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Autore: La Polly    31/10/2018    3 recensioni
Momenti quotidiani di una psicologa alle prese con gli eroi più forti della Terra.
[Raccolta di one-shots collegata a "And then I met you"]
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'E poi ho incontrato te'
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Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare.
(George Bernard Shaw)
 
 
Se il giorno in cui era arrivata al Facility le avessero detto che avrebbe dato lezioni di cucina a un'ex spia russa, probabilmente non ci avrebbe creduto.


Denise era da poco rientrata nell’appartamento per preparare la cena. Non c'era nessuno lì con lei, gli Avengers erano impegnati in altre attività; così si era messa degli abiti comodi, aveva raccolto i lunghi capelli dietro la nuca, poi aveva acceso l’impianto audio e si era messa ai fornelli.

Trovava estremamente rilassante cucinare; ricordava ancora gli insegnamenti di sua zia e ne aveva fatto tesoro, cercando di imparare quante più ricette possibili e da quando si era trasferita lì – circa un mese e mezzo – le aveva proposte ai suoi nuovi coinquilini, conquistando la loro approvazione.

Stava cominciando a legare un po' con tutti, lì dentro, anche se non era stato molto facile all’inizio. L'unica che si era mostrata meno reticente a instaurare un rapporto, era la Vedova Nera. Lei e Natasha spesso conversavano tranquillamente, ma la bella agente Romanoff non si era sbilanciata più di tanto nei suoi confronti. Faceva parte del suo carattere, Denise lo aveva capito quando si era ritrovata a osservarla di sottecchi e anche se Natasha se ne era accorta – a quella donna non sfuggiva mai niente – non le aveva mai detto nulla.
Però – sì, c'era un però – le sarebbe piaciuto creare un legame, ed era intenzionata non tanto a insistere ma quanto meno a provarci.

I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta d'ingresso che si apriva e chiudeva subito dopo, lasciando spazio a dei passi che si avvicinavano sempre di più nella sua direzione.


«Cosa cucini di buono?»

Denise sorrise, voltandosi verso la donna – che nel frattempo si era avvicinata al bancone della cucina – e le rispose: «Risotto allo zafferano con speck».

Prese una noce di burro e la mise a far sciogliere nella pentola insieme allo scalogno soffritto, sotto lo sguardo dell'agente Romanoff.

«Da quando sei arrivata ho messo su quasi due chili. In un certo senso, però, te ne sono grata: prima ordinavamo soltanto cibo d’asporto!»

Denise ridacchiò alle sue parole. «Ne sono felice. Adoro cucinare, specialmente per gli altri.»

Un piccolo sorriso increspò le labbra carnose della Vedova.

«Sì, lo abbiamo notato tutti.»

Denise sorrise, divertita, e Natasha fece lo stesso, poi però si mise ad osservare i suoi movimenti con un’attenzione e una curiosità che mai aveva colto prima d'ora nel suo sguardo.

All'improvviso, la voce di sua zia Helena si fece spazio nella sua testa come un'eco lontano: «La cucina unisce, tesoro. Se vuoi entrare in contatto con una persona, mettiti ai fornelli insieme a lei».
In quel momento capì cosa doveva fare, anche se il rischio di un fallimento totale era alto, ma non sarebbe stata del tutto se stessa se non avesse fatto almeno un tentativo.

«Ti andrebbe di darmi una mano?»

Natasha, di fronte a quella domanda, la guardò spaesata e a tratti sorpresa da quella specie di invito: l'aveva colta alla sprovvista.

«Lo farei pure, se non rischiassi di dare fuoco alla cucina!»

A quella rivelazione, Denise scoppiò a ridere. In effetti non era stato difficile per lei capire che la donna non era particolarmente in grado di cucinare.

«Ehi, guarda che ho ucciso per molto meno» le disse Natasha, seria e fredda come mai prima d’ora: il suo sguardo non prometteva nulla di nuovo e per un attimo la dottoressa sentì il bisogno di deglutire.

Brava, Denise, l'hai fatta incazzare.

Natasha Romanoff era stata molto pericolosa in passato e in un certo senso lo era ancora, anche se faceva parte dei buoni. Spesso aveva notato nei suoi occhi un'ombra di inadeguatezza, come se lì si sentisse fuori posto. A volte ogni suo più piccolo movimento sembrava che urlasse: “Io non sono un'eroina. Sono un mostro”.
Ma non lo era affatto, no, e Denise ne aveva la certezza.

Non voleva mandare all'aria tutto, così decise di giocare quella carta: «Lo so, ma so anche che non mi faresti del male» le disse, senza staccare gli occhi da quelli chiari della donna.

Passarono circa una ventina di secondi in cui nessuna delle due fiatò – la tensione si poteva toccare con mano – poi l’agente Romanoff, da seria e impassibile, si rilassò, rivolgendole uno sguardo che sapeva di gratitudine – un’espressione che scomparve immediatamente, tanto che Denise per un istante credette di essersela immaginata.

«Dimmi cosa devo fare.»

Denise, prima di risponderle, sorrise: avevano trovato un punto d’incontro.
   
 
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