Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    29/10/2018    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

"«Ma come sta? Sta bene?».
«Farò dei controlli più accurati domani mattina. Per ora posso dirti che il fatto che finalmente abbia aperto gli occhi e abbia parlato è sicuramente un buon segno.».
«Okay...».
«Ora però devi ascoltarmi, Ben.» cominciò il medico, guardandolo fisso negli occhi e parlando sempre con estrema calma «Vai a casa. Con la dose di sedativo che gli ho somministrato, è escluso che si svegli prima di domani mattina. Vai a casa e riposati, dormi. Domani il tuo amico avrà bisogno di te.
»."

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GIORNO 22.

Ben aveva dormito per tutta la notte.

Non ricordava più quando fosse successo l’ultima volta, ma finalmente era riuscito a dormire un sonno profondo e senza incubi, del tutto ininterrotto.
Complice forse l’atmosfera della propria casa piuttosto che quella vuota e triste dell’ospedale, oppure la notizia che aveva ricevuto la sera prima riguardo il fatto che Semir si fosse svegliato, era finalmente riuscito a riposarsi sul serio.
Quando si svegliò, Maggie era distesa accanto a lui, ancora addormentata.
Ben scese dal letto, si preparò in fretta, bevve una tazza fumante di caffè e si guardò allo specchio.
Aveva i lineamenti un po’ più distesi, la notte di sonno gli aveva fatto bene.
Scarabocchiò velocemente un biglietto che adagiò sul comodino di Margaret, le lasciò un leggero bacio tra i capelli e uscì dall’appartamento senza fare rumore.
Erano le sette del mattino quando, a bordo della sua moto, partì da casa alla volta dell’ospedale centrale di Colonia.

Quando giunse davanti alla porta della stanza di Semir, vi trovò davanti il dottor Schneider, intento a scrivere qualcosa su una cartellina.
«Oh Ben!» esclamò, vedendolo arrivare «Come stai? Sei riuscito a riposare un po’?».
L’ispettore annuì con un sorriso «Sì e ti ringrazio di aver insistito, perché ne avevo decisamente bisogno. Posso entrare?».
Chris annuì.
«Gli farò qualche controllo, poi se va tutto bene vi lascerò soli. Mi raccomando però, Ben, non farlo stancare e soprattutto fai in modo che non si agiti troppo. Va bene?».
«Va bene.» assicurò il ragazzo, abbassando la maniglia e richiudendo la porta una volta che entrambi furono entrati.

Li accolsero i soliti suoni intermittenti che facevano parte integrante di quello scenario ormai da giorni.
Ben esitò, ma il medico lo invitò con lo sguardo ad avvicinarsi al letto. Quindi il poliziotto si diresse verso la sedia e prese posizione.
Rimase per qualche secondo a fissare il collega disteso sul letto, prima di decidersi a svegliarlo.
Poi cominciò a chiamarlo, piano.
«Semir... Semir, so che puoi sentirmi... apri gli occhi...».
Per un minuto lunghissimo non accadde niente.
Poi, sul viso di Semir si dipinse una smorfia di dolore.

Schiuse gli occhi, lentamente.
La luce gli dava fastidio.
Sarebbe rimasto nel buio confortante che lo aveva circondato fino a quel momento, ma una voce lo stava chiamando e lui conosceva perfettamente quella voce.
Fece uno sforzo immane per sollevare del tutto le palpebre e impiegò qualche secondo a trovare con lo sguardo la fonte di provenienza di quella voce che lo chiamava.
Ma poi lo vide, alla sua destra, sorridente.
Semir richiuse in fretta gli occhi, provando una fitta acuta di dolore all’altezza del bacino, che si irradiò poi per tutta la schiena.
Poi li riaprì, ma il dolore non era passato.
Gli faceva male anche la spalla. E il torace. E la testa.
Prima che potesse provare a dire qualsiasi cosa, un’altra figura maschile entrò nel suo campo visivo. L’aveva già vista, forse il giorno prima.
La figura in camice bianco parlava, ma Semir sentiva tutto ovattato. Solo dopo un po’ i suoni divennero più nitidi e lui riuscì a comprendere che cosa il dottore gli stesse dicendo.
«Ispettore? Ispettore, mi sente?».
Semir avrebbe voluto annuire, ma fece una fatica enorme per provare a muovere la testa.
«Ispettore... ha male? Sente dolore?».
Il turco provò di nuovo ad annuire, ma la verità era che la smorfia sul suo viso rispondeva già da sola a quella domanda.
Con la coda dell’occhio vide il medico selezionare qualcosa su un macchinario alla sua sinistra e, poco dopo, il dolore era un po’ diminuito.
«Così andrà meglio... riesce a parlare, ispettore Gerkhan?» gli chiese ancora la figura in camice bianco.
Semir aprì la bocca  e non ne uscì alcun suono.
«Okay, non si preoccupi...» cominciò il dottore, ma lui si sforzò e lo interruppe.
«Ci... ci riesco...» mormorò, con un filo sottilissimo di voce.
«Bene, molto bene.» commentò ancora il medico.
Ora la vista era diventata più nitida e Semir poté distinguere chiaramente il profilo di quell’uomo. Sulla cinquantina, ingrigito, grandi occhi azzurri e un sottile paio di occhiali sul naso triangolare. Sulla tessera appesa al taschino del camice spiccava il nome Christopher Schneider.
«Io sono il Christopher Schneider, ci siamo visti già ieri sera. Vorrei farle qualche veloce controllo prima di lasciarla solo con il suo collega, va bene?» fece l’uomo, estraendo una piccolissima torcia dal taschino.
Controllò la reazione pupillare, poi gli fece qualche domanda su chi fosse per constatare che non avesse alcun problema di amnesia.
Gli chiese poi di stringere le sue mani e di spingere con i piedi contro i palmi delle sue mani aperte, con tutta la forza che aveva.
Terminati questi rapidi controlli, annuì e scrisse qualcosa sulla cartellina che reggeva tra le mani.
«Bene, ora vi lascio soli. Qualche minuto, Ben.» concluse velocemente.
Quindi lasciò la stanza, tirandosi la porta alle spalle.

Ben non parlò subito.
Guardò il suo socio per almeno un minuto senza proferire parola.
Semir, invece, non lo guardava neanche. Ruotare la testa verso la sua direzione gli comportava troppa fatica.
Il più giovane lo intuì, quindi dopo quel minuto di totale silenzio si alzò dalla sedia e si sporse per rientrare nel suo campo visivo.
«Semir... socio, sono contento che tu sia sveglio.» disse, semplicemente.
«Ben... pensavo... pensavo...».
«Sì, lo so.» lo interruppe Ben, evitandogli la fatica di continuare «So che Keller ti aveva detto di avermi ucciso, ma ti assicuro che fino a due giorni fa io non lo avevo neanche mai visto personalmente. Non è mai venuto a cercarmi, voleva solo che tu credessi che io fossi morto.».
Semir annuì debolmente.
Non riusciva a muovere un muscolo senza che fitte di dolore si irradiassero da ogni parte del corpo e quella condizione gli creava uno strano senso di ansia.
«Le... le bambine...» mormorò, senza terminare la domanda.
Non ci riusciva.
Ben trasalì. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Percorrendo in moto la strada che separava casa sua dall’ospedale aveva pensato e ripensato a quella domanda, che l’amico gli avrebbe sicuramente posto appena sveglio. Aveva provato a immaginare che cosa sarebbe stato meglio rispondere, ma non era giunto a nessuna conclusione. Aveva preparato persino un abbozzo di discorso, ma entrando in quella stanza se lo era immediatamente dimenticato.
E ora, non sapeva che cosa dire.
Ma, nell’indecisione, fece la cosa peggiore che avrebbe potuto fare: esitò.
E Semir se ne accorse.
L’elettrocardiografo cominciò a inviare suoni sempre più ravvicinati tra loro e Ben si allarmò subito.
«Semir... Semir, no, ascolta, calmati...».
Ma lui non lo ascoltava. Annaspava per dire qualcosa e i suoi occhi erano colmi di terrore.
«Dimmi... dimmi come stanno... le bambine... Ben... dimmelo.» balbettò, a fatica.
«Sì, ma tu calmati, Semir, ti prego!» quasi gridò il più giovane, mentre i battiti cardiaci dell’amico acceleravano ancora.
«Ascolta, Aida sta bene. Non si è fatta nemmeno un graffio, hai capito Semir? È... è un miracolo, non si è fatta niente e sta bene.» spiegò, sperando che cominciare con una buona notizia lo avrebbe calmato.
Invece, inaspettatamente, quelle parole gettarono Semir ancora più nella paura.
Se il collega gli parlava solo di Aida, se premeva sul fatto che lei stesse bene, allora Lily...
«Hai capito, Semir? Aida sta bene.».
Ma Semir non lo ascoltava. Improvvisamente, gli sembrò di non riuscire più a respirare bene e si sentì come se un macigno gli fosse piombato sul torace  e premesse con forza per farlo soffocare.
«Mi... mi sento...» bisbigliò, in preda al panico.
Ma non riuscì a terminare la frase.
I macchinari cominciarono a lanciare veri e propri segnali di allarme e le palpebre di Semir lentamente si abbassarono.
Ben andò in panico, esitò persino a premere il tasto per le emergenze. Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, il dottor Schneider si catapultò nella stanza, intimandogli di uscire.
«Dannazione Ben, ti avevo detto di non farlo agitare!» disse a denti stretti prima di chiudersi la porta alle spalle.
Evidentemente era rimasto dietro la porta tutto il tempo e aveva immediatamente sentito i segnali acustici che indicavano che fosse successo qualcosa.
Accadde tutto a una velocità incredibile.
Ben uscì, ma rimase a guardare dal vetro Chris che armeggiava sul letto del paziente insieme a un’infermiera.
Li vide mentre spostavano Semir su una barella e poi li vide uscire dalla stanza di corsa, trascinando la barella con loro.
Dovette spostarsi per farli passare e li seguì con lo sguardo mentre si dirigevano velocemente verso la sala operatoria.

Era passata solo un’ora quando Chris Schneider uscì dalla sala operatoria e gli andò incontro.
Lui lo attendeva lì, immobile, accasciato su una di quelle scomode sedie che lo avevano ospitato così spesso negli ultimi giorni.
Si protese verso il medico per chiedergli che cosa fosse accaduto, ma questi preferì sedersi accanto a lui.
Si tolse gli occhiali con un gesto nervoso e lo fissò negli occhi. Sembrava turbato, e questo mandò Ben ancora più in confusione.
«Chris, perché quell’espressione? È... lui è...».
«Vivo.» concluse l’uomo al suo posto «Ma non sta bene, Ben.».
Il giovane ispettore si prese la testa tra le mani, spostando lo sguardo a terra, con un sospiro.
«Ha avuto un’ischemia miocardica acuta.» continuò Schneider, con un lieve sospiro «Il dottor Franz, il chirurgo cardiotoracico, ha dovuto eseguire un’angioplastica coronarica d’emergenza. Sono qui io a parlarti perché lui sta terminando i controlli post-operatori. In realtà si tratta di un intervento di routine, poco invasivo. Ma Semir era già davvero molto debilitato e si tratta comunque di un altro intervento, per cui...».
«Chris.» lo interruppe Ben, tornando a guardarlo negli occhi. Era la prima volta da quando lo aveva conosciuto che il medico non andava dritto al punto.
«Avevamo detto niente giri di parole.».
Il chirurgo annuì, con un altro sospiro.
«Sono rimasto in sala a seguire l’intervento. È andato in arresto due volte, Ben. Franz l’ha ripreso, ma non ho idea di come sarà il decorso post-operatorio. Normalmente il giorno dopo i pazienti tornano a casa se hanno subìto un intervento del genere, ma il dottor Franz teme che Semir possa non svegliarsi.».
«Che cosa?».
«Ha subìto troppi interventi... ha subìto troppo stress. La sopportazione ha un limite, Ben, il fisico non può resistere a tutto. Io spero che si svegli e che stia bene, ma non è detto che questo accada, purtroppo sono d’accordo con il dottor Franz.».
Ben scosse il capo, aveva i pensieri confusi.
«Ma come... come è successo? Semir non ha... non ha mai avuto problemi di cuore e...».
«Ben, Semir e il suo cuore ultimamente hanno avuto un bel peso da sopportare. Lo shock emorragico e i due interventi al cervello dei giorni scorsi hanno sicuramente provato il cuore ulteriormente e un cuore provato è più sensibile allo stress, cronico o acuto che sia. In caso di stress psicologici acuti possono verificarsi aritmie anche improvvise, o vasocostrizione, che a loro volta possono portare all’innesco di un’ischemia miocardica acuta. Poteva succedere ed è successo...».
Ben scosse ancora la testa. Quelle parole terribilmente razionali, scientifiche e vere, lo destabilizzavano.
«E non ho finito...» aggiunse il dottore, con una certa timidezza nella voce.
«Che cos’altro è successo?» domandò il poliziotto, in un sussurro. Non sapeva più che cosa aspettarsi.
«Ecco... quando Semir era vigile, io gli ho fatto qualche controllo, prima di lasciarvi soli, ricordi?».
Il ragazzo annuì, invitando il medico a continuare.
«Gli ho chiesto di stringermi la mano e lo ha fatto. Poi però gli ho chiesto di spingere con i piedi verso i palmi delle mie mani...».
«Ti prego, Chris, non dirmi che...».
«Non ho sentito niente, Ben.» lo interruppe Schneider, a bassa voce «Nemmeno una forza leggerissima, niente. L’ho già detto al chirurgo ortopedico, ci lavoreremo insieme. Potrebbe essere stato un problema momentaneo, ma fino a quando Semir non si sveglierà non posso escludere nulla.».
Ben annuì.
Se all’alba una speranza aveva illuminato la giornata, ora quella speranza era scivolata via, lasciando dietro di sé un baratro peggiore del precedente.
«Comunque sia, Semir verrà monitorato in continuazione, Lisa controllerà le funzioni vitali ogni ora e riferirà ogni cosa sia a me sia al dottor Franz. Devi stare tranquillo.».
«Lisa?».
«La ragazza che hai visto ieri, è una specializzanda. Mi piace, molto responsabile.» assicurò Schneider, con un lieve sorriso. Poi si alzò dalla sedia.
«Mi dispiace per quello che ti ho detto prima, Ben, che non avresti dovuto farlo agitare. Cancella quella frase, okay? Quello che è successo non è in alcun modo colpa tua. Ricordalo, Ben.» aggiunse poi, prima di allontanarsi.




N.d.A.
Sembrava stesse accadendo qualcosa di positivo, invece...
È una storia interminabile, ne sono consapevole, spero solo di non annoiarvi troppo!
Grazie e a presto,
Sophie
  
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