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Autore: Sognatrice_2000    26/10/2018    1 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
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 Elijah

 

 

 

 

 

“Oddio, oddio, non indovinerai quello che è successo stamattina!” Gli occhi di Elena brillano di entusiasmo, gli angoli della bocca rivolti all’insù a formare un sorrisetto malizioso. 

Lascio cadere lo zaino in terra e crollo sulla sedia accanto alla sua. 

Sono un po’ sorpreso che sia tornata a rivolgermi la parola di punto in bianco dopo due settimane di assoluto silenzio.

Dopo che Niklaus aveva rifiutato le avance di Caroline in modo davvero poco galante Elena mi aveva tenuto il broncio fino ad oggi.

Dev’essere sicuramente successo di qualcosa di straordinario. “Cosa?” Metto su il mio miglior sorriso di circostanza, fingendo di essere interessato a quello che ha da dire.

“Hayley Marshall! Mi ha detto che vuole chiederti di uscire!”

La sua voce si impenna per l’entusiasmo. “Pensi di accettare?”

Hayley Marshall… certo, adesso ricordo.

Non frequenta la mia stessa classe, ma dato che mi aveva chiesto di aiutarla con l’algebra avevamo studiato insieme un paio di volte.

Mi ero trovato bene con lei, dovevo riconoscerlo.

A parte Elena, era l’unica ragazza di cui apprezzavo la compagnia.

Era intelligente, ironica e schietta e, inutile negarlo, era anche molto bella, con quei lunghi capelli castani che le accarezzavano le spalle, le labbra carnose e le gambe chilometriche degne di una modella.

Metà dei ragazzi della scuola le faceva il filo, ma lei rifiutava qualsiasi appuntamento.

“Quando uscirò con un ragazzo, voglio essere sicura di piacergli davvero, non solo per il mio aspetto.”

Mi aveva confessato una volta.

Lei non era come le altre ragazze: non le interessavano trucchi e bei vestiti, non le interessava essere bella a tutti i costi-anche se lo era-, e non perdeva tempo con sciocche moine o altre tecniche di seduzione.

“Allora? Pensi di accettare?” Mi incalza Elena, chiaramente spazientita dal mio silenzio.

“Non lo so.” Alzo le spalle, indifferente. “Hayley mi piace, ma non in quel senso. È un’amica, niente di più.” 

“Dalle almeno una possibilità. Hayley potrebbe avere qualunque ragazzo vuole, eppure è interessata a te.”

“Che onore.”

Elena mi fissa a  bocca aperta, scioccata dal mio tono sarcastico. “Ma si può sapere che ti prende? È bella, è popolare, e l’hai detto tu stesso che ti piace!”

Sospiro sconfortato. “Mi piace come amica, Elena, non ho mai detto di volerci uscire insieme.”

Un sorriso furbo le piega gli angoli della bocca.

“Beh, è un vero peccato, perché le ho già detto che non vedi l’ora di uscire con lei.”  

“Che cosa?”

“Mi sono avvicinata per capire se faceva sul serio e lei mi ha chiesto se pensavo che tu saresti stato interessato! Ovviamente gli ho detto di sì!”  

“Elena! Dille che ti sei sbagliata. Diglielo durante l’intervallo.”

“Perché la fai tanto difficile? È solo un appuntamento, mica ti ha chiesto di sposarla!”

Forse ha ragione. Forse ho bisogno di un diversivo.

Una giornata come tante, da passare al cinema o in un bar in compagnia di una ragazza che mi piace.

Come un ragazzo normale, senza dovermi preoccupare costantemente della scuola, dei soldi, della famiglia.

Di Niklaus.

Una giornata in cui non pensare, accantonare tutti i dubbi e le paure e quella confusione e quell’affetto a cui non so dare un nome che cresce e cresce e fa solo più male.

Una giornata lontano da lui, perché devo di stargli lontano, perché ho troppo bisogno di lui e questo nostro legame diventasse ancora più intenso non potremmo più tornare indietro.

E poi Hayley è davvero molto carina. Ha lo stesso colore di capelli di Niklaus. Forse solo un po’ più scuri.

E gli occhi sono azzurri, come i suoi.

D’improvviso l’idea di uscire con lei non sembra più così terribile.

 

 

**

 

 

 

Dopo l’ultima campanella Hayley si avvicina al mio armadietto col solito piglio deciso. “Allora, venerdì sei libero?” Chiede a bruciapelo, saltando i saluti.

Mi mordo il labbro inferiore per reprimere un sorriso. Dritta al punto, come sempre. “Sì, sono libero.”

 “Conosco un locale carino da queste parti. Ti andrebbe di… non so… andarci insieme?” Sembra quasi imbarazzata, atteggiamento del tutto inusuale per lei. “Fanno ottimi piatti italiani. A te piace la pizza?”

“Penso che lo scoprirò venerdì.”

Mi sorride, un sorriso dolce e genuino, evidentemente più rilassata.

“Okay. Allora ci vediamo venerdì… alle sette?”

“Perfetto. È probabile che a quell’ora sarò ancora impegnato a cercare di convincere i miei fratelli a mangiare la cena di Niklaus.” Mi sfugge una lieve risata, immaginando Kol che protesta come al solito e Rebekah che di nascosto tira fuori la lingua disgustata indicando il piatto. Mio fratello è davvero un pessimo cuoco, devo ammetterlo- no, basta pensare a lui. Basta parlare di lui. 

“Intendevo dire che ho davvero tante cose da fare… possiamo vederci direttamente davanti a casa mia?”

“Certo, nessun problema. Mi dai l’indirizzo?”

Lo scrivo velocemente su un pezzo di carta, riflettendo se sia una buona idea. Forse avrei dovuto dirle di incontrarci direttamente al ristorante… ma no, non c’è nessuna ragione per cui non dovrebbe venire a casa mia.

Anzi, se Niklaus dovesse vederla forse seguirebbe il mio esempio e inizierebbe a costruirsi una sua vita, ad allontanarsi da me…

Sento gli occhi iniziare a farsi lucidi, un peso insopportabile che mi preme sul petto.

È giusto così. Non c’è niente di male ad uscire insieme a Hayley. 

Probabilmente Niklaus ci riderà sopra quando lo saprà, chiedendosi cosa abbia trovato di speciale in me una ragazza bella e popolare come lei.

 

No, non voglio che ci rida sopra e che mi prenda in giro… voglio che si arrabbi, voglio che si disperi, voglio che mi prenda a pugni e poi mi abbracci e voglio che mi dica che devo essere solo suo… 

 

 

“A venerdì.” Le passo velocemente il pezzo di carta con l’indirizzo e mi avvio a grandi passi verso l’uscita,  terrorizzato all’idea che sia riuscita a intuire i miei pensieri attraverso il mio sguardo, attraverso il mio respiro affannoso e il cuore che mi martella furiosamente nel petto.

Devo calmarmi.

È solo una cena tra amici, niente di più.

Non sto facendo niente di sbagliato.

Continuo a ripetermelo senza sosta per tutto il giorno, finché a un certo punto quasi inizio a crederci davvero.

Verso sera, mentre sto seduto in cucina ad aiutare Freya e Rebekah con i compiti, ripenso continuamente alla conversazione con Hayley, al modo in cui mi sorrideva.

Fa bene sentirsi apprezzati, desiderati. Anche se dalla persona sbagliata.

Sfortunatamente mi sono lasciato sfuggire la cosa con Freya e Rebekah. 

Sono passato a prenderle con dieci minuti di ritardo e nella mia infinita stupidità, quando Rebekah ha voluto sapere il perché, ancora un po’ annebbiato, gli ho detto che mi ero messo a parlare con una ragazza di scuola. 

Pensavo che la cosa finisse lì, ma avevo dimenticato che Rebekah ha solo sette anni.  

“Elijah ha una ragazza, Elijah ha una ragazza, Elijah ha una ragazza!” Ha canticchiato per tutto il tempo fino a casa. 

Freya aveva l’aria preoccupata. “Vuol dire che te ne andrai di casa e ti sposerai?”

“No, certo che no.” Ho riso, cercando di rassicurarla.  “Significa solo che ho un’ amica e che ogni tanto andrò  a trovarla.” 

“Come mamma e David?”  

“No, certo che no! Probabilmente ci uscirò solo una o due volte. E se poi dovessi uscirci di più, sarebbe comunque di rado. E ovviamente solo quando c’è Nik a casa a occuparsi di voi.” Un nodo mi si era formato in gola, ma fortunatamente Freya e Rebekah erano troppo eccitate dalla novità della fidanzata per notare che la mia voce aveva iniziato a tremare quando avevo pronunciato il suo nome.

“Elijah ha una fidanzata!” Annuncia Rebekah, mentre Kol entra sbattendo la porta e fa un giro di ricognizione in cucina in cerca di qualcosa da sgranocchiare. 

“Bene. Vi auguro figli maschi e tanta felicità.” Per l’ora di cena, Kol ha già altre cose per la testa, in particolare la partita di pallone che i suoi amici giocano rumorosamente e poco rispettosamente proprio fuori dalla nostra porta, mentre lui è costretto a restare in casa a finire i compiti. Rebekah sta studiando i “materiali” a scuola e vuole sapere il materiale di ogni cosa: piatti, posate, la brocca dell’acqua. Kol, annoiato, è in uno dei suoi stati d’animo più pericolosi: cerca di provocare tutti per poi piazzarsi nell’occhio del ciclone e ridere del caos che ha suscitato intorno a sé. 

Spero davvero che non si metta di nuovo a litigare con Nik.

Mio fratello oggi sembra particolarmente di cattivo umore: da quando sono rientrato, esattamente due ore fa, è sempre stato seduto silenzioso al tavolo della cucina, continuando a mordicchiarsi nervosamente il labbro.

Non ha nemmeno fatto cenno di essersi accorto delle prese in giro di Rebekah riguardo alla mia “fidanzata”.

Mi accorgo di colpo che negli ultimi tempi la sua ferita si è ingrandita, che ci si accanisce sopra sempre di più. 

Sembra così dolorante e rossa che vederlo mordicchiarsela a quel modo mi fa venire voglia di piangere. 

Alzandomi per aiutarlo a sparecchiare, ricordo a Kol che tocca a lui lavare i piatti e, senza neanche pensarci, sfioro la mano di Niklaus per richiamare la sua attenzione. 

Ma questa volta, con mia grande sorpresa, non mi respinge. 

“Dovresti smetterla, sai?” Dico con dolcezza, sfiorandogli il labbro inferiore con il pollice. “Così peggiorerà e basta.” Lo vedo socchiudere le palpebre e tremare impercettibilmente contro la mia mano, abbandonandosi al mio tocco.

“Scusami.” Si allontana senza preavviso e preme imbarazzato il dorso della mano contro la bocca. 

“Sì, fa proprio schifo ormai.” Kol coglie l’opportunità di intervenire, con voce grossa e arrogante, mentre butta rumorosamente e in malo modo un’intera pila di piatti nel lavandino. “La gente a scuola mi chiede se è una malattia o cosa.” 

“Kol, smettila subito.” Sfortunatamente, lui non sembra cogliere il tono di rimprovero della mia voce.

“Che c’è? Ti sto solo dando ragione. Fa schifo e se continua a mordersela, finirà per sfigurarsi.”

Tento di lanciargli una delle mie occhiate d’avvertimento, ma lui evita di proposito il mio sguardo, rovesciando altre stoviglie nel lavandino. 

Niklaus si appoggia con una spalla alla parete, in attesa che l’acqua del bollitore sia pronta, lo sguardo fisso fuori dalla finestra buia. Decido di dare una mano a Kol con i piatti. Niklaus sembra quasi paralizzato e non mi va di lasciarli soli, mentre Kol sembra avere voglia di litigare con il mondo intero. 

“Così ti sei trovato finalmente una ragazza?” Osserva Kol sarcastico, mentre lo affianco al lavandino. “Ma chi diavolo è?”

D’istinto il mio sguardo vola in direzione di Niklaus, ma lui rimane in silenzio, la faccia stranamente cupa.

“Non è la mia ragazza.” Mi affretto a correggere Kol, sentendo un panico irrazionale montarmi nello stomaco.

“È… è un’amica che mi ha chiesto di uscire per…” M’interrompo. Niklaus mi guarda fisso.  

“Per… andarci a letto?” Suggerisce Kol.  

Ho un sussulto, i piatti mi scivolano quasi di mano.

“Mi ha solo chiesto di uscire a cena.”  

“Wow, niente preliminari allora? Dritti al punto, subito a cena fuori.” È evidente che Kol si diverte a mettermi in imbarazzo. “Forse questa ragazza è una che la da a tutti.”

“Smettila di dire stupidaggini. Si chiama Hayley, non la conosci nemmeno." 

“Hayley Marshall?” Ovviamente però Nik la conosce. Dannazione. “Sì.” Mi sforzo d’incrociare il suo sguardo stupito oltre la testa di Kol. “Io… usciamo a cena venerdì. Se per te… puoi… ti va bene?” Non capisco perché a un tratto mi sia così difficile parlare. 

“A-ah! Dovevi prima chiedere il permesso!” Rincara la dose Kol. “Non t’azzardare a fare tardi, mi raccomando. Sai cosa? Già che ci sei, prendi pure il mio ultimo preservativo…”

“Okay, Kol, basta così!” Grido in un improvviso scoppio di rabbia, sbattendo un piatto sul bancone. “Va subito a fare i compiti!”  Ora sono io quello che sta perdendo le staffe, e non è una cosa che capita spesso.

“Bene! Scusate se esisto!” Kol getta la spugnetta nel lavandino spruzzando acqua tutto intorno ed esce a grandi passi dalla cucina. 

Niklaus non si è mosso dalla finestra e si sfrega la ferita con l’unghia del pollice. Ha il viso paonazzo, lo sguardo profondamente turbato. “E così… hai un appuntamento con Hayley.” Butta lì in tono fintamente casuale, abbozzando un sorriso tirato. 

Tengo la testa bassa, sfregando i piatti con forza. “È solo una cena. Vedremo come va.”

Niklaus fa un passo verso di me, poi cambia idea e torna indietro. “Quindi ti piace?”

Sento la faccia avvampare sotto il suo sguardo intenso.

 

No, non è lei la persona che occupa ogni mio singolo pensiero, non è la persona che mi fa tremare con un singolo sguardo…  

 

 

Dato che non posso dire quello che penso veramente, opto per una bugia. “Sì, in effetti, mi piace un sacco, sai?” Smetto di sfregare e mi sforzo di incrociare il suo sguardo. “È la più carina della scuola. Mi è sempre piaciuta. E non vedo l’ora di uscirci.”

 

 

 

 

 

 

 

Klaus

 

 

 

 

Non c’è problema. Anzi, va benissimo! Elijah ha trovato finalmente qualcuno che gli piace, per di più è ricambiato e usciranno fuori a cena questo venerdì. 

In pratica, sembra che per lui le cose stiano iniziando ad andare per il verso giusto, è l’inizio della sua vita adulta, lontano da questa gabbia di pazzi, dalla famiglia, da me.

Sembra felice, entusiasta. 

Hayley non sarà forse il genere di ragazza che avrei scelto per lui, ma non è poi così male. 

È normale essere un po’ in ansia, ma non è che non ci dorma la notte. In fondo Elijah è in grado di prendere le sue decisioni e assumersene la responsabilità.  È  sempre stato un ragazzo con la testa sulle spalle, molto più maturo della sua età. Starà attento e magari la cosa funzionerà. 

Lei non lo farà soffrire, non di proposito. 

No, sono sicuro che non lo farà soffrire, non lo farebbe mai. Lui è un ragazzo così meraviglioso, così prezioso, se ne accorgerà anche lei, dovrà per forza accorgersene.

Si renderà conto che non potrà mai spezzargli il cuore. 

Non può farlo. Quindi va tutto bene, finalmente riuscirò a chiudere occhio. Non dovrò più preoccuparmi di questa faccenda. La cosa di cui ho un gran bisogno, invece, è una bella dormita. Altrimenti rischio di crollare. Crollerò di sicuro. Sto già crollando. I primi raggi dell’alba cominciano a sfiorare il profilo dei tetti. Siedo sul letto e osservo la pallida luce scomparire nel buio ancora fitto, una sottile sfumatura di colore accende lentamente il cielo a oriente. L’aria è pungente, soffia attraverso gli spifferi nel montante della finestra, e sporadiche gocce di pioggia spruzzano il vetro, mentre gli uccelli cominciano a risvegliarsi. 

Una chiazza dorata di luce colpisce in diagonale la parete, allargandosi lentamente a macchia d’olio. Che senso ha, mi chiedo, questo ciclo infinito? Non ho chiuso occhio e ho i muscoli doloranti per essere rimasto fermo troppo a lungo. Ho freddo ma non ho la forza di alzarmi e neanche di avvolgermi nel piumone. 

A tratti la testa, come sopraffatta da un narcotico, inizia a cedere, gli occhi mi si chiudono e poi si riaprono di scatto. Man mano che la luce s’intensifica, aumenta anche la mia tristezza e mi chiedo come sia possibile stare così male se non c’è niente che non va. 

Un senso crescente di disperazione preme dalle profondità del petto verso l’esterno, minacciando di spezzarmi le costole. 

Mi riempio i polmoni con l’aria fredda e poi li svuoto, passando le mani delicatamente avanti e indietro sulle lenzuola di cotone ruvido, come per ancorarmi al letto, a questa casa, a questa vita, così da dimenticare la mia completa solitudine. 

Sento pulsare la ferita sotto il labbro ed è un grosso sforzo per me ignorarla, smettere di martoriarla solo per cancellare l’agonia che ho in testa. 

Continuo ad accarezzare le coperte, il movimento ritmico mi dà sollievo, ricordandomi che anche se dentro mi sento a pezzi, intorno a me le cose sono come prima, solide e reali. Il che mi fa sperare che prima o poi potrò tornare anch’io a sentirmi reale.

 

 

**

 

 

Una giornata è fatta di tante cose. 

La frenetica routine mattutina: cercare di assicurarsi che tutti facciano colazione,  il chiacchiericcio continuo di Rebekah che mi logora i nervi, Kol che acuisce continuamente i miei sensi di colpa con ogni suo gesto, e Elijah… Meglio non pensarci. 

Eppure sento il bisogno masochistico di farlo. 

Devo continuare a martoriare la ferita, staccare la crosta, insistere sulla carne viva. Non riesco a non pensare a lui. Ieri sera a cena, c’era e non c’era: il suo cuore e la sua mente hanno ormai abbandonato questa squallida casa, i fratellini fastidiosi, il fratello socialmente inetto, la madre alcolizzata. 

I suoi pensieri sono ormai in compagnia di Hayley, proiettati verso l’appuntamento di stasera. 

Per quanto lunga potrà risultare questa giornata, arriverà comunque la sera e Elijah dovrà uscire con lei. 

E da quel momento, una parte della sua vita, una parte di lui, si distaccherà da me per sempre. 

Eppure, nell’attesa, ci sono un sacco di cose da fare: convincere Kol a uscire dalla sua tana, accompagnare in orario Freya e Rebekah a scuola, ricordarsi di ripassare le tabelline con Rebekah, mentre lei tenta di seminarmi correndo avanti lungo la strada. 

Superare indenne i cancelli della scuola, assicurarsi di nascosto che Kol sia in classe, sorbirsi un’intera mattinata di lezioni, sopravvivere alla pausa pranzo, fare il possibile per non incontrare Hayley, arrivare fino all’ultima campanella senza crollare. 

E infine, passare a prendere Freya e Rebekah, tenerle occupati per tutta la serata, rammentare a Kol l’ora del rientro senza cominciare a scannarci. 

In tutto questo, durante l’intera giornata, tentare di cancellare dalla mente ogni pensiero riferito a Elijah. 

Le lancette dell’orologio in cucina continueranno a girare, fino a raggiungere la mezzanotte, per poi ricominciare tutto da capo, come se il giorno appena concluso non fosse mai cominciato. 

Un tempo ero così forte. Riuscivo a superare indenne tutte le piccole cose, i dettagli, la monotonia della routine, giorno dopo giorno. Ma non mi ero mai reso conto che fosse Elijah a darmi quella forza. Era grazie alla sua presenza se riuscivo a farcela, noi due soli, al comando, a sostenerci a vicenda se uno dei due crollava. 

Certo, passavamo gran parte del tempo a occuparci dei più piccoli, ma in fondo ci prendevamo cura anche l’uno dell’altra, il che rendeva tutta la situazione sostenibile, se non addirittura piacevole. 

Una situazione che ci ha uniti in un’esistenza che solo noi potevamo comprendere. Insieme, eravamo al sicuro. Diversi, ma al sicuro dal mondo esterno. 

Ora, non ho più niente all’infuori di me stesso, le mie responsabilità, i miei doveri, la mia lista infinita di cose da fare… e la mia solitudine, la mia costante solitudine, quella bolla sigillata di disperazione che mi sta lentamente soffocando. 

Elijah esce di casa prima di me, trascinandosi dietro Kol.  Rebekah si attarda, raccogliendo per strada ramoscelli e foglie arricciate e rinsecchite. 

Freya ci semina per correre verso le sue amiche e io non ho la forza di richiamarla, nonostante l’incrocio particolarmente trafficato davanti alla scuola. 

È uno sforzo sovrumano per me non prendermela con Rebekah, dirle di sbrigarsi, chiederle come mai sembra che voglia farci far tardi. 

Non appena arriviamo davanti ai cancelli della scuola, lei avvista un’amica e si mette a correre, con il cappotto che le svolazza al vento. 

Per un attimo resto lì fermo a guardarla, i capelli sottili e dorati che si agitano al vento. 

Il grembiulino grigio è rimasto macchiato dal pranzo di ieri, il cappotto di scuola è ormai senza cappuccio, lo zaino cade a pezzi, le calze rosse hanno un grosso buco dietro il ginocchio, ma lei non si lamenta mai, anche se si ritrova circondata da mamme e papà che abbracciano i loro figli per salutarli, anche se sono ormai due settimane che non vede sua madre, anche se non si ricorda nemmeno di aver avuto un padre. 

Ha solo sette anni, eppure ha già capito che non ha alcun senso chiedere a sua madre di leggerle una storia prima di addormentarsi, che invitare gli amichetti a casa è una cosa che solo gli altri possono permettersi, e che i giocattoli nuovi sono un lusso eccezionale.

A soli sette anni ha già dovuto fare i conti con una delle lezioni più dure della vita: il fatto che il mondo è ingiusto. 

A metà delle scale d’ingresso, con la sua migliore amica dietro, si ricorda improvvisamente di non avermi salutato e si gira, cercando il mio volto in mezzo al cortile ormai semivuoto. 

Non appena mi vede, il viso le si illumina con un sorriso raggiante, tra le guanciotte rosse, con la lingua che le spunta tra i denti davanti che mancano. 

Alzando una piccola mano, mi saluta. 

Io ricambio, con le braccia che fendono l’aria. 

Entrando a scuola, vengo travolto da un’ondata di calore artificiale, i termosifoni sono troppo caldi. 

Trovo un banco libero e mi ci lascio cadere sopra, ascoltando distrattamente la professoressa di inglese che parla delle vite di Sylvia Plath e Virginia Woolf. 

Nasce così un acceso dibattito sul legame tra malattia mentale e temperamento artistico. 

Di norma, sarebbe un argomento affascinante, ma oggi le parole mi scivolano addosso e basta. 

Fuori, il cielo vomita pioggia, che tamburella contro le finestre sporche, lavandole come un pianto liberatorio. Guardo l’orologio e vedo che mancano solo cinque ore all’appuntamento di Elijah. 

Forse Hayley si è rotta una gamba. 

O magari è in infermeria per un’intossicazione alimentare. 

O forse ne ha trovato un altro ragazzo con cui provarci. Qualunque ragazzo, purché non purché non mio fratello. Aveva l’intera scuola a sua disposizione. 

Perché proprio Elijah? Mi ritrovo a pensare con disperazione.

Perché proprio la persona che conta di più in assoluto per me?

 

 **

 

“No, razza di stupida. Devi apparecchiare solo per quattro.” Kol toglie in malo modo dal tavolo uno dei piatti e lo rimette nella credenza, facendo un gran chiasso.  

“Perché? Vai di nuovo da Burger King?” Rebekah si morde nervosa l’estremità del pollice, i suoi occhi grandi lanciano sguardi veloci in giro per la cucina come a cercare di anticipare i problemi.  

“Stasera Elijah va a cena fuori, stupida che non sei altro!” Mi giro mentre sono ai fornelli.  

“Smettila di dare della stupida a tua sorella. È solo più piccola di te, nient’altro. E com’è che lei ha già finito la sua parte e tu invece devi ancora cominciare?” Kol mi lancia uno sguardo torvo, ma per una volta non aggiunge altro.

“Non voglio che Elijah vada fuori a cena.” Protesta Rebekah in tono lamentoso. “Se esce Elijah, esce Kol ed esce mamma, significa che restiamo solo in tre in famiglia!”

Fortunatamente il suono del campanello interrompe i suoi capricci. Lancio un’occhiata all’orologio: le sette in punto.

Dev’essere per forza Hayley.

Kol schizza subito in piedi, sbattendo il ginocchio contro la gamba del tavolo per la fretta di vederla per primo. 

Io lo lascio fare e chiudo rapidamente la porta della cucina alle sue spalle. Non mi va di vedere quella ragazza. 

Per fortuna, come se mi avesse letto nel pensiero, Elijah non la fa neanche entrare. 

Sento i suoi passi veloci lungo la scala, voci sostenute che si scambiano i saluti, seguite da un: “Torno subito.”  Ricompare Kol, ha l’aria stupita ed esclama a voce alta:  “Wow, hai visto che figa pazzesca?” Avrei voglia di tirargli un pugno sul naso, ma prima che possa fare qualcosa di cui pentirmi  entra di corsa Elijah.  

“Grazie di tutto.” Viene dritto verso di me e mi stringe in un abbraccio appena accennato. 

Da così vicino riesco a sentire il profumo della sua acqua di colonia, un curioso misto di gelsomino, sandalo e vaniglia che mi inebria i sensi e offusca la mia mente per qualche istante. 

“Domani li porto fuori tutto il giorno, promesso.” 

Mi stacco, la voce di Elijah mi riporta bruscamente alla realtà.  

“Non essere sciocco. Divertiti e basta. È la tua serata.” 

Cerco di comportarmi normalmente, ma è particolarmente difficile distogliere lo sguardo da lui. 

È diverso (bellissimo, sussurra una voce che cerco di ignorare  nella mia mente) questa sera.

Ha indosso un completo che non gli ho mai visto. 

Camicia bianca, giacca e cravatta dello stesso colore e pantaloni scuri, capelli pettinati all’indietro con il gel; sembra davvero un’altra persona.

“Bacio!” Strilla improvvisamente Rebekah, irrompendo nella stanza come un uragano, alzando le braccia. 

Osservo Elijah mentre la prende in braccio e le schiocca un bacio sulla fronte, prima di scompigliarle affettuosamente i capelli. 

“Fa la brava, okay? Buonanotte, tesoro.” 

Elijah mi sorride di nuovo, e per un attimo ho l’impressione che sia lui a tenere insieme l’universo. 

“Fai il bravo anche tu.” Sussurra scherzosamente, prima di chiudersi la porta alle spalle e scomparire nella notte.

Passo il resto della serata a guardare la televisione con Freya e Rebekah, troppo esausto per tentare di fare qualcosa di più produttivo. 

Quando vedo che i loro occhi cominciano a chiudersi, le preparo per metterle a letto. 

La routine del lavarsi i denti sembra infinita, poi Rebekah ci impiega un quarto d’ora a scegliere una storia della buonanotte. Una volta a letto, Rebekah ha improvvisamente fame, Freya ha sete di rimando, e quando ritorna la calma sono ormai le dieci e io sono a pezzi. 

Ma una volta messe a letto, la casa appare vuota e inquietante. 

So che dovrei andare a dormire anch’io, ma mi sento sempre più agitato, sulle spine. 

Mi dico che devo restare in piedi per assicurarmi che prima o poi Kol rientri dall’ennesima uscita notturna con gli amici, ma in fondo so che è solo una scusa. 

Non riesco a pensare a nient’altro che non siano Hayley e Elijah, che adesso saranno usciti dal ristorante da un pezzo, che magari staranno ridendo e chiacchierando sotto la luce della luna, e le mani e le labbra di Hayley su di lui… sto cominciando a sentirmi male.

Forse perché non ho mangiato niente in tutta la sera. 

Voglio restare sveglio e vedere con i miei occhi quando rientra. Sempre che decida di rientrare. 

Mi rendo conto all’improvviso che potrebbe benissimo decidere di passare la notte con lei, e la nausea mi artiglia lo stomaco senza preavviso.

Mi comporto da stupido, lo so.

Elijah è abbastanza grande per decidere da solo.  

Se non stavolta, succederà magari la prossima o la volta dopo, o quella dopo ancora. È solo questione di tempo. Devo farmene una ragione. Solo che non ci riesco.  

La sola idea mi fa venire voglia di sbattere la testa contro il muro e di spaccare tutto. 

Il pensiero che Hayley, o chiunque altro, lo possa abbracciare, toccare, baciare… Un colpo assordante, una botta lancinante, il dolore che mi schizza su per il braccio prima ancora di rendermi conto di aver tirato un pugno alla parete con tutta la mia forza. 

Pezzi di intonaco e di vernice si staccano dall’impronta delle mie nocche, appena sopra il divano. 

Piegato in due, mi stringo la mano destra con la sinistra, serrando i denti per evitare di emettere qualunque suono. Per un attimo tutto diventa buio e mi sembra quasi di essere sul punto di svenire, ma poi il dolore mi colpisce a ondate. 

In realtà non capisco nemmeno cosa mi faccia più male, se la mano o la testa. 

La cosa che più temevo e che ho tentato in queste ultime settimane di arginare, il fatto di non avere più il controllo delle mie azioni, è ormai evidente e non posso farci più niente. 

Chiudo gli occhi e sento le spire della pazzia che mi salgono lungo la spina dorsale e mi strisciano nel cervello. Le osservo esplodere, come un sole. 

È così che ci si sente dopo un lungo e aspro combattimento. 

Quando la battaglia ormai è persa e non resta che la resa.

 

 

 

 

 
  
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