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Autore: lady lina 77    21/10/2018    4 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non credeva che Hugh Armitage parlasse sul serio ma si sbagliava.

Passate le feste di Natale, col gelo e la neve di gennaio erano iniziate ad arrivare puntualmente, ogni lunedì pomeriggio, delle lettere per lei. Ogni lunedì, verso le quattro del pomeriggio, qualcuno bussava al portone principale, consegnava in segreto alla cameriera addetta al ritiro della posta una busta per lei che gli veniva recapitata e poi spariva.

Era strano ma nel giro di poche settimane, anche se Hugh Armitage non si era più fatto vedere, quella era diventata una piacevole abitudine per lei, un piccolo angolo segreto e dolce che la faceva sorridere.

Sapeva che era lui e trovava dolcissimo quel modo di fare, quel donarle un pensiero senza farsi vedere quasi fosse lui stesso un essere magico come quelli di cui le aveva parlato la notte di Natale, col solo scopo di farle piacere. Erano a volte piccole poesie, a volte aforismi, a volte semplici pensieri scritti in rima su di lei o sulla bellezza in generale che circondava entrambi. Hugh sapeva trovare la bellezza in ogni cosa, anche nella più insignificante colomba bianca che volava sui cieli di Londra e questo le toccava il cuore. Era un animo sensibile e quei piccoli gesti, a cui non era abituata, la rendevano felice ma le facevano anche scaturire una strana ansia perché mai nessuno le aveva detto come rispondere a questo genere di gentilezze.

Una delle cose che più adorava era che Hugh, in ogni busta, mettesse ogni volta il petalo di un fiore diverso e ogni lettera terminava con la frase: “Indovina da che fiore l’ho colto”.

Gli scriveva la sua risposta su un foglio e lo affidava alla cameriera incaricata di portarle le missive segrete e lei, ad ogni lunedì, consegnava la lettera di risposta al giovane.

Questo avveniva sotto gli occhi di Dwight e Caroline che forse non si erano accorti di nulla o forse sì, ma tacevano per senso del pudore e per rispettare la sua privacy.

Leggeva quelle piccole poesie, che poi riponeva in un portagioie sulla sua scrivania, ogni sera, quando aveva messo a letto i bambini. Era il suo angolo di pace e quei momenti risvegliavano in lei un profondo senso di benessere che non provava da… Beh, non lo ricordava nemmeno più. O forse non l’aveva nemmeno mai provato perché nessuno aveva mai avuto pensieri tanto dolci e delicati nei suoi confronti.

Non sapeva se facesse bene o male a lasciarlo fare, se fosse sbagliato, se non era un comportamento corretto e onesto di una donna già madre e con un vissuto tanto complicato alle spalle ma non riusciva a rinunciarci. Anche se nei suoi pensieri c’era innegabilmente Ross. Ci sarebbe sempre stato Ross! L’apparizione nella sua vita di Hugh Armitage era qualcosa di misterioso ed indecifrabile per lei, nel tumulto della sua mente e del suo cuore. Era strano avere qualcuno che pensasse a lei, anche solo per pochi istanti, anche solo il tempo di scrivere una breve poesia per farla sorridere. In fondo, da quando era nata, a chi era mai importato davvero che lei fosse felice? Chi, con piccoli gesti si era dimostrato desideroso di farle piacere? Chi si era posto, nei suoi confronti, con la nobiltà di un romantico principe delle fiabe?

Non era tanto Hugh Armitage in se a colpirla – non lo conosceva dopo tutto, anche se lo trovava affascinante – era quella situazione dove per una volta si era trovata nei pensieri di qualcuno a darle quella strana serenità che non avvertiva da tanto.

Si era chiesta cosa Hugh volesse da lei, non era tanto ingenua da pensare che non avesse un fine e probabilmente immaginava anche quale fosse ma la cosa bella era che cercava di conquistare i suoi favori con modi gentili, romantici e delicati, senza pregiudizi e con assoluta incuranza della sua situazione. Chiunque sarebbe fuggito davanti a una donna sola, dal passato oscuro e con due bambini piccoli da crescere. Lui no! E questo faceva la differenza.

Quando arrivò la fine di febbraio, in un lunedì di sole pallido, decise che non avrebbe più mandato la cameriera a fare lo scambio di missive. E anche se si sentiva imbarazzata come una ragazzina al primo appuntamento, era ora che lo rivedesse e lo ringraziasse di ciò che aveva fatto per lei in quei mesi. Svegliò i bimbi dal pisolino, li affidò a Prudie per la merenda e poi sfiorò la busta con l’ultima poesia ricevuta la settimana prima. Conteneva un bellissimo petalo di narciso che stava cominciando proprio in quel momento la fioritura.

Sorrise, stavolta glielo avrebbe detto a voce il nome del fiore.

I bimbi corsero fuori e Prudie, prima di chiudere la porta, si attardò ad osservarla mentre si pettinava i capelli. “Non stare a pettinarti troppo. Ti troverebbe carina anche se ti vedesse appena sveglia, spettinata e in camicia da notte. Soprattutto in camicia da notte…”.

Demelza arrossì. Dannazione, se n’era accorta?! “Di che parli?” – chiese, fingendo indifferenza.

Prudie ridacchiò. “Ragazza mia, ne devi fare di strada per riuscire a fare qualcosa sotto ai miei occhi di nascosto”.

Demelza sospirò. Prudie era come una madre ed era fedele, in fondo che male c’era se condivideva con lei quel segreto? “Credi che faccia male?”.

Perché hai questo timore?”.

Abbassò lo sguardo. “Non lo so… Ho due figli a cui pensare”.

Prudie le si avvicinò, accarezzandole un braccio. “Sei una madre ma anche una donna. Non stai facendo niente di male, hai solo conosciuto una persona gentile che ha piacere ad avere a che fare con te. Non devi pensare a lui, non devi pensare che stai facendogli un torto”.

Demelza sussultò, anche se la domestica non aveva detto il nome, aveva capito benissimo a chi si riferiva. Prudie aveva centrato il nocciolo della questione, quella paura di non essere adatta che sempre l’aveva accompagnata da quando aveva conosciuto Ross. Anche ora che lui non faceva più parte della sua vita, in un certo senso aveva timore di deluderlo col suo comportamento… “Andrà mai via questo fantasma?”.

Prudie le strizzò l’occhio. “Conosci gente nuova e pian piano andrà via. E ora sbrigati o qualcuno se ne andrà senza che tu lo abbia incontrato. A proposito, è bello?”.

Demelza, a quella domanda, scoppiò a ridere senza risponderle. Poi la baciò sulla guancia. “Grazie Prudie”. E poi corse via.

Scese al piano di sotto, era deserto. Dwight era dai suoi pazienti, Caroline da delle amiche a prendere il tè e le domestiche erano affaccendate in cucina ad organizzare la cena. Fuori c'era un clima ancora freddo ma sereno e nell'aria si avvertiva quasi il profumo della primavera che, anche se ancora lontana, sembrava impaziente di arrivare.

Oltrepassò il giardino ancora spoglio, socchiuse il cancello e si appoggiò al pilastro di pietra che lo sorreggeva e aspettò, godendo dei raggi del sole sul suo viso. E quando sentì dei passi leggeri dietro di lei non si voltò ma, a voce, pronunciò il nome del petalo del fiore che lui le aveva portato la settimana prima. "Narciso...".

I passi si bloccarono di scatto al suono della sua voce e per un attimo lui parve indugiare. E allora lei prese coraggio, si voltò e gli sorrise. "Non avevo della carta da lettera con cui rispondere e così ho pensato che sarebbe stato educato darvi io stessa la soluzione al vostro quesito".

Evidentemente preso in contropiede, Hugh Armitage le sorrise di rimando, imbarazzato. Era bello come la notte in cui l'aveva conosciuto e alla luce del sole, coi raggi che rendevano dorati i suoi capelli castani e ancora più chiari i suoi occhi blu, era ancora più affascinante. Era elegante senza essere pomposo, aveva un fisico asciutto e snello e un sorriso dolce, gentile. "Ve ne intendete davvero di fiori. Non avete mai sbagliato nessuna risposta".

"Lo so, non ne avevo alcun dubbio". Demelza si avvicinò a lui, annuendo. "Amo coltivarli e prendermene cura. E volevo ringraziarvi per i pensieri gentili che avete avuto per me in questi mesi. Mi ha fatto piacere ricevere le vostre poesie".

"Pensavate che non l'avrei fatto? Che scherzassi?".

Lei arrossì, imbarazzata. "In effetti sì, credevo che scherzaste...".

Lui si chinò, le prese la mano e la baciò. "Mia lady, voi siete una perfetta musa ispiratrice e non scherzavo affatto la notte di Natale".

Se possibile, Demelza arrossì ancora di più. "Giuda, nessuno me lo aveva mai detto!".

A quella imprecazione lui rimase basito alcuni secondi, ma poi scoppiò a ridere. "Giuda?! Siete una continua fonte di sorprese e mi fa piacere vedervi".

Maledicendosi per l'esternazione poco signorile di poco prima ma piacevolmente sorpresa dal vederlo divertito, Demelza rise a sua volta. "Scusate, a volte dimentico dove mi trovo... E fa piacere anche a me avervi rincontrato. Era tanto che volevo ringraziarvi e mi avrebbe fatto piacere vedervi per un tè. Perché non siete più venuto?".

Lui le diede il braccio e lei accettò l'invito. "Perché noi poeti amiamo creare atmosfere soffuse e magiche e agire nell'ombra. Ma ora che voi siete quì... Vi va di fare due passi, Demelza?".

Santo cielo, Hugh Armitage sembrava più magico delle atmosfere che sapeva creare! "Certo, sono libera per qualche ora".

A braccetto percorsero un breve dedalo di vie e Hugh Armitage la scortò fino ad Hyde Park. "Non vi ho scritto quelle poesie per avere i vostri ringraziamenti o qualcosa in cambio, l'ho fatto perché mi faceva piacere farlo e perché sapevo che faceva piacere a voi riceverle. Non volevo altro e forse, se avessi bussato alla vostra porta, avrei finito con l'essere meno magico e più invadente e terreno. Noi poeti amiamo scrivere da soli, nell'oscurità, e guardare da lontano cosa prova la gente leggendo i nostri pensieri".

Giunti sotto un grosso castagno, Demelza si fermò. Le sue parole, il suo modo di fare e la delicatezza dei suoi pensieri e delle sue parole la stupivano e confondevano. Erano intenti nobili quelli di Hugh ed era molto gentile da parte sua ma c'era qualcosa che voleva chiedergli e ora che lo aveva davanti, prima di decidere se vedersi ancora e continuare quello strano gioco in rima fra loro, voleva avere una risposta. "Posso farvi una domanda?".

"Certo".

"Perché perdete tempo a scrivere poesie a me? Siete giovane, bello, aristocratico e sicuramente avrete conoscienze più interessenti di me a cui dedicare le vostre poesie".

Hugh la guardò in viso, terribilmente serio stavolta. "Chi siamo noi, per definirci più o meno interessanti? Vi ho vista la sera di Natale, voi e io, due perfetti sconosciuti... E ho parlato con voi con la stessa naturalezza con cui si chiacchiera con una persona conosciuta da sempre ed è raro che capiti, fra due perfetti estranei, succede solo con anime affini. Mi siete sembrata bella come una fata in quel corridoio avvolto dalla nebbia e mi dispiace che voi non vi riteniate interessante ma ai miei occhi lo siete e mi piace scrivere per voi. E vorrei continuare a farlo perché da molto, pensando a qualcuno, non provavo tanto piacere a scrivere qualcosa".

Demelza sorrise, tristemente stavolta. Santo cielo, lui era dolce e sicuramente genuino e sincero nelle sue parole ma lei non era così speciale come lui credeva e non voleva che un giorno restasse deluso da ciò che lei era davvero. "Hugh, non sono una fata, sono una donna sola, con due figli piccoli, che arriva da un mondo opposto al vostro. Ho tantissimi problemi e vi assicuro che il mondo non mi guarda con la stessa benevolenza che usate voi. Non sono quello che credete e forse davvero dovreste volgere lo sguardo altrove e dedicare le vostre poesie a qualcuno che davvero rispecchi ciò che vedete e scrivete".

Hugh sospirò, prendendole la mano e stringendola nella sua. "Ditemi una cosa! Siete una persona cattiva?".

Sussultò a quella domanda che non si aspettava. "No... No santo cielo! Cerco di non esserlo quanto meno...".

Lui sorrise, baciandole la mano che teneva stretta nella sua. "E questa è l'unica cosa che conta. I problemi arrivano per tutti prima o poi, di diversa natura. Non siamo noi a meritarceli, capitano e basta senza colpa di nessuno. Non mi importa cosa il mondo pensa di voi e non mi spaventa il passato che vi portate dietro. Solo una cosa conta, per me, quando guardo una persona...".

"Cosa?".

"Gli occhi... Voi Demelza avete dei meravigliosi occhi verdi, trasparenti e lucenti come quelli di un bambino. Occhi così appartengono a persone belle di animo e di cuore e sono quelli che ispirano i poeti e i menestrelli a scrivere poesie e ballate".

Sentì quei suoi occhi descritti con tanta passione da Hugh farsi lucidi. Nessuno le aveva mai detto qualcosa di simile, nessuno era mai riuscito a farla sentire... speciale... Tremò ma non per paura o freddo, tremò per un brivido di strano piacere che percorse tutta la lunghezza del suo corpo. "Quindi, nonostante le mie OTTIME argomentazioni, continuerete a scrivermi poesie?" - chiese, con la voce che le tremava.

"Ovviamente, nonostante le vostre ottime argomentazioni... Se voi me lo permetterete ovviamente".

Gli sorrise, annuendo. Santo cielo, che stava facendo? In che razza di guaio si stava cacciando? Eppure per una volta decise di essere irrazionale e di fregarsene del buon senso e in parte delle responsabilità. Voleva viversi qualcosa di bello per se, SOLO per se, qualcosa che la faceva star bene. In fondo con Hugh non faceva nulla di male e dopo tanto dolore e tante lacrime, era come aver trovato un raggio di sole capace di scaldarle un cuore che credeva irrimediabilmente ghiacciato. "Ve lo permetto".

Lui rise, felice come un bambino. "Potrò godere ancora della vostra compagnia come oggi?" - chiese, prendendola per mano e ricominciando a camminare per Hyde Park.

"Credo di sì. Ogni lunedì, quando verrete a portarmi la poesia, se vi va?".

"Il lunedì, ovviamente". Hugh divenne pensieroso, inspirò profondamente e poi prese coraggio. "Ma se vi chiedessi... Ecco... Domenica pomeriggio vi andrebbe una passeggiata con me?".

Demelza si bloccò, gelata e ancora più imbarazzata di lui. Ecco, se lo aspettava e gli faceva anche piacere che lui glielo avesse chiesto però ora quei problemi della sua vita che a lui non interessavano ma che c'erano, sarebbero improvvisamente ricomparsi spezzando la magia che si era creata fra loro. "Ho due bambini... La domenica la dedico a loro".

Lui ci pensò su. "Jeremy e Clowance, giusto?".

Stupita che si ricordasse i loro nomi che gli aveva detto ben due mesi prima, lei annuì. "Sì, giusto".

"Amano gli animali?".

Lei rise, stupita da quella strana domanda. "Sì! In queste sere gli sto leggendo una fiaba con protagonista Sveva-la zebra e la adorano. Jeremy mi chiede un sacco di cose sulle zebre e santo cielo, non so mai cosa rispondergli. Non ne ho mai vista una".

Hugh annuì. "Perfetto! Verrò a prendervi domenica pomeriggio alle due. Voi e i bambini... E vi porterò a conoscere... Sveva-la zebra".

"Cosa?".

Lui le strizzò l'occhio. "Vi fidate?".

Si sentì leggera, eccitata e curiosa come una bambina. "Dite sul serio?".

"Certo! Non scherzo mai quando si tratta di Sveva-la zebra! E voi, che animale vorreste vedere?".

Decise di stare al gioco, si stava decisamente divertendo. "Alcuni dicono che, con questi capelli rossi, ricordo la fierezza di una tigre. Non ne ho mai vista una però, per accertarmi che sia vero...".

"Le tigri sono esseri meravigliosi!". Lui le baciò nuovamente la mano. "Sveva-la zebra e la tigre. Si può fare... A domenica?".

Si mise le mani sui fianchi, dandogli corda e affrontando il suo sguardo in attesa. "Due bambini piccoli possono essere peggio di una tigre! E voi non mi sembrate esperto in materia".

"Parlate delle tigri?".

"Parlo dei bambini".

Lui non parve scoraggiarsi. "Sono affascinanti come la madre?".

"Molto più che la madre. Sono i bambini più belli del mondo".

Hugh le riprese la mano, ridendo. "E allora sarà un piacere passare la domenica pomeriggio con loro e con voi".


...


Domenica arrivò in fretta e per tutta settimana Demelza fu impegnata ad evitare ed ignorare le battutine divertite di Dwight e Caroline sullo strano interessamento 'del tutto disinteressato' di Hugh Armitage.

Dopo pranzo preparò i bambini per uscire, dicendo loro che avrebbero passato il pomeriggio con un amico della mamma. Santo cielo, non sapeva nemmeno se definire Hugh 'amico' fosse corretto, non era davvero consapevole di che genere di rapporto li unisse...

Mise a Jeremy dei pantaloncini verdi lunghi fino al ginocchio e una giacchetta dello stesso colore e fece indossare a Clowance un vestitino di lana azzurro, fermando i suoi boccoli ribelli con un nastrino del medesimo colore.

La giornata era bella, limpida ma ancora piuttosto fredda come era normale che fosse, a inizio marzo. Non aveva idea di cosa avesse in mente Hugh ma decise di non pensarci e di lasciarsi guidare da lui.

Arrivò a prenderla in carrozza, puntuale, e appena vide i bambini si esibì in un sorriso. Strinse la mano, da uomo a uomo, al piccolo Jeremy e baciò la manina di Clowance che rise diverita. E poi la sua, lentamente, facendole venire un brivido lungo la schiena. "Meravigliosamente belli, come la madre" – sussurrò. "Una fatina non poteva che mettere al mondo dei capolavori".

Jeremy gli tirò la giacca, spezzando quel momento romantico. "Dove andiamo, signore?".

Lui gli strizzò l'occhio. "Vedrai! E' una sorpresa".

Da vero gentiluomo prese in braccio i bambini, facendoli salire sulla carrozza e poi diede la mano a lei, aiutandola a fare altrettanto.

Demelza rise, non ci era decisamente abituata. Si sedette e rimase in silenzio, rilassandosi all'andatura placida della carrozza e cullata dalle chiacchiere di Jeremy che non smetteva di fare domande a Hugh.

Quando suo figlio iniziava a chiacchierare, era difficile fermarlo ma Hugh non pareva infastidito dalla cosa e anzi, sembrava in grado di mettersi al suo livello di bambino e di sostenere alla pari una conversazione con lui.

Clowance ogni tanto cercava di attirare l'attenzione del ragazzo e lui alla fine se la mise sulle ginocchia, facendola saltellare e ridere. E così dopo un pò anche Jeremy volle fare lo stesso gioco e Hugh lo accontentò senza problemi.

Quando finalmente la carrozza si fermò, erano in aperta campagna. Scesero e si trovarono davanti a una grossa stalla dalla quale si accedeva a un immenso campo delimitato da alte staccionate e recinzioni che si perdevano a vista d'occhio fino al bosco che si trovava a diverse miglia da loro.

"Che posto è questo?" - chiese Demelza, guardandosi in giro.

Hugh, prendendo Jeremy per mano, le indicò l'ingresso. "Una specie di ricovero per animali. Si prendono cura ed allevano animali destinati ai circhi e agli spettacoli viaggianti. Colui che lo gestisce è un mio amico e mi ha permesso di portarvi quì a vedere gli animali di cui si sta prendendo cura ora".

Jeremy saltellò eccitato. "Bello!!!".

"Oh sì" – rispose Hugh, accelerando il passo e trascinandoselo dietro. "Venite".

Con in braccio Clowance, Demelza seguì i due, osservando il paesaggio attorno a se. Passarono davanti a un lago pieno di fenicotteri rosa, in lontananza videro una giraffa che lasciò lei e i bambini a bocca aperta e infine giunsero in un altro recinto interno, posto al delimitare del bosco.

Hugh le prese Clowance dalle braccia, mettendola a terra con suo fratello. "Venite bambini, vi aspetta una vostra amica!".

Entrarono nel recinto e i due piccoli si bloccarono, quasi senza fiato dall'emozione.

"IEIA!!!" - gridò Clowance, indicando un uomo che teneva le redini di un grande animale bianco e nero.

Demelza spalancò gli occhi, guardando Hugh senza parole. "Una zebra...".

Jeremy saltellò. "Sveva-la zebra, Sveva-la zebra!!!".

L'uomo che teneva le redini dell'animale si avvicinò loro, esibendosi in un inchino. "Vi aspettavo signorini. E oggi sono a vostra disposizione". Li prese in braccio e poi li mise sulla groppa dell'animale che sembrava dolce e docile e i bimbi impazzirono di gioia.

Demelza rimase senza fiato. "Ma... ma...".

Hugh rise. "Sveva-la zebra che è innamorata di...". Si voltò verso Jeremy, aspettando che finisse la frase.

E il bimbo lo accontentò. "Di Nello-l'asinello".

"Esatto" – disse il poeta. "Oggi Nello non c'è, doveva lavorare, ma Sveva sarà la vostra compagna di avventure per tutto il pomeriggio e il signor Steve vi farà giocare con lei e vi insegnerà un sacco di cose su questo animale".

Il viso di Jeremy divenne rosso dall'emozione. "E' il giorno più bellissimo della mia vita! Signor Hugh ma conosci Sveva-la zebra?".

Anche Demelza era incuriosita dalla cosa. "Già! La conoscete?".

Hugh sospirò. "Ho passato QUATTRO giorni nelle librerie di Londra che si occupano di letteratura infantile, per trovare quel libro. Volevo essere pronto e quando l'ho trovato, l'ho letto in una notte. Bellissima storia".

Demelza scoppiò a ridere. Santo cielo, Hugh era una continua fonte di sorprese. "Avete letto una fiaba per bambini?".

Lui le prese la mano, salutando Steve ed affidandogli i bambini. "Ovviamente. Io leggo qualsiasi cosa" – disse, costringendola a seguirlo.

Demelza si accodò a lui. "Ma... una fiaba... non è una lettura che potrebbe amare un poeta adulto".

"Sbagliate! Io amo ogni tipo di lettura e le fiabe per bambini sono affascinanti perché sono quelle che ci lasciano più insegnamenti su cui riflettere. Hanno tutte una morale da cui anche noi adulti possiamo imparare".

Demelza era scettica. "E Sveva-la zebra che morale avrebbe?".

Lui ci pensò su, mentre la conduceva in un piccolo caseggiato di legno nel bosco. "Sveva ama Nello l'asinello. Due esseri diversi che si innamorano e sanno stare insieme nonostante appartengano a due mondi opposti. Lo trovo un insegnamento eccezionale! Questo insegna, che l'amore non ha barriere e non conosce distinzioni. Quando arriva, lo si deve accogliere e basta. E viverlo... Quando si ama non esiste diversità, parla il cuore e se lo sai ascoltare, l'amore vince sempre. E' una favola affascinante" – concluse, guardandola intensamente.

Demelza fu costretta ad abbassare lo sguardo imbarazzata, rendendosi conto che il discorso non verteva solo su Sveva e Nello ma anche su cose più terrene e personali che forse aveva paura di ascoltare. "Dove stiamo andando?" - chiese, sviando il discorso.

"Le sorprese non sono finite".

La fece entrare in un capanno e un altro uomo li attendeva. Era un ambiente spoglio con un vecchio tavolo di legno al centro, qualche sedia e un piccolo giaciglio di paglia all'angolo.

L'uomo si avvicinò, li stava evidentemente aspettando. "Mia lady, benvenuta" – disse, inchinandosi.

Demelza guardò Hugh, accigliata. "Che significa?".

"Venite". Hugh le prese il polso e la condusse fino al pagliericcio davanti al quale Demelza rimase senza fiato. A pochi passi da lei, tranquillamente addormentato nel fieno, dormiva un piccolo tigrotto delle dimensioni di Garrick. Aveva un maestoso pelo giallo e nero, zampe grasse e imponenti di chi sarebbe diventato, crescendo, maestoso e fiero e un musino talmente dolce da sembrare uno dei pupazzetti di Clowance. "Hugh...".

L'uomo del capanno si avvicinò, prenendo in cucciolo e mettendoglielo in braccio. Era morbidissimo e caldo e sotto le mani con cui lo sorreggeva, poteva sentir battere forte il suo cuoricino.

"E' figlio di una tigre dello zoo di Londra e arriva dalle Indie. Ha pochi giorni di vita e la madre lo ha rifiutato. Hugh mi ha chiesto di poterlo avere per alcune ore e mi ha assicurato che voi ve ne sareste presa cura per il pomeriggio".

"Io?" - chiese Demelza, in panico. "Non so come si fa".

Hugh sorrise. "Ci daranno un biberon e del latte. Bisognerà sfamarlo come si fa coi bambini, tutto quì".

Demelza sorrise eccitata per l'emozione, le tremavano le gambe ed era felice ed euforica come se fosse essa stessa una bambina. Era commossa, contenta come vivesse un sogno... Il tigrotto, quell'esperienza unica, quella gentilezza, quelle attenzioni...

Era felice perché era come se in quel giorno fosse diventata la bambina che non aveva mai potuto essere da piccola e qualcuno era lì per starle accanto e vedere semplicemente un sorriso sul suo viso. Qualcuno al mondo stava facendo tutto questo per vederla contenta. E questo ai suoi occhi, a lei che non aveva mai avuto nulla, pareva straordinario. Baciò il piccolo tigrotto sulla testolina e il cucciolo aprì i suoi occhietti verdi, leccandola sulla guancia e lasciandosi coccolare. Era adorabile ed era incredibile pensare che di lì a pochi anni sarebbe diventato un animale feroce e maestoso... "Latte? Beh, so farlo, posso farlo. Mi occuperò io di lui oggi" – disse sicura, felice come i suoi figli che, in quel momento, giravano il parco in sella a Sveva-la zebra.

E quella sera, quando tornò a casa e si trovò da sola in camera sua, al buio, dopo aver messo a letto i bambini, si girò e rigirò sul materasso, come se fosse stata una ragazzina eccitata per il primo amore...

Pensò alla zebra, al tigrotto, al parco, alle chiacchiere dei bambini, ai loro sorrisi finalmente felici...

E poi pensò a Hugh e sentì lo stomaco contorcersi e il cuore batterle più forte. Che le stava succedendo? Perché improvvisamente non vedeva l'ora che arrivasse domani per rivederlo e per ricevere la sua poesia? Perché voleva sentire ancora e ancora il calore della sua mano stretta alla sua, pelle a pelle? E cos'era quella leggerezza del suo animo e del suo cuore che le faceva apparire il mondo finalmente bello e migliore di quanto non fosse mai stato prima?

Hugh diceva che lei era una fata ma quello magico era lui. LUI aveva fatto una magia, LUI aveva reso il pensiero di Ross e del male che le aveva fatto più piccolo, più opaco e lontano. Per la prima volta da quando era arrivata a Londra, Ross e la Cornovaglia non erano al primo posto dei suoi pensieri ed erano stati relegati in un angolo nascosto del suo cuore.

Voleva Hugh, voleva solo che arrivasse in fretta il giorno dopo per rivederlo e riassaporare quella leggerezza di vivere che non gli era mai appartenuta fino a quel momento.

Questo faceva paura ma allo stesso tempo la riempiva di una strana felicità che non riusciva ancora a spiegare!



  
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