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Autore: ONLYKORINE    26/10/2018    0 recensioni
Jakob e Wolfrun vivono sull'isola di Lemnos da quando hanno lasciato Berlino a bordo del Pegaso. Con loro Ci sono Sebastian, Eleni e Anneke. Il virus è stato sconfitto e la vita ha ricominciato a scorrere. Jakob torna a Berlino quando Alexis ci va con Pegaso, e questa volta vorrebbe che anche Wolfrun partisse con lui. Ma lei non è proprio dell'idea...
(Jakob x Wolfrun)
Fanfiction dopo il sesto libro. Non tiene conto del capitolo extra sul sito degli autori.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christa Hartmann, Jakob Geyer, Nora, Wolfrun Ziegler
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon compleanno

 

Quando si svegliò, Jakob non capì subito dove fosse. La stanza era diversa. Forse perché non era la sua stanza? Eh, già, era la camera di Wolfrun e lei dormiva sdraiata accanto a lui. Si erano addormentati.
Guardò la finestra. Era quasi mattina, infatti il cielo era più chiaro e la stanza meno buia. Si alzò piano per tornare in camera sua.
Chissà cosa avrebbe detto suo padre, se lo avesse saputo. Stava per aprire la porta quando si voltò di nuovo verso il letto.
Wolfrun era rilassata nel sonno, gli occhi chiusi, il viso disteso, le labbra semiaperte. Non resistette. Non lo avrebbe mai saputo nessuno. Si avvicinò e la baciò sulle labbra. Lei si mosse e sorrise. Ma continuò a dormire.
Perse ancora qualche secondo a guardarla e poi uscì.

 

***

 

“Wolfrun!”
Una piccola furia di sei anni le saltò addosso, sul letto. Anneke, in camicia da notte, saltava sul materasso, cantandole una canzoncina inventata. Wolfrun si tirò su di colpo, ricordandosi della sera prima. Si guardò intorno, ma lui non c’era. Doveva essersene andato appena lei si era addormentata. Non se n’era resa conto. Guardò il comodino dove aveva appoggiato il suo regalo: c’era davvero. Non l’aveva sognato.
La bambina si accucciò sulle sue gambe e l’abbracciò stretta. Sorrise e ricambiò la stretta. Anneke, la sua piccola Anneke.
“Non hai la camicia da notte!” le fece notare la bambina.
Eh, no. Aveva il vestito del giorno prima e anche il golfino.
“Vai a lavarti. Così facciamo colazione” liquidò la sua domanda. La piccola annuì.
Quando furono pronte per la colazione, sentì Sebastian spaccare la legna nel piccolo giardino sul retro, quando attraversarono il soggiorno ed entrarono in cucina.
Eleni stava preparando il tavolo e sorrise alle ragazze, indicando a Anneke il suo posto.
Sentirono Clara piangere dalla cameretta. “Vado io” disse la ragazza, lasciando che Anneke si sedesse per la colazione. Eleni la ringraziò e le disse che sarebbe andata al mercato.
“Ci vado io, al mercato, dopo colazione” urlò Wolfrun dall’altra stanza.

 

Jakob entrò in casa in quel momento. La sua giornata già guastata da quello scambio di informazioni: al mercato c’era Georgos.
Vide Anneke versarsi il latte dalla bottiglia con difficoltà e l’aiutò, ma la piccola mise il broncio e brontolò: “Ci riesco. Sono grande!”
Jakob sospirò pensando che sarebbe presto diventata cocciuta come Wolfrun.
“La bottiglia è più grande di te. Ti ho solo aiutato…” La piccola gli mostrò la lingua.
“Anneke? Non devi dire niente?” Wolfrun era apparsa sulla soglia della cucina con in braccio Clara. Anneke sbuffò e disse malvolentieri: “Grazie, Jakob”.
Anneke ubbidiva solo a Wolfrun. E Wolfrun ubbidiva solo ad Anneke. Un’idea gli attraversò la mente. Guardò verso la ragazza che tornò verso le camere per cambiare la piccola. Forse…
“Anneke, facciamo un gioco?” chiese alla bambina mentre si sedeva. Lei annuì intingendo il pane nel latte.
Più volte sentì addosso lo sguardo severo di Eleni, mentre facevano colazione, ma Jakob fece finta di niente.

 

Wolfrun tornò in cucina, con una Clara sorridente e pulita, e sentì indistintamente Anneke gridare: “Berlino!”
Si irrigidì. Cosa stava succedendo? Guardò Eleni, che ricambiò il suo sguardo corrucciato e poi si voltò a guardare Jakob. Ma lui non la guardò. Giocava con Anneke. O forse, la stava monopolizzando.
Mentre faceva sedere Clara sulla sedia alta, notò che la bambina seguiva il ragazzo con attenzione e nominava più volte la città tedesca.
“Anneke? Cosa…” La bimba si voltò sorridente verso di lei ed esclamò: “Voglio vedere Berlino! Voglio salire sul Pegaso!”
La ragazza lanciò un’occhiata, una brutta occhiata, a Jakob. Prese una fetta di pane dal tavolo e quasi ordinò alla bambina: “Vieni al mercato con me”. Sebastian entrò in casa in quel momento, con tre ceppi di legna per la stufa della cucina.
“Vengo con voi”. Jakob si alzò, autoinvitandosi per la passeggiata.
“No, tu non vieni” ordinò Wolfrun. Lo guardò e sperò che lui non le chiedesse nient’altro. Altrimenti non sapeva come avrebbe reagito.
Si avviò con Anneke fuori dalla porta senza salutare nessuno.

 
“Che è successo?” Sebastian guardò la moglie.
Eleni indicò Jakob con il capo, senza dire niente. L’uomo si voltò verso di lui. Ma Jakob non resse lo sguardo del padre.
“Che è successo?” richiese. Il ragazzo scosse le spalle, mentre metteva davanti a Clara una ciotola di latte. Tolse la crosta da una fetta di pane e la diede alla bambina che iniziò a fare colazione. Poi si alzò, le fece una carezza sulla testa e uscì di casa.

 

Sebastian si sedette alla sedia lasciata libera dal ragazzo e aiutò sua figlia a mangiare.
“Tu sai cos’è successo?” chiese a Eleni.
“Tuo figlio è un egoista”. Di poche parole, Eleni. Sempre. E sempre giuste. L’uomo annuì. Aveva avuto il sospetto anche lui.
“Cos’ha fatto?”
Eleni si sedette con loro a mangiare e raccontò quello che era successo a tavola.

 

***

 

“Non puoi salire sul Pegaso. Sei troppo piccola” disse Wolfrun mentre camminava verso la piazza del mercato. Ma la bambina era tosta. Era cresciuta con lei. E poi era in quella fase io sono grande. Avrebbe dovuto dire qualcos’altro.
“Ci sono già stata, sul Pegaso. Ed ero più piccola di adesso.”
Sospirò. Vide i primi banchi all’orizzonte. “Perché vuoi andare a Berlino?” le chiese. Avrebbe ucciso Jakob. Quella sera stessa. Nel sonno. No, non nel sonno. Doveva soffrire un po’. Un bel po’.
La piccola alzò le spalle, dicendo: “È la città dove sono nata”.
La ragazza si fermò. “E chi te l’ha detto?”
Anneke si voltò verso di lei inclinando la testa. “Me l’ha detto Jakob. È una bugia?” Scosse la testa.
“Non è una bugia, è vero, sei nata a Berlino. Ma adesso non c’è niente da vedere, lì.”
“E perché Jakob ci va, allora?” Beati i sei anni dei bambini. Cosa rispondere? Che andava a Berlino perché c’era Christa? Christa. Christa che aveva camminato sui… Wolfrun scosse la testa e scacciò quel pensiero.
“Ci va perché ha dei ricordi e delle persone che conosce. Va a trovare loro” rispose, Riprendendo a camminare e si fermò davanti al banco del pesce.
“Però mi piacerebbe vedere Berlino” sussurrò la piccola. La bambina osservava un pesce che la fissava a sua volta con occhi morti.
La ragazza si accucciò vicino a lei e le chiese, spostandole una ciocca di capelli: “Non ti ricordi di Berlino?” Anneke scosse la testa.
Maledetto Jakob. Non l’avrebbe mai perdonato. “Ok. Va bene. Andiamo a Berlino”.
Non avrebbe lasciato Anneke da sola. E lui lo sapeva bene. Per questo aveva fatto leva sulla bambina. Anneke sorrise.
“Prendiamo il pesce per cena?” chiese, ma Wolfrun scosse la testa.
Il pesce potevano pescarlo direttamente nel mare. O nel fiumiciattolo che c’era vicino al boschetto. Lo aveva fatto per un sacco di tempo, a Berlino, pensò un po’ stizzosa. Poteva farlo ancora. E sarebbe stata fuori di casa per buona parte del giorno. Si pentì di non aver preso su l’arco e le frecce.

 

***

 

“Siamo tornate!” gridò la bambina quando aprirono la porta. Wolfrun portò il pesce in cucina da Eleni e Anneke corse sul tappeto verso Clara, seduta a giocare con dei giocattoli di legno.
“Stai bene?” Eleni non si faceva ingannare da niente, ma la ragazza annuì con il capo senza dire una parola.

 

Quando tornarono a casa, nel pomeriggio, Eleni sospirò sollevata. Non che si fosse aspettata che la ragazza sparisse dall’isola, ma aveva un brutto sguardo quando era uscita dalla porta e lei aveva avuto il sospetto che non sarebbe tornata presto.
Per fortuna portarono due gran sorrisi e una decina di pesci da cucinare sul fuoco. Sarebbe stata una bella cena. Avrebbe potuto pelare carote e patate e sarebbero stati tutti sazi, pensò mentre infornava la torta.

 

***

 

A cena, quella sera, Sebastian tirò fuori una bottiglia di vino da dessert dalla credenza. Fino a quel momento, avevano festeggiato i compleanni così. I compleanni degli adulti. E ora Jakob era un adulto.
“Oggi è il compleanno del miracolo” disse e appoggiò la bottiglia sul tavolo sorridendo orgoglioso al figlio.

 

Wolfrun era ancora arrabbiata con il ragazzo, che dall’altro lato del tavolo le sorrise. Avrebbe dovuto ucciderlo nel pomeriggio. Nel giorno del suo compleanno.
Si alzò e disse: “Io… Vado a fare una passeggiata”.
Non prese neanche il golfino e uscì velocemente dalla porta.

 

Sebastian guardò il figlio. “Sì, lo so. Non dire niente. Scusatemi…” Jakob si alzò prendendo la bottiglia: perdinci, era sempre il suo compleanno!
“Jakob” lo richiamò il padre. Lui si voltò, preparato a un eventuale rimprovero, ma lui gli allungò i due bicchieri impilati, sorridendo.
Il ragazzo annuì e sussurrò: “Grazie”.

 

Eleni sospirò quando Jakob uscì di casa quasi di corsa.
“Ti ricordi quando dovevamo dividerli? Perché litigavano in continuazione?” Sebastian alzò le spalle e rispose: “Non mi sembra molto diverso. Almeno non si mettono più le mani addosso” .
Eleni sorrise. “Sicuro?”
Sebastian si voltò verso la porta da dove era uscito il figlio. “Che facciamo?” le chiese, senza rispondere alla sua domanda.
“Io ho fatto una torta. Chi vuole una fetta di torta?” chiese lei sorridendo, rivolta alle bambine. Gridolini eccitati riempirono la stanza.

 

***

 

Jakob corse per raggiungere la caletta. Lei doveva essere lì. Per forza. Non poteva essere da nessun’altra parte. Ma stette con il fiato in gola finché non la vide.
“Wolfrun!” esclamò quando vide la sua figura sulla spiaggia, ferma a guardare il mare. La ragazza si voltò, sorpresa.
“Jakob?” Lui annuì e le mostrò la bottiglia.
“Scusa?” provò.

 

Wolfrun non sapeva cosa avesse quel ragazzo di tanto speciale. L’aveva fatta incazzare, aveva desiderato ucciderlo e tagliare il suo corpo in tanti piccoli pezzi, ma quando le sorrideva, lei si sentiva persa. Continuò a guardarlo mentre si avvicinava. Aveva la bottiglia di vino e due bicchieri. Si avvicinò a lei e sorrise ancora.
“Sono un idiota…” incominciò lui.
“Sì”. Dovette trattenere un sorriso che, incurante del suo pensiero, tentava di arrivare alle sue labbra.
“Ti va di festeggiare il compleanno di quest’idiota?” chiese ancora Jakob, l’idiota. Non si sentiva arrabbiata come prima. Ma non l’avrebbe ammesso. Sbuffò.
Lui le fece cenno di sedersi presso una roccia piatta. Guardò la pietra e poi tornò a guardare lui.
“Dai, su, è il mio compleanno…” provò ad ammorbidirla lui. Sbuffò ancora, ma lo seguì. Jakob appoggiò i due bicchieri mentre si sedeva e aprì la bottiglia.
“Pensavo di non poter bere vino fino a che non avessi compiuto diciotto anni…” disse lei, mentre lo osservava aprire la bottiglia. Lui versò il vino.
“Non lo dirò a nessuno”. Ammiccò e le porse il bicchiere facendo tintinnare il suo con quello della ragazza.
Wolfrun bevve. Non sapeva che gusto dovesse avere il vino, né se fosse più o meno buono. Prima del virus aveva visto il vino solo sulla tavola dei suoi genitori, ma loro non glielo avevano mai fatto bere. Aveva bevuto un bicchiere di Champagne una volta, ma non si ricordò in quel momento che sapore avesse.
Quando Jakob la guardò con uno sguardo strano, lo scolò tutto.

 

Jakob non le disse di andarci piano. Versò il vino ancora per tutti e due e le disse: “Stasera non balli…”
Lei spalancò gli occhi sorpresa, ma poi lo guardò stringendo lo sguardo su di lui, domandandogli: “Come fai a saperlo?”
Jakob indicò un punto sopra le loro teste. Lei alzò lo sguardo e vide la collina. Aprì la bocca ma non ne uscì nessun suono. Jakob sorrise.

 

Ma… lui… lui… sapeva che lei ballava sulla spiaggia? L’aveva vista? E l’aveva vista anche quando faceva il bagno nel mare? Spalancò ancora di più gli occhi quando pensò al fatto che si spogliasse prima di immergersi nell’acqua. O santo cielo! Prese il bicchiere e lo bevve ancora tutto di un fiato.
“Ok. Forse dovresti andarci piano” disse, prendendole il bicchiere e appoggiandoli tutti e due, vicini, sulla roccia piatta.

 

Jakob aveva già bevuto del vino, di nascosto con gli altri e anche la birra, ma lei non era abituata e lui aveva paura che le desse alla testa.
Per un momento guardarono tutti e due il mare. Ma poi Jakob la osservò di sottecchi mentre guardava l’orizzonte.
“Quando ero piccola odiavo ballare…” confessò lei. Si girò verso di lui e i suoi occhi divennero grandissimi mentre continuava. “I miei mi avevano obbligato a frequentare il corso di danza di Madame Cheviot, a Berlino, e io lo odiavo. Era tutto un fai così e fai cosà, pieno di regole, nozioni di portamento e altre stupidate varie…”
Jakob la guardò mentre si girava ancora verso il mare. Quando non parlò più le disse: “Mio padre ballava con mia mamma in soggiorno. O in cucina. Le prendeva la mano e la faceva girare mentre rideva. È un ricordo che mi ha aiutato nei momenti difficili”.
Lei annuì come se comprendesse il significato di quello che intendeva. Doveva essere proprio così. Poi si girò verso di lui e Jakob notò che aveva gli occhi scuri, come se fossero pieni di un’emozione forte da controllare.
”Sei stato fortunato, allora”. Come?
“Perché?” Lei si alzò e scosse la sabbia dalla gonna.
“Perché avevi dei ricordi felici”. Il suo tono era triste.
Perché, lei come aveva fatto in quei tre anni a Berlino? “Tu non avevi ricordi felici? E come facevi?”
“A far che?” chiese lei, guardandolo.
“A far passare i momenti difficili”. La sua voce era serissima.

 

Wolfrun si prese tempo per rispondere. Cosa avrebbe dovuto rispondere? ‘Organizzavamo le Feste della Morte. Davamo fastidio agli altri. Rapivamo bambini nei loro letti. Picchiavamo e ci facevamo picchiare. Ti prendevo a pugni. Ho bruciato il castello della tua ragazza. Ero io, i momenti difficili’. Alzò le spalle, decidendo di non dire niente.
“Dovresti ricordartelo, quello che ho fatto”, ma non lo guardò, mentre lo disse. Sentì che si stava alzando e se lo ritrovò di fronte, con una mano tesa verso di lei.
“Balla con me, Wolfrun”. Quando lei non gli rispose, le prese la mano, tirandola verso il bagnasciuga. “Dai, non farti pregare…”

 

Lei si fece un po’ tirare, ma alla fine lo seguì. Jakob la fece volteggiare come nel suo ricordo papà faceva ballare la mamma. All’inizio lei sbuffò, ma poi smise e ci prese gusto, lasciandosi guidare.
Quando finì la musica nella testa della ragazza, per Jakob era troppo presto, ma lei si fermò. Rimase lì davanti a lui, rilassata e quasi sorridente e disse semplicemente: “Grazie”.

 

Lui non aveva idea di quanto le costassero quelle parole, non poteva immaginare.
Ma a Wolfrun era piaciuto davvero. Quando tentò di sfilare la mano dalla sua, lui la trattenne. Alzò lo sguardo per capire cosa stesse succedendo: Jakob era così strano, era diverso dal solito. I suoi occhi…
Con uno scatto fluido e veloce, la tirò verso di sé e le posò una mano sulle reni. Prima che Wolfrun se ne rendesse conto, l’aveva avvicinata ancora e aveva chinato la testa verso di lei e le sue labbra si erano posate sulle sue. Era stato un momento solo, un gesto velocissimo, di cui lei non ebbe modo di rendersene conto.
Lasciò che l’altra mano le accarezzasse il viso e chiuse gli occhi, travolta da quella nuova sensazione.
Poi la mano di Jakob si fece più possessiva e la sua bocca esigente. Si era sentita stringere la vita e poteva sentire il calore di lui scaldarle la pelle, anche attraverso i vestiti. Lui aveva schiuso le labbra e la stava assaggiando accarezzandola delicatamente con la lingua. Era fantastico. Nel momento in cui aprì anche lei la bocca, non riuscì più a pensare con chiarezza. Un’esplosione di colori le offuscò la mente e la sensazione di galleggiare nel vuoto prese il sopravvento, tanto che se la mano di lui non fosse stata lì sulla sua schiena avrebbe pensato di accasciarsi per terra.
Si alzò in punta di piedi per ricambiare il suo bacio e sentì il seno toccargli il petto. Avvicinò una mano al volto del ragazzo e gliela posò sulla guancia, poi la fece scorrere fino ad affondare nei suoi riccioli. Morbidissimi riccioli. Oddio che meraviglia. Altro che Georgos!

 

Quando lei si era avvicinata e aveva sentito il calore dei suoi seni contro di lui, Jakob si era sentito morire. Gemette in maniera poco decorosa sulle sue labbra mentre la mano di Wolfrun gli massaggiava la testa.
Lei si irrigidì. Come il giorno prima davanti allo specchio. La sua mano si fermò e la ragazza si staccò da lui. Quando aprì gli occhi per capire la situazione, vide stupore e sorpresa in quelli spalancati di lei.
Wolfrun sussurrò un debole: “No”, portandosi una mano alla bocca. Tanto che lui non fu sicuro di averlo sentito.
“No?” chiese, infatti, non capendo.
Lei si raddrizzò. “No”. Adesso era molto più sicura di sé. Jakob lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Ma… Perché no? Lei, poco prima, sembrava essere d’accordo. Aveva ricambiato il suo bacio. Molto, anche.
Non fece in tempo a chiederle niente perché lei, velocissima, si girò e corse via.

 

***

 

Wolfrun si alzò dal tappeto decisamente più rilassata. Lo yoga era un toccasana in occasioni come quella. Non che avesse mai baciato Jakob, prima. Si stese sul letto e si portò (di nuovo) una mano alle labbra.
Ora era rilassata, sì, ma decisamente troppo imbambolata: continuava a pensarci e non andava bene.
Quando era rientrata aveva appena salutato e si era chiusa in camera. Aveva pensato che lo yoga le avrebbe disteso i nervi, perché si sentiva nervosa. Nervosa ed eccitata. Di solito serviva. A Tegel serviva per calmarle i nervi. Ma questa volta…
Era stata baciata da due ragazzi da quando era lì sull’isola, ma non si era sentita così.
E quando aveva baciato Jakob, invece… Non andava bene. Non riusciva a controllare quello che sentiva, e non le piaceva. Aveva bisogno di sapere quello che le succedeva. Di non perdere il controllo.
Quando aveva sentito Jakob gemere si era resa conto di quello che stava facendo. Per fortuna si era fermata. Prima che succedesse qualcosa di peggio.
Però… si toccò di nuovo le labbra. Come sarebbe stato se non fosse scappata via?
L’immagine di Chloe le si affacciò alla mente.
Quando viveva a Berlino e c’era ancora Chloe a guidare Tegel, l’aveva beccata più volte in atteggiamenti intimi con qualche ragazzo. All’inizio erano i ragazzi grandi, più grandi di Chloe, poi, quando il virus aveva iniziato a reclamare vittime, Chloe aveva iniziato a non sputare su niente e i ragazzi erano diventati diversi. Soprattutto verso la fine.
Forse era il suo modo per non cedere alla paura. Andare a letto con i ragazzi grandi era servito ad avere protezione e farlo con quelli della sua età era servito ad avere alleati. E pensare che non ne avrebbe avuto bisogno. Chloe era forte, sarebbe riuscita a farcela anche senza quell’espediente.
Quando Wolfrun aveva visto uscire Caspar dalla stanza occupata da Chloe all’aeroporto di Tegel, una delle ultime volte prima che lei stesse così male da non avere la forza di fare neanche quello, lo aveva guardato con uno sguardo glaciale e lui aveva abbassato gli occhi. Un altro idiota.
Però, mentre il corpo di Chloe bruciava sulla pira funebre e Caspar era andato da lei a chiederle cosa volesse fare con Tegel, riconoscendola come capo, aveva capito le motivazioni di Chloe, anche se non le aveva assecondate.
Quando poi il ragazzo ci aveva provato con lei, aveva messo in chiaro quello che pensava sul sesso. E gli aveva detto che avrebbe usato il coltello su di lui, su quella sua parte del corpo, se ci avesse provato ancora.
Stranamente, con Caspar si era guadagnata più fiducia così che come aveva fatto Chloe. Beh, almeno finché non avevano tentato di mangiarsi Ziggy. Sospirò.
Non aveva baciato nessuno a Berlino, nessuno le si avvicinava e a lei stava bene così. Però era stata baciata da Hector, un ragazzo anche abbastanza carino della sua età, l’anno prima, durante una festa dell’isola, ma lei era stata presa alla sprovvista e l’aveva spinto via. Lui aveva riso e se n’era andato, probabilmente da un’altra.
Ci aveva pensato tantissimo, forse aveva agito male, ma non se ne faceva un cruccio.
La seconda volta, con Georgos, un ragazzo di ventitré anni che le aveva proposto di andare a vivere con lui. Si erano
baciati due settimane prima e lei quella volta ci aveva provato, a ricambiare, ma era stato così strano… Quando lui aveva detto di amarla aveva capito che non sarebbe stato giusto dire di sì, visto che era così confusa. Così gli aveva spiegato che non se la sentiva e lui non si era neanche arrabbiato, le aveva detto che avrebbe aspettato.
E ora Jakob… Cosa dire del suo bacio con Jakob? Oh non c’era confronto con gli altri. Nessun confronto.
E la sua reazione! Si era sentita così viva… Imprecò ad alta voce senza accorgersene. Poi si tappò la bocca con la mano. Perché aveva reagito così? Oh, probabilmente perché a lei Jakob piaceva tantissimo. Troppo.
Ma avrebbe dovuto contenersi. Forse non era portata per certe cose. Forse lei non era capace di gestire quelle cose. Le altre ragazze sì. C’era qualcuna più o meno libera in quelle faccende. Eleni una volta aveva definito “chalarí gynaíka” una ragazza più grande di loro che ridacchiava sguaiatamente quando era vicino a Jakob, ma quando poi la donna si era accorta della sua presenza non aveva detto più niente.
Wolfrun aveva fatto finta di non capire il greco, quella volta, e aveva osservato la ragazza. E si era sentita proprio come lei, poco prima. O come Chloe nella saletta della Pan Am di Tegel.
Scese dal letto e si rimise sul tappeto. Aveva bisogno ancora di fare Yoga. Non le piaceva sentirsi così. Così confusa.
E dannatamente viva.

 

***

Jakob tirò un altro sasso nel mare. Saltò. Due volte. Ma solo dove non c’erano onde. Era rimasto lì, sulla spiaggia, con una sensazione indescrivibile nel petto. Sospirò.
Mise le mani in tasca e diede un calcio a una pietra rotonda, si avvicinò a dove prima si erano seduti, si chinò a prendere la bottiglia e i bicchieri e si incamminò verso il sentiero. Finì il vino direttamente bevendo dal collo della bottiglia.
Buon compleanno, Jakob.

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