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Autore: Ghostclimber    26/10/2018    2 recensioni
Un anno dopo la tragica battaglia che ha posto fine alla crisi di Cuba e al legame tra Erik Lehnsherr e Charles Xavier, una figura ammantata attende che quest'ultimo si addormenti, per compiere un'azione di cui mai si sarebbe creduto capace.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!!!

La mia prima Cherik *_______* ( <-ventott'anni e non sentirli, ancora che uso le faccine)

La mia prima Slash *_______*

La dedico di cuore alla mia splendida amica AliDoro, che mi ha fatto scoprire questa coppia, che è stata la prima a darmi retta quando finalmente ho trovato la mia prima ship yaoi (prima perché, come lei ha saggiamente previsto, poi ho cominciato a vederne ovunque), che non solo sopporta i miei immensi deliri, ma che addirittura mi offre nuovo carburante per portarli avanti consigliandomi valanghe di musical, siti e scenari assurdi di varia natura.

Domani (esatto, indovinato, proprio il giorno in cui non riesco a pubblicare, ma tanto conta quando gliela linko, no?) compie gli anni, ed è anche l'anniversario del nostro primo incontro.

Ti voglio un bene dell'anima, Ali, grazie di esserci e di essere così meravigliosamente nerd, perversa e soprattutto Tassorosso. Buon compleanno amica mia!

Chaaawwwlllsss!

XOXO

 

 

 

 

 

 

Erik Lehnsherr guardava le ombre muoversi oltre la tendina bianca che oscurava la finestra della stanza da letto di Charles Xavier.

Sapeva, per aver interrogato uno degli ultimi mutanti che avevano dovuto abbandonare la scuola, che la routine serale del professore si concludeva con l'iniezione di un potente sonnifero. Vide la massiccia figura di Bestia chinarsi, presumibilmente sopra al letto di Charles, e dopo quasi un minuto rialzarsi, allontanarsi verso la porta e spegnere la luce.

Per precauzione, Magneto attese un altro quarto d'ora.

Non sarebbe dovuto essere lì.

Se Bestia o Xavier l'avessero visto, forse non si sarebbe scatenato il finimondo, non con i due così soli e derelitti, ma sarebbe stata comunque una brutta esperienza.

E, soprattutto, non voleva assolutamente essere costretto a spiegare perché aveva rischiato di essere scoperto dalle autorità per apparire nel mezzo del giardino dello Xavier Manor, in una gelida nottata di autunno inoltrato, per di più umida.

Finalmente, anche l'ultima luce del seminterrato fu spenta.

Si alzò in volo, aiutato dai propri poteri, veleggiò sopra ad una densa coltre di nebbia fino alla finestra della stanza di Xavier e si concentrò per percepire ogni pezzo di metallo nella stanza.

Rilevò le maniglie dei cassetti, la struttura del letto e della sedia a rotelle, qualche componente di cancelleria, gli anelli di un raccoglitore, una medaglietta, il tappo di un decanter... e nient'altro.

Aggrottò la fronte.

Possibile che Xavier avesse gettato via gli scacchi?

Il pensiero che il vecchio amico si fosse liberato di quel simbolo del loro legame gli causò una stilettata di paura e senso di colpa; per quanto le loro strade si fossero divise ormai da tempo, Erik non poteva dimenticare quando Charles si era gettato in acqua, aveva nuotato fino a lui sfidando i marosi e l'aveva fermato, urlandogli in un orecchio sovrastando i gemiti delle imbarcazioni, lo stridio del vento e l'assordante fruscio delle onde: -Non sei solo, Erik! Non sei solo!

La sua percezione si ritrasse, lenta, come una mano che si ritrae da un tavolo, e incontrò per puro caso la serratura della finestra a ghigliottina... di metallo.

Sì!

Piano, cercando di non fare il minimo rumore, Magneto spostò il perno metallico della finestra, che quando questo giunse a fine corsa si aprì con un cigolio di legno. Con mano tremante, Erik la schiuse completamente e si fece strada nella stanza del suo Charles.

I suoi occhi corsero subito al tavolino da caffè davanti al quale avevano passato tante serate, a far progetti, a parlare dei miglioramenti dei loro primi allievi, a discutere del futuro o semplicemente a tenersi compagnia a vicenda davanti ad una partita di scacchi, Erik con un bicchiere di cognac e Charles con una tazza di tè.

Una scacchiera occupava il posto d'onore sul tavolino, ma era una scacchiera nuova, completamente di cristallo. Ricacciando indietro la sensazione che Charles l'avesse sostituita per evitare proprio quello che lui aveva programmato di fare, Erik si avvicinò al tavolino e mosse i pezzi sulla scacchiera, creando un disegno tanto stupido quanto inequivocabile, poi si voltò e il suo sguardo colse il corpo di Charles, spezzato e con l'espressione tormentata anche nel sonno, disteso nel letto ortopedico, un mobile moderno, freddo e quasi volgare nell'accogliente calore dell'ambiente riccamente arredato dello Xavier Manor.

Si avvicinò, senza muoversi in maniera cosciente; si rese conto di essere al fianco del letto, a portata di braccio, solo quando la sua mano, che nel suo stato di trance aveva liberato dal guanto che la copriva, si posò sulla spalla di Charles.

Era più magra di come la ricordava.

Lo accarezzò dolcemente con il pollice, pensando che se si fosse svegliato adesso sarebbero stati guai, ma incapace di fermarsi ora che ce l'aveva di nuovo sotto la pelle, così vicino, così innocuo, così... così Charles.

La sua mano risalì il trapezio, accarezzò il pomo d'Adamo e solcò il bordo della mandibola; già una volta aveva compiuto quel gesto, e il ricordo gli trapassò il petto come una scheggia impazzita.

 

Quella volta, esattamente un anno prima, il 27 ottobre 1962, si erano seduti a giocare a scacchi proprio in quella stanza, dopo aver costretto a letto Mystica, Banshee e Havok in previsione della lunga giornata che li aspettava, e Charles si era versato due dita di cognac, cosa molto insolita per lui, che di solito non aveva vie di mezzo: o completamente sobrio o sbronzo da fare schifo.

Avevano fatto tintinnare i bicchieri l'uno contro l'altro, e Charles aveva bevuto il suo tutto d'un fiato, per poi rilassarsi contro lo schienale del divano inarcando la schiena e protrudendo il bacino; non aveva idea dell'effetto che aveva avuto sulla mente di Erik quel semplice gesto naturale, e l'aveva fissato con uno sguardo un po' fuori fuoco: -E tanti auguri a me.- aveva detto poi.

-Tanti auguri?- aveva chiesto Erik, accavallando le gambe per nascondere l'inguine.

-È il mio compleanno,- aveva spiegato Charles, -E potrei morire domani. Potremmo morire tutti domani.

-Charles, potevi dirlo, no?

-A che scopo, Erik?- aveva sorriso l'altro, -Per farmi fare una torta e stare a guardarvi imbarazzato mentre mi cantate “tanti auguri a te”?

-Beh...

-Erik... no.- Charles aveva scosso la testa, sempre con quello sguardo da cucciolo impaurito che era riuscito a penetrare oltre le barriere mentali di Erik. I suoi capelli sembravano di seta nella luce flebile dell'abat-jour.

Le difese emotive di Erik, già messe a dura prova dall'allenamento intensivo e dalla previsione di una giornata decisamente poco piacevole che si prospettava per l'indomani, erano cedute di colpo. Si era proteso in avanti, e la sua mano aveva percorso il sentiero che portava dalla spalla di Charles al suo collo fino al suo mento, l'aveva ghermito con dolcezza e l'aveva baciato.

Senza pensarci veramente.

Solo perché era giusto così.

Si era spinto in avanti e l'aveva baciato.

E Charles aveva ricambiato.

Preda del terrore per ciò che avrebbero dovuto affrontare a Cuba, si era gettato tra le braccia di Erik, aveva giocato con la sua lingua, con le sue membra, si era accomodato nella sua anima come Erik si era accomodato nel suo corpo, e alla fine avevano giaciuto, sfiniti, tra i loro stessi abiti stazzonati, sul tappeto, all'ombra della scacchiera che avevano abbandonato a se stessa, almeno per quella sera.

 

Erik tolse la mano da dove l'aveva lasciata, e lentamente si sfilò l'elmetto.

Fissò Charles e cercò di parlargli con la mente, sentendosi un idiota, come una casalinga che parla con le piante nella convinzione che ciò le faccia crescere meglio: alla fine, tra i due il telepate era quello che se la dormiva della grossa, quindi chissà.

Ma Erik, che quella dannata sera si era tenuto dentro ciò che provava, troppo spaventato all'idea di aprirsi completamente ad un'altra persona, aveva un disperato bisogno di parlare.

E quindi parlò, o per meglio dire, pensò.

-Charles. Quanto tempo è passato. Mi sei mancato, sai? Da quella sera io... come vorrei poter tornare indietro e rifare tutto da capo. Come vorrei evitarti questo dolore. È solo colpa mia, avevi ragione. Io ti ho ficcato in quella sedia a rotelle, e ti giuro che darei qualunque cosa per tirartene fuori. Se mi senti, non avere paura, non sono davvero qui, è tutto un sogno... domattina ti sveglierai e sarà tutto come prima, non sarà mai entrato Erik Lehnsherr dalla finestra della tua stanza... anche se riconoscerai che chiuderla con un perno di metallo non è una delle tue idee più geniali. Comunque sia... sono venuto solo per augurarti un buon compleanno.

-Erik...- soffiò Charles, e Magneto sussultò; ma Xavier era ancora profondamente addormentato, anche se a quanto pareva aveva percepito la sua presenza.

-Charles, sono qui.- rispose d'istinto, prendendogli la mano.

-Erik, fallo ancora.- biascicò Charles.

Ci fu un attimo di sospensione, in cui la mano di Charles si contrasse istintivamente in quella di Erik, poi quest'ultimo si chinò e poggiò delicatamente le labbra su quelle del suo amato.

Gli diede un bacio casto, a fior di labbra, e solo all'ultimo sporse appena la punta della lingua per lasciare un marchio di sé su Charles, un impalpabile regalo che lui avrebbe colto, inconsapevole, la mattina dopo.

Si scostò, odiando ogni millimetro di aria che tornava a frapporsi tra loro, e si morse un labbro nel vedere la bocca di Charles piegata appena appena in un impercettibile sorriso.

-Ora devo scappare. Mi spiace, sarei voluto restare, ma non sono sicuro che tu mi voglia. Ci sarà tempo, forse, in futuro. Forse avremo un momento solo per noi, o forse il nostro momento è già trascorso. In ogni caso... devo cercare di salvare il presidente Kennedy. Se riuscirò, tornerò da te a testa alta, e ti parlerò mentre sei sveglio, e non solo col pensiero, mentre dormi come un sasso, come il codardo che sono.- Erik si rimise il guanto e si allontanò verso la finestra. Prima di rimettere l'elmetto e uscire, pensò un'ultima cosa: -Arrivederci, Charles. Ti amo.

 

-Charles, sono le nove.- disse Bestia, entrando nella stanza con un vassoio carico di biscotti, una tazza e una siringa.

-Hank.- lo salutò Charles, poi si raddrizzò a fatica e si leccò le labbra secche.

-Va tutto bene? Mangia qualcosa, intanto che preparo l'anestetico.

-Ho fatto un sogno strano... c'era Magneto, e diceva...

-Cosa?- chiese Hank, più per cortesia che per reale curiosità.

-Niente...- concluse Charles, poi si dedicò alla routine mattutina, aiutato dal suo fedele amico. Mezz'ora dopo sedeva sulla sedia a rotelle, la finestra era aperta su un mattino luminoso e ancora non troppo freddo e Hank era tornato in laboratorio per continuare a sviluppare il siero su cui stava facendo ricerche; era fiducioso che sarebbe riuscito a curare la sua colonna vertebrale.

Charles si mosse verso la scacchiera, come faceva ogni mattina, già prefigurandosi l'amara, prevedibile delusione del momento in cui avrebbe trovato i pezzi schierati in bell'ordine, pronti a cominciare un nuovo duello, invece che scomposti lungo la griglia, a mostrare i progressi di una partita lasciata a metà da due amanti che si guardano di nascosto.

Ebbe un sussulto violento non appena fu a portata di vista.

-Non era un sogno...- sussurrò, guardando i pezzi sistemati a formare un cuore sulla scacchiera. Un gesto sciocco, infantile, degno di una persona che era cresciuta in un ambiente strano e disagevole.

Una persona come Erik Lehnsherr.

Sfiorò la regina nera, accarezzandola come avrebbe voluto accarezzare il volto del suo vecchio amico, e sussurrò nella fragrante aria autunnale: -Ti amo anch'io, Erik.

 
   
 
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