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Autore: Moonage Daydreamer    25/10/2018    1 recensioni
All’inizio del tempo il Dio si unì alla Dea ed essi generarono la vita e l’universo.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In Principium
 
 
All’inizio del tempo il Dio si unì alla Dea ed essi generarono la vita e l’universo; il giorno seguente la Dea partorì la stirpe immortale degli dei, e i suoi figli divini presero la materia informe che si trovava nel cosmo e la modellarono, dando forma alla volta dei cieli e, nel centro di questa, alle terre beate che essi elessero a propria dimora; e lo splendore degli dei era tanto forte e tanto incontenibile che si sparse ai quattro angoli dell’universo, e tramite esso il principio divino infuse di sé ogni cosa.
   Il Dio e la Dea guardavano l’opera dei loro figli e si rallegravano il cuore, ché ovunque si posava il loro sguardo lì c’era bellezza, ed essi amavano la propria progenie e l’universo tutto; ma più di ogni cosa il Dio amava Mòrvegr splendore del mondo, lui che primo fra tutti gli dei aveva aperto gli occhi sul cosmo e con la sua prima parola aveva generato il sole e tutte le stelle; egli era forte e saggio ed amava i suoi fratelli ed era da essi amato, e gli dei lo vollero come re e costruirono per lui una splendida casa nel mezzo delle terre beate.       
   Qui la stirpe divina visse lieta per innumerevoli anni cantando in nome del Dio e della Dea e del Tutto divino che permea ogni cosa; Mòrvegr splendore del mondo era un sovrano giusto e potente e sotto la sua guida gli dei costruirono nuovi palazzi e adornarono le terre beate di giardini e foreste e oceani luminosi, ma nel suo cuore albergava la forza delle stelle che muoiono e rinascono, e il suo orgoglio e la sua ambizione non conoscevano limiti. Allora il Dio ebbe paura, ché era scritto che il suo primo figlio imbracciasse le armi contro di lui, ma la forza di Mòrvegr era cresciuta tanto che egli non poteva più predire l’esito della battaglia; il suo timore alimentò la sua collera, che fu immensa.  
   Per secoli interi durò la guerra fra il padre e il figlio divini e mai più l’universo vide uno scontro tanto immenso e terribile. Il sole si oscurò, le stelle perirono e l’universo precipitò nel buio. L’intera terra beata fu percorsa da violenti tremiti e si spezzò, e le case che gli dei tanto avevano amato crollarono e si persero per sempre nella voragine sempre più grande del Nulla. Con tutto il loro infinito potere gli immortali riuscirono a salvare soltanto un fragile virgulto, che la Dea prese con sé e piantò in un angolo riparato dell’universo, dove la furia dello scontro non poteva toccarlo; ella lo nutrì di tutto il suo amore e del suo dolore finché esso crebbe in un grande e forte albero e tra le sue fronde offrì riparo agli dei; ed essi gli diedero il nome di Viðrheim e cominciarono a costruire nuove case sui suoi rami, che nella loro ombra facevano da scudo al lembo d universo risparmiato dal Nulla. 
   Alla fine, la guerra cessò e benché la forza dei due contendenti fosse la stessa e molte le ferite subite da entrambi, Mòrvegr splendore del mondo venne sconfitto; il Dio, che pure lo amava ancora, si erse su di lui in tutta la sua collera, lo spogliò del suo nome e lo cacciò in esilio nell’abisso del Nulla che la loro stessa lotta aveva creato.
   Allora si levò un grido straziante che scosse le alte aule degli dei, ed era stata Cynedæl la Bella ad emetterlo, lei che porta la dolcezza dell’alba e nel cui nome gli amanti cantano e si uniscono a primavera, lei che più di tutti gli dei amava Mòrvegr splendore del mondo ed era da lui riamata. Fu nel momento in cui vide il proprio sposo precipitare nel Nulla che Cynedæl la Bella scoprì di avere nel cuore il fuoco ardente della furia che spinge alla guerra, ed ella pianse e gridò e maledisse il nome del Dio, finché nella disperazione strappò a forza dal proprio essere ogni segno della divinità. Invano i suoi fratelli tentarono di fermarla, ché il furore di chi soffre la rendeva invincibile.       
   Soltanto quando l’atto tremendo fu compiuto ed ella giacque a terra, tremante e preda di un’agonia che neppure un dio avrebbe potuto sopportare, soltanto allora il Dio si rivolse verso di lei, ma subito la Dea si frappose tra loro, ché se era stata impotente di fronte alla caduta di Mòrvegr, nulla le avrebbe ora impedito di difendere la propria figlia più amata; ma quando il Dio posò gli occhi sulla figura mutilata e sofferente di Cynedæl la Bella, la sua collera svanì come neve al sole ed egli ebbe pietà di lei e del suo gesto folle e disperato. Ma Cynedæl aveva amato Mòrvegr splendore del mondo più di quanto amasse il Dio, e ciò non poteva essere tollerato, né poteva chi aveva rifiutato i segni della natura divina trovare riparo in Viðrheim.      
   La Dea prese fra le sue braccia Cynedæl la Bella e guarì le sue ferite mentre gli dei costruivano per lei una nuova casa, su un terra che essi crearono sospesa a metà strada fra le aule divine di Viðrheim e l’abisso del Nulla in cui Mòrvegr era confinato in eterno. Fu un giorno infelice per la stirpe degli dei, quello in cui, dopo aver visto cadere il loro grande re, essi dovettero dire addio a Cynedæl la Bella, ché in questo modo avevano perduto le loro stelle più luminose né lo splendore dei tempi beati mai in seguito fu più uguagliato, nemmeno nei cieli.

   A lungo Cynedæl la Bella vagò sola sulla nuova terra, che era spoglia e deserta, e pianse lo sposo perduto e il suo destino amaro. E le sue lacrime erano tante che bagnarono la terra e nel farlo la fecondarono e dovunque la dea fosse spinta dal proprio dolore lì dalla terra cresceva la vita. Cynedæl errò senza meta, senza che nemmeno la bellezza che cominciava a fiorire intorno a lei potesse consolarla, finché giunse in un punto in cui la terra era benevola ed era protetta da due grandi rocce che si ergevano a scudo contro i venti più freddi; qui ella si accasciò, spossata dal lungo cammino e dal dolore e dal lutto, e qui ella partorì il frutto del proprio amore per Mòrvegr splendore del mondo, e divenne la Grande Madre di tutti gli uomini, che la chiamarono Moðlundë e composero inni in suo onore.  
     E Cynedæl Moðlundë insegnò ai propri figli i nomi di tutti gli dei e mostrò loro le arti che aveva viste nelle terre beate; grazie a lei gli uomini si sparsero per la terra costruendo case e innalzando edifici e statue che volevano imitare una bellezza che non era di questo mondo, finché presto anche gli altri immortali cominciarono ad interessarsi delle sorti della stirpe di Nyrheim – così infatti essi chiamavano la terra che avevano plasmata per Cynedæl la Bella –, e li ammaestrarono alle loro opere rendendoli parte della propria infinita conoscenza. E gli uomini rendevano grazie agli dei e cominciarono ad amarli e a costruire per loro magnifici templi, ma sempre più di tutti essi amavano Moðlundë, colei il cui nome essi invocavano in battaglia e nell’estasi amorosa e nel momento in cui la vita abbandonava il loro corpo; infatti, l’essenza di Cynedæl la Bella era ormai mutilata e incompleta quando ella aveva partorito, e così pure quella dei suoi figli, che non erano già dei, ma uomini mortali, e crebbero e si moltiplicarono ed estesero il loro dominio sul mondo sempre sotto la lunga ombra della paura per qualcosa che nemmeno la stirpe divina avrebbe mai potuto conoscere, la morte amara e terribile che distrugge ogni gioia.
   Soltanto gli dei potevano sapere cosa succedesse all’anima, quella scintilla divina presente nell’uomo, una volta strappata crudelmente al corpo, ma i canti degli antichi sapienti raccontavano della sua discesa lungo la via tortuosa che si diceva congiungesse Nyrheim all’abisso del Nulla in cui Mòrvegr regnava sovrano – e che gli uomini per questo chiamarono Atalldûr, il Re Terribile della morte portatrice di pianto.

   Per millenni Cynedæl Moðlundë rimase a Nyrheim e vegliò sui suoi figli, vagando di luogo in luogo sotto mentite spoglie e prestando il proprio soccorso a chi lo invocava sinceramente, e soprattutto ai guerrieri forti di spirito, che sempre avevano il suo favore, e alle donne in travaglio. Ella vide imperi splendenti nascere e sgretolarsi sotto i colpi del tempo, vide grandi re e uomini gloriosi plasmare il mondo solo per svanire in seno alla morte terribile che tutto divora, finché venne il tempo in cui sentì scemare in sé le proprie forze.       
   La dea allora abbandonò la compagnia degli uomini e si spoglio del suo aspetto mortale e si rimise in viaggio. Il suo peregrinare solitario la condusse nei luoghi più remoti della terra, là dove né aratro né spada erano mai giunti, fino ad un bosco profondo e selvaggio; al suo cuore Cynedæl Moðlundë trovò una radura illuminata dalle dita rosee dell’alba, nel mezzo della quale, fra l’erba color di smeraldo e avviluppate dall’edera, si ergevano le due enormi rocce che molto tempo addietro, quando Nyrheim era una terra ancora giovane, le avevano offerto un rifugio nel quale partorire. Fu in quel luogo che, dopo aver salutato la terra familiare e benevola come una vecchia amica, Cynedæl la Bella si lasciò cadere e morì.
   Gli dei, che sempre avevano osservato dalle loro dimore di Viðrheim le azioni dell’amata Cynedæl e spesso si erano uniti a lei sulla terra, adombrandosi anch’essi di spoglie mortali, si fecero incontro al suo spirito mentre questo abbandonava il corpo e piansero la sua sorte. Anche il Dio e la Dea lasciarono le loro aule celesti tra le fronde dell’Albero sacro, come mai avevano fatto né mai più avrebbero fatto in seguito. E il Dio si avvicinò all’anima di Cynedæl la Bella e le tese la mano, la sua ira svanita nei lunghi secoli trascorsi; egli le offrì il dono più grande che si potesse ricevere e una via sicura per ritornare nella sua terra natale e riprendere il proprio posto nelle sale degli dei.
   Ma Cynedæl Moðlundë non aveva dimenticato ciò che era accaduto all’alba dei tempi, né il suo cuore aveva smesso di rivolgersi allo sposo perduto. Orgogliosa nella morte quanto lo era stata in vita, Cynedæl la bella rifiutò il dono del Dio e gli voltò le spalle; con infinito dolore essa salutò per un’ultima volta la sua stirpe divina e si rimise in cammino, scomparendo nella nebbia mattutina.

   Nessuno sa cosa successe al suo spirito dopo che ebbe detto addio agli altri dei, ma i poeti antichi affermano che esso vagò ancora a lungo, percorrendo i confini della terra, finché riuscì a trovare l’inizio del sentiero tortuoso che portava all’abisso del Nulla; allora intraprese l’oscura discesa che gli uomini temono sopra ogni cosa. Eppure la dea non sentiva paura, ma al contrario, proprio mentre sprofondava nelle viscere dell’universo e della morte, il suo spirito tornò a splendere.     
   Fu qui, al termine della terribile via, che – così si dice – ebbero fine le peregrinazioni di Cynedæl la bella, ché qui ella si ricongiunse infine al suo amato, e accanto allo sposo divino regnò sulle anime dei morti fino alla fine dei tempi.  




 
  
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