Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Tenar80    25/10/2018    2 recensioni
Di Victor, che deve fare i conti con la realtà
Di Yuuri, che deve fare i conti con Victor
Di Otabek, che deve fare i conti con i propri desideri
Di Yuri, che pretende che tutti che facciano i conti con lui.
Di quello che accade dopo l'ultima immagine della serie, della difficoltà di ancorare le fiabe alla realtà. Una realtà che abbonda di elementi disturbanti quali omofobia, doping, accenni a molestie e ad abuso d'alcool, ma in cui c'è ancora spazio per la tenerezza.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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   – Sei almeno sicuro che sia gay?

    – Martha, quale quindicenne etero direbbe con orgoglio di essere una prima ballerina?

    Otabek, sbuffò.

    Si sentiva ridicolo, stanco e anche un po’ patetico.

    Era mezzanotte e lui era accampato, da solo, nella stanza di Yuri. Sedotto e abbandonato. Se almeno fosse stato sedotto!

    Aveva valutato di spaccarsi la testa su uno spigolo qualsiasi della casa. Ma se non si fosse ucciso a dovere, alla fine Yakov e, sopratutto, Lilia, gli avrebbero fatto pagare per lo scempio procurato alla casa. Era facile immaginarsi Lilia che lo scuoteva da uno stato di svenimento, gli applicava sommariamente qualche punto in fronte e poi lo obbligava a pulire. L’altra alternativa era spulciare il computer che Yuri, almeno, gli aveva gentilmente concesso in uso alla ricerca dei file più privati del ragazzo. Ma non aveva ancora abdicato del tutto alla propria dignità, o, almeno, ci sperava. Quindi aveva attivato Skype nella speranza che Martha, sette ore più indietro, fosse rientrata in camera. Almeno si sarebbe sfogato. Tra l’autolesionismo, il guardone o la ragazzetta isterica, alla fine aveva vinto la ragazzetta isterica.

    – Quindi è gay e ti ha mollato a casa per dare man forte al suo compagno di allenamento. Direi che è del compagno di allenamento che si è innamorato.

    Martha, da dietro i suoi occhiali tondi, gli servì un’eloquente occhiata con quei suoi occhi da gatto. Ancora in quel momento, Otabek non sapeva dire se lui avesse una fissa per gli occhi di quel particolare verde felino o se anche quattro anni prima avesse notato quelli della ragazza perché già pensava agli occhi di Yuri. Né sapeva spiegarsi come fosse rimasto amico di una che, dopo che avevano fatto sesso, se ne era uscita con un «non sei stato affatto male, considerato che sei gay».

    – È ovvio che è innamorato del suo compagno di allenamento. È Victor – replicò

    Dallo sguardo della ragazza si rese conto di dover contestualizzare. Aveva conosciuto Martha al corso di matematica avanzata del liceo che aveva frequentato a Ottawa. Non era mai riuscito a farle capire un gran che di pattinaggio, quindi le inviò un link e le diede il tempo di guardare il video su youtube. Tanto di tempo ne aveva, considerato che di Yuri e Yakov non c’era ancora alcuna traccia.

    – È carino, in effetti, e mi sembra notevole da un punto di vista atletico. Però è troppo grande per il tuo ragazzino.

    – E, grazie ad Allah, fidanzatissimo. Ma per noi è una sorta di idolo. Tutta la mia generazione di atleti è cresciuta con un’ammirazione per Victor che rasenta l’innamoramento.

    – Anche tu?

    – No, io appartengo alla fazione che lo trova meraviglioso sulla pista e che per tanto preferirebbe saperlo morto – replicò Otabek.

    Di sicuro lo avrebbe preferito morto in quel momento.

    – Comunque penso che Yuri non sappia razionalizzare i propri sentimenti.

    – A quindici anni ormai voi maschietti dovreste aver capito cosa ve lo fa rizzare.

    Il commento di Martha quasi lo fece arrossire.

    Ma era per questo, supponeva, che era la sua unica amica. Era impensabile far quel genere di  discorsi con una ragazza kazaka o anche con un ragazzo kazako. In effetti conoscerla era stato un bello shock culturale.

    – Tu non capisci – disse. – Pensa a me quando sono arrivato a Ottawa. E io ero di mentalità aperta. Qui non si può essere gay. Se ti piacciono gli uomini e non vuoi finire al rogo o aspetti che ti passi, secondo il vecchio adagio che è una fase, o fai finta che non sia così. Se sei Yuri, sublimi tutto col pattinaggio.

    – Quindi mi stai dicendo che ti sei reso conto di essere innamorato perso di un ragazzino represso che non ammetterebbe neppure sotto tortura di essere gay e che, se anche lo facesse, probabilmente ti direbbe che il suo sogno erotico è sempre stato un altro – riassunse Martha.

    Avrebbe dovuto scegliere lo spigolo.

    – Non sono innamorato perso. Diciamo che ho mal interpretato alcuni indizi e quindi ho dato per scontato qualcosa per cui, forse, Yuri non è ancora pronto.

    – Cacciagli la lingua in bocca e risolvila così.

    – Ma sei scema! Così mi cava gli occhi e poi scappa in Siberia.

    – Sei innamorato perso.

    – Io non mi innamoro mai!

    Martha si sistemò i capelli castani e di nuovo lo guardò con quella sua espressione da futura professoressa di matematica.

    – Marcus – si limitò a dire.

    Otabek ringraziò il Cielo di non arrossire facilmente.

    – Non ero innamorato di Marcus.

    – Quindi gli scodinzolavi dietro come un cagnetto per puro sport?

    – Era una persona interessante. E mi piaceva uscire con lui. E anche andarci a letto, va bene?

    – Sei un dannato romantico, Otabek. Ammettilo, almeno una volta.

    Il kazako evitò di replicare. Non aveva senso. C’erano cose che con tutta la sua intelligenza, Martha, agguerrita femminista figlia di un’agguerrita femminista, non poteva capire. Non poteva capire cosa volesse dire per un kazako mussulmano che ha di tanto in tanto fantasticato sul sesso tra uomini trovarsi in un posto dove cose del genere uscivano dallo spettro dell’indicibile per entrare in quello del possibile. Né poteva capire cosa significasse trovarsi corteggiato in modo garbato, ma insistente, da un dottorando in matematica di quasi dieci anni più grande, di aspetto decisamente gradevole, pronto a guidarlo in quello che per lui era sempre stato il territorio di un peccato che mai avrebbe avuto il coraggio di commettere.

    – Il problema è che vivi in un mondo troppo semplice – sbuffò.

    – Sì. E nel mio mondo un ragazzo che prima si veste da cigno bianco e poi si fa togliere indumenti con i denti desidera solo che tutti i suoi orifizi vengano indagati. Il prodotto sembra interessante, se ti piace il genere, e quindi ti consiglio di affrettarti, prima che si faccia vivo qualche altro compratore. Anzi, vista l’ora che è lì da te, io mi assicurerei che l’acquisto non sia già in atto.

    – Martha! – esclamò Otabek. Poi fu gelato da dei rumori provenienti dall’appartamento. – È tornato! 

    Chiuse la videochiamata con la stessa velocità con cui chiudeva i porno quando sua madre o sua sorella stavano per fare irruzione in camera.   

    – Sei ancora sveglio? – chiese Yuri un istante dopo, gettando la giacca a vento direttamente per terra.

    – Com’è andata? – domandò Otabek, ritenendo inutile rispondere.

    – Sono degli idioti, tutti quanti, Yakov compreso – borbottò il ragazzo che aveva preso a togliersi gli indumenti uno dopo l’altro, in uno spogliarello disordinato, ma non per questo meno affascinante. – Dei geni del pattinaggio, sia chiaro, ma degli idioti totali.

    Sbadigliò come faceva a volte il fratellino più piccolo di Otabek, che aveva sette anni, dando bella mostra di ugola e tonsille.

    – Dio, come sono stanco.

    – Sei in piedi dall’alba, hai gareggiato, vorrei ben vedere.

    – E domani mattina stretching e palestra. A volte penso che sia quasi meglio studiare.

    La smorfia con cui accompagnò quella frase la diceva lunga su cosa pensasse davvero.

    – Guarda che i libri non mordono!

    – Non ho alcuna prova che non lo facciano.

    Ormai gli erano rimasti addosso solo i boxer. Infilò una mano nel marasma di coperte e oggetti non identificati che c’era sul suo letto e estrasse la casacca di un pigiama bianco.

    Quando Otabek vide il disegno che vi era stato stampato strabuzzò gli occhi.

    – Che ha che non va? È uguale a Sua Maestà.

    Vero. Rappresentava un leziosissimo muso felino dagli occhi turchesi.

    – Mia sorella ne ha uno quasi uguale. 

    Otabek ci mise tutta la propria buona volontà per imprimere alla frase un tono neutro e evitare di iniziare a ridacchiare in modo isterico.

    Yuri, però, lo guardò per un istante come se non riuscisse a spiegarsi il commento, poi sbadigliò di nuovo, estrasse i pantaloni e, più che entrare nel letto, si mise a far parte del suo disordine.

    – Buonanotte – mugolò.
 

*

Sabato

 

        Il suono del cellulare, lasciato sulla panca addossata alla parete della sala danza, riportò Victor al presente.

    Yuuri si era svegliato? Nonostante i propositi del giapponese, Victor non aveva avuto cuore di svegliarlo. Quando aveva lasciato la camera da letto il ragazzo stava dormendo con un mezzo sorriso in volto e una mano posata sulla schiena di Makkachin che, dal canto suo, si era limitato a socchiudere un occhio. Disturbarli sarebbe stato un delitto.

    Non era Yuuri. Era Ludmilla. Ma che ore erano? Le undici e venti. Avevano l’inaugurazione del  super store o quello che era a mezzogiorno. Fece una smorfia, mentre digitava veloce una risposta. L’arpia era già appostata fuori dal palazzetto, per prevenire qualsiasi tentazione di fuga.

    E dire che la mattinata, considerata la giornata precedente, aveva riservato alcune piacevoli sorprese, oltre al sorriso addormentato del suo ragazzo. C’era stato un momento, durante l’allenamento, in cui quasi Victor si era aspettato di sentire i propri capelli lunghi sul viso. Solo allora si era accorto che non c’era nessun muscolo che gli dolesse, che neppure la caviglia si stava lamentando. Nonostante la gara del giorno precedente, si stava muovendo senza pensare, con in circolo le endorfine dovute allo sforzo che gli davano la sensazione di essere là dove Dio lo aveva immaginato. E in quel momento la domanda di Yakov, Cosa sei tornato per fare? aveva assunto un significato del tutto diverso. Come se lui stesso non vedesse l’ora di scoprirne la risposta.

    Scosse il capo. Doveva sbrigarsi. Se si fosse comportato da bravo ragazzo, da bravo ragazzo puntuale, forse gli sarebbe stato concesso un intero pomeriggio con Yuuri. Si trattava di passare con Ludmilla non più di due ore. Quanto poteva disgustarlo in due ore?

 

    Lei lo aspettava in piedi, appoggiata alla propria auto, di fronte all’entrata del palazzetto.

    Bella era bella. Nel piumino argentato disegnato per esaltare la sua figura magra e slanciata, con il trucco leggero a sottolineare l’intensità dello sguardo, Ludmilla aveva un’eleganza altera che persino Lilia avrebbe approvato. Anche tenendo conto delle specifiche caratteristiche delle rispettive discipline, aveva vinto più di lui. Era stato un idiota autolesionista su tutta la linea, ma almeno poteva riconoscersi qualche attenuante.

    – Alla buonora – lo salutò la donna. – Devi dormire di più, hai le occhiaie.

    – Scusa tanto se sono nel bel mezzo delle nazionali.

    – Inizia a esercitarti, dammi un bacetto.

    Victor sospirò.

    – Abbiamo preso degli impegni. Che rispetterò. Poserò insieme a te davanti ai fotografi. Ma non ho intenzione di prestarmi ad alcuna farsa.

    Lei arricciò il naso.

    – Come vuoi. Sei tu quello che ha tutto da perdere. Sali.

    – Non sfidarmi, Ludmilla – replicò, cercando il suo sguardo.

    Quando furono in auto, la donna si tolse i guanti per guidare.

    – Non avevi quell’anello, ieri – commentò Victor, notando il brillante al suo anulare sinistro.

    – Ieri non avevo motivo di metterlo – replicò lei.

    – Dimmi che non hai intenzione di fingere che te l’abbia regalato io.

    Ludmilla non lo degnò di uno sguardo, concentrata sul traffico.

    – Non ho intenzione di fare alcun che, lascerò che siano gli altri a trarre le conclusioni che preferiscono.

    – Non puoi vivere in un castello di menzogne, Milly – disse Victor, con più dolcezza.

    Suo malgrado, quello che provava per lei era più che altro tristezza.

    Al contrario, da come contrasse i muscoli delle mani, Ludmilla per lui provava rabbia pura.

    – Senti, mettiamo le cose in chiaro. Tu per me puoi farti anche tutto il Giappone – ringhiò. – Ma siamo una coppia che funziona. Io sono stata portabandiera alle olimpiadi, tu potresti esserlo alle prossime. Noi siamo il volto della Russia. Ci pagano bene per esserlo. Ti viene chiesto di evitare di sbaciucchiarti in pubblico il tuo allievo e di assecondarmi. Persino un idiota come te dovrebbe capire cosa gli conviene.

    Victor prese a tamburellare con le dita sulla propria gamba.

    – Hai ragione. Tu sei il volto perfetto della Russia. Io preferisco continuare a riuscire a guardare allo specchio il mio.

    – Sei uno stupido bambino viziato a cui piace atteggiarsi a superiore. Ostentando la tua relazione con un uomo offendi uno stato che ti ha nutrito, coccolato e vezzeggiato per anni. E, mio caro uomo perfetto, lo sa il tuo giapponesino come sei davvero? Lo sa perché sei senza macchina?

    Victor prese un respiro. L’abitacolo era troppo caldo per starci con la giacca e il deodorante per auto aveva un profumo dolciastro e oppressivo. Forse, se fosse arrivato a destinazione già sul punto di sentirsi male, lo avrebbero lasciato fuggire?

    – La verità è che senza di me non rendi abbastanza – replicò. – La maggior parte degli sponsor ci vuole insieme, vuole vendere la favola e la sola principessa non basta. Fai attenzione. Se tiri troppo la corda non ti resteranno neanche le briciole.

    Ludmilla smise un istante di guardare la strada per fissarlo.

    – Ci sei dentro anche tu – disse, con un’incertezza appena percepibile.

    – Tu credi?

    Erano arrivati.

    Il marchio sportivo di cui entrambi erano sponsor inaugurava un nuovo punto vendita monomarca in pieno centro. Non poteva essere così terribile. Dopo tutto si trattava solo di sorridere, di fingere di conoscere le persone che si aspettavano di essere riconosciute e di annuire ai discorsi. In cambio avrebbe avuto un calice di vino e qualche stuzzichino, come si conveniva a un cane ben addestrato. Per cercare un sorriso un po’ meno finto, Victor immaginò come si sarebbe comportato Yuuri nella stessa situazione. Lo visualizzò a cercare di mimetizzarsi tra i manichini, come un camaleonte tra i fiori di una giungla. Chissà se si rendeva conto che, in fondo, certe situazioni lo mettevano a disagio nello stesso modo. Victor, però, al contrario di Yuuri, fin da bambino aveva imparato a fingere.

    All’inizio non fu terribile. Come previsto bastava seguire il copione. Victor e Ludmilla fecero alcune foto. Lei tagliò il nastro e lui stappò lo spumante. Fecero un beve discorso su quanto performanti fossero i prodotti in vendita. Quel marchio non produceva pattini e Victor non si sentì in particolare disagio a magnificare le qualità di una tuta comoda quanto qualsiasi altra e delle scarpe da corsa che odiava cordialmente, ma per un astio che nulla aveva a che fare con la triplice suola o col plantare a memoria di forma. Poi vennero sciolti i ranghi e arrivò il momento di svolgere il proprio lavoro di bestie ammaestrate.

    Nessuno degli invitati era a conoscenza della sua relazione con Yuuri. Victor aveva scoperto che Yakov aveva allungato una mazzetta a chi di dovere perché la registrazione della gara in Cina andasse in onda in Russia privata di alcuni fotogrammi. Il bacio tra lui e Yuuri era reperibile su youtube, per chi volesse cercalo, ma in una ripresa in cui poteva in qualche modo essere scambiato per un abbraccio affettuoso. Una parte di Victor voleva dare un pugno a Yakov per quello, ma rimaneva il fatto che l’allenatore aveva speso denaro, non voleva neppure immaginare quanto, per salvare la sua immagine in un momento in cui neppure si parlavano e in cui in pubblico Yakov diceva il peggio possibile di lui. Nell’ambiente del pattinaggio, ormai, la sua relazione era nota, con gli effetti che aveva sperimentato il giorno precedente, ma là fuori poteva ancora recitare la sua parte. Quindi si sforzò di sorridere, rispondere alle domande, e magnificare l’abbigliamento. Da quel momento, pensò, quella sarebbe stata la norma. Avrebbe dovuto presenziare a decine, centinaia di eventi simile. Mai una volta con Yuuri al suo fianco. Avrebbero potuto dividere la pista, l’allenatore e l’appartamento, ma ogni volta che fossero stati in pubblico avrebbero dovuto centellinare i gesti. Avrebbe dovuto mentire davanti a domande dirette. Recuperò un calice di champagne da un cameriere di passaggio per annegarci dentro il disagio.  Era abituato a omettere, ma non a una vita come quella che si prospettava. Le sue esperienze con gli uomini erano state per la maggior parte fughe di una notte o poco più. Non era neppure valsa la pena di nasconderle. Chris era stato un’eccezione, ma da che avevano raggiunto l’età della ragione avevano convenuto che la loro era un’amicizia a cui capitava ogni tanto di sconfinare. E, in ogni caso, questo strabordare dei confini non era mai avvenuto in Russia. Immaginò di aver portato con sé Yuuri e di essere obbligato a non sfiorarlo, a non cercare di continuo il suo sguardo, di rispondere in modo vago con lui al fianco a domande sulla sua situazione sentimentale.

    – Non stare rigido come un salmone affumicato – gli sussurrò Ludmilla, posandogli una mano sulla spalla.

    Senza alcun permesso, strofinò la testa contro la sua guancia, come un gatto troppo invadente, che viene a lasciare il proprio pelo senza essere stato invitato.

    Prima che Victor potesse scostarsi di un passo, li raggiunse una donna che aveva tutta l’aria di essere una giornalista di una qualche testata femminile.

    – Il signor Nikiforov è stato parecchio all’estero e avevo sentito dire che i vostri rapporti si fossero raffreddati – disse. – Mi fa piacere sapere che non è così.

    Ludmilla non disse nulla, ma la sua presa sulla spalla di Victor si fece più forte e fece in modo di mettere in bella mostra il proprio anello.

    Victor vide lo sguardo della donna passare dal brillante dell’astista alla mano del pattinatore, dove stava un altro anello, più discreto.

    – Si prevedono novità? – aggiunse, con fare cospiratorio.

    – Lasciamo tempo al tempo – sussurrò Ludmilla, esibendo il migliore dei suoi sorrisi.

    Victor si sentì scomodo e sudato, nonostante l’abbigliamento sportivo. Immaginò che Yuuri fosse lì e lo osservasse da lontano, con quel suo sguardo che non gli imponeva mai niente, triste dietro gli occhiali.

    – Non le novità a cui forse allude – disse. – Ho grande stima per la signorina Sopronova a cui, come vede, mi lega un’affettuosa amicizia che spero non si esaurisca mai. Ma tra noi al momento non c’è altro.

    Con un movimento che sperò elegante, si sottrasse al tocco di Ludmilla, terminò il vino rimasto nel calice e si allontanò.

    Ludmilla era troppo abituata all’autocontrollo per fare una scenata in pubblico, ma per tornare a casa avrebbe dovuto prendere un taxi. 

 

   
 
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