A Cress e
Thorne.
A Jacin e Winter.
Voi, in un momento davvero buio, siete stati una cura, un sollievo e un
ricordo di antica bellezza.
Il Sole è caldo, in questo rilassante
pomeriggio, e ti
brucia la pelle fino a spellartela.
Il Sole è una palla di fuoco, in questo momento, e rotola
giù verso di voi,
verso il verde prato su cui vi siete distesi, a gambe e braccia aperte,
come
angeli di neve in fiore.
Il Sole è un tepore piacevole, nelle pause di questi secondi
tormentati, che si
insinua tra i tuoi capelli e i tuoi vestiti, e tra le tue dita che
pizzicano.
E lei guarda il Sole, a costo di lacrimare copiosamente, e tu anche lo
osservi,
anche tu ti ci perdi, e lo fai grazie ai suoi occhi, alle sue chiare
pupille,
che ti permettono di ammirare quella stella morente, quella stella dai
raggi
taglienti, quasi come se insieme riproduceste un gioco di specchi.
La tua mano striscia tra i fili d’erba e si ferma a sentire
il battito del suo
cuore, premendo il pollice contro la vena blu del suo polso.
Anna, Anna, Anna.
Un nome, un’invocazione, una preghiera.
Due lettere che si rincorrono, che giocano anche loro a riflettersi in
uno
specchio, e che hanno creato lei, il folletto arancione dei boschi di
Avonlea,
la strega stravagante che ti ha visto il cuore, tra le sue mani, la
nocetta
scura che ha ammirato come se fosse una perla e che
all’ultimo ha deciso di
rimettere nel tuo petto, con foga, piangendo triste per aver perso il
suo
giocattolo.
Tu, perdente innamorato, non potevi sopportare di vederla in lacrime ai
piedi
di un albero, con i palmi vuoti e il grembo spoglio. Tu, schiavo
soggiogato, ti
sei strappato il cuore di nuovo, da solo, e glielo hai consegnato
sorridendo.
Tu, infantile creatura, hai riso tutto il tempo, anche mentre
agonizzavi, e le
hai chiesto se era felice.
“Sei felice, Anna?”
Volgi la guancia sinistra contro la terra calda e ricominci a contarle
i
battiti, il tamburo lieve del suo polso magro.
Lei sorride e tu ti innamori.
Non può fare così, non può sorriderti
all’improvviso, in quel modo, e poi credere
che non ci siano conseguenze. Davvero? Davvero poteva crederlo, si
illudeva in
quel suo modo così infantile?
Lei sorride e tu la vuoi.
Lei sorride e tu desideri afferrarle le labbra con i denti e
costringerla a
consegnarti ogni suo giorno, ogni suo secondo, e di dedicarlo a te e a
te
soltanto.
E continuasse pure a sorridere e a mostrarti lentamente i denti,
continuasse a
rimanere ferma, lì, contro l’erba illuminata dal
Sole, immobile proprio in quel
punto, a farsi guardare, a farsi ammirare.
Lei sorride e tu muori un po’.
Accenna un movimento delle labbra, piega gli angoli verso
l’alto e volta
lentamente la testa verso di te e si stupisce del tuo sguardo folle.
Vorresti urlarle tante parole.
Ma cosa si aspetta, cosa può pretendere da te?
Tu la vuoi, tu la ami, tu non respiri più.
E poi, all’improvviso, ti ricordi l’amara
realtà. La triste verità che tendi a
dimenticare, a sorvolare nei momenti che paiono felici, la vivida
situazione in
cui sei rimasto aggrovigliato, come un insetto tra i fili bavosi di un
ragno.
Ti ricordi, e il dolore ancora ti scava voragini nel cuore, che Anna
non ha
pietà.
Ti ricordi, e adesso hai un buco nel petto, che Anna non ha cuore per
te e che
Anna non ti ama.
Anna non ti ama.
Ti ricordi di quando lei ti ha schiaffeggiato, - mesi, anni, secoli fa
-, e di
come ti aveva fatto ridere, no, ti aveva fatto sorridere, quel suo
piglio
passionale che ha sempre mostrato, sempre sbandierato. Ti ricordi di un
mondo
lontano, un universo, in cui tu vivevi, tu respiravi, tu esistevi una
vita
senza Anna.
Orrore, che terribile orrore.
Non è un tempo degno di essere ricordato, non degno di
essere stato vissuto, se
non nell’attesa di lei, dei suoi stivali malconci che
spezzano le foglie
autunnali nello stesso modo in cui calpestano te. Lei, - una, due, tre vite fa
-, è indietreggiata dinanzi alla cattiveria di un ragazzino
e ha fatto cadere i
suoi libri, il suo pranzo, e ha boccheggiato con in testa un cappello
ricoperto
di fiori di campo.
Tu eri già perduto.
Era la fine, non potevi fuggire, non più.
Mai più.
Tu l’hai salvata, tu ti sei ammantato della veste di dolce
cavaliere dal nobile
destriero e l’hai salvata dal satiro cattivo che voleva
violarla, che voleva
spezzarla, e subito dopo hai consacrata a lei tutta la tua vita.
Splendida anima dei boschi, splendido folletto con rosse lentiggini da
mangiare, da mordicchiare.
Ti ricordi ancora il tempo in cui - milioni di morti fa
- a te era proibito
toccarla.
Sfiorarla, agguantarla, baciarla.
Sei avido, ora puoi farlo, ora puoi fare anche altro, eppure tu
vorresti di
più.
Di più, di più, ancora di più.
Vorresti morire sopra il suo petto, sopra il suo cuore che lei ti nega,
che lei
ti negherà sempre.
L’hai sognata così tante volte che adesso non
esiste più un tempo, - un
secondo, un minuto, un’ora -, in cui tu respiri, in cui tu
sei Gilbert, in cui
tu sei tu, senza l’anima e il corpo di Anna dentro di te.
Il passato è una bugia: Gilbert Blythe non è mai
esistito senza Anna Shirley.
E se è esistito, se davvero migliaia di giorni tu hai
vissuto da solo, allora
li hai dimenticati.
Allora non sono stati importanti.
“Anna sei felice?”
“Il Sole splende, la natura è rigogliosa e
l’agonia è un lontanissimo ricordo
di cui non rimembro neppure l’amaro sapore. Ci sono le
farfalle, le vedi? Tra
quei fiori, tra quei petali violetti. Ci sono le anime pure dei boschi
che
cantano accostate al ruscello. Doni bellissimi, tesori più
preziosi delle
pepite dorate. È un’orchestra di
bellezza.”
Ti posi su un fianco e ti avvicini, sussurrandole ancora la stessa
domanda.
“Ma, Anna, tu sei felice?”
“Non è forse questa la felicità? Essere
stesi sotto l’abbraccio del Sole?”
Il tuo pollice sale su, supera il polso e si addentra lungo tutto il
percorso
del suo avambraccio, fino a fermarsi a stringerle il gomito.
“Con me. Tu sei felice con me?”
Anna ride e ti accarezza il braccio teso, la stoffa blu della tua
camicia
lavorata e malamente rattoppata dai tuoi polpastrelli feriti dagli aghi
di
cucito, poi ride sottovoce e accosta le vostre fronti.
“Penso di aver imparato grazie a te e di aver riconosciuto
sempre insieme a te
il colore della felicità.”
“Ha un colore la felicità?”
Lei ride e tu senti dei crampi alla pancia che ti rimescola il sangue,
che ti
scombina le ossa e recide ogni tendine.
“Ogni emozione ha un suo colore, Gilbert. Non hai letto la
mia ultima storia?
Tu, forse non lo sai, ma esisteva una bambina un tempo. Una bellissima,
bellissima bambina. Con lunghi capelli neri come
l’inchiostro, gli occhi scuri
come le tenebre dell’Inferno, e le labbra rosse come il succo
delle fragole
acerbe. Quanto era bella, quanto era bella quella bambina, era una
bellissima e
dolce bambina. Il cuore talmente buono da esser fatto di zucchero a
velo, di
canditi preziosi. Non era cattiva, questo bisogna dirlo, altrimenti ti
sembrerà
strano quello che segue, ti sembrerà mostruoso, ma la
bambina non era cattiva,
no, non lo era. Lei aveva una passione e la conoscevano tutti, proprio
tutti.
Sai perché? Perché lei mangiava i cuori dei
poveri ragazzi innamorati. Oh, non
guardarmi così. Era un’opera buona la sua e lo sai
il perché? Perché in questo
modo loro non soffrivano più, non piangevano più
e nulla poteva toccarli. Lei
detestava talmente tanto vedere quei ragazzi così tristi che
doveva
necessariamente tentare ogni cosa pur di salvarli. Loro non potevano
sentire
nulla senza il cuore, non potevano provare dolore. Erano
liberi.”
Erano morti.
“E dove sarebbe la felicità? Quale sarebbe il suo
colore, che cosa ti ho
insegnato io?”
Non riesci a trattenerti, non riesci a frenare quel tremito vagamente
infantile
del tuo tono di voce, l’ansia che adesso ti scurisce la vista
e ti mostra la
realtà di quel prato, ti fa vedere le foglie arancioni
cadute dagli alberi e i
rami secchi che puntano verso un cielo stranamente terso. Quali oscuri
presagi,
quale forte luce di un Sole che non dovrebbe esistere ad Ottobre, che
non
dovrebbe mostrarsi con una tale arroganza, simile a quella di un re
seduto sul
suo trono ricoperto di gemme preziose. Quale malsano battere furioso
nel petto
ti atterrisce e scruta nei tuoi sogni più profondi, quale
arcano scuro
desiderio ti attanaglia. Perché in ogni tuo sogno, in ogni
tuo pensiero, c’è
solo Anna.
Anna che adesso abbassa le palpebre in quel modo, in quel modo, e
schiude la
bocca, lasciando un respiro fermo a metà sulle labbra, e ti
parla sottovoce. I
tuoi pensieri cominciano a diventare diversi, a tormentarti
l’addome e a farti
prudere le mani.
Vorresti sentirla più vicino.
Vorresti accarezzarle le calze con le dita, fermarti alle ginocchia e
vedere se
ti guarda stupita. Sollevarle la gonna e fasciarle la pancia,
appoggiare il
capo contro le sue cosce e aspettare, aspettare, aspettare.
Perché sei sicuro,
senti già una mano che attraversa le tue costole, che ti
scoppierebbe il cuore
in quel momento, e sei certo che una stretta allo stomaco ti renderebbe
il
volto pallido e che avresti bisogno di tempo per calmarti.
I pensieri si espandono, ti si ritorcono in maniera brutale.
Del suo corpo premuto contro il tuo, dei suoi capelli rossi sparsi a
macchia
sul tuo petto. Avere Anna, averla tutta fino a spaccarti
l’anima per fare
spazio a lei, a lei soltanto, anche uccidendo te stesso.
Ma non appena lei solleva le ciglia e ti guarda con i suoi occhi
azzurri
innocenti tu ti penti di qualsiasi pensiero formulato poco prima.
La guardi e ti penti, la guardi e le baci gli occhi, sperando di poter
ottenere
il suo perdono e di poter dimenticare subito la sensazione della sua
pelle
fresca sotto i tuoi polpastrelli, tra i tuoi palmi sudati.
Lei ti ha parlato e tu non hai ascoltato una sola parola.
“Non mi sono spiegata bene? Perché non mi dici
nulla? Lascia che ti mostri
allora.”
Anna ti abbraccia, stendendosi giocosa sul tuo addome, e ti chiude gli
occhi,
ti preme le palpebre con le dita e ti dice di non guardare, di non
sollevare le
ciglia per nessun motivo al mondo, di aiutarla, di credere in lei. Ride
nel tuo
orecchio e tu stringi la terra con le unghie, sporcandotele. Lei ti
sfiora,
guancia contro guancia, e tu da cieco le cerchi le labbra e schiudi
già le tue.
“Anna.”
Un nome, un’invocazione, una preghiera.
“No, Gilbert. Volto rivolto verso il Sole e occhi chiusi
stretti stretti, così
adesso lo saprai, vedrai il colore magnifico della felicità.
Quelle macchioline
che si formano davanti alle tue palpebre, dalle assurde forme, con i
contorni
strani e dalle linee tagliuzzate. Non sono bellissime? Io le vedo
sempre,
quando mi baci. Stringo talmente tanto forte le palpebre che vedo solo
quelle e
sento solo te. Hanno sempre un colore diverso, forme diverse, un
significato
differente. Ma è quella la felicità, io ne sono
sicura. Il suo colore, il suo
sapore.”
“E perché quella favola?”
“Ma è semplice. Perché io, rispetto a
tutti quei ragazzi che si lasciano
mangiare il cuore, preferirei soffrire in eterno piuttosto che vivere
senza
l’amore. Non si può vivere una vita senza amore,
che senso avrebbe? Ogni dolore
si può sopportare se c’è
l’amore. Amore. Che bella parola. Amore, amore,
amore!”
Le accarezzi il volto con le nocche e lo racchiudi tra i tuoi palmi,
afferrandole i capelli rossi tra le tue dita macchiate di terra.
“Fa così male?”
“Che cosa?”
“Amarmi”, le sussurri, come se fosse un segreto.
“Ma amare è un dono e i doni non devono mai essere
disprezzati, Gilbert.”
Ti risponde, mentre le sue ciocche rosse cascano giù verso
le tue ciglia
frementi e la tua fronte corrucciata.
Sembra che l’erba si pieghi ad
abbracciarti, filo dopo filo, e che la terra ora sia più
fredda, più
malleabile.
I raggi solari si infiltrano tra le pieghe dei vostri gomiti, dei
vostri vestiti, e non sono più caldi, non sono
più nulla.
Sono delle lame affilate di pugnali che sguazzano nelle vostre viscere,
di
spade acuminate che giacciono appese sul vostro capo.
“Anche questo Sole è un dono? Siamo a Novembre,
come può esserci il Sole?”
“Certo che è un dono. Ho pregato le fate delle
selve e ho scongiurato gli
spiriti nascosti nelle cortecce degli alberi di donarci ancora un
po’ di questa
luce. Perché Ottobre è splendido, ma un mondo
senza Novembre sarebbe triste.
Sarebbe davvero triste.”
Pone le braccia conserte sul tuo sterno e lì appoggia il
mento, guardandoti con
gli occhi che ridono e splendono, quei dischi azzurri che ti piegano le
ginocchia e la volontà.
Fino alla fine del
mondo, fino alla fine delle stelle.
“Gilbert, lo sai che tu sei il mio autunno? Sì,
sei proprio il mio autunno.”
Si sporge e credi ti voglia baciare, ti sporgi e lei invece si avvicina
al tuo
orecchio e ti bisbiglia altre parole.
“Ti immagini se fossi tu, per sempre tu, il mio
autunno?”
Una strana foga ti chiude gli occhi, ti serra la gola, ti apre il cuore
in due.
Perché questa
domanda? Lei vorrebbe forse qualcun altro?
Le cerchi a tentoni i fianchi e respiri a fatica, fai crollare indietro
il
collo e fai scontrare malamente la nuca.
Il freddo ti ghiaccia le vene e il gelo ti circonda le gambe mentre i
tuoi
palmi vagano inquieti.
“Sarò sempre io il tuo autunno.”
E vorresti bruciare e crogiolarti in questa cocente certezza che lei
mai ti
concederà.
“Anche quando vorrò un amore come quello descritto
da Jane Eyre?”
Le circondi le spalle e sfreghi il tuo mento contro la sua tempia
sinistra.
“Qualsiasi amore tu desideri... io sono qui. Non è
un dono l’amore? Allora io
te lo dono, in ogni sua forma. Io ti regalo tutto l’amore che
esiste a questo
mondo. Tutto, Anna. Tutto,
tutto.”
La abbracci.
La stringi fino ad avvertire la sua pelle oltre gli strati dei vestiti,
fino a
percepire la sua carne sotto le tue unghie, fino a cercare di imprimere
in voi
qualcosa di più forte del presente, qualcosa di eterno che
non potrà mai
sbiadire, neppure tra cento vite.
E ti accorgi che sì, la vuoi.
Sì, la vuoi di più, sempre di più.
Abbracciarla era appagante prima, averla tra le braccia è un
bisogno
soddisfatto in parte, è un cielo chiuso a metà
come un foglio ripiegato su se
stesso.
La vuoi, ti manca, la vuoi.
Inspiri a fondo con il capo abbandonato sulla sua spalla, respiri fra i
suoi
morbidi capelli rossi e le mani iniziano nuovamente a vagare come onde
che si
abbattono dolcemente su una spiaggia umida. Posi entrambi i palmi al
centro
della sua schiena, tra le scapole evidenti, e ascolti il battito
impazzito del
suo cuore.
Ti sembra di averlo tra le mani, ti sembra di sentire la pelle scossa
dal suo
martellare imperioso, dal suo buttarsi scrosciando fuori dalle costole,
dal
corpo, dalla realtà.
Anna è emozionata.
Anna è spaventata?
Ma non deve.
Sei tu il piccolo insetto schiacciato sotto la suola dei suoi stivali,
sei tu
la fastidiosa mosca rattrappita dal freddo e sei sempre tu
l’insignificante
moscerino mangiato dalla bocca pelosa di un ragno.
Mentre lei, -lei, lei,
lei-, lei sarà sempre libera e non deve aver
paura.
“Gilbert, cosa stai facendo?”
“Voglio ascoltare il tuo cuore, voglio ascoltarlo e abituarmi
al suo suono,
nello stesso modo in cui ogni corpo si abitua al rumore del proprio.
Voglio avere
entrambi i battiti nelle orecchie, nella mente. Te sotto le palpebre.
Ovunque.”
Anna si appoggia contro la tua gola e tu non vorresti fare altro che
continuare
a baciarle la testa.
“Cosa mi stai dicendo, Gilbert?”
“Ti sto dicendo che ti voglio sposare, Anna, e che ti amo. Ti
prego guardami e
dimmi che mi sposi, stringimi e dimmi che mi ami, dimmi che anche tu
non
desideri altro che questo. Abbracciami e saremo già sposati,
cercami e mi
troverai già qui. Bacia il mio mento, non ti chiedo le
labbra, oppure, se così preferisci, bacia il punto della mia
gola contro cui stai
respirando e io diventerò tuo marito. Oppure sorridi e
basta. Stendi la tua
bocca sulla mia pelle e io ti chiamerò moglie fino al mio
ultimo respiro.”
Aspetti un suo movimento, un suo gesto, ma lei non si
muoverà mai.
Aspetti una sua risposta, una semplice sillaba, -un
‘sì’ strozzato e
emozionato-, e sai che nulla di tutto ciò ti
verrà mai concesso.
Fai cadere mollemente le mani a terra, sollevi il mento contro il cielo
e
aspetti, ad occhi chiusi.
Tu aspetti.
Tu aspetti anche se in ogni secondo c’è un secondo
di troppo.
E forse, chi mai lo saprà, chiunque può guardare
voi dall’alto di quelle nuvole
grigie e può scambiarvi per delle foglie che feriscono
l’erba o paragonarvi a
degli stupidi ragazzini in un oceano di innocenti innamorati oppure
scorgervi e
dimenticarvi subito dopo.
Tu non lo sai e dunque aspetti.
Fino alla fine del
mondo, fino alla fine delle stelle.
All’improvviso, con la stessa forza di uno schiaffo sui
denti, Anna si solleva
sulle ginocchia e tu apri velocemente gli occhi che si
scontrano con il suo
volto corrucciato in un’espressione preoccupata.
I capelli rossi appiccicati al mento, le lentiggini quasi sulle labbra,
il Sole
negli occhi azzurri.
Cerchi la terra, la usi come un appoggio, e alzi il busto fino a quando
non la
raggiungi, fino a quando non afferri le sue braccia e non la scuoti
leggermente
e le chiedi, ansioso, quale significato hanno mai i suoi occhi lucidi e
il suo
broncio triste.
Anna si porta le mani contro la pancia e stringe appena e poi ti guarda
di
nuovo, sofferente.
Non si muove e sussurra, con una voce sottile, poche parole.
Ti osserva e si
indica il corpo, indica le sue mani strette e intrecciate, e mormora
dolcemente
sempre la stessa frase.
“Ho le farfalle nello stomaco, Gilbert.”
Si stringe più forte la pancia, la racchiude tutta nei suoi
palmi, e tu senti
il cielo spezzarsi e il prato aprirsi sotto di te.
Lei ti guarda e lo ripete, lo ripete ancora e ancora e ancora, mentre
il Sole
ricomincia a splendere troppo forte e il suo volto ti appare lontano,
irraggiungibile.
“Gilbert, perché ho le farfalle nello stomaco?
Perché, Gilbert? Perché?”
Te lo chiede spaventata e tu cominci a piangere, -Sono lacrime? Che cosa sono?
Sono
perle fuggite via dal filo rotto di una collana?-, e a
chiederle di ripeterlo
un’altra volta, un’altra volta soltanto.
Con i polpastrelli le tocchi le labbra e le domandi la cosa
più importante e lo
fai con il tuo ultimo respiro.
“Ti fanno male le farfalle? Non ti piacciono? Oh, questi
stupidi insetti così
dispettosi, talmente tanto dispettosi. Ti fanno male?”
Non hai la forza di rivelarle, a capo chino e fra i singhiozzi, che la
ami
davvero più di tutto al mondo e che un amore come il tuo non
esiste e che non
dovrebbe neppure esistere e che forse non è mai esistito.
Non era questo che lei agognava con magnifica disperazione?
Non desiderava un amore tragico e sofferto, un amore da romanzo, un
amore
totalizzante?
Tu in questo ti sei incarnato.
Tu nell’amore per lei vivi e respiri.
E adesso ti sembra quasi di sentire, quale follia, il battito furioso
delle ali
delle farfalle che si sono annidate nella sua pancia.
Ti sembra quasi di
riconoscerle.
“Mi fanno male, Gilbert. Mi fanno molto male. Gilbert,
Gilbert.”
Lei ti parla sulle dita e ti fa percepire la pelle consumarsi e
bruciare, lembo
dopo lembo, nervo dopo nervo.
Tu annuisci e lei non smette mai di ripetere il tuo nome,
perché così è, dal
primo giorno in cui vi siete incontrati: lei ti chiama e tu accorri.
Lei sta male e tu non puoi sopportarlo.
È sempre stato così e sempre così
continuerà ad essere.
Fino alla fine del
mondo, fino alle fine delle stelle.
“Lascia fare a me, Anna. Dona a me queste terribili farfalle,
lascia che soffra
solo io. Se uno di noi due deve soffrire, lascia che sia solo
io.”
Le baci le labbra e per un secondo, uno soltanto, ti senti meglio.
Ma poi, senza alcuna pietà e senza alcun atto di clemenza o
misericordia, le
farfalle ti divorano lo stomaco, ti divorano tutto.
Ti mangiano la pancia e tu...
... E tu lo sai, sì, tu lo sai che va bene così.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Spero tanto la storia possa esservi piaciuta.
Parto precisando che l'immagine iniziale di Gilbert che riesce a vedere il Sole grazie agli occhi di Anna non è una mia immagine ma di Dante Alighieri (Paradiso, Canto I) e che chi ha visto la serie sa che il primo incontro tra Anna e Gilbert è un pò diverso da quello che ho descritto, partendo dal dettaglio del cappello.
Inoltre la storia non partecipa alla challenge da cui ha preso spunto, per motivi di ritardo nella pubblicazione, ma cito la bellissima iniziativa creata dal gruppo Boys Love- Fanfic and Fanart's World. Era una challange sull'autunno! Questo mio autunno è un pò particolare perchè ne ho ripreso la descrizione dalla poesia pascoliana dedicata all'Estate di San Martino, e nuovamente spero possa esservi piaciuta.
Infine i miei grazie sono sempre a Jill, Victoria e Mari, le mie amate ragazze, e a mia moglie Miryel, la mia dolce dolce moglie.
A presto!