Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Tenar80    29/10/2018    1 recensioni
Di Victor, che deve fare i conti con la realtà
Di Yuuri, che deve fare i conti con Victor
Di Otabek, che deve fare i conti con i propri desideri
Di Yuri, che pretende che tutti che facciano i conti con lui.
Di quello che accade dopo l'ultima immagine della serie, della difficoltà di ancorare le fiabe alla realtà. Una realtà che abbonda di elementi disturbanti quali omofobia, doping, accenni a molestie e ad abuso d'alcool, ma in cui c'è ancora spazio per la tenerezza.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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    Ormai, Otabek aveva esaurito gli insulti che poteva rivolgere a se stesso. 

    Alla serata solitaria del giorno prima era seguita una notte che gli aveva rivelato solo quello che già sospettava. Yuri, addormentato in quel suo nido di cose, abbracciato ora a Sua Maestà, ora a uno di quei peluche che gli regalavano alla fine delle gare, era la cosa più bella che avesse mai visto. Ogni tanto muoveva le labbra nel sonno, ma non arrivava a pronunciare parole intelligibili. Considerato quanto si muoveva, con le gambe che ogni tanto scalciavano come ad allontanare un nemico immaginario, dormici assieme doveva essere un incubo. E a quel punto, dovevano essere le tre di notte, Otabek era andato in bagno a sciacquarsi la faccia, perché i suoi pensieri stavano iniziando a travalicare i limiti che lui stesso si era posto. Un conto era fantasticare su del sesso che quasi di certo sarebbe rimasto immaginario, un altro era iniziare a progettare il letto migliore per accoglierli comodamente entrambi. Lui non era innamorato. E, per tanto, non gli dispiaceva per niente che Yuri avesse deciso di portarlo fuori a pranzo insieme al suo omonimo giapponese. O che sembrasse preoccupato per il ritardo di quest’ultimo e quasi ignorasse lui.

    – Avrà capito le indicazioni? Quello confonde la metà delle parole già in inglese, figuriamoci i nomi delle strade in russo.

    – Google maps non mente.

    – Non mi sembri entusiasta.

    – Figurati. Sto andando a pranzo con due che nell’ultima gara mi hanno stracciato. Non hai pensato che magari voglio avvelenarvi?

    – Vedi che dovresti essere entusiasta? Quando ti ricapita l’occasione?

    – Hai ragione. Sono irritato perché ho dimenticato a casa l’arsenico… Eccolo.

    Yuuri non gli stava antipatico. Ma era ingiusto che un atleta che l’anno prima faceva schifo ora detenesse il record del mondo. E ancora più ingiusto era che si fosse portato non solo a letto, ma addirittura a casa un uomo che in fondo non aveva fatto nulla per conquistare. A Yuuri era caduto in mano quello che lui lottava per conquistare, eppure se ne andava in giro con quell’aria costantemente depressa. E se quel pranzo in solitaria significava che lui e Victor avevano già litigato, giustificando così il terrore che Yuri sembrava avere per qualsiasi forma di romanticheria, gli avrebbe dato un pugno in faccia.

    – Ti sei perso in giro? – lo accolse Yuri.

    – Sono rimasto addormentato… Mi sa che ho ancora qualche problema con il fuso orario… Ti, vi ringrazio per l’invito. Nel frigo di Victor c’è solo insalata e della roba russa che mi guarda malissimo.

    Yuri si strinse nelle spalle.

    – Ho mangiato a sbafo dai tuoi per più di una settimana, questa primavera.

    – Non ti hanno fatto pagare? Ci credo che poi si lamentano degli affari!

    – Secondo Mari il mio solo fascino era sufficiente a farvi aumentare la clientela!

    E da quando quei due erano così in confidenza? Col suo fare svampito quel giapponese si prendeva un po’ troppe libertà con i russi!

    Intanto si erano avviati verso il misterioso locale in cui Yuri voleva a tutti i costi portarli.

    Appena Otabek ne vide l’insegna iniziò a ridacchiare tra sé. Il giapponese, invece, ci mise un poco di più per capire dove stavano finendo, ma, una volta compreso iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di una via di fuga.

    – Dimmi che non è uno di quei posti in cui i gatti girano liberi! – gli sussurrò.

    – È terribilmente da Yuri. Ringraziamo che non siano tigri.

    – Sono allergico.

    – Non devi gareggiare tu, domani. Puoi imbottirti di antistaminico.

    Come aveva fatto lui stesso, del resto, che era allergico invece agli acari della polvere, appena aveva capito che chiunque facesse le pulizie a casa di Lilia non aveva accesso alla stanza di Yuri.

    Appena varcarono la soglia un solerte gatto pezzato, che per manto e taglia avrebbe fatto meglio a nascere mucca, saltò sulle spalle di Yuuri. Il ragazzo prese subito a starnutire, ma poi le risate sostituirono gli starnuti. Forse, pensò Otabek, la sua presenza, appurato che non fosse dovuta a una crisi di coppia, non era del tutto un male. Era evidente che Yuri lo stimava e aveva nei suoi confronti un rapporto molto più paritario di quello che poteva avere con Victor. Forse frequentare il giapponese poteva iniziare a far penetrare nel ragazzo l’idea che non ci fosse nulla di male nell’innamorarsi. Neppure se l’oggetto di tale innamoramento era un altro ragazzo e per lo più uno straniero avversario.

    – Ti trasferirai a San Pietroburgo? – chiese, appena ebbero ordinato.

    Yuuri fissò per un istante le bollicine della propria bibita.

    – Pare che Yakov sia disposto ad allenarmi.

    Yuri quasi rovesciò la propria coca cola.

    – Yakov? Non ho mai sentito che abbia allenato a tempo pieno qualcuno di un’altra nazionalità.

    Guardò il giapponese con tanta ostilità che questi mise le mani avanti.

    – Non ho preso una decisione. Volevo parlartene. Sarebbe un problema per te?

    Da come lo guardava, la Tigre di Russia sembrava pronto a aprirgli la giugulare a morsi, ma poi vinse la Fata, accarezzò un altro gatto di taglia bovina, e scosse il capo.

    – Naa… Sarà divertente umiliarti tutti i giorni. Con Georgi non c’è davvero partita.

    – È la cosa più razionale – intervenne Otabek. – E va a vantaggio di tutti, anche di Yakov. È stato un po’ uno smacco per lui che un suo allievo, alla prima stagione da allenatore, si sia portato a casa come allenatore un record. Se avessi vinto tu il Grand Prix Yakov ci avrebbe rimesso la faccia. Così, invece, viene in qualche modo riconosciuta la sua superiorità come allenatore.

    Yuuri era arrossito di colpo.

    – Non l’avevo mai vista così – mormorò.

    – Non sembri entusiasta – osservò Yuri, che stava metabolizzando l’idea. – Guarda che Yakov non odia te in particolare, ci odia tutti.

    Otabek nascose un mezzo sorriso. Gli era bastato un giorno a stretto contatto con Yuri per capire che se c’era al mondo un allenatore che avrebbe attraversato il fuoco per il suoi ragazzi, questo era Yakov.

    Yuuri, intanto, stava scuotendo il capo.

    – No, lo so che è la cosa migliore – disse. Poi prese un sospiro, sempre guardando il bicchiere. – È che sono egoista. Era bello avere Victor tutto per me, in Giappone.

    Invece che vivere in uno stato omofobo fingendo di non essere fidanzato con il proprio compagno? Otabek si chiese se fosse davvero tutto egoismo. A tradimento, una voce dentro la sua testa, gli chiese se avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare un cambiamento simile per amore. Con la coda dell’occhio spiò Yuri, che adesso stava facendo giocare un gatto con una cannuccia, e non riuscì a trovare una risposta.

    – Comunque, dato che sono stato io a insistere perché Victor tornasse a gareggiare non posso lamentarmi, vero? – concluse Yuuri.

    – Lo sai che è esattamente questo il motivo per cui la maggior parte di noi ti vorrebbe uccidere, me compreso? – replicò Otabek.

    – No, non è vero! – protestò Yuri. – Almeno adesso sarà chiaro a tutti che io sono il più forte.

    – Ecco, appunto. Un solo russo imbattibile alla volta ci bastava. Ricorda che potrei essere qui per uccidervi!

    Il cellulare di Yuuri prese a squillare.

    – È Victor! Scusatemi – disse, precipitandosi fuori dal locale per rispondere.

    Otabek notò che Yuri seguiva il suo omonimo con uno sguardo strano, quasi di tristezza.

    – Cosa c’è? – gli chiese, con il tono più dolce possibile.

    – Ci si può quasi credere, vedendoli, all’amore… Fa così schifo!

    – Schifo?

    Era il momento di una domanda diretta. Se gli facesse schifo perché erano due uomini.

    – L’idea che poi si lasceranno e staranno malissimo – concluse invece Yuri.

    – Non è detto che si debbano lasciare.

    – Quanto pensi che dureranno come avversari? Litigheranno, si insulteranno, si lasceranno. E io dovrò sopportare il malumore di entrambi!

    Otabek represse l’istinto a passargli una mano tra i capelli.

    – Eh, uomo vissuto, guarda che non è detto.

    – No? Tu quante volte ti sei innamorato?

    Prima di adesso?

    – Una, forse – ammise.

    Marcus.

    – E lei dov’è adesso?

    Era il momento di dire «chi ti ha detto che fosse una lei?», ma gli mancò il coraggio. Si limitò a scuotere il capo.

    – Ecco. Perché è finita?

    – Non ero l’unico – disse Otabek, a malincuore.

    – Vedi? È una fregatura e ci cascano tutti. Persino te.

    Yuuri stava rientrando in quel momento, con uno sguardo perplesso al cellulare.

    – Tutto bene? – gli chiese Otabek.

    – Sì, credo – rispose Yuuri, che ancora guardava il cellulare. – Victor doveva raggiungerci, ma è stato lasciato a piedi in un punto improbabile della città. Una vendetta della sua ex che si è messa d’accordo con il taxista, a quanto ho capito.

    – Vedi? – disse Yuri, acido, come se quelle parole avvalorassero la sua tesi.

    – Yuuri, aiutaci, stiamo andando sul filosofico – si intromise Otabek. – Quante storie d’amore felici conosci, ma conosci davvero? Diciamo che durino da anni.

    Il giapponese lo guardò perplesso.

    – Yuko, la mia migliore amica. Si è sposata giovanissima e tutti le dicevano che era una follia, invece… I genitori contano? A volte li becco ancora che si baciano, e sono sposati da oltre trent’anni.

    – Anch’io ho un’amica fidanzatissima, in Canada – disse Otabek. – Lui è un po’ uno zerbino, ma sono felici così. I miei genitori, naturalmente. Ho un cugino che è andato fino in Australia per stare con la moglie. E…

    – Tutte balle. È solo gente che non si è ancora mollata.

    Yuuri sospirò.

    – Fammi indovinare, sei tra quelli che scommettono che tra me e Victor non durerà neppure fino a fine stagione – disse, ma senza astio.

    Doveva esserci abituato.

    – No. Magari a fine stagione ci arrivate – concesse Yuri.

    – È perché siamo due uomini?

    Il biondino fece una smorfia e Otabek ebbe il terribile sospetto che fino a quel momento non avesse neppure preso in considerazione quell’aspetto della questione.

    – No… Mi facevate già schifo anche senza essere pervertiti. È solo perché siete esseri umani.

    Otabek prese il proprio bicchiere di birra e quasi rimpianse di non avere l’arsenico. Forse quello che voleva uccidere era se stesso.
 

*

 

    Forse, una volta che si fosse trasferito lì, Yuuri avrebbe finito per parlare con Victor meno di quanto avesse fatto nelle settimane in cui avevano avuto tra loro tutta l’Asia.

    Quella mattina lui non si era svegliato e adesso si trovava a guardare Victor che dormiva tutto storto sulla poltrona, con una scarpa ancora ai piedi e l’altra abbandonata sul pavimento. Se non altro adesso al giapponese era chiaro il perché l’altro non avesse mai davvero capito la sua difficoltà a dormire a ridosso delle gare. Victor, quand’era stanco, crollava. Era entrato in casa, si era tolto giacca e sciarpa, aveva iniziato a togliersi le scarpe e di colpo aveva smesso di parlare. Makkachin, a cui era stata promessa una passeggiata, non si era scomposto ed era salito a sua volta sulla poltrona, incastrandosi tra gli arti del padrone, dando a Yuuri l’impressione che quella fosse una situazione abituale.

    Il giovane si chiese se dovesse cercare di sistemarlo in qualche modo. Se lui si fosse addormentato in quella posizione si sarebbe svegliato a pezzi. D’altro canto, Victor non era abituato ad allenarsi di notte e quella mattina si era alzato al suo solito orario inumano. Sospirò, rassegnato a lasciare le cose come stavano e guardò fuori dalla finestra. Erano le tre e mezza del pomeriggio. Il cielo si era annuvolato, anticipando il già precoce crepuscolo. La temperatura era meno glaciale di quella del giorno prima, Victor aveva detto che faceva caldo. Meno otto. Se si fosse alzata ancora, forse avrebbe nevicato. Yuuri cercò il proprio cellulare. Vi aveva scaricato un corso di russo base. In meno di un anno Victor era riuscito a imparare quel minimo di giapponese che gli permetteva di muoversi per Hasetsu in discreta autonomia. Per la prima volta Yuuri si chiese se nei primi tempi si fosse sentito in trappola, neppure in grado di chiedere un’indicazione stradale, circondato da suoni, odori e sapori del tutto estranei. A dire il vero Victor era sembrato deliziato da Hasetsu e dalle sue novità. Storcendo le labbra, Yuuri si chiese se, in effetti, dopo anni a San Pietroburgo la sua sonnolenta cittadina giapponese non diventasse deliziosa agli occhi di chiunque.

    Il cellulare vibrò. Un messaggio privato su Facebook. Chi usava ancora Facebook? Sua madre, sua sorella. Ma entrambe per contattarlo avrebbero usato wa.

    Era Ludmilla.

    Ti contatto qui, non avendo il tuo numero. Puoi guardarlo oppure no. Ma è giusto che tu possa farlo prima che io decida se diffonderlo in rete.

    Seguiva un video. 

    Yuuri strinse i denti. Victor quindi non mentiva, quando parlava di ricatto. In quel file c’era di certo qualcosa di compromettente. Quasi di sicuro Victor che faceva il cretino con qualche ragazzo. Tutto considerato era un miracolo che la rete non ne fosse piena. Con una mano si tormentò i capelli. Che cosa voleva Ludmilla? Scandalizzarlo con una ripresa in cui il suo fidanzato, quando non era tale, ballava con un altro? Nessuno poteva pensare che lui fosse ingenuo a tal punto. Più probabilmente voleva che lui facesse pressione su Victor affinché continuasse la sua relazione di facciata con Ludmilla. In cambio lei si sarebbe astenuta dal rovinargli la reputazione. Beh, cascava male. Nessuno al mondo riusciva a imporre qualcosa a Victor. Non ci riusciva Yakov, di certo non ci sarebbe riuscito lui. Quindi la cosa migliore era non guardare il video. La cosa più corretta era attendere che Victor si svegliasse, parlargli e, nel caso, prendere visione della cosa insieme. Ma la luce stava sparendo, il russo gli dava acidità di stomaco e alla fine anche lui era un essere umano.

    Era un video girato in un locale, chissà da chi. Chissà com’era arrivato nelle mani di Ludmilla? Non era stata lei a farlo. Sembrava professionale, forse era stato fatto con un cellulare, ma la mano che lo reggeva era ferma. Nonostante le luci intermittenti della discoteca si riconosceva senza problemi la ragazza, che ballava strusciandosi al suo accompagnatore, che era Victor. Per un istante Yuuri credette che fosse quello ciò che lei voleva che vedesse, che avevano ballato insieme negli ultimi giorni. Ludmilla gettò le braccia al collo di Victor, come avrebbe fatto lui stesso in simili circostanze. Da ubriaco, almeno. Victor, però si scostò. Iniziò un alterco, nascosto dalla musica, e che comunque Yuuri non avrebbe compreso. Il pattinatore lasciò la pista e per un poco la ripresa seguì solo la giovane donna, che riprendeva a ballare da sola, nonostante le lacrime che le imperlavano le ciglia. Poi, però, chiunque fosse a filmare, decise che il più interessante dei due era Victor. Probabilmente nella realtà dei fatti erano trascorsi alcuni minuti, forse di più. Il russo era appoggiato al bancone del bar del locale, stava bevendo qualcosa che Yuuri suppose essere molto alcolico. Un ragazzo gli si era avvicinato. L’immagine zoommò verso di lui, rivelando che aveva i capelli scuri, gli occhiali e sembrava terribilmente giovane. Non come Yurio, certo, ma poco oltre la maggiore età, sempre che l’avesse raggiunta. Volendo, nonostante i tratti occidentali, quel ragazzo un poco assomigliava a lui. Yuuri iniziava a sentirsi un idiota. Non aveva bisogno di vederlo in un filmato per sapere quanto Victor potesse essere seducente, sopratutto se si impegnava per esserlo. E, sì, vederlo rivolgere sorrisi, attenzioni, carezze perfino, a qualcuno che non era lui lo irritava. Se lo scopo di Ludmilla era quello, ci stava riuscendo e lui era complice. Perché ormai era certo che il video risalisse all’inverno precedente, quando Victor, per quello che riguardava lui, aveva tutto il diritto di intrattenersi con chi voleva. Tuttavia continuò a guardare mentre Victor offriva da bere al ragazzo, curando di ingerire almeno il doppio dell’alcol, e poi lo scortava in pista. Era come vedere un’altra versione della festa dopo la finale del Grand Prix dell’anno precedente. Il ragazzetto ci stava mettendo lo stesso impegno che ci aveva profuso lui nel catalizzare su di sé l’attenzione di Victor. Come faceva Yuuri a biasimarlo? Certo, se quel video fosse finito in rete, sarebbe stato un bel pasticcio mediatico. Victor ubriaco che si strusciava contro un ragazzo… Ci fu un altro stacco. La scena successiva era in un parcheggio sotterraneo, era sgranata, come se fosse stata ripresa da lontano, con lo zoom al massimo. Victor e il ragazzo erano vicino a un’auto sportiva grigio metallizzato. Si stavano baciando… No, forse stavano per farlo, ma il ragazzo scosse il capo, preso da uno scrupolo dell’ultimo minuto. Fece per scostare l’altro e andarsene, ma Victor non era della stessa idea. Lo bloccò ai polsi, spingendolo contro la parete di cemento del parcheggio, determinato a ottenere almeno quel bacio. La qualità dell’immagine non permetteva di vedere l’espressione dei visi, né di cogliere le parole che i due si erano scambiati. Non c’era dubbio, però, che non fosse un gioco. C’era disperazione, da ambo le parti. 

    Yuuri si rese conto che gli mancava il respiro, perché quello che vedeva era talmente sbagliato, talmente in contrasto con quella che era la sua esperienza, da colpirlo con un dolore fisico all’imbocco dello stomaco. In realtà la scena era durata una manciata di secondi. Di colpo Victor si scostò e il ragazzo corse via, di sicuro in lacrime. Il pattinatore invece arretrò di qualche passo, appoggiò la schiena alla portiera dell’auto e poi si lasciò scivolare, fino a sedersi a terra, scosso da quelli che di certo erano singhiozzi.

    – Basta.

    Un indice proteso di una mano bianchissima entrò nel campo visivo di Yuuri e schiacciò lo schermo del cellulare, bloccando l’immagine.

    – Hai visto abbastanza – disse Victor, quello del presente, con il suo tono dolce.

    – Chi l’ha girato? – chiese Yuuri, sentendosi un idiota.

    Tra tutte le domande, quella? Ma, forse, era ancora troppo sotto shock per elaborarne di migliori.

    – Un giornalista specializzato in scandali. Poi l’ha proposto a me e a Ludmilla, per vedere se poteva ricavare più da noi o da una televisione o un giornale.

    Lo sguardo pietrificato di Yuuri fece scuotere il capo a Victor.

    – Non funziona così in Giappone?

    – Non ne ho idea. Non sono mai stato famoso… Quando è successo?

    – Due settimane prima del mondiale, l’anno scorso.

    Yuuri si scoprì a fissare lo schermo ormai spento del cellulare. Non riusciva a focalizzare i pensieri. Il ragazzino sbattuto contro il muro, che poi scappava in lacrime. Victor accasciato contro l’auto, con un’espressione che non si vedeva, ma si poteva immaginare. 

    Victor gli poggiò una mano sulla spalla e Yuuri d’istinto si scostò.

    – Scusa…

    – Non sei tu che devi scusarti.

    Yuuri non aveva idea di che faccia avesse, ma sapeva che Victor aveva un’espressione che non gli avrebbe mai voluto vedergli in volto. L’espressione che si ha dopo una sconfitta da cui non c’è riscatto possibile.

    – Dobbiamo parlare – disse, come nel più trito dei copioni.



– A causa di una trasferta il prossimo capitolo arriverà con un po' più di calma. Per intanto un grande GRAZIE a chi ha letto fino a qui

 
   
 
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