

    – Siamo in Russia.

    – E allora?

    – Guarda i Grand Prix juniores. Sono pieni di russi. E poi? I posti per i Mondiali o le Olimpiadi sono al massimo tre. Io sono le opportunità mancate di Georgi, così come Yurio sarà le opportunità mancate di altri atleti russi per i prossimi dieci anni almeno. Quanti amici credi che abbia?

    – Otabek. 

    – Giusto. Otabek.

    Adesso il sorriso di Victor era quello frivolo.

    – Yurio ha quindici anni! E Otabek non ha proprio l’aria di essere gay.

    – Hai ragione, Yuuri Katsuki, bisogna averne l’aria. Quindi tu hai una sottoveste rosa sotto quella felpa nera?

    Per tutta risposta Yuuri afferrò la propria sciarpa, che aveva ancora al collo, e la scagliò su Victor, prendendolo in piena faccia. La rappresaglia non si fece attendere e arrivò sotto forma di cuscino in testa. Un istante dopo sia Yuuri che Makkachin erano all’assalto del russo. Le risate che all’improvviso riempivano la stanza avevano il suono della felicità.

    Yuuri aveva tutta l’intenzione di approfittarne per un bacio, ma fu battuto sul tempo da Makkachin, che riuscì ad affibbiare al proprio padrone due leccate in piena faccia. Poi la vibrazione di un cellulare riportò tutti all’ordine.

    – Yakov può essere in pista tra mezz’ora – annunciò Victor.

    Yuuri annuì. 

    – Ne approfitto per pattinare un po’ anch’io, posso?

    – Sono già le nove.

    – A me piace allenarmi alla sera.

    Era Victor quello che si spegneva più o meno a quell’ora.

    – Sono dieci minuti a piedi e adesso fuori sarà a meno quindici.

    – Ah…

    Si sarebbe abituato. Senza dubbio. 

    Andando in camera a cercare lo zainetto con i pattini, Yuuri pensò che si sarebbe aspettato almeno la neve. Invece, almeno quell’anno, l’inverno di San Pietroburgo era spoglio e buio, con un freddo che mozzava il fiato e risaliva ad ogni passo dalle piante dei piedi. Eppure, senza dubbio, valeva la pena di abituarcisi.

    Quando ritornò, pronto per uscire, si trovò valutato dallo sguardo di Victor.

    – Abbigliamento tecnico, tutto nero, nessuna cura negli accostamenti. Terribilmente etero. Signor Katsuki, mi auguro almeno che in quello zaino tenga un paio di scarpe rosse con tacco dodici.

    In assenza di oggetti da lanciare, Yuuri si limitò a una boccaccia.

    – Sei terribile. E adesso per colpa tua sto continuando a immaginarmi Otabek in sottoveste rosa.

    Risero entrambi. Poi, senza esserselo aspettato, Yuuri si trovò quasi stritolato in un abbraccio.

    – Grazie di essere qui – gli sussurrò Victor.

    Prima che il giapponese potesse replicare, l’altro era già oltre la porte di casa.

 

*

 

    – E quella roba lì cosa voleva essere? – chiese Yakov.

    Lui e Victor stavano discutendo sul bordo della pista, mentre Yuuri stava, almeno in apparenza, provando una serie di cadute. 

    – Il quadruplo Loop.

    – Ah, certo… No, lo ammetto, ha stile. Risparmiamo almeno una lucidatura della pista, la sta già facendo lui con la pancia.

    Victor tentò uno sguardo severo alla volta dell’allenatore, senza però impegnarcisi davvero.

    Yakov aveva un aspetto stanco. Aveva passato a bordo pista quasi tutta la giornata per seguire prima la loro gara e poi quella di Mila. Essere tornato lì a quell’ora per lui andava ben oltre il suo dovere di tecnico.

    – Quindi, fammi capire, non si tratta di cambiare la musica già annunciata, cambia solo il mixaggio.

    Victor annuì.

    – Sempre da Notre Dame de Paris. La parte cantata è sempre da Belle. Nell’originale ci sono tre cantati maschili, nel 2006 avevo scelto quello di Phoebus, invece adesso userei quella di Frollo. E cambierebbe l’ultima parte musicale, ma, fondamentalmente, sono sempre pezzi dalle stesse musiche da Notre Dame.

    L’allenatore sbuffò.

    – Quindi è comunque coerente con quello che abbiamo annunciato, credo che la cosa non vada contro il regolamento, anche se ci faranno storie per la sostituzione all’ultimo momento della traccia audio. E immagino che adesso tutta la routine sia da rivedere… Chi l’avrebbe detto… C’è quasi riuscito.

    Lo sguardo di Yakov era tornato su Yuuri e Victor si godette l’espressione di approvazione professionale del viso dell’allenatore.

    Il giovane non era riuscito a chiudere in modo pulito il quadruplo Loop. Aveva dovuto appoggiare una mano, ma aveva comunque completato le rotazioni. Era la prima volta in assoluto che ci riusciva, ma era quasi incredibile da parte di un atleta che un anno prima riusciva a eseguire, a malapena, solo il Toe Loop.

    – Se vuoi continuare a giocare all’allenatore, qui a San Pietroburgo, con un atleta giapponese, potresti avere dei problemi, anche al netto dei pettegolezzi. Non puoi usare come se fosse tuo l’impianto federale – grugnì Yakov, sempre guardando Yuuri. – Se invece vuoi che ci metta mano io, dovete chiedermelo in ginocchio, tu, lui e la federazione giapponese.

    Era un’apertura in cui Victor non aveva sperato.

    Yakov bloccò con un movimento della mano qualsiasi reazione del proprio allievo.

    – Odio vedere la gente che può fare le cose e non le fa, sopratutto se ci sono così tante altre persone che vorrebbero quella vita e non la possono avere. Quando ti sei fermato mi sei sembrato un bambino capriccioso che smette di giocare solo perché non è più sicuro di vincere. Il che è come sputare in faccia a chi la possibilità di vincere non l’ha mai neppure avuta.

    Un bambino capriccioso che smette di giocare solo perché non più sicuro di vincere… Come spesso accadeva, Yakov sapeva dove colpire per fare più male. 

    – Non era solo per quello…

    – No – concesse l’allenatore. – Il ragazzo ha i numeri per fare bene. Si merita di meglio di un allenatore improvvisato e a mezzo servizio. E tu… Hai la capacità di recupero che hai, o non saremmo qui a parlare, adesso. Ma lo capivo sempre, quando avevi bevuto.

    Victor annuì.

    Non avrebbero affrontato l’argomento in modo più esplicito. Era il massimo dell’approvazione in cui poteva sperare. Per certi versi era molto di più di quanto sentisse di meritare.

    – Ci penseremo. Seriamente. Sei il miglior allenatore che si possa desiderare.

    Yakov sbuffò.

    – Non sperare di cavartela così. Adesso il dio del Loop ha sofferto abbastanza. Cerchiamo di portare a casa questo maledetto programma.

    

    Niente da fare. Non c’era modo di far girare quella routine sul ghiaccio nello stesso modo in cui girava nella sua mente. Nove mesi di allenamenti mancati pesavano sulla fluidità dei movimenti. E poi c’era il resto. La caviglia destra, ormai, era insieme con lo sputo e faceva male ogni volta che veniva sollecitata troppo. E un allenamento intensivo dopo una gara era troppo anche per la schiena.

    … Mi sei sembrato solo un bambino capriccioso che smette di giocare perché non è più sicuro di vincere.

    Yakov non aveva capito niente. O, forse, aveva capito troppo.

    Una parte di se stesso, per tutta la stagione precedente aveva sperato di perdere. Per tutta la vita Victor aveva sognato solo di pattinare il meglio possibile. Non di diventare, dopo la medaglia olimpica, una sorta di monumento vivente di una Russia di cui, in realtà, sapeva pochissimo e quel poco non gli piaceva neppure un gran che. Si era sentito una sorta di poster, portato in giro, congelato in un’unica espressione. Aveva avuto delle fantasie, in certe sere, in cui perdeva in modo ignobile qualche gara importante. Era arrivato a immaginare di infortunarsi in gara, in modo abbastanza serio da fermare in modo definitivo quel carosello impazzito. Poi, però, c’era l’altra parte di se stesso. Quella che sul ghiaccio si sentiva un dio. E voleva continuare a esserlo. Oltre il limite umano della stanchezza. Fino a immaginarsi cose che lo avevano terrorizzato assai più dell’augurarsi di azzopparsi in gara. Di certo l’anno precedente non sarebbe mai sceso in pista con la prospettiva di arrivare secondo.

    – Così non arrivi vivo in fondo – commentò Yakov, piatto, quando Victor gli si avvicinò.

    La verità era che non sapeva neppure se sarebbe arrivato vivo in fondo all’allenamento. Si sentiva a un passo dall’infarto.

    – Tre quadrupli sono sufficienti – provò timidamente Yuuri.

    – Sono anni che ne faccio quattro.

    – E quando mai in questi anni ti sei goduto mesi e mesi di vacanza? – ringhiò l’allenatore. 

    – Cosa ne pensi, sinceramente? – chiese Victor a Yuuri.

    – Sinceramente? – il ragazzo lo guardò come se cercasse una via di fuga.

    – Sì.

    – Di solito sembra che tu non ci debba neanche pensare all’aspetto tecnico. Si rimane talmente incantati dall’esibizione che i salti quasi si dimenticano. Sembrano facilissimi e pensi solo a quanto siano belli. Adesso però hai bisogno di pensare a quello che stai facendo e non riesci a tenere sotto controllo sia una coreografia che non hai del tutto interiorizzato sia degli elementi che sono al limite delle tue possibilità. Quindi o risulti legnoso oppure impreciso.

    – Il ragazzo non è del tutto stupido – commentò Yakov. – Magari rifacendo la coreografia dell’anno scorso potevi permetterti lo stesso livello tecnico. Ma sei andato a rispolverare roba di dieci anni fa, a cui vuoi mettere mano adesso. 

    – Lo sai che non mi piacciono le scelte scontate – replicò Victor.

    – E come faccio a non saperlo? – sospirò l’allenatore. – Vuoi la verità? Sei stato fermo e hai ventotto anni. Senza la vacanzina giapponese era un conto, ma così come stanno le cose non vali come dodici mesi fa. Ma continui a essere Victor Nikiforov. Hai esperienza, talento, muscoli che bene o male reggono, e nervi più saldi di chiunque altro. Quindi cosa sei tornato a fare? Quando lo capirai riuscirai anche a farlo.

    –… Anche se domenica dovesse essere un disastro? – completò Victor.

    Ormai li conosceva tutti i sottintesi dei discorsetti motivazionali di Yakov.

    – Anche, sì. Adesso vai a dormire. Domani vai in palestra. E domenica usiamo la traccia già concordata. Portiamo a casa un’esibizione dignitosa e poi pensiamo agli Europei.

    – Eh, no, non va bene! – esclamò qualcuno in russo.

    Victor, Yakov e Yuuri si girarono all’unisono.

    Dall’altra parte della pista, vicino all’ingresso, tra una giacca a vento rossa col bavero alzato e un cappello nero con zebrature, stavano due rabbiosi occhi verdi.

    – Che cosa ci fai qui, Yuri? È mezzanotte! – chiese Victor.

    – Che cosa ci faccio? È da quando ho undici anni che voglio batterti. Ma batterti davvero, non con quasi sette punti che mi hanno regalato i giudici. Quindi adesso tu sistemi questo maledetto libero, perché domenica mattina io non mi presto a una farsa!

    Victor rimase del tutto immobile, pietrificato da quell’apparizione. Indeciso se tirargli un pugno nello stomaco per essersi immischiato o correre ad abbracciarlo.

    – Yuri, la cosa non ti riguarda – sbuffò Yakov. – Domenica fai dei tuo meglio senza darti già vincitore e qualsiasi faida ci sia tra voi due la risolvete agli europei.

    – E no! – ringhiò Yuri. – Io lo conosco e dovresti conoscerlo anche tu che lo alleni da una vita. Lo sai che non farà il libero come lo avevate progettato. Tenterà qualche follia tecnica e agli europei ci arriva bello che rotto. E, a proposito, bel favore che fai ai giudici e a chi la pensa come loro, Victor, rompendoti alla prima gara.

    Adesso il sorriso che esibì Victor fu quello di imbarazzo. Perché, se non riusciva a fare quello che aveva in mente, almeno poteva stordire i giudici con qualcosa di tecnicamente ineccepibile, anche a rischio di sacrificare la coreografia. E, sì, c’era il rischio concreto che qualcosa andasse storto e si realizzasse esattamente la previsione di Yuri. Anche Yakov stava guardando il proprio allievo più giovane con sguardo diverso, rispetto a prima.

    – Sì, è probabile che vada così – disse infatti, l’allenatore. – Quindi che cosa dobbiamo fare?

    Yuri prese un respiro e poi fissò Victor come se stesse per lanciarsi in una rissa.

    – C’è un limite a quello che puoi fare a livello tecnico con l’allenamento che hai, ma puoi farlo molto bene e siccome gli occhi ce li abbiamo tutti, lì al massimo possono negarti mezzo punto. Ti hanno fregato sulla coreografia e l’interpretazione. Lavora su quello. Devi fare un’esibizione così bella che i giudici, se fanno un’altra cazzata come quella di oggi, devono rischiare il linciaggio da parte del pubblico. Puoi farlo o io è da quando ho undici anni che ammiro un incompetente?

    Victor si rese conto di avere ancora la bocca aperta. La richiuse e scosse il capo. Yuuri non aveva capito una parola, visto che il suo omonimo aveva parlato in russo, ma Yakov stava sogghignando.

    – Questo prima frega i titoli a te e poi il posto a me – commentò. – Allora, Vitya, cosa aspetti? La vediamo o no questa coreografia perfetta o stiamo facendo perdere il sonno a un minorenne per niente?

    Victor abbassò la testa.

    – Agli ordini, signori – disse.

    Strapazzato da un ragazzino di quindici anni davanti al proprio fidanzato che, per inciso, avrebbe anche dovuto saper allenare. Strapazzato a ragione da un ragazzino di quindici anni. Si chiese se Yuri avesse parlato in russo per delicatezza o se non ci avesse pensato. Decise che non ci aveva pensato.

    – E Otabek dove l’hai lasciato? – chiese, prima di tornare al centro della pista.

    Yuri lo guardò come se non sapesse bene di cosa l’altro stesse parlando.

    – A casa. Immagino dorma.

    Yakov colse all’istante il suo cenno.

    – Fammi capire, hai lasciato a casa mia un atleta di una nazione avversaria? – sbraitò. – Lo sai cosa succede se trovo anche solo una carta fuori posto? La tua pelle devo dare alla federazione! Altro che i colpi di testa di quell’altro pazzo!

    Dall’espressione, Yuri non era del tutto certo che l’allenatore dicesse sul serio, ma neppure che scherzasse. Quando la musica partì, il ragazzo iniziava ad avere un’espressione terrorizzata.

 
   
 
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