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Autore: Enchalott    29/10/2018    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Decisione a sorpresa
 
Anthos sollevò il pesante cappuccio orlato di pelliccia bianca a nascondere il volto e fissò con calma glaciale una delle porte secondarie della cittadella, che si apriva e si richiudeva velocemente nel buio freddo e innevato della notte.
Nessuno aveva ricevuto l’ordine di uscire dai cortili del palazzo, soprattutto una guardia che sarebbe stata incaricata di vigilare sulla sicurezza della capitale: aveva chiaramente scorto il baluginare dell’elmo e udito il lieve sferragliare della cotta di maglia sotto il mantello bruno.
Gli occhi color ambra arsero di collera al pensiero che qualcuno avesse avuto nuovamente l’ardire di contravvenire alle sue decisioni. L’episodio del tentato avvelenamento della principessa Dionissa continuava a farlo infuriare, soprattutto perché non aveva più ricevuto notizie dal suo uomo a Erinna. Poi, quella sera aveva percepito una strana dissonanza magica e si era messo all’erta, invisibile e letale, sulle mura poderose di Jarlath, immune al freddo e paziente come un lupo.
Ciò che aveva visto era stato la conferma dei suoi sospetti e, contemporaneamente, il limite consentito per la disobbedienza alla sua sovranità. Certamente, un semplice soldato non avrebbe preso personalmente un’iniziativa del genere, sapendo che il reggente aveva stabilito il coprifuoco al calar del sole. Qualcuno lo aveva convinto o pagato o…
Balzò giù dalla cinta difensiva e il mantello si aprì alle sue spalle, donandogli l’aspetto di una candida creatura alata. La spessa coltre di neve ovattò il suono degli stivali che toccavano pesantemente terra. Scivolò lungo la parete, ripercorrendo la via per cui l’uomo era appena scomparso e passando la spessa porta di ferro come un’ombra impalpabile, veloce e mortale.
Il poveretto non si accorse neppure di essere seguito: si ritrovò schiacciato contro il muro, serrato da una morsa invincibile e inchiodato al puro terrore da quello sguardo spietato.
“M-mio signore…” balbettò con voce strozzata.
Anthos non lo stava neppure sfiorando: era la sua potenza devastante ad impedirgli qualsiasi movimento e a ostacolare persino l’uscita del semplice respiro.
“Suppongo sia un motivo inoppugnabile ad averti spinto a trasgredire le mie direttive…” commentò sarcastico.
L’uomo lottò inutilmente contro la presa ferrea e invisibile che gli stava serrando gli arti, nel tentativo di sfuggire alla morte in forma umana che lo stava fissando.
“Avanti, parla!” tuonò il reggente “Può solo andare peggio per te!”
“Io… io chiedo perdono, altezza…” farfugliò.
Il principe lo squadrò e non fece altro che stringere le spire micidiali, più torvo che mai. La richiesta pietosa gli sembrò assurda.
“N-non capisco…” proseguì il prigioniero “Non riesco a ricordare bene…”
“Speri che io ti creda?”
“Maestà… non oserei mai disobbedirvi… mai! Qualche ora fa mi sono ritrovato fuori dalle difese di Jarlath, in mezzo alla tormenta e sono riuscito ad orientarmi solo perché ho notato uno strik volare in direzione della città. In caso contrario, sarei morto assiderato… non riesco a rammentare nulla da ieri, ve lo giuro sul mio onore!”
Anthos inarcò un sopracciglio, meditabondo. In effetti, un uccello messaggero era rientrato quel giorno stesso. Tuttavia, non si lasciò convincere.
“La tua amnesia mi sembra alquanto opportuna, altro che onore” sibilò.
Il soldato tremava come una foglia nella bufera. Le gambe gli cedettero per la paura e mosse un passo indietro per non perdere l’equilibrio e non sembrare più patetico di quanto non si sentisse già in quel frangente. Dai suoi vestiti cadde un pulviscolo rossastro, che impolverò lievemente la neve intatta.
Il reggente del Nord osservò il fenomeno con uno sguardo sottile e interessato. Allungò la mano sulle pieghe degli abiti dell’uomo, che deglutì terrorizzato, e sul guanto bianco rimase traccia di quelli che parevano minuscoli granelli di sabbia. La sua espressione furente si velò di interrogativi. Sollevò il viso e le iridi dorate sfavillarono nel buio.
“Chi ti ha ordinato di recarti nel deserto?” domandò secco.
La guardia lo fissò stupefatta, come se le sue parole non avessero senso.
“Devo ripetermi?” ribadì lui gelido.
“N-no mio signore… io… io non ci sono mai stato, vi do la mia parola…”
“E questa?” chiese il principe aprendo le dita.
Alla vista dell’argilla bruna, l’uomo strabuzzò gli occhi, che si colmarono di lacrime a fronte di quella prova schiacciante e inspiegabile.
“Non ricordo nulla! E’ come se nella mia memoria ci fosse un buco nero!” piagnucolò sconfortato “Vi supplico, altezza, non uccidetemi!”
Anthos indugiò difronte a tanta ostinazione. Quanto il soldato stava ribadendo con disperata convinzione poteva corrispondere a verità. Ma solo in un caso. Nessuna corruzione in denaro, nessuna coercizione al tradimento. Solo magia. Il che sarebbe bastato anche a spiegare la sensazione che gli era passata attraverso la pelle poco prima, come di incantesimo dissolto.
“Poniamo che io ti creda” ringhiò “Qual è il tuo ultimo ricordo, dunque?”
“Ecco…” balbettò l’interpellato, quasi incredulo per essere ancora vivo “Ieri mattina, terminato il turno, mi sono recato alle stalle per nutrire il mio cavallo… sarei stato di riposo nelle ore successive… rammento di essermi diretto verso gli alloggiamenti e poi… sì, poi qualcuno mi ha chiamato e… e dopo solo il nulla, finché il gelo di Iomhar non mi ha ridestato…”
Tra le sopracciglia del principe si delineò una profonda ruga. L’idea che il soldato potesse essere stato incantato e mandato inconsapevolmente in missione chissà dove con uno scopo incomprensibile, cessò di sembrargli così remota. Una scelta oculata e prudente quella di ghermire con la magia una sentinella in pausa: nessuno avrebbe fatto caso alla sua assenza per molte ore. Maledizione. C’era solo un modo per scoprirlo. Strattonò il malcapitato, provocandogli un gemito.
“Muoviti!” disse perentorio.
Lo trascinò all’interno del palazzo, perdendosi tra i corridoi di pietra scarsamente illuminati e deserti, verso l’ala riservata al sovrano, ove nessuno osava accedere senza invito e tutti rabbrividivano dopo averne ricevuto uno.
L’uomo non faceva resistenza, terrorizzato, e si lasciava condurre nel cuore del castello, nel punto dal quale l’oscurità stessa pareva avere origine, senza fiatare. Si fermò, rifiutandosi di procedere, solo quando si ritrovò dinnanzi ad una porticina di legno chiaro, differente da tutte le altre, che irradiava una sottile luminescenza. L’uscio si spalancò difronte al reggente, senza che questi lo toccasse.
“Leu-Mòr…” balbettò il soldato recalcitrando, paralizzato dall’angoscia “Io non…”
Anthos lo afferrò per il collo con poca clemenza, scrutandolo freddamente.
“Scegli se affrontare le tue stupide superstizioni o la morte certa, che non ti negherò per compassione” disse fissandolo in volto “Ora!”.
Il soldato era percosso da un panico lancinante, tuttavia il principe riusciva a incutergli molto più timore della buia scala a chiocciola che si perdeva nell’ombra greve della torre. Le leggende sulla Dimora della Luna erano paurose e raccapriccianti, ma erano pur sempre racconti. Il signore del Nord, invece, era reale e terrificante nell’immediato e senza supposizioni. Si arrese, lasciandosi condurre docilmente lungo i ripidi gradini di roccia, fino ad una seconda entrata, chiusa da un portone ligneo più imponente e severo.
Il reggente lo spinse senza tante cerimonie dentro l’ambiente tetro e gelato che costituiva la cima della struttura. Le possenti colonne nere incombevano come inflessibili vedette, proiettando le loro sagome nitide sul pavimento scuro. Lunghe stalattiti di ghiaccio pendevano dalla volta umida come pugnali affilati e traslucidi.
Il bacile intarsiato di segni magici, che occupava il posto d’onore al centro della sala, trasmetteva una sensazione di potere, come se esigesse una muta deferenza solo per il fatto di esistere in quel luogo isolato dal resto del mondo. Dalle sue viscere proveniva una luminosità smeraldina, che era l’unica fonte di chiarore, quella che talvolta era visibile all’esterno dalla città.
L’assenza di qualsivoglia strumentazione di tortura o di un oscuro corredo magico, uditi con orrore nelle voci che creavano il mito di Leu-Mòr, non tranquillizzò affatto la guardia. Anzi, le palpitazioni cardiache aumentarono a dismisura quando il suo aguzzino lo trascinò verso il monumentale catino di pietra nera.
Anthos si sfilò i guanti e sollevò le dita sopra la conca, che rispose con un’increspatura violenta dell’acqua contenuta al suo interno: il liquido cominciò a ribollire, divenendo biancastro e schiumando come l’oceano in burrasca.
“Porgimi le tue mani! Svelto!” ordinò all’uomo tremebondo che lo fissava spaurito dall’altro lato della vasca circolare.
Questi sciolse le fasce che gli cingevano i palmi e obbedì senza fiatare, in preda ad un terrore indescrivibile.
Il principe lo afferrò e gli immerse le braccia fino ai polsi nel fluido vorticante, trattenendolo saldamente. I suoi occhi allungati si socchiusero e si illuminarono di una magia arcana priva di evocazioni.
L’essenza che gli lambiva gli arti era tiepida e invitante. Avvertì il calore aumentare e le immagini cominciarono a prendere forma nella sua mente; iniziò a vedere con la mente dell’uomo che aveva condotto lassù, a percepire i suoi ricordi e i suoi sentimenti all’indietro, a partire dal momento in cui lo aveva braccato sotto le mura.
Il battito del cuore rallentò, il respiro si fece più tenue e il medaglione con le Tre Gemme iniziò a scintillare, velandosi d’azzurro. La sua intera essenza si ritirò per fare luogo alla coscienza dell’altro essere umano presente in quel trance.
Indietro di minuti, di ore, di giorni.
Si era risvegliato in mezzo alla steppa congelata, senza capacitarsi del motivo, in preda ad un principio di ipotermia, stringendosi il mantello sulle spalle. Nessun punto di riferimento, solo quel bianco folgorante e ipnotico che era la morte elargita dal Nord. Poi, lo strik che sfrecciava nel cielo latteo e la speranza di poter resistere fino a Jarlath senza morire assiderato.
Ancora indietro, nel tempo e nella memoria.
Era preda di una sensazione di leggerezza, come se non avesse corpo, strana e soddisfacente al tempo stesso. L’aria era tiepida e secca e gli scompigliava i capelli in quell’emozionante librarsi attraverso lo spazio. Aveva fretta, anche se non ne coglieva le ragioni. Sapeva di avere poco tempo per tornare.
Il tempo scivolò via alla rovescia, inoltrandosi prepotente nel trascorso. Anthos aumentò la concentrazione e lo sforzo compiuto si palesò nel lucido sudore che gli imperlò la fronte olivastra.
Orme sulla sabbia rossa e gialla, al bagliore di un tramonto sfolgorante che non aveva mai visto, che era una potente distrazione rispetto all’ordine che aveva ricevuto. Ma esso aveva la priorità e lui era nato per obbedire e basta. Obbedire e basta. Lo spesso sacchetto di pelle che stringeva tra le dita si dibatteva nervosamente. Il piccolo gruppo di persone che si era accampato nel deserto non aveva notato la sua presenza. Forse perché era e non era. Al calare della notte, aveva sciolto i lacci della borsa morbida che aveva custodito, acquisendo chiarezza sul compito che gli era stato imposto, scagliandola al centro dello spiazzo silenzioso. Una creatura nera e strisciante era uscita, infuriata e famelica a causa della lunga e scomoda prigionia, sgusciando velocemente in direzione dell’unica fonte di calore. Eseguire. Portare una morte e poi dileguarsi. Dimenticare tutto.
Anthos scorse chiaramente l’orchya aggredire un uomo e poi acquattarsi tra le stoppie per tornare all’attacco. Una freccia porre fine alla sua opera letale. Un arciere del deserto, sicuro e micidiale. Un uomo con la spada sguainata, che proteggeva una giovane donna. Lo sguardo atterrito di lei, l’espressione rabbiosa di lui. Il sollievo dell’Aethalas. La principessa Adara e il Capitano della Guardia reale di Elestorya. Chi aveva osato…?
L’ira gli fece quasi perdere la presa sui ricordi che stava esaminando, ma recuperò il controllo e s’inoltrò ancora in quel vortice di reminiscenze, per capire chi era stato a porre l’incanto sul soldato, per renderlo un inconsapevole omicida.
Il tempo precipitò alla rovescia, forzando le leggi naturali nella visione del reggente.
La guardia di palazzo era smontata dal turno, così come aveva raccontato, e si era diretta verso le stalle. Un’ombra aveva intralciato il suo cammino e ne aveva piegato la volontà, fino ad annullarla. Era un’oscurità dotata di poteri immensi. Era forte e malvagia. Era sicuramente astuta, era…
L’uomo difronte a lui iniziò a urlare di dolore, tentando di sottrarsi alla stretta che lo tratteneva. La memoria si bloccò e i secondi cominciarono a precipitare nella direzione naturale. I lineamenti del soldato si distorsero, si accartocciò su se stesso, emettendo grida agghiaccianti, in preda alle convulsioni.
Anthos lo liberò dal contatto, estraendo le mani dall’acqua opalescente, tentando di riacquistare il dominio sulla sua mente. Inutile. L’essere che aveva agito con tanta scaltrezza si era messo al sicuro, imponendogli un portentoso blocco magico per non essere smascherato. Forzarlo, non sarebbe servito a nulla. Avrebbe solo distrutto l’innocente e sfortunata creatura che era capitata sul suo sentiero.
Il reggente abbandonò la lotta, ma il gioiello che portava al collo rifiutò di spegnersi, emanando un bagliore impressionante. Lo strinse nel pugno, percependo l’elevarsi di una difesa che oltrepassava la sua volontà, come se l’amuleto gemmato lo stesse avvisando che non era ancora finita.
Il soldato lanciò ancora un verso acuto, raccapricciante, e poi ammutolì. All’improvviso, esplose in mille pezzi e prese fuoco in un istante, trasformandosi in cenere scura. Di lui non rimase nulla.
Il medaglione divenne incandescente e poi la sua luce si estinse. La stanza riprecipitò nell’oscurità.
Anthos rimase immobile, ansimando pesantemente, tentando di ripulirsi il viso dagli spruzzi di sangue che lo avevano inondato. Le sue mani e i suoi abiti erano macchiati di scarlatto. Lunghe scie vermiglie, che sembravano lacrime. Strinse i pugni, che continuarono a tremare impercettibilmente.
Una fine atroce. Era abituato a fronteggiare la morte. La teatralità di quella cui aveva appena assistito era un avvertimento. Qualcuno lo stava sfidando apertamente. Qualcuno aveva eseguito un sortilegio sul disgraziato che aveva catturato poco prima, per uccidere la Campionessa del Sud e impedirle di raggiungere Jarlath. Aveva fallito, ma ci era andato molto vicino. La variabile era stata il guerriero del deserto, che aveva inchiodato il serpente con un unico colpo ben assestato. La sua presenza, non enunciata dalla Profezia, era stata provvidenziale. Un mero colpo di fortuna, forse… che, tuttavia, andava anche a suo vantaggio. Perché Adara avrebbe dovuto raggiungere la capitale viva e incontrarlo a tutti i costi, affinché il suo progetto, la sua vendetta andasse in porto. Non si sarebbe lasciato sfuggire la sua unica possibilità di vittoria!
Ora, il sospetto di avere un avversario formidabile, che avrebbe fatto di tutto per mettere in opera i suoi disegni senza farsi scrupoli di sorta, era divenuto certezza.
Ebbene, non lo temeva. Lo avrebbe smascherato e gli avrebbe fatto pagare caro quel subdolo tentativo di surclassarlo. Nessuno era superiore a lui, al reggente del Nord. Nessuno avrebbe più osato frapporsi tra lui e le sue scelte. O mostrato l’ardire di disobbedirgli. Avrebbe subito una sorte peggiore di quella cui aveva destinato l’uomo che era appena morto. Ma non in quel momento. La priorità era un’altra.
Abbandonò la torre, attraversando il salone principale ancora sporco di sangue rappreso, simile a un demone uscito dall’oltretomba. Le sentinelle distolsero lo sguardo, inorridite.
“Urien!” chiamò imperiosamente.
La figura incappucciata del suo consigliere avanzò dall’ombra, percorrendo fluida lo spazio che li separava. Si arrestò di botto.
“Mio signore, che cosa vi è successo?”
“Niente domande! Mi assenterò per qualche giorno, farai tu le mie veci. Se non fossi ancora tornato, occupati personalmente dell’accoglienza alla delegazione proveniente da Erinna. Non voglio problemi!”.
“Ma…”
Anthos sollevò il viso, segnato dalle vistose strisce rosse, e i suoi occhi dorati balenarono, terrificanti e adirati.
“Ci sono domande?” sibilò.
“No, altezza. Ho compreso perfettamente”.
Il principe si allontanò, sparendo oltre la soglia.
 
 
L’uomo giaceva a terra tra i rovi in un punto poco illuminato del campo, ricoperto di macchie livide e di rivoli di sudore gelato. Respirava appena e il suo volto contratto era una maschera di sofferenza.
“Dannazione…” grugnì Aska Rei, inginocchiandosi lì accanto, mentre i suoi compagni di viaggio sollevavano le torce, mesti e abbattuti.
Adara era rimasta poco discosta, come timorosa di disturbare gli ultimi momenti del giovane soldato, sentendosi inutile e responsabile. Tutti i presenti erano partiti con lei per proteggerla, ne era conscia; aveva messo in conto il fatto che ci sarebbero stati dei momenti difficili e rischiosi nella sua missione. Persino Dionissa si era premurata di metterla in guardia. Ma vedere per davvero un essere umano ridotto a quel modo, a languire senza una ragione, era tutta un’altra storia.
“Come hanno potuto…” mormorò sconvolta.
Aska Rei scosse la testa, ben sapendo che l’obiettivo non era affatto il malcapitato in agonia e che l’orchya non era certo arrivato a loro passeggiando.
“Qualcuno non gradisce il fatto che tu possa arrivare a Jarlath” rispose “Ora che lo sappiamo, raddoppieremo i livelli di attenzione”.
“Una consapevolezza guadagnata a caro prezzo” commentò lei, triste.
“Sì” interloquì Narsas “Ma non devi attribuirtene la colpa”.
Il comandante si voltò, ancora alterato per gli eventi e parimenti seccato dalla confidenza che l’arciere si prendeva con la principessa.
“Non puoi fare nulla? Gli Aethalas sono dei guaritori formidabili e i loro antidoti sono eccezionali, persino nei casi disperati!” disse rivolto all’arciere.
“Io sono un guerriero. Non me ne intendo molto di medicina. E da quello che vedo, purtroppo siamo arrivati tardi”.
Un brontolio di disappunto si diffuse tra i soldati, infastiditi da una tale freddezza.
“Andiamo…” osservò Aska Rei con un sogghigno forzato “Sappiamo tutti che ti porti dietro la cassetta del pronto soccorso, per così dire. Non mi raccontare che non c’è niente di utile tra le tue fiale multicolori!”
Narsas sospirò a quella nuova implicita accusa di volontaria non collaborazione. Si allontanò dal capannello e tornò poco dopo, recando una boccetta di vetro verde chiaro.
“Non funzionerà” disse “Gli darò un antidoto contro il veleno di vipera, ma morirà ugualmente. Sarà solo uno spreco”.
“Fallo e basta!” ordinò il comandante, a corto di pazienza.
L’arciere svitò la chiusura dell’ampolla e si chinò sul moribondo, tentando di fargli inghiottire il contenuto con estrema difficoltà.
“Come facciamo a sapere che non lo state avvelenando?” borbottò Dare Yoon.
“E’ già avvelenato!” sbottò il guerriero del deserto, esasperato “Non lo vedi?”.
Poi si alzò e si passò le ultime gocce di liquido trasparente sulle labbra, per dimostrare quanto fossero idioti a persistere nella loro sfiducia nei suoi riguardi. Avrebbero fatto più bella figura a non domandargli nulla, in tal caso.
“Soddisfatto?” domandò sarcastico.
“Tu potresti essere immune…” commentò un altro soldato.
“Già, gli Aethalas trafficano sempre con quegli intrugli…” affermò un terzo.
Narsas aggrottò la fronte, ma prima che potesse rispondere per le rime sentì una mano leggera e decisa sul polso.
“Adesso basta!” ordinò Adara, avanzando in prima fila, palesemente irata “E’ lui che ci ha salvati!”.
Gli occhi scuri della ragazza luccicarono al riverbero delle fiamme, facendo ammutolire i soldati, che abbassarono lo sguardo, intimiditi.
“Ve la fornisco io la prova!” disse perentoria.
Rei non fece in tempo ad intervenire. Successe tutto in un breve attimo.
La principessa di Elestorya si voltò verso l’arciere, posandogli le dita sulle spalle e si sollevò sulle punte dei piedi. Raggiunse la sua bocca e lo baciò nel punto in cui lui era venuto a contatto con la boccetta, soffermandosi in quell’atto finché non percepì a sua volta il delicato sentore di erbe dell’antidoto. Poi lo lasciò andare.
Narsas sgranò gli occhi e rimase immobile, come folgorato, avvampando brutalmente sotto la carnagione scura.
Il Capitano della Guardia, a sua volta, non riuscì a proferire parola e restò totalmente basito, stentando a credere a quanto aveva appena visto.
“E ora, fatela finita!” concluse Adara, abbandonando il gruppo nello stupore generale.
Aska Rei si riprese nell’immediato e si gettò al suo inseguimento, imprecando contro una tale sfacciataggine e altrettanta stoltezza.
Il guerriero del deserto si sfiorò le labbra, ancora incredulo, pensando che, forse, usare quel liquido prezioso per un uomo già condannato non era stato poi uno spreco così terribile.
 
   
 
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