Serie TV > Betty la fea
Segui la storia  |       
Autore: orchidee    23/10/2018    2 recensioni
Dopo una serata a chiacchierare con le mie amiche dei nostri primi amori, sono tornata a casa ed ero così felice, da buttare sulla carta qualche pensiero. Il giorno dopo ho ripreso quei pensieri e ho provato a dar loro una forma... Ho rubato i figli dei protagonisti delle mie precedenti storie e li ho resi i miei nuovi personaggi. Non ho idea di come si evolverà questa Fanfiction. Per ora ho scritto con entusiasmo il primo capitolo e spero di riuscire ad esprimere i sentimenti provati quella sera. Spero di riuscire a dare alla ma protagonista il carattere che ho immaginato per lei. Vorrei fosse una donna solo all'apparenza fragile e insicura. Che con il passare dei capitoli, acquisti sempre di più l'aspetto della donna forte e consapevole.
È una storia che si discosterà completamente dalla serie. Ho solo usato i nomi, i luoghi per dare una scenografia alla mia protagonista.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 17

 Non ricordava da quanto tempo non si sentiva così.
 Era come se stesse per liberarsi del più pesante fardello che avesse mai dovuto sopportare. Pochi giorni e quella donna avrebbe dato alla luce il bambino e si sarebbe dimenticato della sua esistenza.
 Ripensò alla telefonata di suo fratello, sospirando.

 “Il giudice Stewart ha accettato la nostra istanza. Dovrai essere presente quando verrà prelevato il sangue del bambino. Il tecnico lo preleverà anche a te e i campioni verranno sigillati. Il laboratorio è quello della polizia di Miami e dubito sia possibile corrompere quei tecnici, ma ho provveduto ad assumere due biologi che hanno il permesso del giudice per seguire tutta la trafila tecnica. Il risultato sarà sicuro.”
 “Ti ringrazio! C'è altro?”
 Aveva risposto con tono distaccato che non era sfuggito ad Edoardo.
 “No... Mancano pochi giorni alla scadenza del termine...”
 “Sarò a Miami domani. E ci rimarrò fino a quando sarà necessario.”
 "Non ci vorranno molti giorni.”
 “Meglio così! Ci vediamo domani per accordarci sulla procedura!”
 “Va bene... Chicco, sei ancora arrabbiato con me?”
 “Non sono arrabbiato con nessuno! Soprattutto non con te! Ma come ho già detto, sono stanco di tutti voi!”
 “Anche di lei?”
 A quella domanda aveva sospirato profondamente e chiuso gli occhi.
 “Lei sta meglio senza di me!”
 “Non credo sia così!”
 “Che diavolo ne sai? Lei mi ha chiesto di lasciarla in pace e io non ho fatto altro che assecondarla!”
 Quella frase, tanto semplice, quanto assurda, lo aveva fatto irritare e aveva sperato che il fratello chiudesse l'argomento. Ma proprio come tutti gli altri, anche Edo si sentiva in diritto di elargire consigli, pretendendo che il suo punto di vista fosse quello giusto.
 “Non sei andato nemmeno alle visite con il medico...”
 “Ero impegnato. Quando l'ho chiamata non ha nemmeno voluto parlare con me. Ho pensato avrebbe preferito non vedermi. Ho parlato con sua madre e mi ha detto che è andato tutto bene, che il bambino sta bene!”
 “Sembra non ti importi più nulla...”
 Se lo avesse avuto davanti, Edo si sarebbe pentito di quelle parole, gliele avrebbe fatte rimangiare a pugni.
 “Non voglio parlare con te! Quello che faccio o che penso o che provo non sono affari tuoi! È chiaro? Ci vediamo domani.”

 Aveva chiuso così quella telefonato. Sollevato e arrabbiato nello stesso tempo.
 Si versò un bicchiere di vino e si alzò dalla poltrona sul quale era seduto in maniera scomposta.
 Bevve in un unico sorso il liquido rosso e posò il bicchiere sul tavolo per poi raggiungere la sua camera.
 La donna che gli faceva dimenticare il dolore, era sul suo letto, nuda, bellissima e irresistibile. La osservò per qualche istante mentre si infilava i boxer. Aveva i capelli castani, con delle sfumature ramate che nonostante la scarsa illuminazione che arrivava dal soggiorno, si potevano chiaramente vedere. La pelle abbronzata, aveva la tonalità dell'ambra e gli occhi avevano un colore particolare, tra il marrone e il verde. Gli piacevano le sue forme generose. Il seno prosperoso, le curve dei fianchi morbide ma toniche. Aveva subito apprezzato il suo fondoschiena, così sexy. Si vedevano ogni sera, da quasi un mese ed era capace di regalargli l'oblio. Sapeva compiacerlo e il modo in cui lo guardava quando era lei a raggiungere il piacere, lo esaltava. Il suo volto sembrava completamente cambiare ed era bellissima quando pronunciava il suo nome. Ma ciò che più gli piaceva, era che fosse completamente diversa da lei. Fisicamente, ma non solo. Quella donna era spensierata, senza alcuna pretesa. Come lui, amava divertirsi e ognuno aveva trovato nell'altro il modo per sfogare i propri desideri.
 Si sedette in un angolo del letto, voltandole le spalle e infilandosi la maglietta nera che aveva buttato a terra qualche ora prima, quando si erano spogliati velocemente.
 Si passò la mano tra i capelli e sorrise: presto quell'incubo sarebbe finito. Non sapeva quello che sarebbe successo dopo. Pochi giorni e tutti avrebbero saputo che non aveva messo incinta quella donna. L'avrebbe mandata al diavolo. Perché lui sapeva che avrebbe avuto solo un figlio: quello di Francesca. Non vedeva davvero l'ora che quella storia finisse. Poi avrebbe potuto riprendere in mano la sua vita. Ma non le avrebbe più chiesto nulla. La sentiva lontana come non gli era mai successo. Si era convinto che lei stesse meglio senza di lui. In fondo non era un uomo così indimenticabile. Persino i suoi genitori lo avevano dimenticato.
 Si alzò e si avvicinò alla donna che continuava a dormire tranquilla.
 I lunghi capelli sparsi sul cuscino, la bocca schiusa in un sorriso. Era bellissima e non poteva negare di essersi affezionato a quel suo umore sempre allegro. Continuò a guardarla per qualche momento. Era così diversa dalla sua meravigliosa farfallina. Sua... Lei non era più sua e non lo sarebbe più stata. Non voleva più, per nessun motivo, soffrire come aveva sofferto e soprattutto non voleva far soffrire lei. Non lo meritava. La immaginava serena, con la sua pancia rotonda... Era qualcosa di doloroso anche solo pensare a lei. Sarebbe stato tutto diverso, entro qualche giorno si sarebbe liberato di quel peso insopportabile e poi avrebbe solo pensato a se stesso e al suo lavoro. Quando suo figlio fosse nato, sarebbe tornato a Bogotà e avrebbero deciso cosa fare, ma fino a quel momento, lui sarebbe stato solo.
 Appoggiò la mano sul fianco della donna e la accarezzò. Sentì la sua pelle ricoprirsi di brividi e sorrise pensando all'effetto che le faceva.
 Lei si stiracchiò e aprì gli occhi, sbattendo le palpebre per adeguarsi alla penombra e guardare il suo amante.
 "Ciao..."
 Spostò la mano dai fianchi, facendola scorrere fino al suo seno, sentendola rispondere a quel tocco.
 “Ciao... mi dispiace, ma devi andare via!”
 “Ehi, lasciami dormire ancora un po'!”
 Disse un po' risentita, per poi cambiare tono, accarezzandogli una gamba.
 "Oppure potresti togliere quella brutta maglietta e occuparti un po' di me..."
 “Ti ho chiamato un taxi! Sai che devo prendere un aereo tra poche ore!”
 Si alzò e raccolse i pantaloni che indossò velocemente.
 “Come sei scortese!”
 “Sì! Sono terribile.”
 Disse ridendo.
 La donna si mise seduta e lo osservò.
 Era tutto iniziato come un gioco ed era consapevole che quell'uomo non provava nulla per lei se non attrazione, ma era difficile non perdere la testa per uno come lui.
 Bellissimo, intelligente e misterioso. Non parlava mai di se stesso se non per mettere in chiaro che non aveva alcuna intenzione di avere una relazione seria.
 “Ci vedremo quando tornerai in città?”
 Chiese quasi sussurrando. Riccardo si voltò e le sorrise.
 “Non hai appena detto che sono scortese?”
 “Sì, lo sei, ma sei sexy come nessuno e quando facciamo sesso mi fai impazzire!”
 Si appoggiò al letto e le diede un bacio sulle labbra veloce e senza trasporto.
 “Non so ancora quando tornerò. Ci penserò!”
 La donna annuì e si alzò dal letto, cercando i suoi vestiti.
 "Perché non mi dici cosa vai a fare a Miami?"
 "Perché non sei la mia donna. Non devo darti spiegazioni e ti avverto: se davvero vuoi rivedermi quando tornerò in città, non fare domande!"
 Si rese subito conto che le parole e il tono usato, l'avevano fatta rimanere male, ma era necessario che lei capisse che lui non poteva darle nulla.
 "Scusami! Non volevo essere indiscreta! Non ti chiederò più nulla... Ma forse..."
 Riccardo si morse un labbro. Forse aveva sottovaluto quella ragazza. Forse mantenere un rapporto basato solo sul sesso e la reciproca soddisfazione per tanto tempo, aveva fatto nascere in quella ragazza tanto spregiudicata, una speranza in qualcosa di più.
 Avrebbe voluto trovare le parole giuste ma non seppe cosa dire.
 "Forse, quando tornerai, sarà meglio non vederci..."
 Continuò la donna, mentre si infilava gli slip.
 Riccardo le si avvicinò e la fece voltare, prendendole il viso tra le mani.
 "Forse hai ragione! È meglio chiudere questa notte!"
 Lei annuì e si sforzò di rimanere tranquilla, ma non riuscì a sostenere il suo sguardo, così abbassò gli occhi e appoggiò la fronte sul suo petto.
 "Mi dispiace..."
 Le disse dandole un bacio sui capelli.
 "Non devi! È stato bello anche se è durato poco... Io penso che tu sia una persona speciale! La donna che ti ha fatto del male, forse non merita un uomo come te!"
 Sorrise amaramente ma non disse nulla. Aveva bisogno, in fondo, che qualcuno lo considerasse "speciale".
 Non lo era, era l'ultima persona a poter essere considerata speciale, ma per quanto si sforzasse di essere forte, si sentiva abbandonato. Si sentiva escluso.
 Diavolo! Anche lui aveva dei sentimenti, ma sembrava che tutti lo avessero dimenticato, lei per prima! Lei che gli aveva giurato amore, nonostante tutto!
 Si scosse dai quei pensieri, accarezzò la guancia della sua amante e la lasciò sola perché si rivestisse.
 La vide uscire poco dopo e lo bloccò con una mano quando cercò di avvicinarsi. La lasciò andare, consapevole di aver probabilmente ferito un'altra persona.
 Era indubbio fosse la cosa che sapesse fare meglio. Fare del male.
 Accese una sigaretta e cercò di pensare solo che presto, almeno parte di quella situazione contorta e patetica, si sarebbe conclusa.
 Non che fosse così importante, in realtà. Quello che aveva di più prezioso, era perso.
 Si sforzava di tornare a vivere come prima, quando lei era solo un'idea, una sorta di sogno. Quando era capace di restare senza di lei e di vivere come se non fosse tutto. Quando poteva solo immaginare cosa significasse vivere davvero. Ma se impossibile. Perché ormai sapeva cosa significasse essere il suo uomo, sapeva cosa significasse essere felice, cosa davvero fosse importante. Lei era tutto, era la vita. Una vita che non aveva più senso.
 Guardò l'orologio e si rese conto che quella notte sarebbe stata lunga. Le lancette sembravano essersi fermate nonostante la bottiglia di vino fosse finita e il pacchetto di sigarette fosse quasi vuoto.
 Strinse i pugni e chiuse gli occhi, lasciando che la brezza che si infrangeva sul suo volto, lenisse il male, cancellasse i ricordi e disilludesse le speranza.
 Era un uomo finito. Un padre che aveva deluso il proprio figlio prima ancora di vederlo nascere.
 Sentiva un amore doloroso verso quel figlio che tanto aveva desiderato, un amore disperato come quello che provava per lei.

 Sfogliò le pagine dell'inserto del giornale e storse il naso. Si chiese se la carriera che aveva scelto, fosse davvero quella giusta.
 Le foto che Suarez aveva scelto, le parvero scontate e banali.
 Tutte le foto che scattava era orribili, tetre e le mettevano angoscia. Si impegnava ogni giorno perché il suo lavoro fosse all'altezza delle aspettative dei suoi colleghi e del suo capo, ma erano mesi che non era soddisfatta di quello che realizzava. Sospirò e buttò sul tavolo della sala riunioni quella copia che faticava anche a guardare.
 Si sfiorò la pancia e quel tocco, evidentemente, destò la sua bambina che le diede un lieve calcio, facendola sorridere.
 Al precedente controllo, due settimane prima, il suo piccolo ammasso di cellule, per la prima volta, era in una posizione favorevole e il suo medico le aveva domandato se volesse sapere il sesso. Ci aveva pensato per qualche istante e poi aveva annuito. E quando il ginecologo, sorridendo aveva annunciato che era una femminuccia, proprio come aveva detto lui, quel piccolo ammasso di cellule che aveva addirittura odiato, era diventata, in un solo istante, un piccolo essere umano. Una piccola donna. Le lacrime le avevano bagnato le guance, senza che lei se ne accorgesse.
 Provava un'emozione indescrivibile pensando che dentro di lei si muovesse un esserino che in poco tempo avrebbe cominciato a respirare, a sentire, a toccare.
 "Piccola Francis, sei già qui?"
 La voce dolce e rassicurante di Bolanos, la distolse dai suoi pensieri, si voltò e lo salutò con un sorriso, non troppo convinto.
 "Come ti senti oggi?"
 Una smorfia di fastidio si dipinse sul suo viso e si limitò a rispondere come ogni giorno, a tutti quelli che le facevano la stessa insopportabile domanda.
 "Benissimo!"
 Bolanos si sedette accanto a lei, guardò l'orologio sulla parete e constatò che mancavano ancora dieci minuti alla riunione.
 "Saremo costretti anche oggi a raccoglierti per la strada?"
 Anche se per un solo momento, lo odiò.
 "Non è divertente!"
 Rispose voltando lo sguardo verso un punto indefinito.
 "Hai fatto colazione?"
 Insistè l'uomo.
 "Sì! Ho fatto colazione! Perché mi tormenti?"
 "Perché dici di stare bene, ma non è vero!"
 Finse indifferenza e sorrise, cercando di essere convincente.
 "Non sono malata! Lo ricordi? Sono incinta! Ho nausee e può capitare di avere qualche capogiro! Sono gli effetti collaterali di una qualunque gravidanza!"
 Il giornalista scosse la testa e le accarezzò il viso.
 "No, piccola Francis! Non stai bene perché sei sfinita, non ti prendi cura di te e hai un aspetto sofferente! Non ti vediamo mai mangiare, sei talmente magra che potrei stringerti completamente con un braccio... Siamo tutti preoccupati!"
 Sempre le stesse cose, le stesse parole, le stesse espressioni compassionevoli.
 "Non dovete preoccuparvi! Ti ripeto che sto benissimo! Il fatto che sia incinta, non significa debba diventare un'obesa! E comunque non devo certo rendere conto a te!"
 Rispose stizzita.
 "Piccola, non ti accorgi di quello che ti stai facendo? Pensi solo a lavorare. Non ti fermi mai..."
 "Si chiama lavoro, Bolanos!! Non me l'hai insegnato tu che bisogna sempre dare il 100% delle proprie forze?"
 "Sì! Ma tu stai dando molto più di quello che hai da dare... Prima o poi il tuo corpo ti chiederà il conto!"
 Prima che potesse rispondere, Suarez e gli altri colleghi entrarono e si accomodarono ai loro posti e mai come in quel momento ne fu felice.
 Quando la riunione ebbe inizio, si estraniò completamente. Non le importava molto quello che avevano da dire, come al solito, si sarebbe limitata ad eseguire i compiti che le sarebbero stati affidati.
 Tornò a pensare a se stessa e alla sua terribile vita, vuota e senza stimoli. Il lavoro non era altro che un palliativo, un modo per riempire il tempo che sembrava non passare mai.
 Oh, quanto odiava la sua vita e quanto odiava lui, che semplicemente esistendo, l'aveva condizionata e condannata.
 Lui, il suo amore, il suo dolore, il suo tormento, lui che da due mesi non si faceva vivo, che l'aveva lasciata, che era fuggito da lei. Lui che l'aveva illusa e per l'ennesima l'aveva gettata via per rincorrere se stesso.
 Il suo Chicco, che le aveva chiesto un figlio e poi si era semplicemente dimenticato che quel figlio esisteva davvero.
 Lo odiava perché quando l'aveva sentita muoversi, era stata tentata di correre da lui, ma era lontano migliaia di chilometri e non aveva potuto raccontargli di quella strana sensazione, quella specie di solletico che poi era diventato un vero e proprio movimento. Le sembrava di sentire le manine e i piedini spingere nel suo ventre.
 Lo odiava, perché quando si toccava la pancia, ormai evidente, lui non c'era. Perché aveva condiviso le sue emozioni solo con se stessa. Perché lui non lo sapeva quante emozioni l'avevano scossa, perché non sentiva quello che sentiva lei, non lo condivideva.
 Perché le aveva fatto credere che, nonostante tutto, quella gravidanza, avrebbero potuto viverla insieme. Invece, non lo aveva più visto.
 Dopo averla lasciata, quel pomeriggio, era sparito. Aveva avvertito che non sarebbe riuscito ad essere presente alla visita successiva, per questioni di lavoro, aveva precisato. E anche all'ultimo controllo, quello in cui aveva scoperto il sesso del suo odiato e amato ammasso di cellule, non si era sognato di presenziare. E lei aveva deciso di non dirgli che era una femminuccia. Non era degno nemmeno di saperlo. Quindi si era raccomandata con sua madre perché si limitasse a dire che era tutto a posto.
 Aveva perso tutto. Si sentiva sola.
 Sola, nonostante fosse circondata dall'affetto dei colleghi, degli amici e della famiglia. Era sola nonostante la sua bambina, l'unica che la sosteneva, che la spingeva a non morire.
 Era sola perché, la sua bambina non riusciva a colmare il vuoto che aveva dentro. Perché avrebbe avuto bisogno di rassicurazioni.
 Quando, quel giorno, davanti all'oceano, aveva deciso di proseguire la gravidanza, si era convinta che sarebbe stata capace di crescere il frutto del loro amore, anche da sola, che avrebbe amato quella creaturina anche senza il suo aiuto, ma in quel momento, era sicura che sarebbe stata una madre terribile, sofferente, triste e incompleta. Come avrebbe potuto rendere felice la sua bambina, se dentro aveva solo dolore?
 Quando Suarez, invitò tutti a correre a svolgere il proprio lavoro, si era alzata quasi meccanicamente, seguendo uno dei giornalisti con il quale avrebbe lavorato. Nemmeno si domandò se si trattasse di un compito interessante, nell'ultimo mese le venivano assegnati solo servizi talmente semplici e tranquilli, che persino un bambino avrebbe potuto svolgerli.
 Ma non le importava molto: il lavoro la distraeva, per qualche ora non pensava ad altro che a quello che voleva imprimere su quelle foto e dimenticava il resto.
 Non solo il dolore, ma anche la frustrazione e le pressioni che subiva da tutti. Perché anche se involontariamente, tutti sentivano il bisogno di starle vicino. E aveva cominciato a non sopportare più le attenzioni che i suoi genitori le riservavano. Il padre poi, non faceva altro che coccolarla, accudirla come se fosse una malata, quasi felice, compiaciuto di poterlo fare. Era sicuramente contento che lui non ci fosse. Giulio e Camilla erano sempre pronti a darle dei consigli sulla gravidanza, sul parto, su quanto fosse straordinaria l'avventura che stava vivendo, come se lei potesse anche solo condividere una minima parte dei loro discorsi. Persino Claudio le portava dolci e caramelle. Una bambina malata. Era così che si sentiva. E poi c'erano Betty e Armando, con le loro facce contrite, sempre in punta di piedi, come per giustificare la loro presenza, come se si sentissero in colpa. Loro erano le persone che sopportava meno. Ma non poteva fare altro che accettarla la loro presenza. Erano i nonni della bambina. Lo odiava anche per quello. Perché lui non era lì a sopportare tutte quelle formalità odiose.
L'unica che si limitava a cercare di capirla in silenzio, era sua madre, ma anche con lei le cose non andavano bene. Si era convinta, come tutti, che si stesse trascurando, che fosse troppo magra e insisteva perché mangiasse di più. E lei non sopportava quei rimproveri. Odiava il cibo, ma certamente non si sarebbe lasciata morire di fame. Voleva solo fare attenzione, per non ingrassare, per restare bella. Non era forse una modella? Si nutriva a sufficienza, riposava, prendeva gli integratori che quell'insopportabile medico le prescriveva. Che diavolo volevano tutti?
 Nessuno! Nessuno la capiva davvero, voleva solo essere lasciata in pace, voleva semplicemente stare tranquilla, in pace. Sola!
 Si sentiva sola e voleva crogiolarsi in quel sentimento e quelle sensazioni. Era sola. E lo era anche lui.

 Quella stessa mattina, Riccardo era atterrato a Miami, aveva preso un taxi ed era corso al porto per definire il viaggio con una barca che aveva preso a noleggio. La sua era ormeggiata a Cartagena, ma non aveva intenzione di tornare nel suo paese per nessuna ragione al mondo.
 Aveva deciso di veleggiare verso Cuba, come aveva fatto mille volte. Il mare lo avrebbe aiutato a trovare energie e stimoli.
 Non appena quella situazione grottesca, fosse finita, si sarebbe preso tutto il tempo necessario per ritrovare almeno parte di se stesso. Ne sentiva il bisogno. Necessitava di spazio e libertà, di godersi il nulla, il vuoto che l'orizzonte gli avrebbe presentato, per capire il vuoto che aveva dentro e il nulla che sentiva di essere.
 Dopo aver sistemato le sue cose, si diresse verso Oceans Drive, dove si sedette in uno dei tavoli dello stesso bar, dove era solito passare un po' del suo tempo quando Miami era la sua città.
Non era cambiato nulla. Le stesse persone, le stesse espressioni e gli stessi sogni. Ad essere diverso era lui, non guardava più quegli esseri nello stesso modo, non li trovava più interessanti, non era più incuriosito da quel viavai. Nessuno riusciva più a stimolare la sua fantasia, né le famiglie che aveva spesso invidiato, né le bellissime ragazze che rincorrevano i propri sogni, né quelli che il sogno lo avevano rincorso per tanto tempo, senza mai riuscire a trovare il modo per raggiungere la felicità. Sorrise amaramente: non era tanto diverso da questi ultimi.
 Diede un'occhiata all'ora e si rese conto che era ormai giunto il momento di raggiungere la sede dell'azienda di suo padre. Avrebbe voluto evitare di metterci piede, Edo avrebbe potuto trovare un altro luogo per quell'incontro, magari appaggiandosi ad uno studio legale della città, ma era inutile pensarci. La cosa fondamentale era accordarsi con lui e organizzare i giorni successivi.
 Lasciò una banconota sul tavolo e fece cenno ad uno dei camerieri, poi si avviò, sperando di poter tornare al porto non troppo tardi. Era stanco, quella notte non aveva chiuso occhio e il viaggio in aereo era stato un vero tormento. Si rese conto di non aver nemmeno acceso il cellulare e decise che lo avrebbe lasciato spento ancora per un po'.
 Il palazzo in cui aveva sede quella maledetta azienda, era posto in un elegante quartiere, le vetrine erano allestite con cura, esattamente come in tutti i negozi sparsi per il mondo. Il corpo di una modella bellissima, immagine dell'ultima collezione, imperava sui cartelloni appesi e pensò che per quanto fosse sexy e attraente, non fosse assolutamente all'altezza della sua Farfallina. Scosse la testa e distolse lo sguardo, per poi entrare nell'atrio del palazzo stesso.
 Una ricezionista solerte lo salutò, chiedendogli di cosa avesse bisogno. Sorrise, vedendo l'espressione della donna e la vide sciogliersi quando ammiccò nella sua direzione. Le sue guance si colorarono di rosso e decise di giocare un po' con lei.
 Appoggiò i gomiti sul bancone e strizzò l'occhio alla ragazza. Da quando gli occhi ammirati di una ragazzina, lo compiacevano? Da quando sentiva il bisogno di conferme?
 "Ciao!"
 "Sa... Salve... Posso... Posso esserle utile?"
 La guardò per qualche secondo, era molto carina, come tutte le impiegate dell'azienda di famiglia. Sembrava che per poter essere assunte, dovessero, avere dei requisiti fisici precisi, più che professionali. Quel pensiero lo irritò e si rese conto che il gioco che aveva deciso di intraprendere era stupido, tanto quanto tutto quel mondo in cui aveva vissuto. Aveva sempre odiato il modo in cui quel circo si basasse sull'aspetto e sulla superficialità. Si scostò dal bancone, notando una punta di delusione sul volto della ragazza, si presentò e aspettò che la segretaria, che pendeva dalle sue labbra, lo invitasse a salire presso gli uffici, dove Edo, lo stava attendendo.
 Con un cenno salutò i funzionari e non badò a tutte le loro frasi di circostanza, dirigendosi direttamente nella sala riunioni.
 Non appena aprì la porta, strinse i pugni e indurì l'espressione, senza nemmeno rendersene conto. Il suo cuore cominciò a pompare sangue e adrenalina e l'odio lo pervase completamente.
 “Edoardo, perché è qui?”
 Disse, senza distogliere gli occhi dalla donna che aveva distrutto tutto quello che era riuscito a costruire.
 “Ha appena sottoscritto una dichiarazione... Ho provato a chiamarti, ma il telefono era spento!”
 “Ero in aereo!”
 Si giustificò, senza chiarire che prima di quell'incontro avesse bisogno di restare un po' solo.
 “Non è tuo figlio!”
 Edoardo gli sorrise, mostrandogli il documento che aveva tra le mani.
 “Questo lo so!”
 Ma non sembrò tranquillizzarsi.
 Accarezzandosi la pancia e guardandolo con disprezzo, Carol si alzò dalla poltrona e con fare teatrale, si avvicinò al suo avvocato e sorrise con cattiveria.
 “Ma ora l'ho dichiarato legalmente. Del resto quello stupido test lo avrebbe confermato...”
 Gli disse sfidandolo con i suoi occhi freddi.
 “Lo faremo lo stesso quello “stupido” test! Saresti capace di tutto!”
 Ringhiò con rabbia.
 “Non credo sia necessario!”
 Edoardo cercò di calmarlo e mise una mano sulla sua spalla, sorridendo.
 “Lo è, Edo! Lo è! Resta tutto come abbiamo stabilito! Per quanto mi riguarda la tua dichiarazione puoi mangiarla!”
 “Adesso hai dei dubbi? Puoi sempre riconoscerlo e fargli da padre!”
 Gli rispose ridendo con sarcasmo.
 “Non ho alcun dubbio! Hai rovinato la mia vita e ora pretendi che non vada in fondo? Andrò via da questa città solo quando avrò chiuso questa pantomima! Non voglio più avere nulla a che fare con te!"
 “Riccardo, questa dichiarazione è già la prova... Puoi tornare a Bogotà!”
 Intervenne ancora il fratello.
 “Non aprire la bocca, Edo! Non la conosci! Domani potrebbe cambiare nuovamente idea e io invece voglio chiarire tutto e subito!”
 “Non capisco da cosa dipenda questa sfiducia in me!”
 Quella donna continuava ad esasperarlo e l'unica cosa che avrebbe voluto fare, sarebbe stata cancellarla non solo dalla sua vita, ma anche dalla faccia della terra.
 “Davvero? Non lo sai? Mi hai rovinato la vita! E quando tuo figlio nascerà faremo il test. Poi non voglio più sentire parlare di te!”
 “Come vuoi... Ho organizzato con il mio medico un taglio cesareo per dopodomani. Non voglio avere un parto naturale. Presentati nel pomeriggio e farete quello che volete... Ora devo andare... Ah, amore mio, sono molto felice di avertela rovinata la vita! Era quello che volevo fin dall'inizio e sono riuscita a dividervi!”
 Disse, prendendo la sua borsa e avviandosi a lui, che era ancora davanti alla porta della sala.
 “A me invece dispiace per quel bambino. Nessuno merita di avere una madre come te!”
 “Già, pazienza! Scommetto che sono le stesse cose che pensa quella ragazzetta del padre di suo figlio... O sbaglio?”
 Si era avvicinata a lui, guardandolo con un sorriso insopportabile e cercò di accarezzargli una guancia. Riccardo le scostò bruscamente il braccio, stringendole il polso.
 “Togliti di mezzo, strega!”
 Ringhiò a pochi centimetri dal suo viso.
 “Riccardo, lasciala andare!”
 “Tu pensa solo a fare il lavoro per cui ti pago!”
 Edoardo lo spinse, liberando la donna da quel contatto.
 Carol lo guardò ancora per qualche secondo, mentre Edoardo gli imponeva una certa distanza di sicurezza, fece cenno al suo legale che era rimasto in silenzio, con un'espressione quasi incolore e insieme a lui, uscì dalla sala, lasciando soli i due fratelli.
 “Riccardo! Ora finiscila! Calmati! Se n'è andata!”
 Cercò di rilassarsi e si voltò verso la vetrata, guardando il mare.
 “Credi possa prenotare l'aereo per venerdì?”
 Chiese dopo qualche istante.
 “Possiamo tornare a casa insieme. Sicuramente venerdì concluderemo la causa. Depositerò tutta la documentazione al tribunale e per sabato pomeriggio saremo a Bogotà!”
 “A Bogotà? Io torno a Houston!”
 Disse, voltandosi e guardando il fratello come fosse impazzito.
 “È finita, Chicco! Ora puoi ricominciare a vivere!”
 Si passò una mano tra i capelli e sorrise lievemente.
 “Non ho mai smesso di vivere! Il mio trasferimento in Texas è praticamente definitivo.”
 “Perché?”
 “Perché? Cosa?”
 Chiese con curiosità e una punta di fastidio.
 “Torna da lei! Fallo appena avrai fatto il prelievo di sangue! Dovresti vederla quanto è bella con la sua pancia!”
 Si voltò nuovamente verso il mare per evitare che Edoardo potesse guardarlo e vedere le lacrime che premevano contro le sue cigla.
 “Per sentirmi dire di starle lontano?”
 “Le cose sono diverse!”
 Sospirò rumorosamente, recuperando le sue sicurezze e dandosi un tono di tranquillità.
 “Quella pazza una cosa giusta l'ha detta! Ci ha diviso! Ha insinuato il dubbio e lei non si fida di me. Tornerò a Bogotà quando nascerà il bambino!”
 “È una femmina...”
 Un brivido gli percorse la schiena e l'amore doloroso che provava nei confronti di quella creaturina, lo scosse, provocandogli una fitta allo stomaco. Deglutì e si volse verso il fratello che gli sorrideva.
 “Una femmina? È una bambina?”
 Chiese con un filo di voce, quasi per confermarlo a se stesso.
 “Da quanto non la senti?”
 “Non lo so! Io... Io non lo so!"
 Il cuore era impazzito e sentì la necessità di prendere aria, altrimenti, era certo, avrebbe perso i sensi. Si avviò verso la porta e poggiò la mano sulla maniglia.
 "Ci vediamo martedì in ospedale...”
 Edo lo fermò, mettendogli una mano sul braccio.
 “Posso chiamarla per dirle quello che è successo?”
 “Fai quello che vuoi, ma se pensi che per lei le cose cambino, ti sbagli! Non la conosci!”
 “Lo farò ugualmente...”
 Non ritenette necessario aggiungere altro. Del resto che senso aveva discutere? Lei lo aveva ormai dimenticato, la porta che aveva lasciato aperta, non era mai stata varcata.
 Diede una pacca sulla spalla al fratello e fece un sorriso che parve una smorfia di dolore e delusione.
 “A dopodomani!”
 Edo aveva guardato Riccardo uscire dallo studio. Era cambiato. Era addolorato, frustrato, triste, ma non solo. Sembrava vuoto, senza luce, senza prospettive, come se il futuro non avesse più alcuna importanza. E poi, gli era parso quasi cattivo. Chicco non era mai stato cattivo. Arrogante, presuntuoso, ma mai cattivo.
 Quello che era successo lo aveva cambiato davvero. Aveva sofferto, era chiaro.
 Nei mesi in cui aveva vissuto l'amore per Francesca, era diventato solare, allegro, felice di dimostrare al mondo che si appartenevano. Vivevano l'uno per l'altro, immersi nel loro mondo. Un mondo che si era sgretolato, trascinandosi dietro Riccardo. Ma non era bastato, non si trattava solo del suo cuore spezzato, le bugie di quella donna dovevano essere state pesanti come macigni, la pressione che aveva dovuto sopportare da solo, lo avevano sfiancato. E poi c'erano loro, la sua famiglia. Anzi, c'era la loro assenza.
 Riccardo era un uomo spezzato e a dargli il colpo di grazia erano stati loro.
 Loro, che che si erano limitati a non esserci, a deluderlo.
 Avrebbero semplicemente dovuto volergli bene, senza tirare conclusioni, senza giudicarlo. Lui aveva sempre avuto ragione. Quella donna aveva raggirato tutti, ma non lui. Avrebbero dovuto stargli vicino, invece, lui compreso, avevano lasciato che la loro morale prevalesse.
 Quante donne aveva illuso lui? Quante avevano sofferto per quello che lui aveva fatto loro? Quante donne aveva lasciato in un letto dopo averle usate per compiacere i suoi bisogni? I suoi genitori non gli avevano mai rinfacciato le sue storie, i suoi errori. Con Riccardo era stato tutto diverso. Fin da ragazzino, Riccardo aveva dovuto subire le aspettative di suo padre e i rimproveri della madre. Era solo un bambino, Edoardo, ma ricordava bene quanto il fratello soffrisse per i loro giudizi. Suo fratello era andato via perché non sarebbe mai riuscito a realizzarsi se fosse rimasto nella loro città.
 In quel momento provò un moto di rabbia nei confronti di sua madre e suo padre, di Camilla e anche per se stesso. Riccardo avrebbe meritato molto di più. Meritava Francesca, il suo amore. Perché era l'unica tanto speciale da capirlo.
 Erano speciali, loro due, diversi e anticonvenzionali e nonostante fossero come la luna e il sole, erano uniti come nessuno. Avrebbero dovuto capirlo, avrebbero dovuto sostenerli. Ma quando avevano visto le lacrime della dolce Francesca, era stato troppo semplice schierarsi.
 Forse perché le lacrime della sua donna erano proprio quelle della piccola Francesca, a cui tutti loro volevano bene. Perché era la piccola di casa, la più fragile di tutti loro. Forse era quello che nessuno era riuscito a perdonargli. Che avesse fatto del male alla creatura più dolce del mondo, che si stava spegnendo lentamente, come se la mancanza del suo sole, seccasse i suoi petali.
 Scosse la testa, afferrò la sua valigetta e mentre, senza salutare nessuno, usciva da quell'azienda, prese il telefono e compose il suo numero.
 “Fran, come stai?"
 "Ciao, Edo! Come sempre direi... Sono grassa e incinta!"
 La sentì ridere, era brava a fingere.
 "Sono a Miami, Fran... È tutto finito!”
 “Edo... Cosa vuoi dire?”
 Chiese, come se non avesse capito del tutto le sue parole.
 “Voglio dire che oggi è finito l'incubo!”
 Dopo qualche secondo, sussurrò:
 “Ha partorito?”
 “No... Ma sapendo che entro una settimana sarebbe stata smascherata, ha rilasciato una dichiarazione. Non è suo!”
 “Oh... Come l'ha presa?”
 Chiese con timore.
 “Sai che ha sempre sostenuto di non essere il padre. Non è stato sorpreso, ma vuole comunque effettuare il test per evitare che fra qualche anno lei possa rimangiarsi la parola.”
 “È giusto così!”
 Disse sospirando.
 “È finita, piccola! Questa storia è finita! Come ti senti? Sei felice?”
 Non fu difficile immaginare le lacrime che le stavano bagnando le guance, quando rispose la voce era spezzata e tremante.
 “Per lui... Sì, sono felice per lui!”
 Mentre si dirigeva alla sua auto annuì e poi continuò.
 “Francesca, mio fratello non sta bene! È arrabbiato con il mondo, ma soprattutto con se stesso... Ha bisogno di te!”
 Le parve di vederla sussultare e la sentì deglutire, prima di riprendere a parlare senza alcuna esitazione.
 “Mi ha lasciato sola fino ad ora...”
 “Glielo hai chiesto tu!”
 Provò a giustificare il fratello ma Francesca, non parve assecondarlo.
 “Non ti ha detto però che gli avevo chiesto di restare...”
 Edoardo si rese conto che la distanza che entrambi si erano imposti, le parole non dette e il dolore che entrambi provavano, avevano ridotto i due quasi ad estranei.
 “Non lasciarlo andare!”
 La pregò, mentre metteva in moto la macchina.
 “Ti saluto, Edo!”
 “Francesca...”
 Lei aveva chiuso la telefonata.
 Edo sperò che tutto si risolvesse. Lo sperava per lei, ma soprattutto per suo fratello, perché era perso. Lui non sarebbe mai più stato felice.

 Era finita davvero. Il test non lasciava dubbi. Edoardo aveva cercato di convincerlo a tornare a Bogotà, e c'era quasi riuscito. Poi la telefonata di sua madre gli aveva fatto cambiare idea. L'avevano abbandonato quando avrebbero dovuto sostenerlo, o almeno stargli vicino. Invece erano solo stati capaci di giudicarlo e allontanarlo. Era troppo semplice cercare di ricucire il loro rapporto ora che quello che aveva sempre sostenuto, era una realtà. Si sentiva tradito dalla sua famiglia.
Almeno Camilla non lo aveva cercato. Sarebbe stata un'ipocrisia che non avrebbe sopportato. La madre l'aveva supplicato di tornare. Si era scusata per non avergli dato fiducia e aveva pianto. Si era limitato a dirle che la perdonava ma che sarebbe rimasto lontano. Lei invece, non l'aveva cercato e non si era stupito. Edoardo gli aveva detto che non stava bene ma era talmente arrabbiato da non averci badato. Non era nemmeno stata capace di dirgli che era una bambina. Gli aveva promesso che non l'avrebbe escluso, ma era stata solo capace di pensare a se stessa. Aveva fatto bene.
 Lei doveva solo pensare a se stessa e alla loro bambina. Era l'unica cosa giusta.

 Era tornato in Texas dopo aver trascorso qualche giorno in completa solitudine, con la barca, godendosi quella pace effimera che non era riuscita a rasserenarlo e aveva ricominciato a lavorare senza pensare a nulla. Staccare il cervello era l'unico modo per sopravvivere, in attesa di prendere tra le braccia la sua bambina, che ormai era l'unica ragione a non farlo morire.

 Non era la prima volta che le capitava, succedeva sempre più spesso che le vertigini la obbligassero a sedersi. Ma quella mattina qualcosa era andato diversamente.
 Accanto a lei non c'era nessuno e quando le sue gambe avevano ceduto, era semplicemente caduta. La vista si era offuscata e prima di sentire le parole che qualcuno le stava dicendo, era diventato tutto buio.
 Si era svegliata al pronto soccorso, senza sapere per quanto tempo fosse rimasta senza sensi e le orecchie continuavano a fischiare e sentiva lo stomaco sottosopra. Probabilmente la colazione che sua madre le aveva imposto di mangiare, doveva averle fatto male.
 "Principessa..."
 La voce della madre, la fece voltare. Vide il volto preoccupato della donna e si chiese come mai, da qualche settimana, tutti sembravano interessati alla sua salute, visto che si sentiva benissimo.
 "Mamma, ti avevo detto che non avevo fame..."
 "Oh, piccola..."
 Sussurrò la donna con le lacrime agli occhi. Francesca cercò di mettersi a sedere, ma le forze le mancavano e si lasciò andare sul cuscino.
 "Devo aver fatto indigestione."
 Scherzò.
 "Hai mangiato solo una fetta biscottata..."
 "Che evidentemente mi ha scombussolato lo stomaco!"
 Disse risentita.
 Marcella cercò di replicare, ma l'ingresso del medico la fece desistere. Francesca la guardò e non le fu difficile capire che doveva andarsene. Le diede un bacio e la lasciò sola, in compagnia del medico che le sorrise in modo eloquente.
 L'uomo si sedette accanto a lei e dopo averle controllato il battito cardiaco e la pressione scosse la testa. Poi avvicinò l'ecografo e, dopo averle sollevato il lenzuolo e la maglia, le passò il piccolo macchinario sul ventre, osservando attentamente il monitor e ascoltando il suono del cuoricino della bambina.
 “Francesca, non va bene... Le sue condizioni generali mi preoccupano.”
 Disse, dopo aver riposto la macchina.
 “Lei come sta?”
 Chiese disinteressandosi completamente della considerazione del medico.
 “Per ora non ci sono grossi problemi ma in questi tre mesi dovrà veramente occuparsi di se stessa. Siamo al sesto mese e lei non ha praticamente messo peso. Si sta consumando. La bambina è sostenuta dalle vitamine e dagli integratori, ma non è sufficiente. Sto pensando di ricoverarla. Non va bene!”
 “Le prometto che mangerò correttamente!”
 “Sono mesi che lo dice...”
 “Ho lavorato tanto e come sa non sono mai stata molto grassa...”
 “Non sto dicendo che avrebbe dovuto ingrassare. Ma così sta esagerando! No, Francesca. Non credo che lei comincerà a prendersi cura di se stessa e io ho l'obbligo di tutelare anche la sua bambina.”
 “Vuole obbligarmi a mangiare?”
 Chiese con rabbia.
 “Posso ricoverarla e monitorarla, posso somministrarle i nutrienti necessari. Si faccia aiutare...”
 “Le prometto che farò attenzione!”
 Disse cercando di essere il più credibile possibile.
 “Parlerò con sua madre...”
 “Non può farlo!”
 Gli gridò quasi con odio.
 “Ma lo farò ugualmente. Rischia seriamente di avere un parto prematuro e le sue condizioni generali sono preoccupanti. Rischia di avere dei problemi durante il parto!”
 “Arrivederci dottore!”
 “Parlerò con sua madre e lo farò ora! Non lascerà questo ospedale, non oggi almeno! Appena possibile la trasferiremo in una  camera e ci rimarrà fino a quando non l'avremo rimessa in piedi! Ora cerchi di riposare.”
 “Faccia quello che vuole!”
 Francesca si rannicchiò sul letto e non lo vide uscire.
 Non poteva rimanere in ospedale, doveva lavorare! Aveva la sua vita!
 Sembrava che tutti volessero vederla diventare una balena, che mangiasse e si ingozzasse, mentre lei stava benissimo. Avrebbe solo voluto tornare a casa, ma sapeva che sua madre non glielo avrebbe permesso, si sarebbe lasciata convincere da quello stupido medico idiota e l'avrebbe obbligata a restare in quel posto orribile.
 Non sbagliava infatti. Poco dopo la madre, la raggiunse, aveva pianto, era evidente.
 Non le diede la possibilità di ribellarsi, semplicemente le disse che per qualche giorno sarebbe rimasta lì, che si sarebbe occupata lei di tutto, di avvertire il suo capo, di portarle qualche pigiama.  Si arrese senza nemmeno opporre resistenza, avrebbe fatto ciò che le imponevano, poi sarebbe tornata a casa e avrebbe potuto ricominciare a vivere la sua vita.
 Il mattino successivo, si svegliò con una flebo nel braccio. Si sentiva strana, intontita. Fece per strapparsi l'ago che aveva nel braccio ma la voce di sua madre la distolse dal suo proposito.
 "No! Non provarci! L'unica cosa che otterresti, sarebbe quella che un'infermiera ti buchi anche l'altro braccio!"
 Sbuffò e riuscì ad alzarsi abbastanza per mettersi seduta.
 "Non è necessario che tu rimanga..."
 "Preferisco rimanere comunque!"
 Francesca rise sarcastica.
 "Temi che faccia impazzire qualcuno? Credi che mi metta a fare i capricci?"
 "No! Ma sono preoccupata per te! Da parecchio tempo ormai! Ho sperato riuscissi a riprenderti da sola, ma mi sbagliavo! Ora risolveremo tutto e lo faremo insieme!"
 "Non c'è nulla da risolvere! Sto benissimo... Ti prometto che farò più attenzione! Mangerò tutto quello che vuoi! Ora, per favore, vuoi dire al medico che farò tutto quello che dice?"
 La sua voce parve sicura, a tratti pregante, ma Marcella non si lasciò convincere.
 "Non prendermi in giro, bambina! Non dirò nulla a nessuno! Sono spaventata! Tu... Sembra che tu ti stia facendo volontariamente del male... Ti stai lasciando andare! Non puoi farlo! Aspetti un bambino..."
 "Smettila! Lasciami in pace! Sto bene!!"
 Gridò esasperata da quelle che le parvero solo accuse infondate! Lei non avrebbe mai fatto nulla che rischasse di nuocere alla sua bambina, l'aveva odiata, ma era l'unica ragione che la faceva sopravvivere.
 "Piccola... È per lui? È la sua mancanza a farti così male?"
 Le lacrime che aveva represso, scivolarono sulle guance senza che potesse far nulla. Non voleva parlare di lui, di quello che le aveva fatto. Voleva solo restare sola.
 "Non parlare di lui! Non voglio nemmeno sentirlo nominare! È chiaro??"
 "Tesoro... Perché hai lasciato che se ne andasse... Quella notte... Io non so cosa vi siate detti, ma credevo... Credevo fosse venuto a prenderti, per portarti a casa!"
 Con la mente tornò a quei momenti. Quando nei suoi occhi aveva visto la disperazione, quando l'aveva pregata di andare via e un forte dolore allo stomaco la colse, facendola piegare su se stessa.
 "Bambina, che cos'hai?"
 Francesca cominciò a singhiozzare, stringendosi le mani sulla pancia.
 "Mi ha lasciato... Gliel'ho chiesto io di andare via! L'ho perso ed è stata colpa mia!"
 In quel momemento tutto le divenne chiaro: Chicco, il suo Chicco non se n'era andato perché volesse lasciarla, ma perché lei glielo aveva imposto. Il suo Chicco era solo ed era stata lei ad allontanarlo. Era stato il suo orgoglio che l'aveva consumata e che le aveva impedito di ascoltare i suoi sentimenti.
 "Voleva farlo! Voleva portarmi via ma io... Ero troppo arrabbiata! Non l'ho capito! Non mi sono resa conto che aveva bisogno di me..."
 Francesca cominciò a singhiozzare così forte che tutto il suo corpo esile e debilitato, cominciò a sussultare. La madre la abbracciò, obbligandola a voltarsi verso di lei. Era così magra che avrebbe potuto prenderla in braccio senza troppa fatica. Ebbe quasi paura di farle del male.
 Cercò di calmarla ma la donna, ormai stremata, aveva cominciato a riversare tutti i sentimenti che aveva represso per più di due mesi.
 "Calmati, tesoro! Devi cercare di pensare alla tua bambina! Non le fa bene quello che sente..."
 "Mi odierà, mamma! La mia bambina mi odierà! È colpa mia! Volevo che soffrisse anche lui! Ma io non ce la faccio più!! Sto così male!"
 "Non parlare così! Per favore, calmati!"
 La sentiva tremare e il pianto si era fatto ancora più convulso.
 "Volevo soffrisse almeno una volta! Volevo pagasse... E ora lui... Mi odia! Mi odia e io non ce la faccio!!"
 "Lui ti ama! Non può odiarti... Perché non lo chiami? Sono sicura che lui ci sarà sempre!"
 "Ho paura che tornerebbe per lei! Non gli ho nemmeno detto che è una bambina! L'ho completamente escluso perché ero arrabbiata! Perché non è giusto quello che è successo... Per una volta ho pensato solo a me stessa e a quella piccola soddisfazione!"
 "Bambina, perché quando è tornato non gliel'hai detto?"
 "Perché... Perché era lui a dover lottare per me! Era lui che doveva pregarmi! Non sono io ad aver sbagliato..."
 E mentre lo diceva sapeva bene che le sue decisioni erano state dettate dall'orgoglio e da un senso di rivalsa che in quel momento non avevano più alcun senso, era ormai svuotata di ogni sentimenti, provava solo male.
 "E lui... lui mi ha pregato di amarlo! Ma io... Io volevo solo vendicarmi, mamma! Lo capisci? Volevo vendicarmi! Cosa c'è di più meschino?"
 "Piccola, io credo..."
 "Cosa credi? L'ho odiato così tanto! Ho visto solo il suo tradimento, le sue bugie. Abbiamo fatto l'amore quella sera, oh, mamma, avresti dovuto vedere i suoi occhi... Mi chiedeva di accettarlo! Non l'ho fatto! Ha prevalso l'orgoglio! E lui se n'è andato!"
 "Chiamalo! Fallo ora!"
 "Credi tornerebbe per me? Credi davvero che possa amarmi ancora? Mi ha pregato perché lo perdonassi! Non voglio la sua compassione! Non voglio torni per la bambina..."
 "Tornerebbe per te..."
 "Io... Io merito di restare sola! Ho rovinato tutto! Sono stata egoista! Aveva bisogno di me, mamma! Hai visto quello che gli hanno fatto Betty e Armando? E io? Io non sono migliore!!"
 Un brivido percorse la schiena di Marcella, che continuava a stringere la figlia. Si rese conto di come tutti avessero abbandonato un uomo a cui volevano bene. Avevano lasciato che fossero i pregiudizi a prevalere. Francesca forse aveva creduto che essere dura e risoluta, fosse giusto, ma non si era accorta che mantenere quella posizione, lo avrebbe allontanato. Era stata ingenua, vedendolo sconfitto, invece di aiutarlo a rialzarsi, aveva infierito. E ora, era devastata dal dolore e dai sensi di colpa. Aveva approfittato del momento più difficile per il suo uomo e aveva sottovaluto le conseguenze.
 "Vorrei solo sparire mamma! Vorrei che tu non mi avessi mai messo al mondo! Sareste tutti più felici e forse lui avrebbe trovato la felicità con qualcuno di migliore di me!"
 A quelle parole la donna reagì. Le prese le spalle e la obbligò a guardarla.
 Il volto della figlia era una maschera di dolore.
 "Principessa, no! Non sarei mai felice senza di te! E non lo sarebbe tuo padre! Sei la nostra vita! Non dirlo mai più! Non immagini quanto ti ami! Sei la mia bambina bellissima! Non potrei mai essere più orgogliosa di quello che sei! Lo capisci? E Riccardo... Riccardo... Sei tutto per lui! Lo hai reso felice! Tu sola puoi renderlo felice! Oh, piccola mia, gli hai dato la pace! Ha smesso di scappare da se stesso con te! E ora..."
 "Sono io ad averlo fatto scappare..."
 "Gli darai una bambina..."
 "Mamma... La amerà con tutto il cuore... Io lo so! Ma io... Ho così paura che... In Texas si sia ricostruito una vita! E ora... Ora che tutto è finito... Potrà innamorarsi di un'altra donna..."
 Francesca, realizzando che quel pensiero potesse davvero concretizzarsi, si contorse dal dolore. Si accasciò sul letto e nascose il viso.
 Si chiuse in un silenzio pesante, nonostante la madre cercasse di spronarla a parlare. Si rifiutò di mangiare, tornando ad indossare una maschera di indifferenza e fastidio.
 Marcella, dopo aver espresso i suoi timori al suo medico, si trovò a prendere una decisione, quella che avrebbe dovuto prendere appena si era resa conto del dolore della figlia.
 Il medico infatti sembrava davvero preoccupato dalle condizioni in cui versava Francesca e una frase, in particolare, l'aveva sconvolta. Secondo l'uomo, Francesca non sarebbe riuscita a portare a termine la gravidanza, la sofferenza del suo corpo si sarebbe ripercossa sulla bambina e se non avesse cominciato a prendersi cura di se stessa, le sue condizioni sarebbero peggiorate ulteriormente e lui non era certo che quella situazione avrebbe avuto un esito positivo. Secondo il medico soffriva di una sorta di depressione, si stava facendo del male involontariamente, forse a causa di una sorta di vanità, ma lei sapeva che non era così. la sua bambina si stava facendo del male e lo faceva volontariamente, sconvolta dal dolore. 
 Francesca aveva bisogno di riprendersi, di curarsi.
 E Marcella sapeva che esisteva un'unica cura per la figlia. Non erano medicine e terapie. La cura aveva un volto e un nome.

 Cosa diavolo ci faceva lì? La sua serata sembrava perfetta, perché aveva aperto quella maledetta porta? Lo osservò per qualche istante e notò che gli occhi dell'uomo percorrevano il suo viso e il suo corpo, coperto solo da un paio di pantaloni della tuta, che intendeva togliersi il prima possibile.
 Probabilmente non era difficile capire che non si trovasse solo, eppure, invece di andarsene, lo guardava con un'aria insopportabile.
 “Posso entrare?”
 Gli disse senza nemmeno salutarlo. Riccardo voltò lo sguardo all'interno dell suo appartamento per poi tornare a guardarlo negli occhi.
 “Non è un buon momento!”
 Disse sollevando leggermente le labbra che formarono un mezzo sorriso.
 “Non è un buon momento? Eppure sembra ti stia divertendo!”
 Non nascose il biasimo nei confronti dell'uomo che aveva davanti e che non sembrava affatto innervosito. Ebbe quasi l'impressione che quella situazione lo divertisse.
 “Sei qui per farmi la morale?”
 Chiese con ironia.
 “No! Non mi interessa la tua vita! Ma devo parlarti! Ora, posso entrare?”
 “Vieni!”
 Si spostò e lo lasciò entrare. Poi raccolse la maglietta che poco prima era finita a terra e la indossò.
 Nicola, guardò tristemente la donna seduta sul divano. Era una ragazza bella e delusa dalla sua improvvisata. Era chiaro che sperava che quella visita si concludesse nel più breve tempo possibile. La vide allacciaciarsi qualche bottone della camicia, accavallò le gambe e si versò del vino. Riccardo abbassò la musica e, avvicinandosi al suo orecchio, le chiese di aspettarlo in camera, sussurrandole qualche altra parole, facendola ridere. Si sentì male, guardando quella scena. La sua principessa si stava lasciando morire per quel bastardo e lui si divertiva con una donna, senza vergognarsi. Quella situazione era orribile e avrebbe fatto qualsiasi cosa per non doverla vivere. Ma non poteva. Doveva parlare con quell'uomo che in quel momento odiava più di chiunque altro al mondo.
 “Vuoi bere qualcosa?”
 Disse Riccardo, versando del vino in un bicchiere per poi porgerglielo.
 “No!”
 Alzò le spalle e si sedette scompostamente sul divano e portò il vino alle labbra.
 “Immagino di non dovermi giustificare per la presenza della mia amica...”
 “No, non devi. È importante?”
 Rispose mentre rimaneva immobile al centro del salotto.
 “Importante?"
 Gli chiese non capendo a cosa si riferisse.
 "Quella donna! Conta qualcosa? È la tua compagna?"
 Riccardo rise ma solo per qualche istante.
 "Non ricordo nemmeno quale sia il suo nome! Ma non preoccuparti! Lei non ha alcuna intenzione di appiopparmi la paternità di alcun figlio! Ci divertiamo e basta!”
 “Sei disgustoso!”
 “Perché faccio sesso con una mia amica? io sono un uomo libero...”
 “Un uomo che tra tre mesi avrà un figlio dalla donna che giurava di amare...”
 Una fitta allo stomaco lo colpì come un pugno. Solo pensare a lei gli faceva male. Si alzò dal divano e voltò le spalle all'uomo, per evitare che vedesse il suo volto sconvolto.
 “Ma che lei non vuole nemmeno vedere."
 Sussurrò più a sé stesso che a Nicola. Ma fu un attimo, sospirò e con voce tranquilla si voltò nuovamente.
 "Stai tranquillo! Riconoscerò tua nipote e non le farò mancare niente!”
 “Tranne la tua presenza!”
 Quanto era ridicolo quell'uomo. Era sicuro che fosse stato felice della sua partenza.
 Si stava spazientendo e decise di non tirare troppo per le lunghe quella fastidiosa conversazione.
 “Nicola, dimmi: cosa sei venuto a fare? Cosa vuoi?”
 “Ora non sono più tuo zio?”
 Riccardo scoppiò a ridere, divertito e arrabbiato nello stesso tempo.
 “Non posso crederci! Me lo stai chiedendo sul serio? Lo ricordi, vero, che sei stato tu a dirmi di non permettermi di chiamarti così?"
 Nicola fece per ribattere, ma Riccardo non glielo permise.
 "Comunque farò esattamente quello che vorrà tua figlia! Se vorrà che la cresca, tornerò a Bogotà, altrimenti cercherò di amarla da lontano e di vederla quando me lo permetterà. Adesso, se non ti dispiace...”
 Proseguì, indicando la camera da letto dove lo aspettava la donna con cui avrebbe passato la notte.
 “Credevo tu amassi mia figlia!”
 Riccardo strinse i pugni, ormai esasperato.
 “Da quando è importante quello che provo?”
 “In effetti non mi importa nulla quello che senti. Sono qui per lei!”
 Annuì, finalmente quell'uomo stava andando al punto.
 “Mi piacerebbe tu fossi molto veloce a dirmi quello che vuoi! Hai fatto un bel viaggio per venirmi a trovare, quindi immagino tu debba riferirmi qualcosa che la tua principessa ritiene importante!”
 Disse con sarcasmo e in quel momento vide il volto di Nicola cambiare. Il biasimo e la rassegnazione diedero spazio alla rabbia e all'odio.
 “Ti giuro Riccardo, che se dipendesse da me, potresti sprofondare all'inferno! Non immagini cosa darei per vederti morto in questo momento! Ma sono qui a chiederti di tornare a Bogotà! Ti sto pregando di farlo!”
 “Perché?”
 Disse guardandolo dritto negli occhi, senza alcuna esitazione.
 “Per lei! Perché sta male!”
 “Sono stato male per mesi e, al contrario di tua figlia, ero completamente solo!”
 “Hai solo avuto quello che meriti! E spero tu ci muoia solo, ma lei sta male davvero! E io amo la mia bambina, più di chiunque altro al mondo. Torna a Bogotà!”
 Quelle parole erano assurde. Come poteva pretendere che tornasse a Bogotà? Se davvero lei stava male, sarebbe bastata una telefonata, un messaggio. Lei lo sapeva. Non poteva essere davvero lei a volere il suo ritorno. Perché era lì? Che diavolo era successo?
 “Perché? Lei non mi vuole lì, non vuole che le stia vicino, non vuole perdonarmi e non ha alcuna fiducia in me!”
 “Puoi biasimarla?”
 “No, ma posso accettare che le cose stiano così! Quindi perché dovrei tornare? Perché dovrei obbligarla a subire la mia presenza?”
 “Perché credo tu sia l'unica persona a poterla aiutare... È in ospedale...”
 La voce di Nicola si incrinò e un brivido di terrore percorse la schiena di Riccardo. Deglutì e chiuse gli occhi mentre gli chiedeva:
 “Cosa è successo? È la bambina?”
 “No... No!"
 Scosse il capo e non badò alla lacrima che gli bagnò il volto.
 "Lei si sta lasciando morire...”
 “Cosa stai dicendo?”
 Si avvicinò a pochi centimetri dal volto di Nicola e lo strattonò, cercando di strappargli altre informazioni.
 “Il suo medico ci ha detto che è debilitata, che le sue condizioni sono preoccupanti. Non mangia, non si cura... Si sta facendo del male!”
 “È all'ospedale?”
 Ripetè, sperando di aver frainteso.
 “Marcella l'ha obbligata ad accettare il ricovero proposto dal medico. Ma non può restare in quel letto fino al parto... Torna a Bogotà, Riccardo!”
 Lo pregò, Nicola.
 “Io...”
 Riccardo lo liberò dalle sue mani e si allontanò di qualche passo, passandosi le mani sul volto e sui capelli. Le gambe cominciavano a cedere e sentiva il battito del suo cuore che accelerava ad ogni parola che risuonava nella sua testa. Sentì freddo e cominciò a tremare.
 “Credi sarei qui, se non la vedessi spegnersi giorno dopo giorno? Credi che ti pregherei, se pensassi che si possa rimettere presto? Cosa vuoi che faccia per convincerti? Vuoi che mi metta in ginocchio?”
 Riccardo dovette appoggiarsi alla prete per reggersi. Abbassò il capo, sforzandosi di pensare che le parole di Nicola non fossero vere, che fossero solo una scusa per riportarlo in città.
 Fu tentato di mandarlo al diavolo, ma il dubbio lo distruggeva. Doveva accertarsi che la sua Farfallina stesse bene.
 Non avrebbe potuto fare altrimenti. La voglia di vederla crebbe e i sentimenti che aveva cercato di seppellire per il suo bene, riaffiorano impetuosi, più forti che mai.
 Continuando a voltargli le spalle, gli chiese:
 “A che ora hai il volo per tornare a casa?”
 “Tra tre ore. Sarò a Bogotà per domani mattina...”
 “Vengo con te!”
 Disse semplicemente.

 Non avevano parlato nemmeno per un momento nonostante avessero viaggiato accanto l'uno all'altro. Riccardo, dopo aver preso la decisione di raggiungerla, aveva congedato la donna che lo aspettava nuda, nel suo letto, buttato qualche cambio in una borsa e insieme a Nicola era corso all'aeroporto.
 Era inquieto, si sentiva male. Sperava che l'uomo, che fino a pochi mesi prima chiamava zio, avesse esagerato e che quel ricovero fosse dovuto a degli accertamenti. Non poteva essere come diceva lui. Era rimasto lontano da lei, convinto che fosse giusto, sicuro che lei stesse bene, che il suo silenzio foss dettato dal suo bisogno di vivere senza di lui. Francesca non poteva stare male!
 Aveva passato tutto il tempo con gli occhi chiusi perché temeva che se li avesse aperti, non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime.
Quel volo gli era parso lungo, interminabile e quando, finalmente, l'aereo atterrò, l'aria della sua città lo fece rabbrividire.
 Una fitta pioggerellina, sembrava nascondere tutto ai suoi occhi, o forse era lui che non riusciva a trovare un senso a ciò che lo circondava.
 Era come se tutto gli apparisse grigio e spento.
 Nicola lo riportò alla realtà, avvertendolo che erano arrivati all'ospedale.

 “Riccardo...”
 Marcella corse ad abbracciarlo ma lui non ricambiò il gesto, troppo nervoso e spaventato. Non era sicuro delle parole di Nicola, ma si sentiva a disagio e aveva paura.
 “Dov'è?”
 Si limitò a chiederle, voltandosi istintivamente verso una delle camere di quel corridoio.
 “Sta dormendo..."
 Gli spiegò, poi guardò il marito, con gli occhi lucidi.
 "Nicola, grazie!”
 L'uomo le accarezzò una guancia, sorridendole con poca convinzione.
 “Amore mio, l'hai detto tu: era necessario!”
 La donna annuì, poi poggiò una mano sulla spalla di Riccardo che era fermo e fissava la porta.
 “Riccardo, non volevamo davvero disturbarti... Tu hai la tua vita, ma noi abbiamo paura per lei e per la piccolina...”
 Cercò di giustificarsi.
 “Va' da lei, per favore... Cerca di convincerla a prendersi cura di se stessa!”
 Riccardo strinse la maniglia e spinse la porta piano, entrando in quella stanza, ancora in penombra.
 Dopo aver richiuso, ci mise qualche istante prima che gli occhi si abituassero a quella luce fioca.
 Intravide il letto, accanto al quale, lampeggiavano alcune luci rosse e verdi. Sui pochi mobili che arredavano  la camera, c'erano alcuni pupazzetti di peluche e dei fiori, tanti fiori.
Si avvicinò al letto senza far rumore, non voleva svegliarla, né disturbarla. Temeva che vedendolo lo avrebbe cacciato e prima di andare via doveva accertarsi che le preoccupazioni di Nicola e Marcella fossero solo le paura di due genitori apprensivi. Ma quando la vide, il suo cuore si spezzò in mille pezzi. Della donna che aveva lasciato rimaneva solo una pallida somiglianza. La sua Francesca, la sua bellissima Francesca, aveva il volto scavato, le occhiaie e le sue braccia erano poco più che ossa ricoperte di pelle. Le si vedevano le ossa del torace coperto da una maglia leggera e le mani, quelle mani che lo facevano impazzire, erano strette in un pugno. La sua pancia si intravvedeva sotto le lenzuola e le coperte.
 "Amore mio..."
 Sussurrò, incapace di accettare quell'immagine devastante e terribile.
 Un'infermiera entrò scostando le tende e lui riuscì a vedere che il suo viso era pallido e... Triste. Era colpa sua? Era lui ad averla ridotta in quel modo?
 “Posso chiederle chi è?”
 La voce della donna, lo fece sobbalzare.
 “Cosa?”
 “Solo i parenti posso restare fuori dall'orario di visita...”
Puntualizzò.
 “Oh... Io sono... Sono il padre della bambina!”
 “Certo..."
 Disse la donna mentre armeggiava con la fiala della flebo.
 "Allora cerchi di convincere sua moglie a curarsi. Non vuole mangiare, non parla... Davvero, siamo tutti preoccupati. Anche la piccola potrebbe risentirne...”
 “Sì... Sì, lo farò!”
 Quelle parole gli giunsero come fossero delle coltellate.
 “Questa è la colazione. Provi lei a farle mangiare qualcosa! Può svegliarla se vuole!”
 Sistemò il vassoio con la colazione sul comodino e si allontanò.
 “Sì, ora la sveglio...”
 Aveva parlato con quell'infermiera senza guardarla, incapace, di distogliere gli occhi da quella che non riusciva quasi a riconoscere come la donna che tanto amava.
 Portò un sedia accanto al letto e si sedette, avvicinando il viso a quello di lei. Era così vicino da poter sentire il suo respiro lieve.
 “Amore mio...”
 Le accarezzò i capelli, cercando di renderle il risveglio dolce e quando Francesca aprì gli occhi, la vide muoversi a fatica, mentre sul suo volto stanco, si formava un piccola smorfia.
 “Ehi...”
 La sua Farfallina sbatté più volte le palpebre, come fossero ali, lo guardò e le lacrime fecero brillare i suoi grandi occhi scuri.
 “Sei qui?”
 “Non avrei dovuto andare via...”
 "È un sogno?"
 Riccardo le sorrise scosse la testa e con il pollice le asciugò una lacrima che era sfuggita dalle sue ciglia.
 “Perché sei qui?”
 “Per te... Per la bimba...”
 Disse con dolcezza.
 Smise di guardarlo, alzando gli occhi e con il dorso della mano se li coprì.
 “Te l'hanno chiesto i miei genitori?”
 “Mi hanno solo detto che non stavi troppo bene...”
 “Non devi preoccuparti per me!”
 Disse cercando di mantenere un tono neutro.
 “No, non sono preoccupato! Avevo solo bisogno di una scusa per vederti!”
 Si giustificò senza troppa convinzione.
 “Non mentirmi!”
 “È vero! Volevo vederti, volevo toccarti!”
 E mentre lo diceva prese la mano che teneva sul volto e glielo accarezzò.
 “Ora andrai via di nuovo!”
 "No! Nemmeno se me lo chiederai!"
 Trasse la sua mano alla bocca, dandole un bacio.
 Francesca la aprì, portandola sulla sua guancia e gliela accarezzò.
 Era così fredda quella mano. Riccardo gliela coprì con la sua, godendosi quel contatto che lo rigenerava, riportandolo alla vita.
 I suoi polmoni si riempirono di aria e il cuore, insieme al sangue, pompava nelle sue vene l'amore e il dolore.
 “Posso spostare le coperte e guardare la tua pancia?”
 Le chiese dopo qualche istante, avvicinandosi a lei e cercando di abbassare il lenzuolo.
 “No! No, per favore! Non voglio che tu mi veda!”
 Gli spostò bruscamente il braccio e si ricoprì velocemente, assumendo una posizione di difesa.
 “Perché no? Perché, amore mio?”
 “Perché non voglio!”
 Francesca lo guardò con paura e lui capì che non doveva insistere.
 “Va bene, stai tranquilla, per favore! Posso almeno appoggiare la mano su di te? Ti prego! Se vuoi puoi guidarmi la mano...”
 Francesca ci pensò qualche secondo, poi gli sorrise.
 “Solo un momento?”
 “Solo un momento!”
 Gli prese la mano appoggiandola sulla sua pancia e la sensazione che provarono entrambi fu di calore.
 Assaporarono quel momento, come non ci fosse nulla di più bello.
 Riccardo scopriva sua figlia e ritrovava la sua donna e Francesca, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì madre.
 Lasciò che la mano del suo uomo conoscesse il suo ventre, che quelle lievi carezze, la riempissero di speranza.
 “La senti muoversi?”
 Le chiese timidamente.
 “A volte mi sembra di vederla... Quando scalcia, mi sembra di intravedere i piedini...”
 Disse sorridendo e Riccardo non ne dubitò: era così magra che probabilmente era vero.
 “Davvero? E ora perché non si muove?”
 “Forse dorme...”
 Disse mentre arricciata il naso e le labbra.
 Si prese qualche secondo e poi, mentre con la mano continuava ad accarezzarle il ventre, cercò i suoi occhi e quando li trovò, disse:
 “Amore mio... Perché non vuoi mangiare?”
 “Non ho fame! Odio mangiare!”
 Disse in modo isterico, quasi gridando e spostandogli la mano con rabbia.
 “Non agitarti! Non sono qui per obbligarti a fare nulla!"
 Francesca deglutì e girò il volto per non guardarlo.
 Riccardo sospirò, si passò la mano tra i capelli e poi disse:
 "Piccola, ora ti chiederò se posso sedermi accanto a te, qui, sul tuo letto... Vorrei abbracciarti.”
 In quel momento, Francesca sorrise, come destata dal torpore.
 “No! Aspetta... Dammi la mano!”
 Lui obbedì e lasciò che lei la poggiasse proprio nel punto in cui la piccola stava spingendo.
 Il cuore dell'uomo accelerò e l'emozione lo scosse,  gli ochi si inumidirono e fece una piccola pressione per aumentare la sensazione di quel movimento. Inchiodò lo sguardo in quello di lei e si rese conto che nessuna era bella quanto la sua Farfallina.
 “È lei?”
 Chiese con voce tremante.
 “Sì... È strano vero?”
 “No, no! È bellissimo! È la nostra bambina?”
 Francesca sentì il cuore scoppiarle nel petto.
 "La nostra bambina"
 Ripetè a se stessa. Sì, era la loro bambina ed era la prima volta che lui la sentiva. Socchiuse gli occhi, cercando di non pensare a tutto il male che sentiva. Ma non riuscì ad evitare che le parole uscissero dalle sue labbra.
 “Perché mi hai lasciato da sola?”
 Riccardo, si morse un labbro e deglutì, nonostante avesse la fola secca.
 “Io... Io credevo che fosse la cosa migliore per entrambi... Credevo... Pensavo saresti stata meglio senza di me! Che lo volessi! Ma... Ma come sempre ho sbagliato! Sono solo un idiota, lo sai?”
 Vide lo stesso dolore di quella notte e dell'ultima volta che si erano visti.
 Se le precedenti parole erano state pronunciate senza che se ne rendesse conto, quelle che aveva in testa in quel momento, non riuscirono a trovare una forma.
 La piccola sembrava stesse ballando, forse anche lei era eccitata. Forse sapeva che quella mano era del suo papà.
 “Vuoi vedere il piedino?”
 Chiese cambiando tono. Era dolce e a lui parve la ragazzina a cui  si illuminava il volto ogni volta che la guardava. Senza pensare, scostò il lenzuolo e gli alzò la mano. Non era immaginazione. Si vedeva davvero la sagoma di un piccolissimo piede che spingeva su quella pancia, troppo grande per quel fisico debilitato.
 Strinse i pugni e gli occhi e senza guardarla, le sussurrò:
 “Cos'hai fatto, piccola?”
 Lei spinse via la mano e si ricoprì in fretta, come se si fosse scottata.
 Si sentì offesa, giudicata e disse con durezza:
 “Ora dovresti andare via!”
 “No... Non pensarci nemmeno di cacciarmi un'altra volta, perché non me ne andrò!”
 “Allora non giudicarmi! Non ci provare! Non tu!”
 “Non ti sto giudicando, piccola!”
 “Voglio restare sola!”
 “Ascoltami... Se vuoi, posso uscire, ma solo per un po', solo qualche minuto, ma prima farai colazione e solo quando avrai finito, uscirò!”
 "Io... Io non ho fame!"
 Il pensiero del cibo la disgustava.
 "Piccola, mangerai la tua colazione! E lo farai adesso!"
 “Allora sei sordo! Non ho fame!”
 Gridò quasi con le lacrime agli occhi.
 “Non mi interessa! Mangerai quello che c'è su quel vassoio, non voglio discuterne!”
 “Io ti odio! Ti odio e devi andare via subito!”
 Provò una tenerezza indescrivibile, vedendola tanto fragile, ma non poteva compiacerla. La sua Farfallina doveva nutrirsi e riprendersi.
 “Fai quello che ti ho detto!”
 Le ordinò.
 “Io sono una modella! Non posso ingrassare!”
 “Non sei più una modella e comunque ti ho detto che non mi interessa che tu abbia o meno fame! Mangerai quello che c'è su quel dannato vassoio! Lo farai adesso o giuro che ti aprirò la bocca con la forza e ti obbligherò a farlo! Mi conosci e sai bene che lo farò!”
 “Io ti odio! Non sopporto la tua presenza!”
 “Allora mangia e uscirò da questa stanza.”
 La sfidò sfoderando il suo sorriso beffardo.
 “Dammi quel vassoio!”
 Disse esasperata.
 Riccardo avvicinò il vassoio al letto e con un gesto teatrale delle braccia, la invitò a mangiare.
 “Prego, mia dolce Farfallina!”
 “Non parlare e non guardarmi!”
 “Come vuoi!”
 Disse ridendo, mentre si allontanava di qualche passo, fingendo di interessarsi al panorama che si vedeva dalla finestra, senza davvero distogliere lo sguardo da lei.
 Aspettò che finisse. Sembrava disgustata da quello che metteva in bocca e ci impiegò un tempo lunghissimo per finire quelle poche cose che le avevano portato, ma finì tutto.
 Si sentì meglio. Aveva fatto un piccolo passo ed era certo che ne avrebbe fatti altri. Lui si sarebbe preoccupato che non saltasse più un pasto e se fosse stato necessario l'avrebbe davvero imboccata.
 “Sei soddisfatto? Ora starò male! Ho lo stomaco che mi scoppia! Vuoi uscire adesso?”
 “Sei stata brava e vedrai che non starai male... Vado a prendere un caffè! Cinque minuti e sarò qui! Non ti dirò di aspettarmi, perché tanto non puoi andare da nessuna parte!”
 La canzonò divertito.
 “Sei un idiota! Non sei divertente!”
 Si avvicinò a pochi centimetri dal suo viso.
 “Dammi un bacio!”
 “Non pensarci nemmeno!”
 Francesca voltò il capo, arrossendo.
 Lui rimase fermo, sentì il suo profumo, rabbrividendo dal desiderio di assaporare anche le sue labbra. Ma non era quello il momento. Entrambi stavano vivendo una tempesta di emozioni e lui non voleva sconvolgerla ancora. Si sforzò e si allontanò da lei che rimase immobile, ammaliata dalla sua vicinanza.
 “Me lo darai più tardi.”
 Lasciò la camera e quando chiuse la porta vi si appoggiò, sentendo tutte le sue forze abbandonarlo. La sua donna si stava lasciando morire ne era sicuro, ed era tutta colpa sua!
 “Riccardo...”
 Aprì gli occhi e si volse verso Marcella e Nicola, guardandoli con rabbia.
 “Perché non me lo avete detto prima?”
 “Perché non ti sei mai preoccupato per lei?”
 Lo incalzò, Nicola.
 “Nicola, ti prego, non ora!”
 “Perché sono un idiota!”
 Sussurrò a se stesso.
 “Devi convincerla a mangiare, Riccardo. Non può continuare in questo modo! Non vogliamo trattenerti ma ti preghiamo di farle capire che si sta uccidendo!”
 “Ha fatto colazione...”
 “Davvero? Grazie, Riccardo!”
 Marcella lo abbracciò, felice.
 “Perché sei uscito?”
 Gli chiese Nicola.
 “Perché era l'unico modo perché facesse colazione. Ma sa che non andrò via!”
 “Non andrai via?”
 “No! No! Non avrei mai dovuto andare via... Cosa ho fatto?”
 “Te ne rendi conto solo ora? Ti avevo dato il permesso di venire in casa mia! Ti ho ascoltato! Ho accettato le tue ragioni. Ti avevo quasi capito... Ma tu sei capace solo di scappare! L'hai lasciata sola! Ha affrontato tutto da sola. Le nausee, le visite, le paure, i dubbi. Era sola!”
 Gli gridò l'uomo con tutto il disprezzo che provava.
 “Nicola... Basta! Riccardo, io non lo so cosa intendi fare, nessuno di noi vuole importi qualcosa. Sei libero di vivere la tua vita lontano da noi e da lei! Ma ti chiedo di non illuderla. Se prima o poi andrai via, non mentirle. Mia figlia è fragile e non merita di essere presa in giro!”
 Lo supplicò Marcella.
 “No, no... Non le dirò nulla, non le prometterò nulla! Farò solo quello che devo!"
 Non sarebbe più andato via. Perché aveva bisogno di lei almeno quanto lei ne aveva di lui. Era stato uno stupido, superficiale e non era riuscito a capire che a parlare, per entrambi, era stato l'orgoglio. Si scosse da quei pensieri e poi tornò a rivolgersi ai due.
 "Prendo un caffè e faccio una telefonata al lavoro. Non ho avvertito nessuno e devo farlo ora.”
 Si giustificò.
 “Andiamo noi a salutarla...”
 Lo tranquillizzò, Marcella.
 Riccardo si allontanò, prese un caffè disgustoso ad un distributore e chiamò il suo referente dicendogli che, per questioni personali, era dovuto tornare a casa. Si disse disponibile a dimettersi  o a farsi licenziare perché capiva che il suo non era un comportamento professionale, ma non aveva nessuna intenzione di tornare a Houston. Forbes però capì che doveva essere qualcosa di grave e si limitò ad informarlo che gli avrebbe girato alcuni documenti via mail.
 Si accasciò per qualche minuto su una sedia del bar, lasciando andare la tensione e cercando la forza di essere l'uomo che lei meritava. Era esausto ma avrebbe resistito: la sua donna aveva bisogno di lui. Le avrebbe dato tutto. Sarebbe stato il suo sostegno.
Sarebbero stati un sostegno l'uno per l'altra.


°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 Eccomi qui... Questo capitolo, molto sofferto, è fondamentale, anche se lo definirei di "passaggio".
 Nella prima parte, i nostri protagonisti, non sono mai stati più distanti, ma entrambi stanno male. Da soli proprio non riescono a stare!
 Quella che risente maggiormente del distacco, è Francesca, che dimostra di avere dei grandi problemi con se stessa e che sfoga sul proprio corpo. Ha evidenti disturbi alimentari, che non è in grado di affrontare nei momenti difficili.
 Si sente in colpa e sa di aver sbagliato a chiudere le porte al suo uomo.
 Riccardo invece reagisce sempre nello stesso modo, cercando consolazione tra le braccia di altre donne.
 Finalmente però, sembra che il "problema Carol" si sia risolto... Sembra!
 Nel prossimo capitolo i due comunque avranno un po' di tregua e potranno confrontarsi, parlarsi e anche perdonarsi.
 Aspetto sempre le vostre considerazioni, soprattutto l'opinione di una persona in particolare...
 A presto!
Vi abbraccio!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Betty la fea / Vai alla pagina dell'autore: orchidee