Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: daphtrvnks_    01/11/2018    3 recensioni
- In pochi ancora lottavano, serravano i pugni ed in un tacito urlo invocavano e pretendavano la libertà su quel mondo oramai non più loro.-
- Tratto dal terzo capitolo:
'Che ti importa chi io sia, ne hai fatti fuori più di mille senza chiedere loro il nome.'
Come avesse fatto a distinguerlo da un terrestre qualunque potevano saperlo solo i sopravvissuti, l’odore della pelle di quei mercenari era percepibile a lunga distanza; aspro e metallico, si mischiava al sudore ed alla terra, una fraganza maschile forte, di quelle che ti fanno girare la testa assieme ad un bruciore alle narici che si espande fino ai polmoni riempendoti la testa ed il cuore di terrore.
I passi, pesanti come quelli di giganti e la voce scura, batteva nei timpani simile a tuoni.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bardack, Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lazuli continuava a rabbrividire, poggiata contro la parete al lato di Lunch teneva le braccia serrate intorno alle ginocchia. La bionda continuava a parlare con la Saiyan, scambiandosi informazioni e divagando in discorsi che per lei non avevano alcun senso: parole buttate al vento e fiato sprecato, in quel modo da lì non ne sarebbero uscite. Nonostante conoscesse la giovane da anni non aveva mai intravisto quel lato logorroico che la prendeva ogni qualvolta fosse nervosa. La mancanza di Bulma era palpabile, con la sua mente aperta e l'infinita caparbietà e determinazione avrebbe potuto trovare una soluzione. Toccava a lei, adesso, farne le veci. 

Gli occhi di una tonalità chiara e fredda iniziarono ad osservare ininterrottamente ogni angolo o anfratto della piccola e tetra cella: le mura in mattoni erano umide, ricoperte da muffa e residui di piante che, con l'avanzare del tempo, si erano formate tra una cavità e l’altra. Dedusse che sarebbero state più fragili del normale, ciò che univa quei pezzi in pietra, vuoti, erano solo radici, la calce che li riempiva non era altro che polvere. Si spostò dalla posizione che da ore e ore aveva avuto, trascinandosi nell’oscurità, a cui ormai era abituata, verso il muro. Tastò con noncuranza la superficie dura macchiando i polpastrelli di una sostanza verde e bagnata, la razza Saiyan non spiccava per intelligenza e questo le fece intuire del perché fossero ancora rinchiuse lì.

'Che diavolo stai facendo?'

'Sta' zitta e dammi una mano invece di blaterare.'

Masticò con rabbia. La più grande non si comportava da tale, sembrava che le piacesse rimanere in quel posto, ma lei no, desiderava la libertà, l'aria pura da respirare e, soprattutto, ritornare dal fratello. 

Si abbassò mettendosi distesa, prese a calciare con forza i mattoni, stanca, solo un leggero scricchiolio. Al lato della porta, dove erano stati inseriti i pistoni sarebbe stato più facile, perciò optò per riprendere a calciare proprio in quel punto.

'Non risolverai nulla così.' 

Amareggiata la compagna posò una mano sulla spalla della bionda, cercando di darle conforto e di smetterla con quell’insulsa speranza che spingeva la diciottenne a tentare, provare qualcosa che non avrebbe portato a nulla.

'Io… io non morirò rinchiusa qui dentro!'

Tra un affanno e l’altro riuscì soltanto a ringhiare quelle parole. Lunch sembrò riprendersi, l'illusione di potercela fare sfiorò la sua mente, la natura degli umani, lo spirito di sopravvivenza che accomunava quella specie così misteriosa agli occhi degli alieni nacque profonda nel cuore della soldatessa. 

'Non morirai qui, te lo prometto.'

Si guardarono, un'intesa perfetta che le portò a sorridere mestamente. Al suo fianco, ripresero, un colpo dopo l'altro. Altri scricchiolii impercettibili che all'udito acuto delle altre donne sembrarono come rimbombi. 

'Sono… matte.' 

Mormorò una.

'Non ce la faranno…'

Sussurrò un'altra malinconica.

'Che fate, volete distruggervi i piedi?' 

Una voce maschile, rauca, si fermarono raggelate dalla nuova presenza. Gine, che era rimasta affascinata dal comportamento delle due alzò lo sguardo verso la figura del figlio, imponente al di fuori delle grate, la capigliatura folta che da anni non accarezzava. 

'Preferisco distruggermi i piedi e spaccarmi tutte le ossa che rimanere qui!' 

Lazuli era tenace, impulsiva, spesso non riusciva a tenere a freno la lingua. Per questo, quando rispondendo in quel modo, senza temere di essere punita, si era ritrovata una delle mani dell'amica pronta a tapparle la bocca, aveva intuito di aver esagerato.

'Inutile, sono rinforzate da fuori.' 

Rispose saccentemente il ragazzo, una smorfia si formò sul viso della riccia che continuando a guardarlo aveva sentito qualcosa spezzarsi dentro il suo piccolo corpo; frustrata, amareggiata. Si alzò appoggiandosi alle sbarre, di spalle. 

'Dove hai portato Bulma?' 

Chiese dimostrando un’apatia che sfoggiava solo in situazioni drammatiche, come durante i continui assedi nelle citta, quando tra la polvere e il rumore incessante dei proiettili vedeva cadere ai suoi piedi i cadaveri degli umani.

'Sta bene, vi basta sapere questo.'

Il tintennare delle chiavi e lo sbloccare della serratura, le due bionde si trovarono improvvisamente fuori, allibite dal comportamento dell'alieno.

'Figlio… noi?' 

Gine aveva gattonato verso le grate, nuovamente chiuse con un sonoro tonfo. Non provava rabbia nei confronti del suo primogenito, l'amore di una madre va oltre gli ideali e la distanza, preme con ostinatezza e sfocia nel senso di protezione che accomuna ogni razza, oltre gli universi. Gine lo amava, non era delusa nonostante il male che egli le avesse fatto sfuggendo via dalle sue braccia quel giorno afoso d'estate. Ricordava, alla tenera età di tredici anni, quello che lei considerava come un bambino bisognoso di affetto, allontanarsi da casa; i capelli lunghi e neri, lo sguardo deciso, correva senza tregua e combatteva contro quelli della sua stessa famiglia, contro gli amici, al fianco di chi li aveva sempre tenuti in miseria, pedine di un gioco a scacchi che poteva vincere solo il più malvagio degli esseri.

'Non sono più tuo figlio, dimenticami, Gine.'

Lazuli sentì il profondo dolore di quelle parole colpire in pieno la Saiyan, la sua espressione sofferente, il tremore delle mani e la voragine di disperazione che la stava facendo cadere in un abissale mare di sconforto. Si fissarono per alcuni secondi, prima che ella si facesse indietro afflitta. 

'Io ti perdono, Radish.' 

Soffiò, non ottenne risposta, solo il rumore dei suoi passi allontanarsi assieme alle terrestri. 

_________________________________

Il principe Tarble continuava a camminare avanti e indietro nel giardino del palazzo, le mani dietro la schiena e la testa bassa, inconscio che cinque ombre lo stessero fissando dietro le macerie di una colonna caduta tempo addietro. L'aria ancora pregna dell'odore della pioggia copriva quello dei Saiyan al fianco della tentente, curiosa di poter finalmente vedere con i suoi occhi uno dei reali; aveva sentito parlare poco di lui, una personalità mite, sottomesso al fratello maggiore in tutto e per tutto.

'Sembra così debole…' 

Yamcha spezzò l'assoluto silenzio sporgendosi maggiormente per poter osservare meglio Tarble, sfuggì una lieve risata a Bardack, il quale con fare paterno, gli rispose: 

'Non farti ingannare dalle apparenze, è forte.' 

La corvina sospirò, stanca di dover guardare la stessa persona si mise seduta di spalle alla colonna, cacciò la mappa dalla giacca e poggiandola sulle gambe si mise a studiarla con attenzione; il piano era semplice ma i pericoli erano tanti, un solo sbaglio e i giochi si sarebbero chiusi. 

'Non ci sono guardie… potremmo -' 

Kakaroth venne fermato bruscamente prima che potesse finire la frase, suo padre aveva capito dove volesse andare a parare. Arricciò il naso cacciando repentinamente una sigaretta incastrata tra i capelli e la bandana, la portò alle labbra e con l'indice della mano destra creò una fiammella; una luce candida e lieve. La sigaretta dell’assassino si accese. A Chichi parve quasi magia; come poteva qualcosa all’apparenza innocua seminare tanta morte? Come poteva un uomo stroncare la vita ad un altro alzando semplicemente una mano? Secondo quale criterio? Perché?

Le si mozzò il fiato, la vista si offuscò mentre un vortice di ricordi la risucchiò portandola in una realtà lontana: 

‘Figliola, anche non se non possediamo più alcun regno e sul capo non potrò mai posarti una corona, sappi che sei e per sempre sarai una principessa.'

Le disse l'uomo, con cura sistemò il lenzuolo sul corpo della bambina per poi prendere ad accarezzare i suoi lunghi ciuffi corvini. Distesa sui sedili e pronta per crollare tra le braccia di Morfeo la piccola si destò colta da un dubbio: 

'Che principessa sarei senza sudditi?'

La sua ingenuità lo fece sorridere, quella che ora era una bambina come le altre presto sarebbe diventata una donna che lui non avrebbe avuto mai occasione di vedere.

'Preferiresti essere una principessa dal cuore oscuro e con mille e più sudditi ai tuoi piedi o una principessa dal cuore nobile e con nessuno a servirti?'

La figlia ci pensò qualche secondo per poi rispondergli con ovvietà: 

'E chi la vorrebbe mai tutta quella gente!'

Una fitta, morse il labbro inferiore con forza.

'Alzati Chichi, loro non avranno pietà di te.'

Fece un respiro profondo alzandosi con fatica, le ginocchia sbucciate parvero cedere sotto il suo peso. Il cemento della galleria sotto i suoi piedi macchiato di sangue e sudore, lacrime e continui 'basta' ripetuti sottovoce.

‘Mostrami cosa faresti se ora ci fosse un Saiyan. Dimostramelo!'

La incitò, l’urlo della dodicenne si propagò nell'aria, un ruggito animalesco e poi il suo calcio che il buon uomo non riuscì a parare. Orgoglioso della guerriera che aveva cresciuto, distesa ora tra una risata di soddisfazione e gocce salate di dolore a scendere dai suoi occhi d'ossidiana.

La voce di Kakaroth la portò a galla dall'oceano di ricordi che l'avevano sommersa, riprese a respirare, come nulla fosse successo i discorsi presero un senso logico. 

'Necessitiamo di informazioni e in guerra tutto è lecito. Non fumare, diamine.'

La stecca bianca venne chiusa nel pugno del ragazzo, una volta che fu riaperta da questa caddero tabacco e cenere, nulla più. Lapis sospirò, quell'allenza forzata con il nemico non lo convinceva, dubitava di loro e continuava a non fidarsi. 

'Siamo davvero sicuri di voler entrare dai sotterranei?' 

Yamcha guardò il diciassettenne, capiva come potesse sentirsi, la confusione e la vigliaccheria si leggevano nelle loro iridi e neanche lui era davvero sicuro di ciò che da lì a qualche ora avrebbero fatto. 

_____________________________

Era riuscita a creare un progetto degno di lode prima del tempo previsto, gli appunti sparsi su fogli e quadernetti gettati alla rinfusa sulla superficie in metallo. Poco prima erano passate delle guardie per dare a lei e agli scenziati del cibo e dell'acqua, nonostante il pane fosse duro Bulma lo divorò presa dalla troppa fame. Giaceva stanca sulla sedia, poggiata sul tavolino con poca grazia e con la testa sulle braccia. Era crollata in un sonno profondo, sotto lo sguardo atterrito degli alieni che evitavano di svegliarla, troppo spaventati dalle sue sembianze simili a quelle dei mercenari. I crini le ricadevano dolcemente sul viso pallido, la punta del naso e le guance imporporate di rosso. In quella stanza la temperatura era relativamente bassa e la donna non era coperta decentemente per poterla affrontare. Le labbra di ciliegia appena schiuse ed il respiro regolare, nella mano destra teneva una penna. 

Quando la sera Vegeta andò a controllare come proseguissero i lavori la trovò in quello stato. La tentazione fu quella di svegliarla con una spinta, scuotendola per le fragili spalle e di rimproverarla a gran voce, ricordandole che il suo comportamento non era ammesso e che se si fosse azzardata nuovamemte l’avrebbe ammazzata senza se e senza ma.

Al contrario però la sua reazione fu un’altra: dopo aver aperto la porta ed aver avanzato elegantemente verso la donna si fermò a qualche passo dalla sua figura, sorpreso ed al coltempo meravigliato da quanta bellezza si potesse celare in un infimo essere.

Fu lampante per lui paragonarla ad un angelo, l'insolito colore dei capelli e la pelle d'avorio, fragile come cristallo. Il cuore di pietra palpitò più velocemente nella cassa toracica quando per puro caso l'odore di vaniglia arrivò alle sue narici inebriandolo. Aveva percepito quella fragranza la prima volta, non ci aveva dato peso cancellandola completamente dalla sua memoria etichettondola come qualcosa di superfluo da dover dimenticare. Ora che invece l'aveva davanti pensò di voler sentire quell'odore da vicino.

La terrestre per la purezza che emanava risultava come irraggiungibile, un'aura divina ad avvolgerla, intoccabile. Se un solo dito avesse sfiorato le labbra carnose e soffici della scienzata si sarebbe macchiato di peccato; esso maggiore rispetto a tutti quelli che aveva commesso.

Sfortuna volle che il diavolo cedesse nuovamente al potere del buono, castità che innanzi alla fiamme sfugge mutandosi in peccaminosa lussuria.

Un tocco leggero, estraneo alle azioni abitudinali del principe. Spostò con attenzione dei fili azzurri, complici di aver rubato il cielo, dietro il suo piccolo orecchio decorato da un orecchino dalla forma sferica. Il respiro caldo della prigioniera si infrangeva come ostro sul suo volto. Rimase qualche secondo ad ammirarla per poi poggiare le mani sulla vita della donna e sollevarla portandola senza fatica tra le braccia.

Dopo un'occhiata rivolta agli alieni uscì dal laboratorio guidato dagli istinti e non più dall'orgoglio. Aveva notato quanto gelida fosse la carnagione, la guancia era premuta sul suo petto e le braccia penzolanti. Proseguì fino alla sua stanza evitando durante il tragitto di incrociare guardie, la distese con attenzione sul grande letto a baldacchino della sua camera, la coprì con coperte in velluto rosse e dopo una smorfia di disgusto, essendosi accorto solo successivamente di quale gesto di umanità si fosse macchiato, andò via sbattendo la porta. 

'deknes jun'chen, das dur sivya kveş!'

‘Stupida ragazzina, che tu sia maledetta!' 

Mormorò in un bisbiglio udibile solo a se stesso.Non riuscì più a capire chi fosse realmente e l'unica spiegazione razionale a cui pensò fu che un attimo di debolezza aveva preso il sopravvento possendendolo. 


//Yay! 

Che faticaccia scrivere questo capitolo, questa mattina alle due Word ha avuto la brillante idea di cancellarne una buona parte, insomma, una tragedia. Spero che vi piaccia e che lascerete qualche recensione dandomi un'opinione! 

Alla prossima!

-Daph



  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: daphtrvnks_