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Autore: alessandroago_94    01/11/2018    15 recensioni
Agosto 1849.
È ormai notte fonda quando uno sfinito generale giunge a bussare alla porta di un’umilissima abitazione immersa tra i folti canneti di una zona paludosa e sperduta.
Egli sa che questa sarà una sosta importante. Una sosta da dedicare tutta alla riflessione e all’amore.
Quarto classificato al Contest “Sosta verso casa”, indetto da Not_only_fairytales sul Forum di Efp.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Venezia è lontana

VENEZIA E’ LONTANA

 

 

 

 

 

 

 

“Tutto è cominciato con i trabaccoli e le tartane di Cesenatico,

col prendere il largo verso Venezia che ancora resiste,

ma Venezia è troppo lontana,

sepolta in un assedio invalicabile.

Non resta che il cammino incerto oltre la cortina dei canneti (…)”.

Quello che ancora vive, Maurizio Maggiani.

 

“Per i tuoi figli sola a morire

o caro sposo mi devi lasciare.

Se gli occhi miei ti voglion mirare

tu con un bacio li chiuderai.

Sale la febbre sulla laguna

come l’allodola trema l’Anita

stende allo sposo la mano sfinita”.

Canzone popolare dell’epoca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho combattuto con onore, sempre.

Sono sempre stato a fianco dei più deboli, credendo nella forza della libertà e delle idee dell’uomo.

Adesso che anche questa guerra è perduta, ed io sto arrancando miseramente verso quella che sarà la mia ultima tappa, quella che sarà casa mia, forse in eterno, mi chiedo se n’è veramente valsa la pena… così tanti sacrifici, così tanto dolore… ma per cosa, poi?

Ecco, io non posso permettermi di pormi tali quesiti, queste sono domande proibite in un momento come quello che sto vivendo.

Arrancando tra il folto canneto, lungo la costa di un implacabile Adriatico settentrionale, devo solo sperare di riuscire a mimetizzarmi e di nascondermi tra questa folta vegetazione. Non mi sono mai nascosto, ma adesso che la situazione è precipitata e la guerra è finita, devo farlo per amore e per dovere.

Non è bello ritrovarsi dall’altra parte dello schieramento, dalla parte degli sconfitti, ma soprattutto non è di certo piacevole trovarsi ogni volta da quella stessa parte.

Ora che la mia donna sta anche soffrendo molto… oddio, mia dolce Ana, quante te ne ho fatte passare? Quanto volte questo amore ci ha messo alla prova? Vorrei chiedertelo, adesso che non hai più la forza per camminare e mi tocca sorreggerti. Sei solo un mucchietto di ossa divorato dalla febbre, che non si è mai staccata da te per settimane intere.

Come andremo a finire?

 

Ci cercano.

Mi sento braccato, devo continuare a camminare, poiché sono certo che prima o poi ci imbatteremo in qualcuno che ci darà aiuto e conforto.

Arranco, allora, continuo ad avanzare, ancora e ancora…

Ecco, dopo un po’ appare una sagoma indefinita, le canne irte di questo delta melmoso vogliono nascondere un misero edificio costruito dalla mano dell’uomo. Fa al caso nostro!

Ana, non ce la faccio davvero più a sorreggerti; dobbiamo fermarci e sostare.

Tramuto questi miei ultimi frettolosi pensieri in parole, ma tu tanto non dimostri più cenno di comprendermi. È finita quando hai deciso di non fermarti e di non curarti; anche tu, come me, avevi fretta di tornare a casa.

Decido di correre il rischio e di avvicinarmi a quello che pare sempre più un capanno, una di quelle umili abitazioni che ospitano decine di contadini in questa zona di malaria e di fame. I miei compagni di fuga mi hanno detto che posso fidarmi delle persone del posto, e che nonostante l’ultima e umiliante sconfitta non hanno mai smesso di credere ancora nei miei stessi ideali.

Sono convinto, sono certo che non diranno di no.

Busso alla porta, attorno a noi c’è la pacata nebbiolina notturna che ci protegge alla vista dei possibili malintenzionati che ci braccano da settimane. E la porta si apre, in una maniera molto misteriosa.

A essa si affaccia poi un pover’uomo, un individuo che pare un fantasma; basso e magro, dalla parvenza macilenta, provata… un frutto di quella misera terra, dove per vivere si può sperare solo di riuscire a prendere con le mani una qualche anguilla. Dall’interno della casetta, una costruzione così semplice che può essere considerata quasi un capanno, la luce fioca di una candela illumina i volti di noi due, i mentecatti con gli abiti logori e in disordine che hanno bussato con disperazione all’uscio.

L’uomo ci mette meno di un attimo a capire chi siamo; ci squadra, non si sofferma molto su Ana, bensì su di me.

“Generale”, mormora poi, tra il sorpreso e il basito.

Mi ha riconosciuto senza difficoltà… d’altronde, non per nulla sono il militare più ricercato d’Italia.

“Buon uomo”, esordisco a mia volta, con un po’ di fretta, “siamo in difficoltà, come potete vedere. Potreste offrirci rifugio, solo per questa notte?”.

Fermo per un’intera notte? Sono pazzo, forse? No, sono solo innamorato. La mia donna sta male, mi serve questa notte per poterla fare dormire su un caldo giaciglio e provare a rinforzare quel fisico provato. Devo razionalizzare tutto questo.

Ana, sai che non manca molto a casa, vero? Un ultimo sforzo.

Non so se il signore ha capito ciò che gli ho detto, però ha reagito subito non appena ha riconosciuto la sofferenza nei lineamenti della mia compagna di viaggio. Ha cominciato a parlare un dialetto a me ignoto, mangiandosi le parole e biascicando in modo caotico, tuttavia mi ha fatto un cenno perentorio con capo e mani per invitarmi a entrare in fretta nella sua dimora.

Mi affretto immediatamente a varcare la misera soglia, con l’uscio che si richiude alle nostre spalle.

“Dio, Ana...”, borbotto, stanchissimo, mentre la mia donna barcolla e mi sbilancia. Devo resistere.

“… qua!”, afferma l’uomo, ancora parlando a modo suo. Ho capito, mi sta indicando un angolino un po’ appartato in quell’edificio povero e composto perlopiù da frasche e canne. Lì c’è un giaciglio basso e soffice, che ci attende.

Senza attendere alcun consenso, lascio che la mia amata si adagi su quel letto morbido, dal materasso di foglie di mais e di canne selvatiche. Subito dopo, mi alzo in piedi e mi stiracchio, con i muscoli a pezzi per il recente ed eccessivo sforzo.

“Grazie”, mormoro con gratitudine al buon soccorritore, ed egli capisce e mi risponde anche lui.

“Grazie a voi, Generale”. Lui, umile uomo di campagna, sa tutto.

Sa tutto senza che io neppure mi debba scomodare per spiegare qualcosa.

Si dilegua poi, mesto, sa anche che io e Ana abbiamo bisogno di stare assieme e di riposare, in quella che si prospetta come la nostra sosta più dignitosa, prima del gran finale.

Mentre mi siedo al suo capezzale, e odo il rumore di catenacci che sbarrano la porta del nostro gentilissimo salvatore. So che non riposerò affatto. È sì la sosta più dignitosa, ma anche quella fatta solo per pensare.

Non ho potuto pensare quando il fango lambiva le mie caviglie stanche, e quando il mare era in tempesta, con quei cavalloni che percuotevano l’imbarcazione che ci avrebbe dovuto scortare più a Nord; non l’ho potuto fare quando Roma stava capitolando, e il rumore dell’artiglieria nemica era qualcosa di stordente e assordante.

Adesso, con Venezia sempre più vicina, ma allo stesso tempo ancora lontana, posso prendere qualche attimo per me… per noi.

Ana dorme già, i suoi occhi piccoli e scuri sono chiusi. Non voglio disturbarla né tediarla, ma nella mia mente tanti ricordi, tanti pensieri possono accavallarsi ed essere così rimembrati.

Amore, vorrei sussurrarti che non devi avere paura; ora sei lontana dal Brasile, lungi dall’essere l’indifesa sposa bambina che sei stata, in balìa di un uomo che non amavi. Vorrei chiederti se stai sognando qualcosa… magari qualche scena della tua giovinezza, quando andavi nuda a fare il bagno nell’oceano e tutti gli uomini si scandalizzavano. Me l’hai raccontato tu questo particolare, e mi fa ancora sorridere; ho sempre saputo che sei una dura.

La tua giovinezza poi è stata spezzata dalla povertà, quando tuo padre è venuto a mancare, assieme ai figli maschi che avrebbero potuto aiutare tua madre. Cosa pensavi quando lui, il tuo legittimo sposo, ti ha portato nel suo talamo? Quanto lo hai odiato? Avevi quattordici anni… quattordici, per carità! Eri una bambina spensierata, poi sei diventata donna all’improvviso.

Quando sono arrivato a Laguna, appena ti ho visto ti ho sussurrato; devi essere mia! Noi due eravamo promessi, i nostri destini erano stati creati per farci incontrare. Hai lasciato tuo marito, te ne sei andata da lui perché mi amavi…

Lacrimo.

Piango.

Non vorrei farlo, ma sto osservando la tua pelle troppo pallida, temo che per te non sorgerà un nuovo giorno. Dio, questo non devo nemmeno pensarlo! Hai resistito alla guerra che ha straziato il tuo Paese, un Impero basato sulle ingiustizie e sulle classi sociali.

Abbiamo scelto di affrontare un Imperatore che, nonostante le promesse, non ha mai voluto cambiare l’ordinamento di una Nazione immensa, ma basata sulla schiavitù, sull’indigenza delle masse e sulla ricchezza dei corrotti baroni del caffè.

In quell’occasione, per la prima volta mi sono sentito uomo; ho diretto le operazioni militari che avrebbero potuto rendere migliore una parte di quell’ingiusta realtà. Avevo te a mio fianco, non mi hai mai lasciato solo.

Sul campo di battaglia, durante lo scontro decisivo, ho visto mentre combattevi meglio di tanti altri soldati addestrati… tu ci credevi davvero, nella vittoria. Hai creduto in essa anche quando ci siamo trovati di fronte a un esercito smisurato, quello di un Impero intero.

Noi poveri ribelli siamo stati schiacciati in fretta, massacrati in tutti i modi. Spazzati via senza neppure avere il tempo per concepire l’idea che per i nostri ideali di rivoluzione era giunta la fine.

Sai che in Brasile ancora adesso le persone stanno tanto male? Un giorno torneremo, mio dolce amore. Là combatteremo fino alla morte e doneremo la libertà ai più deboli e agli schiavi… ma, per il momento, devi sopravvivere. Fallo per me.

Quanto hai sacrificato per me, d’altronde? Hai distrutto il tuo matrimonio, hai scelto di perdere tutto. Ed io ti amo tanto… so quanto ti sono costato.

Ho visto il dolore che ti ha provocato la nascita dei nostri figli, ma anche la felicità che poi è trasparsa sui tuoi lineamenti quando hai cominciato a coccolarli e a stringerli a te. E ti ho visto anche quando, tutta sudata e stanca, hai continuato a combattere in una Roma spacciata.

Io quelle cannonate le sento ancora… le ho nelle orecchie, rimbombano nella mia mente.

Quando tutto è crollato… gli invasori sono entrati nella nostra capitale, ormai non avevamo più scampo. Un esercito centro volte superiore alle nostre misere forze, ben armato e perfettamente equipaggiato; io, umile e novello deputato, sono stato costretto a tornare ad indossare troppo presto gli abiti del militare.

Ce l’aspettavamo un po’, vero? Sapevamo che il pontefice non se ne sarebbe rimasto immobile, a osservare i suoi beni perduti. Non ci aspettavamo però che i nostri fratelli, i nostri vicini di casa, accorressero tanto in fretta a porre fine al nostro sogno.

Perché il nostro non era altro che una fragile realizzazione di un desiderio… noi tutti, presenti a Roma in quei fatidici giorni, sapevano di avere le ore contate; tuttavia, avevamo la certezza di aver innescato un processo impossibile da fermare. Avevamo reso realtà qualcosa che fino a quel momento era sembrato impensabile. Avevamo dato uno schiaffo ai vecchi regimi, spodestando addirittura un Santo Padre.

Noi eravamo la speranza, il fuoco che avrebbe continuato a divampare nel cuore del popolo italiano anche quando sarebbe stato tutto finito.

Ma la Repubblica è stata smantellata in pochissimo tempo… per carità, non posso tornare proprio adesso a rimembrare la nostra fuga vigliacca. Siamo scappati quando era tutto perduto e la guerra era assolutamente persa; non potevamo perdere anche le nostre vite per qualcosa che ormai era stato spazzato via senza pietà.

Ci siamo sparpagliati di nuovo, non ho idea di dove siano andati a finire i miei più illustri compagni repubblicani, coloro che hanno condiviso le mie idee e che per un breve periodo sono stati i miei colleghi.

Io so solo che, adesso, la mia ultima destinazione è Venezia. La nostra, mia adorata. Sarà la nostra casa, sai? Perché quando giungeremo a Venezia, moriremo.

La città, da quel che si mormora, è già cinta in un assedio senza speranze e presto cadrà. È l’ultimo baluardo di questa guerra… con lei, si spegnerà anche quest’ultima ondata di speranza.

Chissà se, nel rivederci ancora vivi, i veneziani non troveranno la forza per un’ultima ed estrema difesa; ormai anche loro avranno appreso che la guerra è perduta e che tutte le città in rivolta sono cadute, l’una dopo l’altra.

Sono sicuramente consapevoli di essere rimasti i soli contro un mondo intero avverso, mentre tutti gli eserciti stranieri stanno convogliando a marce forzate verso la loro splendida città lagunare, come se non bastassero le forze già presenti nelle vicinanze. Sono spacciati.

Ma saranno in grado di resistere ancora un poco, quel tanto che basta affinché anche noi possiamo raggiungerli nella loro disgrazia? Ricongiungerci con loro, i buoni rivoluzionari, e non vedere l’alba di un nuovo giorno?

La nostra più grande consapevolezza, che mette in pace i nostri cuori, è che il nostro sangue versato sarà concime per nuove rivoluzioni.

Questo è solo l’inizio, amore…

 

Il tempo passa, e Venezia è sempre più lontana.

Ho il nodo in gola, faccio fatica a deglutire.

Non dovrei neppure permettermi una sosta così lunga, poiché ogni istante perduto potrebbe essere quello decisivo. E se i croati dovessero scoprirci e arrestarci qui, in trappola come topi? Che figuraccia.

Dai, Ana, fai uno sforzo per me.

Ancora dormi…

Oddio, mio Signore, fai qualcosa per la mia amata! Possibile che Tu non veda quanto soffre?

Allora dormi, piccola mia.

Appoggio una mano sul tuo ventre prominente, pieno di vita. Con un bambino in grembo hai combattuto tra le rovine di una Roma caduta. Sempre con esso, hai attraversato la penisola per giungere fin qui, e hai affrontato le onde di un mare in tempesta e una nutrita flotta nemica.

Ora che sei al sicuro tra i canneti, e si sente solo il rumore del vento che frusta con rabbia l’intrico di canne che li compongono, non puoi lasciarti andare. Non si sente più il boato dell’artiglieria, sai? Non c’è più nulla. Il bimbo vuole forse nascere? Sta avvertendo la febbre malarica anche lui?

Mi volgo all’improvviso verso la luce fioca prodotta dal fuocherello dell’uomo che ci ha accolto, ma egli non c’è più. Poco distante, alcune sagome che il buio rende confuse sono rannicchiate l’una contro l’altra; il buon signore e la sua famiglia riposano un sonno lieve.

Non posso parlare, non devo fare alcun rumore… non posso svegliare né te, né loro. E allora continuo a pensare, essendo l’unica cosa che questa sosta mi permette di fare.

Torno a pregare un Dio che ho sempre odiato; Colui che ci ha fatto nascere con le catene, Colui che vuole impedire al suo popolo di trovare la libertà.

Dio pare non volere l’Italia unita, ma gli italiani sono pronti a sfidarlo. Ho visto le loro barricate, come si nascondevano dietro di esse quando i nemici sparavano all’impazzata. Ho avvertito le loro grida di dolore, che si sono innalzate nel cielo… esse parlavano italiano, non più i dialetti locali. Parole biascicate, confuse, molto lontane dall’essere comprese da chi veniva da altre parti della penisola, però erano italiane, erano patriottiche.

Erano, e sono tutt’ora, imbevute nel desiderio di creare una patria unita.

Dio, tramite la Santa Alleanza, chiede la Restaurazione dei vecchi regimi; gli italici chiedono la fine di essi. Si può essere più blasfemi di un italiano, allora, mi viene da chiedermi?

Io stesso prego Dio per te, Ana, ma solo per te. Sai che io non credo più. Ma se anche i nostri fratelli, rei solo di chiedere la libertà, vengono massacrati e muoiono tra atroci sofferenze, almeno tu devi essere salvata. Sei una giovane ragazza incinta, per carità, con ancora tutta la vita davanti.

 

Mazzini ha sempre ripetuto che la sovranità è per diritto eterno nel popolo. Allora, perché noi soffriamo?

Perché noi due, Ana, adesso che il tempo scorre e la notte vuol terminare, inesorabile, siamo qui a soffrire? Se la sovranità fosse riposta nel popolo, noi due saremmo state solo due persone comuni, vivendo una vita identica a quella di tutti gli altri.

Invece il popolo è represso ed esiste ancora la schiavitù; essa viene perpetrata in miriadi di modi differenti. C’è chi mette le catene di ferro, e chi le catene invece le crea con le vecchie carte e i diritti fasulli.

In Brasile, le catene di ferro sono ancora molto utilizzate. In Italia, i vecchi privilegi impressi su pergamene ingiallite sono l’anacronismo che genera il giogo schiavista.

Il popolo è schiavo anche qui, come lo è in Francia; Ana, non è ironia della sorte che una nazione come quella francese, dove è scoppiata la Rivoluzione che ha condizionato le sorti dell’umanità, ora spedisca miriadi di soldati a reprimere la nostra? Questo è un fiume in piena, possibile che non capiscano?

Venezia potrà anche cadere. Sì, cadrà. Ma la voglia di libertà sarà eterna.

La nostra Bastiglia sarà la Roma di nuovo in mano agli ecclesiastici che stanno plagiando i potenti di tutto il mondo. L’abbiamo visto assieme, mia fedele compagna, come questo popolo voglia la libertà.

Abbiamo camminato per settimane, al fine di giungere fin qui, attraversando mezza Italia, ma la gente che abbiamo incontrato lungo il nostro cammino non ci ha mai denunciato ai gendarmi stranieri.

L’Italia in mano ai pontifici è solo un mucchio di rovine senza futuro, dove esistono solo asini e uomini ridotti a morire di fame. Questi stessi uomini ci hanno visto a loro volta, riconoscendoci per strada; ci hanno osservato con attenzione, ci hanno giudicato all’interno delle loro semplici menti. Poi, c’è stato chi ci ha dato un pizzico di pane, o chi proprio si è voltato dall’altra parte e ha finto di non averci mai visto o incontrato in vita sua, però nessuno ha chiamato le guardie che ci cercano con tanta alacrità.

Insomma, siamo intoccabili, così come l’ideale di rivoluzione e di libertà.

Ana, mai come durante questa sosta mi sono sentito invincibile; sono stanco e a pezzi, seduto sul bordo del tuo giaciglio, ma non posso non pensare che un giorno avremo qualcosa tra le mani.

Lo avremo, capisci? Perché ci sarai anche tu. Sì, domattina ti risveglierai col sorriso sulle labbra, poiché dopo un riposo importante e agevole come questo non potrebbe essere altrimenti.

 

Ormai è l’alba ed io ancora non dormo.

Ti osservo nel buio, amore mio. Il tuo è un sonno leggiadro e calmo, non ti sei mossa né i tuoi lineamenti sono cambiati. Sembri di pietra.

I miei occhi ormai abituati al buio sfiorano sempre il tuo viso, poiché il mio sguardo penetrante, abituato alle fughe notturne e all’individuare i nemici, sempre pronti ad arrestarci o a farci del male, è tutto tuo. Solamente tuo.

A Laguna io te lo dissi, te lo promisi subito che ti avrei amato in eterno. Pare incredibile che la nostra fine sarà proprio in una laguna, come se questo fosse un miserissimo e squallido gioco di parole.

Tutto inizia e tutto si chiude, la vita è un macabro e ripetitivo cerchio.

Adesso però vorrei proprio parlarti; la notte insonne mi ha sfiancato. Ho bisogno di sentire la tua voce per riuscire a stare meglio. Tuttavia, mi rendo conto che non ho il coraggio di strapparti da questo meritato riposo.

 

Riprendo improvvisamente coscienza quando gli abitanti della misera dimora cominciano a rassettare il loro povero giaciglio.

Oddio! Mi rendo conto che mi sono addormentato senza accorgermene… sono rimasto vittima del mulinare di pensieri che a suo modo mi ha reso schiavo e succube.

Mi risveglio ancora con le grida di libertà che risuonano nella mia mente, devo aver sognato alcuni dei momenti che ho rimembrato mentre ti vegliavo. Ah, la libertà che presto investirà tutti i popoli d’Europa…

Appoggio improvvisamente una mano sul tuo ventre; sei ancora viva, e con te anche il piccolo. Non c’è più tempo, però, perché il nuovo giorno è arrivato non possiamo più stare fermi qui.

Ancora una volta, vorrei svegliarti ma non ci riesco. Non ne ho proprio il coraggio!

Come sei pallida, amore mio!

Venezia ci attende; quello è il posto che chiameremo casa. Il bambino possiamo ancora salvarlo, quando tra qualche giorno verrà al mondo potrai lasciarlo a qualcuno di fiducia… qualcuno incontreremo, in grado di aiutarci.

Finora ci hanno aiutato, non abbiamo mai patito eccessivamente. Il popolo d’Italia è con noi, è il nostro spirito e la nostra forza.

“Avanti, Ana”, mormoro, pianissimo e a denti stretti. Un’invocazione.

Ricorda sempre che tu ora sei Anita Garibaldi, la donna che ha con sé una rivoltella e che non si fa problemi a usarla, per il bene dei suoi ideali e della sua famiglia. Una malattia non può piegarti in questo ingiusto modo.

 

Quest’alba alla fine è sorta su di noi.

Ho in bocca il sapore dello scarso riposo, avverto il mio fiato pesante e le palpebre che hanno tanta voglia di abbassarsi. Tutt’attorno, la luminosità si spande e ci avvolge, grazie alla sua sinuosa lucentezza che illumina ogni cosa, abbracciandola e rendendone vividi i particolari.

Tu dormi ancora, amore mio, e sembri molto stanca. La lunga sosta non ha ancora giovato alla tua sofferenza.

Il sole del primo mattino è rossastro, non ancora di quel giallo grano che indica la sua maturità, nel mezzogiorno.  È un sole stanco, provato proprio come noi; stufo di percorrere tutti i giorni questo futile cielo… senza mai fermarsi. Ma questa è la sua missione, e lui lo sa.

Noi saremo come il sole, ogni mattina risorgeremo dalle nostre ceneri e combatteremo, perché sappiamo che questo è il nostro scopo nella vita.

Solo ieri, quando ancora a tratti eri lucida e riuscivi a parlare, mi hai donato quello che per me è stato come un tuo testamento. Ricordo le tue parole, a una a una.

“Promettimi che porterai a termine questa guerra. Promettimi che riuscirai a rendere libero questo popolo…”, poi hai sospirato, riprendendo fiato, “…che lo libererai dai vecchi regimi. Fai sorgere un Regno, una Repubblica… qualunque cosa, purché la penisola sia unita. Senti i suoi figli come soffrono, bisognosi di giustizia? Dona loro unità e una nuova Storia… solo tu puoi farlo…”.

Ti sei interrotta così, dovevi arrancare a mio fianco e l’aria che respiravi ti serviva tutta.

Io non ho risposto sul momento, non ho badato alle tue parole perché credevo che il giorno in cui ci sarà la vittoria decisiva tu saresti stata a mio fianco. Ora non lo so più.

Allora adesso ti prometto, al tuo capezzale, che dopo tutte le sconfitte e le umiliazioni che abbiamo subìto riusciremo a raggiungere la vittoria. Ti prometto che, se anche questa guerra è finita e la rivolta è stata soppressa, io continuerò a credere in ciò che mi ha condotto fin qui.

 

La luce del nuovo giorno ha portato tanta amarezza dentro di me, non so più se vivrai.

Il tuo cuore batte ancora, ma all’interno di un corpo pallido, magro, provato. Già morto.

Di nuovo mi viene da piangere… ma io ti giuro, te lo giuro con vigore, che sacrificherò me stesso per la causa di un’Italia Unita. Lo farò anche per te, comunque vada a finire.

Pensiamo solo a Venezia, adesso, va bene? Sono convinto che anche tu la stai sognando, anche se non l’hai mai vista di persona. Ora che il nuovo giorno è arrivato, la nostra sosta sta per concludersi e sta per iniziare di nuovo la nostra eterna lotta.

Non mi lasciare solo, ti prego.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Brivido. È stato da brividi mettersi nei panni dell’Eroe del nostro Risorgimento.

Il tema del contest era la sosta verso casa; Garibaldi in quei giorni vedeva Venezia come se fosse la sua casa, la sua meta finale dopo il lunghissimo e pericoloso peregrinare che l’aveva portato da Roma fin nel Nord Italia.

La sua donna, Anita, l’aveva seguito ed era malata.

Anita Garibaldi morirà lì, in quella fragile struttura di umili frasche, la mattina di sabato 4 agosto 1849, all’età di soli ventisette anni. Con lei muore una delle tantissime donne che hanno contribuito attivamente, e con coraggio, alla lotta per l’Unità.

La richiesta del giudice era di curare il tema centrale del racconto, che doveva essere la sosta, come già detto. Io ho creato questa sosta fatta di riflessioni pure e sconcertanti, poiché ho creduto che di notte, con così tanta stanchezza sulle spalle e la paura di perdere per sempre la persona amata, non si potesse fare molto altro. Anche le ripetizioni che ogni tanto appaiono nel testo solo volute, per trasmettere proprio questo senso di claustrofobico sgomento.

Comunque, Garibaldi non arriverà mai a Venezia, poiché la città capitolerà prima. Ma questo sarà solo un nuovo inizio, in fondo.

Grazie a tutti per essere giunti fin qui ^^

   
 
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