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Autore: Crilu_98    29/10/2018    1 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Laktéa si rivelò più astuta ed esperta di quanto la corporatura gracile lasciasse ad intendere. Li guidò con sicurezza attraverso le montagne, leggendo i segnali che il bosco gli inviava con precisione ed abilità; dopo una settimana di cammino, inoltre, aveva memorizzato già molte parole con cui esprimeva i suoi bisogni. La sua preferita, però, rimaneva ‘Sattias’ ed il ragazzo non riusciva a dissuaderla dal pronunciarla in qualsiasi occasione:
“Fuoco, Sattias!”
“Caccia, Sattias!”
“Sete, Sattias!”
Manlios ed Hostius sembravano trovare quell’abitudine molto divertente. Lui, invece, rimaneva interdetto ogni volta che Laktéa gli rivolgeva uno dei suoi temibili sorrisi, o quando, la sera, si accoccolava accanto a lui davanti al fuoco: l’aveva eletto a suo protettore e questo, invece di gravare sulle sue spalle come un’ulteriore responsabilità, era per lui un motivo d’orgoglio. Quando incrociava i suoi occhi così chiari non ne era più inquietato, anzi, aveva addirittura iniziato a considerarli belli.
Come in quel momento, quando lei si girò a guardarlo, trafiggendolo con quello sguardo freddo come il ghiaccio eppure così pieno di vita; una smorfia preoccupata le irrigidiva i lineamenti:
“Pericolo, Sattias!”
Il ragazzo non fece in tempo a sguainare la spada o ad impugnare l’arco che si ritrovarono circondati e si maledisse per non aver voluto aggirare quel vasto altopiano coperto d’erba e spazzato dal vento.
Osservando meglio gli uomini che li minacciavano con lunghi bastoni, però, capì di riconoscerli e alzò una mano per fermare Hostius e Pileius che stavano per avventarglisi contro:
“Fermi! Sono il popolo delle capre!”
Uno degli assalitori, probabilmente il capo, si avvicinò con circospezione:
“Parlate la lingua dei Sabini, stranieri, ma non riconosco il sigillo sul vostro stendardo, non appartiene a nessuna delle tribù che ho incontrato, e sono molte!”
“E’ il simbolo di un nuovo popolo!” avrebbe voluto replicare il giovane, ma si fermò appena in tempo: non era sicuro di potersi fidare di quegli uomini.
“Credevo che il popolo delle capre non cercasse la guerra con nessuno!”
L’altro assentì con un cenno del capo:
“Dici il vero, ma la guerra è venuta a cercare noi. E’ arrivata dal mare ed ora dilaga nel territorio come una malattia… Vi credevamo gli invasori delle lunghe navi, ma ora vedo che le vostre armi sono in bronzo e non in ferro!”
“Ferro? E’ così che si chiama quel prodigioso metallo?”
“Esatto…”
Il suo sguardo si posò su Laktéa e si socchiuse con sospetto:
“Per la barba di Pan! Cosa ci fa un’henetica a sud delle paludi? Dove l’avete trovata?”
“Non l’abbiamo rapita!” si difese subito Sattias, ponendosi tra l’uomo e la ragazza “Fuggiva anche lei dai guerrieri di Diomedas e noi l’abbiamo accolta. Vecchio, non vogliamo problemi… Siamo in viaggio per cercare una nuova terra da abitare, non popoli da rendere schiavi!”
Un secondo uomo si avvicinò e borbottò qualcosa di incomprensibile, alzando un dito fin quasi a sfiorare la cicatrice che aveva sulla fronte:
“Sta’ bene. Seguiteci al nostro villaggio, stranieri, potremmo aver trovato qualcosa che vi appartiene.”
 
Hostius la vide quasi subito, seduta in mezzo alle altre donne, intenta a districare le fitte matasse di lana da ridurre in fili da tessere.
La voce gli uscì roca e commossa:
“Sabidia!”
Anche lei li aveva visti ed aveva lanciato un urlo di gioia, abbandonando il lavoro per andare loro incontro. Corse ad abbracciare Sattias, ovviamente, ma questo non diminuì il suo sollievo e la sua felicità: Sabidia stava bene, sembrava ben nutrita ed in salute.
“Sono così contenta di rivedervi… Tutti insieme, poi!” rise, raccontando di come si era persa tra i boschi – ed Hostius provò nuovamente i morsi della vergogna quando gli occhi accusatori della ragazza si soffermarono con sdegno su di lui – e di come il popolo delle capre l’aveva salvata dal freddo e dalla fame.
“So cosa pensavano di loro, al villaggio” continuò, abbassando la voce, dopo che si furono riuniti nella capanna del capo tribù. “Ma mi hanno sfamata e protetta anche se non erano tenuti a farlo… Sono brava gente!”
“Mah, secondo me erano pronti a trucidarci!” borbottò Manlios, poco convinto.
“Hanno paura. Paura dei guerrieri di Diomedas.”
La voce di Sabidia si fece più profonda ed angustiata.
“Sono venuti dal mare, arrivarono quando si erano appena sciolte le nevi. Il popolo delle capre li ha incontrati per la prima volta molto più a nord di dove ci troviamo ora, un paio d’anni fa: l’inverno stava arrivando e credevano che non avrebbero mai più rivisto quei predoni. Invece quest’anno sono tornati con più navi, più armi e più uomini!”
“Perché?” chiese Sattias, sfiorando con una carezza leggera i capelli di Laktéa, che sentendo nominare Diomedas si era stretta tremando contro il suo fianco. Gli occhi di Sabidia si soffermarono su di loro un attimo in più del necessario.
“Cosa vogliono? Boschi per cacciare? Terre dove fondare nuovi villaggi?”
“Niente di tutto ciò. Vogliono uomini da portare via sulle loro navi come prigionieri e bestiame e oro da depredare. Uccidono per un bottino, Sattias, non perché sono costretti dalla necessità; non sono guerrieri, ma assassini!”
“Assassini dotati di armi divine!” aggiunse Hiccia con un brivido.
“E sembra che il nostro viaggio ci condurrà proprio tra le loro braccia…” concluse Hostius meditabondo.
Etrilia batté le mani, facendoli sobbalzare:
“Non pensateci ora, amici miei. Siamo stati gentilmente accolti da questa gente: approfittiamone. Riposiamoci, saziamo la fame e calmiamo la sete, dato che ci è stata offerta questa possibilità, così potremmo anche chiedere altre spiegazioni sul popolo di questo Diomedas: il popolo delle capre è sempre in viaggio, conosce più genti e terre di quanto noi potremmo mai immaginare! Quando riprenderemo il cammino sapremo almeno a cosa stiamo andando incontro.”
 
Qualche ora più tardi Sattias fu raggiunto dall’uomo che aveva teso loro l’imboscata, che rispondeva al nome di Corno Nero, e da un vecchio dalla pelle secca e rugosa come quella delle capre che scorrazzavano attorno alle capanne.
“Lui è Grandalbero” disse Corno Nero “Dov’è la ragazza henetica? Grandalbero conosce la sua lingua e vorrebbe parlarle!”
Il ragazzo fu colto da uno strano presentimento che gli fece stringere il cuore:
“E’ andata con le altre donne al fiume, la manderò a chiamare.”
Quando Laktéa arrivò Sattias ne rimase abbagliato: ripuliti dalla sporcizia, i capelli brillavano sotto i raggi del sole, attirando lo sguardo di tutti i giovani maschi.
Grandalbero sorrise, mostrando i denti corti e rovinati dal tempo, prima di rivolgersi a lei in una lingua dai toni aspri e secchi.
“Cosa le sta dicendo?” domandò il ragazzo, afferrando Corno Nero per un braccio.
“Le terre degli henetici sono vicine al nostro rifugio più a nord, che raggiungeremo nel giro di una luna e mezza. Non sappiamo se anche quei territori sono stati devastati da Diomedas; considerando la presenza della ragazza qui, così lontano da casa, temo che quelle tribù siano ormai con gli dei. Ma comunque noi la scorteremo nei luoghi in cui è nata e la aiuteremo a ritrovare quei membri della sua famiglia ancora vivi e liberi!”
Il giovane fu tentato di cedere allo sgradevole impulso di allontanare il vecchio dalla ragazza, perché l’idea di affidarla a qualcun altro gli sembrava insostenibile.
“Calmati” si disse “Non dovresti esserne così afflitto, lei non è una di noi! Non ha alcun motivo per seguirti…”
Laktéa e Grandalbero parlarono a lungo, gesticolando, a volte anche alzando la voce e ben presto molti smisero di prestar loro attenzione; Sattias, invece, pur non capendo una sola parola, stava ben attento ad ascoltare ogni battuta. Ad un tratto Hostius andò a sedersi accanto all’albero su cui si era appoggiato:
“Non otterrai nulla stando qui ad ascoltarli. Devi parlare con lei e sperare che ti capisca.”
“Non voglio ottenere alcuna cosa. Perché pensi il contrario?”
“Perché ho visto come la guardi e so che non vorresti lasciarla andare.”
“Ti stai sbagliando!”
“Può darsi. Però tra noi due tu sei quello che ha più possibilità di tenere con sé la donna che vuole: dopotutto le hai salvato la vita.”
Sattias si impose di ignorare l’agitazione che minacciava di fargli saltare il cuore fuori dal petto:
“La scelta è sua. Non l’ho salvata per poi impedirle di ricongiungersi con i suoi cari!”
Hostius ridacchiò:
“Allora ammetti che ho ragione: tu la desideri!”
L’altro stava per replicare, con la voce resa incerta dall’imbarazzo, quando si accorse che Laktéa aveva iniziato a piangere, lanciando brevi grida sommesse ed artigliandosi i lunghi capelli. Grandalbero sembrava contrariato.
“Cosa succede qui?” chiese Sattias, avvicinandosi a grandi passi e gratificando il vecchio di un’occhiata minacciosa. Quello si strinse nelle spalle:
“La ragazza è mezza scema, temo. Non vuole tornare a casa!”
“Sattias…” mormorò lei, gettandosi ai suoi piedi ed abbracciandogli le ginocchia. Quando alzò gli occhi pieni di lacrime il ragazzo vi lesse tutto ciò che non riusciva ad esprimere a voce:
“Ti prego, non mandarmi via.”
La felicità che sentì montare nel suo animo fu talmente potente ed inaspettata che gli chiuse la gola; e mentre aiutava Laktéa a rialzarsi, mormorando parole a casaccio nel tentativo di rassicurarla e farle capire che mai l’avrebbe abbandonata al suo destino, non si accorse degli occhi furiosi e sconvolti che lo scrutavano.
 
La notte era calata velocemente mentre loro banchettavano insieme al popolo delle capre, gustando la carne che veniva cotta lentamente sugli spiedi e una bevanda scura che donava leggerezza ed allegria, più forte e meno dolce dell’idromele: i loro ospiti la chiamavano “vino” e gli avevano spiegato che nasceva dall’uva, una pianta che alcune popolazioni avevano addomesticato come loro avevano addomesticato le capre.
“Certo che non sarebbe male saper produrre il vino!” borbottò Pileius ad un certo punto. Se ne stava stravaccato su un masso e rischiava di perdere l’equilibrio in ogni momento; Hostius e Hiccia, invece, si sorreggevano a vicenda stando appoggiati l’uno alle spalle dell’altro e accanto a loro Laktéa russava beata. Anche Sattias, che pure era sempre molto prudente ed aveva evitato di abusare della strana bevanda, sentiva la testa girare.
“Ma cosa dici?” biascicò Manlios, aggrottando la fronte “Vuoi diventare un pastore di capre, Pileius? Abbandonare l’onore delle armi per spostarti di luogo in luogo?”
“Potremmo essere tutto!” obiettò l’altro “Noi siamo il popolo del Picchio, i favoriti di Mamerte! Potremmo essere guerrieri e pastori, mercanti e qualsiasi altra cosa ci venga in mente… Possiamo ridurre sotto il nostro dominio ogni pianta ed ogni animale!”
“Tu vaneggi!” rise Hiccia, buttando indietro i folti riccioli. Sattias, invece, trovava quell’immagine meravigliosa e stimolante; tra i fumi del vino vedeva emergere pascoli infiniti, più verdi dei suoi occhi, forti città bianche e maestose e campi dorati come i capelli di Laktéa, che avrebbero sfamato la sua gente per generazioni…
“E’ una visione che può diventare realtà?” si chiese, eccitato. E volendo rifletterci in solitudine decise di accomiatarsi dai compagni, rannicchiandosi sul giaciglio che gli era stato desinato e coprendosi le spalle con una coperta di lana che gli faceva prudere ogni lembo di pelle lasciato scoperto.
Quando poco dopo sorse la luna stava ancora fissando il cielo stellato con gli occhi spalancati, ma era abbastanza lucido da intravedere la figura che si stava avvicinando a lui di soppiatto. Serrò le palpebre e la presa sul coltello che portava sempre legato alla vita, fingendosi addormentato ed aspettando l’attacco; ciò che accadde, però, lo colse ugualmente di sorpresa.
“Ma cosa hai intenzione di fare?” sbraitò, rotolando fuori dal giaciglio e sentendo le guance, le orecchie ed il collo tingersi di un rosso acceso. Sabidia, offesa, si strinse la coperta attorno al corpo nudo:
“Non è evidente?”
“Per tutti gli dei, Sabidia… Dimmi, nel nome di Pico, quando mai ti ho dato l’impressione di gradire le tue attenzioni?”
Lei alzò gli angoli delle labbra carnose verso l’alto, ammiccando con divertimento e convinzione:
“Di certo non le hai respinte!”
Sattias si passò una mano tra i folti capelli castani, guardandosi nervosamente attorno: da un lato desiderava che qualcuno – chiunque – venisse a salvarlo da quella bizzarra e scomoda situazione; dall’altro sperava che nessuno li notasse o c’erano buone probabilità che i suoi compagni lo costringessero a prendere Sabidia come sua compagna, se avessero tratto le conclusioni sbagliate.
“Per favore… Non intendo essere rude come l’ultima volta, non voglio spaventarti né ferirti. Ma questa sera hai passato il segno!”
Il sorriso astuto scomparve dal volto di Sabidia, che si tramutò in una maschera di sale:
“Allora è vero!” sussurrò, costernata “La strega pallida come un morto, l’henetica, ti ha rubato il cuore!”
Sattias stava cercando le parole giuste per spiegarle che il suo disinteresse nei suoi confronti e il legame che aveva stretto con Laktéa erano due questioni distinte, ma non ne ebbe il tempo.
All’improvviso, senza un rumore né un avvertimento, una luce violenta aveva squarciato il velo della notte: la foresta andava a fuoco, stringendoli in una morsa spietata fatta di fiamme e fumo. E tra le lacrime il ragazzo vide stagliarsi su di loro le imponenti figure dei guerrieri di Diomedas.
 
   
 
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