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Autore: daphtrvnks_    28/10/2018    2 recensioni
La mia pelle una volta pallida, un vanto per chi viveva nel lusso, ora è scura.
L'americana continua a guardarmi, abbiamo legato in queste ultime settimane, sa che io, una stupida cinese, non posso fare molto.
Riproverò questa notte. 
Sopravviverà, ne usciremo insieme.''
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Chichi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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'16 Agosto, 1942

Bulma si sta rimettendo e di ciò ne sono felice. Ci sono nuovi soldati e tra questi spicca la figura di uno che prenderà il posto del generale Hatake, di lui conosciamo solo il nome: Vegeta. Questa mattina, quando siamo state chiamate per le notizie del giorno sulla guerra, ci è stato presentato: il suo sguardo era torvo e rigido, portava una divisa diversa dalle altre, di un colore blu scuro adornato di molte medaglie, alle mani dei guanti bianchi ed ai piedi degli stivali di pregiata manifattura in cuoio. Si è subito accorto che all'appello mancava una delle nostre compagne, di fatti Bulma era ed è tutt'ora distesta nella baracca. Ha bisogno di cure ed ha provveduto prendendosi carico delle sue condizioni di salute dicendo che, finchè la guerra non sarebbe terminata, tutte dovevano restare vive per evitare ulteriori conflitti. Ho notato Goku tra le file di uomini, mi fissava ed alla fine mi ha rivolto un sorriso che io non ho ricambiato. Mi tocca andare adesso, ho dei lavori da svolgere e non posso tardare di molto la mia assenza. '


Bulma rimase sola, anche Chichi dopo una breve visita seguita da un bacio sulla fronte andò via. Poggiata contro la fredda parete in cemento stringeva al petto una coperta in lana, debole e dimagrita teneva tra le dita della mano sinistra una sigaretta datale dall'austriaca, le avevano detto che fumare avrebbe alleviato le sue sofferenze: ad ogni tiro si sarebbe data in braccio alla morte, la cenere avrebbe buttato via ogni suo sogno, ogni bastoncino bianco come latte spento le sue speranze, e quando anche il fuoco, che ardeva come nel suo animo, avrebbe consumato l'ultimo residuo di tabacco, aspirandolo come fosse ossigeno, ella avrebbe gettato al vento come fumo il suo desiderio di tornare in patria. Eppure, anche se fumare un giorno l'avrebbe condannata alle più dispiacevoli delle malattie, in quel momento, sembrava l'unica soluzione per evadere dai pensieri. 

I capelli turchesi erano sporchi, avevano perso la loro lucentezza, al contrario gli occhi, belli come lapislazzuli, brillavano di forza. La sua pelle pallida come la neve, segnata da macchie rosse e croste scure, ferite da cui scendeva sangue, ricordava la lava dei vulcani. Stanca fisicamente, lo spirito che celava era simile a quello di un eroe, non si abbatteva, non veniva schiacciato, avrebbe lottato per le ingiustizie che le erano state riservate. Sarebbe andata via a testa alta, avrebbe lasciato Sumatra e non sarebbe morta lì, con una croce senza nome fatta in legno, sepolta dalla terra. Non aveva sentito i passi pesanti dell'uomo entrare nel rifugio, troppo presa da altro anche la sigaretta stava per finire. La luce del pomeriggio faceva male ma curiosa alzò lo sguardo per vedere chi fosse, trovò a suo malgrado uno dei soldati.

Diverso, non lo aveva mai visto.

Le parole di Lazuli le risuonarono nella mente, come un nastro riavvolto per risentire il pezzo preferito di una canzone : 'Oh, Bulma, avresti dovuto vederlo! Era davvero basso e poi, ah – la bionda rise leggermente sistemandole la coperta sulle gambe – portava dei guanti così strani!' era così simpatica, innocente, riusciva a trovare il lato positivo delle cose anche in quell'inferno. 

Portava dei guanti, sì, guanti candidi e spessi.

I suoi occhi scuri la scrutavano, i suoi capelli le ricordarono la fiamma di una candela, neri come la notte. Si chiese cosa volesse e prima ancora che potesse chiederlo lo sconosciuto parlò: 

'Dovreste star bene se siete qui a fumare come niente fosse.' 

La giovane fece una smorfia, il piccolo naso arricciato e gli occhi appena socchiusi. Non rispose, portò semplicemente la sigaretta alle labbra prendendo un lungo tiro per poi buttare la cicca nel guscio di un cocco usato come posacenere. Cacciò con noncuranza il grigio fumo, notando come egli non apprezzasse il gesto. Aveva storto le labbra, si era poi piegato al suo fianco rimanendo a guardarla ancora un altro po'. Accattivante come pochi, quando aveva parlato il suo accento giapponese era arrivato dritto alla sua mente come una lama. 

'Non parlate?'

Proferì nuovamente. Azzardò portando una delle sue grandi mani verso il volto dell'americana, tastando con l'indice la sua guancia segnata da un graffio. Morbida, calda. La bocca si schiuse dallo stupore, la straniera era graziosa. Avevano raccontato della tortuna che aveva subito, incredibile come una occidentale potesse avere così tanto coraggio da riuscire a resistere. 

'Cosa devo fare per farvi parlare, donna?' 

Bulma non parlò. Muta. Non voleva far beare quell’uomo, che pensò fosse davvero attraente, della sua voce. Rimasero a guardarsi per qualche minuto, tra il rumore costante degli stivali dei soldati al di fuori, dei comandi urlati a gran voce e del gracchiare degli uccelli. 

'Come volete.'

Sbottò dopo poco, era rimasto incantato dalle iridi cristalline della prigioniera. Bella come non ne aveva mai viste, anche in quelle condizioni diplorevoli, si era trovato a dover ammettere allo spirito contorto che portava come scudo, che ella, sì, era un fiore prezioso da dover custodire. Fosse stata un'altra non si sarebbe fatto scrupoli a sollevarla per i capelli ed a imporle di lavorare con le altre. Levò la mano, come se si fosse scottato. Si rimise in piedi osservandola dall’alto, imponendole il rispetto che avrebbe dovuto dargli, il rispetto che si dà ad un Dio temuto, un Dio che si supplica per non verdersi scagliare contro la sua ira. 

Colto da quelle idee malsane, i quali lo avevano fatto arrivare fino alla carica di generale, stava per tirare un calcio al suo esile e fragile corpo.

La ragazza si era tirata indietro gemendo leggermente per il dolore dovuto all'azione troppo fugace a cui si era sottoposta per proteggersi, le ginocchia bruciavano, troppo le aveva tenute piegate qualche giorno prima.

'Shōgun, Nara taii wa de anataga hoshīdesu.'

Uno dei sottoposti si affacciò dinanzi alla baracca, inchinandosi ed aspettando una risposta. 

'Kare wa matsu koto ga dekimasu.' 

Bulma li guardava cercando di capire cosa stessero dicendo, sperava che si fermasse, che quel 'salvatore' portasse via il demonio a un passo da lei.

'Sore wa kinkyūde, konakereba naranai.'

Un ringhio, infastidito Vegeta strinse le mani in pugni, uscì dalla baracca senza degnarla di uno sguardo, spintonando il soldato e dirigendosi a grandi passi verso il suo ufficio.

Accese un’altra sigaretta, tenuta lì accanto. Un altro tiro e non avrebbe più sofferto.


*Generale, il capitano Nara vi vuole al telefono.

*Può aspettare.

*È urgente, deve venire.

 


  
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