Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: pattydcm    04/11/2018    2 recensioni
“Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui”. Scopre, invece, che Sherlock ha collaborato con un team di giornalisti investigativi madrileni. Questi rivelano a John la verità sul ‘suicidio’ di Sherlock e lo invitano ad unirsi a loro per salvare il consulente investigativo dal pericolo nel quale si è cacciato. Verranno a galla verità sul passato di Sherlock, sui piani di Moriarty e sul rapporto tra i fratelli Holmes. Questa avventura vedrà crescere e consolidarsi il rapporto tra il dottore e il consulente investigativo, intenzionati a percorrere insieme il cammino che li porterà fino alla verità, sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buongiorno e buona domenica a tutti
La serie di Sherlock della BBC pone il focus, a mio avviso, su due relazioni ‘impossibili’. La prima, quella sulla quale un po’ tutti speriamo e sulla quale si gioca, è quella tra Sherlock e John. La seconda, che passa più tra le righe restando sullo sfondo, è quella tra Sherlock e Mycroft. Una relazione fraterna, un amore fraterno, travagliato, difficile, burrascoso ma profondo. I fratelli Holmes sono, a mio avviso, legati da un affetto profondo, da un bisogno reciproco l’uno dell’altro e da un’ostinata incapacità comunicativa. Più ostinata di quella che il consulente ha con il dottore. Nel primissimo episodio della serie Mycroft stesso parla di questa incomprensione e, sebbene in modo controllante e invadente, manifesta la sua preoccupazione e da qui il suo affetto nei confronti del fratello. L’acerrimo nemico, infondo, è l’altra faccia della medaglia del grande amore.
Il focus di questo capitolo è incentrato proprio su loro due e su questo amore così difficile e ancora più bello, secondo me, di quello più ‘scontato’ tra Sherlock e John. Un fratello, infondo, è per sempre. Nel bene e nel male. E se non ci credete, fatevi del bene e guardate il film d’animazione ‘Baby boss’ ;-) (mi direte poi, seppure le età anagrafiche siano invertite, se ci trovate anche voi qualcosa dei nostri fratelli Holmes).
Buona lettura
Patty
 
Capitolo 30
 
È se fosse per disperazione
che le cascate si precipitano
dall’alto delle montagne?
 
(Sylvain Tesson)
 
La pioggia scroscia incessante e insistente al di là della finestra. Picchietta sul vetro, e là dove il fredde umido esterno incontra il piacevole calore interno si crea una leggera condensa.
Quel rumore. Il suono neutro della pioggia quando viene giù, come se dovessero svuotarsi tutte le riserve d’acqua del cielo. È così piacevole. Rassicurante. Si unisce in sottofondo lo scoppiettio del fuoco nel camino, dal quale si espande un piacevole aroma di ginepro.
Suoni e profumi che evocano calore, attesa, inevitabilità.
Mycroft sospira osservando la finestra investita dalla pioggia. Gocce scivolano disegnando scie simili a lacrime. Si alza in piedi, strofinando le mani infreddolite l’una contro l’altra, e osserva la strada del pigro quartiere di Pall Mall che da anni lo ospita.
Un uomo è fermo all’angolo, riparato da un balconcino che gli garantisce un esile perimetro di confort. Le mani in tasca, il cappuccio della giacca calato sugli occhi e una sigaretta stretta tra le labbra. Ogni volta che prende una boccata la brace brilla illuminandolo appena. Neppure la pioggia riesce a scacciare gli scagnozzi di Moriarty.
<< Dalla finestra della mia stanza vedo per strada persone morte camminare svelte convinte di essere ancora vive >>.
Recita le parole di quella breve poesia composta da Sherlock quando aveva solo sette anni. Mycroft la trova splendida, carica di significati e della profondità d’animo e d’intelletto del suo fratellino. Ovviamente, le insegnanti non colsero nulla di ciò che a lui era più che chiaro in quei pochi versi. Convocarono lo zio Rudhy e gli dissero preoccupate che qualcosa non andava nel piccolo Holmes. Fu l’inizio dei test, dei lunghi e inutili esami medici, dei dubbi negli occhi degli adulti circa la sua salute mentale. Un inizio che trovò la sua fine nella dicitura ‘sociopatico iperattivo’, nella quale nè lui nè lo zio credevano e che andò ad aumentare il fastidio di suo padre nei confronti di Sherlock.
E pensare che lui stava solo assolvendo allo stupido compito: crea una poesia che parli di ciò che vedi dalla finestra della tua stanza. C’è davvero una persona morta che è convinta di essere ancora viva, questa sera, sulla strada. Una persona che ha venduto l’anima al diavolo e che crede di essere speciale perché tiene d’occhio sei persone ree di voler salvare il sociopatico iperattivo di cui sopra.
Mycroft sospira e il suo respiro disegna un alone sul vetro che subito si rimpicciolisce fino a scomparire. Mette un altro ceppo nel camino e si ferma qualche istante, le mani protese verso le fiamme alla ricerca di calore. Il freddo che prova, però, gli nasce da dentro. Dal senso di ingiustizia per quanto la vita e gli ‘adulti responsabili’ hanno fatto a suo fratello.
“E anche a te” gli dice la voce di Sherlock tra i suoi pensieri.
Mycroft sorride in modo amaro. Anche a lui, certo. In modo meno plateale, per il semplice fatto che lui si è iperadattato alla situazione contingente.
“Cosa che non hai mai smesso di fare” gli fa notare Sherlock. La sua assenza la percepisce ancora di più, lì, in quella che è stata la sua vecchia stanza. Ci sono ancora alcuni dei suoi manuali di chimica applicata mescolati a quelli di criminologia forense nella piccola libreria, qualche vecchio capo d’abbigliamento nell’armadio e alcuni oggetti di cui forse lui non ha neppure più memoria.
Si rende conto di non averlo mai abbracciato in modo spontaneo. Le volte in cui lo ha tenuto tra le braccia era mezzo svenuto a causa di una dose tagliata male o tremante in preda alla crisi d’astinenza. C’è stata poi la volta in cui Sherlock gli è saltato al collo, felice ed euforico per la morte del padre. Possibile che l’unico abbraccio che gli viene in mente debba essere quello legato a un evento infausto per il quale due figli non dovrebbero neppure festeggiare?
Cosa mai ci vorrà, poi? Ci si avvicina all’altro, lo si cinge con le braccia e si sta lì qualche istante. Persino banale, a dirla tutta. Eppure, quando è salito sul furgone dei ‘Los Errores’ e lo ha visto lì, sdraiato su quel letto scomodo, emaciato e sfiancato dalla morte che solo per un colpo di fortuna ha deciso di voltarsi dall’altra parte, non è riuscito a farlo. Non gli ha detto proprio nulla, a dire il vero. Si sono scambiati solo un lungo sguardo ed è successa quella bellissima cosa. Le labbra di Sherlock si sono incurvate a disegnare un sorriso. Non sa neppure se gli ha risposto, anche solo per riflesso. Era troppo felice all’idea di vederlo vivo anche se mal ridotto e troppo stupito da quel sorriso
“E’ felice di vedermi” ricorda di aver pensato e il cuore gli si è scaldato, il ventre si è scaldato. Un brivido caldo lo ha percorso da capo a piedi, facendogli temere di cadere svenuto da un momento all’altro. Poi Moriarty se lo è portato via. O meglio, Sherlock ha deciso di consegnarsi a lui. Avrebbe davvero rivolto l’arma contro di sé se James lo avesse messo dinanzi a quella folle scelta? E’ possibile, anche perchè non c’è molta differenza tra consegnarsi a un pazzo del genere o spararsi un colpo in testa.
Vuole poterlo stringere tra le braccia. Questa è la sua personalissima missione, ora. Vuole poter fare la stessa cosa che Gregory Lestrade ha fatto con lui.
 
<< Controllati, Mycroft! Non è il caso di lasciarsi coinvolgere da simili assurdità! >>.
 
La voce di suo padre è così reale al suo orecchio da farlo trasalire. Sì, ora la riconosce. Riconosce la presenza di suo padre ogni volta che si blocca dinanzi a un’esternazione di affetto o di emotività. Era lì, fermo a pochi metri dal fratello adagiato sul letto e il suo corpo ha reagito immobilizzandosi come se fosse sotto il tiro degli occhi severi di Mr Holmes.
Mycroft sospira per la terza volta. Porta la mano agli occhi sentendo il peso svilente dell’essere ancora assoggettato allo sguardo di quell’uomo, sebbene siano passati sedici anni dal giorno in cui lo uccise.
“Da qualche parte, dentro di me è come se non fosse mai morto. È ancora vivo e continua a bloccarmi” pensa, vedendo le fiamme sdoppiarsi al di là delle lacrime che gli riempiono gli occhi.
“E tu uccidilo!” gli consiglia Sherlock. “L’altra volta lo hai fatto per me, adesso fallo per te” continua.
Alle sue spalle, Anthea inizia a lamentarsi nel sonno. Mycroft asciuga gli occhi e si porta accanto alla ragazza preda di un ennesimo incubo. Le accarezza la fronte trovandola tiepida. Per fortuna la febbre sembra essere scesa. Gli incubi, però, non vogliono lasciarla andare.
<< Jane… svegliati… è solo un brutto sogno >> le dice vedendo gli occhi di lei schiudersi appena. Lo guarda stupita per poi spostare svelta lo sguardo in punti diversi della stanza.
<< Siamo a casa mia… sei al sicuro >> la rassicura sfiorando appena l’occhio pesto e la guancia gonfia. La ragazza affonda il viso nella sua mano. La freschezza della quale lui si è lamentato sembra essere un toccasana per il suo volto tumefatto. Mycroft sorride e vederla così appagata dal suo tocco lo aiuta a scacciare l’immagine del volto della sua sorellina devastato dalle botte. Da che si sono ricongiunti, quel triste fotogramma del suo passato gli si ripropone agli occhi ogni volta che la guarda.
Nel trovarle un posto in casa non ha pensato a nessuna delle altre stanze vuote e pressoché mai utilizzate. No, gli è venuto spontaneo far portare la ragazza nella camera che è stata di suo fratello. Forse perché l’idea di ospitarla in una di quelle mai utilizzate, su un letto che non ha sperimentato il calore di un corpo non gli è piaciuta. O, cosa molto più probabile, perché continua ad associare Anthea a sua sorella e di conseguenza a Sherlock.
Come se non bastasse, si ritrova oggi a tenerle la mano proprio come aveva fatto con suo fratello negli anni della tossicodipendenza. Quando riusciva a rapirlo dalla strada per riportarlo a casa, sapendo che alla prima occasione sarebbe sgattaiolato via da uno dei passaggi segreti che portano a cunicoli sotterranei che si aprono su zone diverse del quartiere di Pall Mall.
Si ritrovava a ridestarlo dai deliri causati dall’astinenza e a cercare di confortarlo. In ogni delirio, in ogni incubo suo fratello riviveva la fuga, mano nella mano con Jane, dalle grida furiose di suo padre, proprio come ora Anthea rivive le torture subite.
<< Alcune delle ferite che le hanno inferto non guariranno mai del tutto >> gli ha detto John, dopo averla visitata per la prima volta. << Forse sulla pelle resterà solo la cicatrice che sbiadirà col tempo, ma i muscoli e i legamenti danneggiati la faranno penare a lungo >>.
John aveva portato la mano sulla spalla sinistra senza nemmeno accorgersene, là dove il colpo di pistola che gli ha dilaniato la carne non manca mai di ricordargli la sua presenza. Su quella destra, invece, Mycroft ha posato al sua mano la sera prima. Quel gesto di conforto gli è venuto spontaneo.
“Forse perché ne avrei avuto bisogno io stesso e nel suo dolore, nella sua preoccupazione rivedevo le mie” analizza, mentre continua dolcemente ad accarezzare col pollice la guancia di Anthea, il cui viso è ancora affondato nella sua mano ormai tiepida. Sembra essersi addormentata e non vuole rischiare di svegliarla allontanandosi da lei.
Mycroft sbadiglia portando rispettoso la mano libera davanti alla bocca. Lo sfogo di John della sera prima lo ha tenuto sveglio per buona parte della notte. Difficilmente tornerà a dormire come un tempo. Non che abbia mai dormito più di tanto, in verità. Anche i suoi sonni sono invasi da incubi e sogni spiacevoli, ma non c’è nessuno al suo fianco pronto a svegliarlo.
“Non c’è perché ti ostini a non volere che ci sia!” dice Sherlock con tono arrogante.
Non può dargli torto. Ha sempre accusato suo fratello di farsi coinvolgere troppo dalle situazioni, ricavandone solo fastidi. Il genere di fastidi che Mycroft non ha mai voluto. Gli bastano quelli che non ha potuto fare a meno di vedersi gettati addosso. Jane che gli correva incontro gioiosa regalandogli quegli intensi attimi di dolcezza. Lo stomaco che gli si chiudeva ogni volta che la vedeva piangere in silenzio. Il dolore alla vista del suo piccolo corpo straziato e poi gli anni vissuti nella preoccupazione costante per Sherlock. Non basta questo tipo di coinvolgimento? Perché dovrebbe essere così folle da volerne cercare altro, nei confronti poi di perfetti estranei? Come per Anthea, ad esempio. L’amarezza che prova nel vederla ridotta così a causa sua. Oppure per John, col quale condivide il timore per le sorti del fratello. Solo sensazioni negative ed emozioni spiacevoli, questo si ricava dal lasciarsi coinvolgere.
“Non è solo questo. Smettila di ostinarti a non tenere conto di tutti i fatti” lo rimprovera Sherlock.
Mycroft abbozza un sorriso. Sì, c’è stato quell’abbraccio. Quelle parole sussurrate solo per lui. Deve ammettere che Gregory Lestrade è stato capace di rincuorarlo al punto che si è arrischiato a ricambiare la sua stretta. No, non è andata così. Non ha ricambiato un bel niente. Se lo ha abbracciato è perché ne ha sentito il bisogno.
“C’è qualcosa di male in questo?” gli domanda Sherlock.
<< No >> sussurra Mycroft. Non ci è abituato. Tutto qui. Suo padre lo ha cresciuto affinchè si prendesse responsabilità importanti e si mostrasse indistruttibile, incorruttibile e glaciale. A sua immagine e somiglianza, si potrebbe dire. Da quando Moriarty ha messo piede nella sua vita, Mycroft si è reso conto di non essere per nulla come suo padre avrebbe voluto che fosse.
Spaventato. Perennemente spaventato, ecco come si sente. E triste. Ha vissuto la tristezza di non poter condividere con nessuno le sue preoccupazioni, le sue paure. Almeno finchè non è arrivata Anthea sul suo cammino. Qualcosa con lei si è lasciato sfuggire. Qualche pensiero legato a suo fratello. Il timore dell’ombra di Moriarty sempre più calata su di lui. Fino a mostrarsi a lei addirittura pronto a spararsi un colpo in testa.
Il coinvolgimento genera anche attimi piacevoli, come questo che sente ora sotto le dita. Il respiro di Anthea a scaldargli il palmo della mano. Le sue labbra curve a disegnare un vago sorriso. La ragazza apre piano gli occhi a incontrare i suoi.
<< Myc >> sussurra abbozzando un sorriso. Solleva la mano dalle dita ferite e sfiora appena la sua guancia.
<< Non volevo svegliarti, scusami >>.
<< Stai per andare via? >> gli chiede preoccupata. Lo stupisce come possa lei, ridotta a quel modo, preoccuparsi per lui.
<< E’ ancora presto. Miriam sta ultimando il trucco ai due agenti, che tra poco diventeranno una nuova versione di John e Fox >>.
<< Sì, mi ha raccontato come avrebbe fatto. È una gran chiacchierona. Non sono abituata a sentire qualcuno parlare così tanto >>.
Mycroft percepisce le labbra di lei distendersi, curvarsi sotto le sue dita. Tanti piccoli muscoli che si muovono per creare una cosa così bella e semplice. Molti di più si mettono al lavoro per permetterci di parlare. In effetti, Mycroft è abituato a stare in silenzio, a fare economia di lavoro muscolare. Non solo al Diogenes Club, dove il silenzio è una regola, ma ovunque. In auto, a casa. Parla solo quando è indispensabile che lo faccia e anche con lei ha sempre parlato poco. E di cosa avrebbero potuto parlare, poi, se non di lavoro.
“Di hobby, ad esempio. No, è vero, tu non ne hai. A meno che non vogliamo considerare l’impicciarti della mia vita privata un hobby. Oppure di cinematografia. C’è da dire che a te piacciono solo i vecchi e noiosi film in bianco e nero, mentre lei mi sembra più tipa da film di azione e spionaggio”.
Mycroft scuote il capo tentando di spegnere lo sproloquio del fratello, che si è attivato in automatico nella sua testa. Un blando diversivo per proteggerlo dall’imbarazzo nel quale tutte quelle sensazioni lo stanno gettando.
<< Mi dispiace non poter essere al tuo fianco >> dice la ragazza << Temo che, purtroppo, non potrò più assolvere al mio incarico >> aggiunge e una silenziosa lacrima le cade dagli occhi. << John cercava di girarci attorno, ma alla fine sono riuscita a farmi dire in che condizioni sono. È un medico militare e sa quando le ferite sono decisive per un corpo >>.
<< Non parliamo di questo. Non adesso, per favore >> le chiede. Brividi di freddo lo percorrono da capo a piedi all’idea di dove quel discorso voglia andare a parare.
“E’ questo che si prova ad essere lasciati” sussurra Sherlock nella sua mente.
<< Va bene >> dice Anthea, abbozzando un sorriso. << Greg ha accettato? >> chiede cambiando subito argomento.
<< Sì. Si è messo all’opera e, da quanto ho potuto constatare, sta facendo un ottimo lavoro >>.
<< Il piano, quindi, sta andando avanti. Tuo fratello è un fottuto genio >> dice, usando parole che, forse, libera dai fumi della febbre non userebbe. << Sei preoccupato per lui? >>.
<< Sì >>.
<< Non devi >> dice posandogli la mano sulla guancia. << Sherlock sa il fatto suo. Potrà sembrare un incosciente, ma sai bene come ogni suo movimento sia calcolato. Fidati di lui, Mycroft >>.
<< Non è… facile >> ammette.
<< Smettila di vederlo come un bambino e renditi conto che è un uomo ormai. Ha anche un compagno, adesso, sul quale già facevi affidamento prima che loro stessi si rendessero conto di quanto fossero cotti l’uno dell’altro. Sherlock non è solo, nè tantomeno indifeso. Tu si >>, sbotta nervosa, << e questo non mi piace. Chi ci sarà domani a difendere te? Nessuno. John e Fox saranno concentrati prima nella ricerca del killer e poi sul ritrovare Sherlock. Io penso tu sia più esposto al pericolo di quanto non lo sia lui >>.
<< No, Jane io non… >>.
<< Smettila di contraddirmi! >> dice tra i denti dandogli uno schiaffo, debole in verità, sulla guancia. << Lo hai detto anche tu che non sei più indispensabile per Moriarty. Hai ipotizzato voglia mettere Sherlock al tuo posto e, cristo, è maledettamente possibile questa cosa. Tu non fai ipotesi a caso, non parli mai tanto per dire, no! E non ci sarà nessuno a proteggerti. Non mi fido degli altri uomini dell’MI6 che ti porterai. Non ti fidi neppure dei due che sono di là, so che hai chiesto a Grey di tenerli d’occhio. Io… sono arrabbiata, cazzo! >> grida colpendo le lenzuola con un pugno. << Sono bloccata qui e non posso fare nulla. Non servo a nulla, maledizione! >> piange coprendo il viso con le mani.
Mycroft non sa cosa fare.
Confortala” gli suggerisce Sherlock, ma lui non riesce a muovere un solo muscolo dinanzi al suo pianto. È bloccato dal fatto che lei si stia disperando per lui, per la sua incolumità, per il suo essere solo.
“Io non sono solo. Ho me” era solito dire alla sua sorellina quando, allo stesso modo, si dispiaceva del fatto che non potesse giocare come loro, ma che dovesse vestire i panni del piccolo adulto per il volere di papà.
A dire il vero vorrebbe scappare da lì, da lei, dalla sua disperazione. La fuga dinanzi alla sofferenza è sempre stata il suo primo istinto. Gli accadeva davanti agli occhioni di Jane, al dolore fisico di Sherlock durante l’astinenza e adesso qui.
 
<< Verrà il giorno, Mycroft, in cui ti renderai conto
di quanto valga di più l’affetto di una sola persona che
il prestigio finto e doppiogiochista del rispetto di molte >>.
 
Suo zio Rudhy era considerato eccentrico dall’intera famiglia Holmes. Un eccentrico che era comunque riuscito a ritagliarsi i suoi spazi, un po’ come Sherlock. Aveva avuto l’ardire di opporsi al fratello maggiore nel tentativo estremo di difendere il nipote più giovane. È morto a causa di un incidente mai chiarito del tutto, ma nella dinamica del quale lui è sicuro ci sia lo zampino di suo padre.
“E’ morto, Myc. Siamo liberi! Lascialo andare anche tu. Liberati del fantasma di nostro padre”.
In effetti non si può affrontare un demone portandone un altro sulla schiena. Si parte svantaggiati e lui non ne ha per nulla bisogno.
<< Ti prego, promettimi che starai attento. Che ti prenderai cura di te e non penserai solo al benessere delle nazioni e di tuo fratello >> lo implora Anthea, accarezzandogli il viso con dita tremanti.
<< Te lo prometto, Jane >> sussurra, cosciente di stare facendo una promessa che non sa se gli sarà possibile mantenere. Stanno per recarsi all’inferno. Potrebbe non uscire vivo nessuno da quel vertice. Non se la sente, però, di gettarle addosso la triste realtà dei fatti.
<< E’… bello, sentirti pronunciare il mio nome >> dice imbarazzata.
Mycroft si era reso conto di come, da che si sono ricongiunti, gli venisse spontaneo chiamarla col suo vero nome. Non si era fatto troppe domande né problemi su questo fenomeno.
<< E’ il tuo nome ed è bellissimo. Non solo perché è lo stesso che ha scelto per sè mia sorella >> sente di dover precisare. << Sì, è vero io… rivedo molto di lei in te, ma non è solo per questo che ti ho proposto di restare con me. Tu sei sempre stata efficiente e impeccabile, ma, soprattutto, hai fin da subito capito quali sono le mie abitudini, le mie esigenze, al punto da riuscire ad anticiparmi. Nessuna delle altre ci era riuscita e sai quanto odi dovermi ripetere >>.
La ragazza ride piano annuendo.
<< Posso occuparmi io della selezione per la nuova segretaria, se vuoi >> gli propone, spezzandogli il cuore.
<< Per favore, Jane, non adesso. Ho bisogno di pensarti ancora al mio fianco, anche se non ci sarai fisicamente con me in Svizzera >> le dice esponendosi molto più di quanto non abbia mai fatto in tutta la sua vita.
<< Grazie >> sussurra lei percorrendo con le dita le sue labbra. << Lo so che non sei abituato ad esprimere ciò che provi. Lo apprezzo >>.
Bussano alla porta e Mycroft si ritrova stranamente infastidito dall’interruzione. Senza aspettare che le sia detto nulla, Mistica entra e si ferma all’istante.
<< Oh… scusate. Io… volevo avvisarti che ho finito il mio lavoro, Mycroft. Valerio e John sono pronti a partire >>.
Anthea trattiene il fiato e le sue dita premono con insistenza sulla guancia ben rasata del suo capo. È preoccupata, spaventata e da l’idea che, se le fosse possibile, non lo lascerebbe andare.
<< Grazie, Miriam, arrivo subito >> risponde Mycroft automaticamente, senza neppure guardarla in viso.
Con le poche forze che ha, Anthea gli getta le braccia al collo e lo tiene stretto. L’uomo di ghiaccio ricambia il suo abbraccio, più per aiutarla a sorreggersi, evitandole uno sforzo eccessivo, che per altro. La ragazza si rilassa nel suo abbraccio, poco intenzionata, però, a lasciarlo andare.
<< Sta attento, ti prego >> gli sussurra piano all’orecchio. << Torna da me sano e salvo, signor Holmes >> aggiunge posandogli un lungo bacio sulla guancia.
Mycroft non riesce a ribattere alcunché. Le sorride carezzandole il viso e piano piano la adagia sui cuscini. Si alza in piedi e si avvia verso la porta voltandosi un’ultima volta prima di aprirla. La ragazza lo saluta con la mano. Alcune lacrime le rigano il viso, brillando alla debole luce che proviene dal camino. Mycroft imprime questa immagine di lei nella sua memoria. Vuole sostituirla a quella di sua sorella che incessante gli si ripropone. Una Jane viva e innamorata dalla quale poter tornare, fosse anche solo per salutarla e vederla poi andare via per la sua strada.
Esce chiudendosi la porta alle spalle e trova Mistica, rimasta rispettosamente fuori e a un metro buono dalla porta.
<< Abbi cura di lei >> le chiede.
<< Anche tu >> ribatte la ragazza. << Non puoi darle l’amore che vuole, dalle almeno questo. Torna sano e salvo, Mycroft >>.
Questi spagnoli sembrano essere giunti tra loro al solo scopo di confonderlo e lasciarlo senza parole. Mistica gli indica il salotto e poi entra nella stanza. Mycroft passa le mani sul viso, prende un profondo respiro e si avvia là dove i suoi compagni di viaggio lo stanno aspettando.
Lo accoglie l’odore delle sigarette che Juan Hernandez sta fumando incessantemente dal giorno prima. Sul volto del giornalista investigativo, parzialmente celato dal ciuffo, ritrova lo stesso sguardo di Anthea. Appena lo vede si volta subito verso il suo protetto, prendendo una lunga boccata di fumo che sputa fuori nervosamente.
Non è, però, all’alto ragazzo dai capelli ricci e rossi che ha dedicato le sue attenzioni, bensì all’agente in doppio petto, auricolare all’orecchio destro e occhiali scuri sul naso. Mycroft è sbalordito non solo da come Fox sia stato trasformato nella perfetta copia dell’agente Hopper, ma anche del suo averne assunto l’esatto portamento.
<< Loro non si trasformano solo con trucchi e parrucche. Loro diventano il nuovo personaggio del quale assumono l’identità >> gli aveva detto suo fratello, portando enfasi su quel verbo e ora Mycroft ne ha le prove. John, poi, deve averci ormai fatto l’abitudine a vestire panni non suoi. Aiutato anche dal suo passato da capitano dei fucilieri, è perfettamente in grado di calarsi a sua volta nella parte.
<< Siamo pronti >> gli dice. Non sta più nella pelle, John Watson, si vede. Vuole solo andare a riprendersi il suo uomo e porre fine a tutta quanta questa storia.
<< Chi ci sarà domani a difendere te?  >> gli ha chiesto Anthea e Mycroft si rende conto, guardando il dottore, di come, in effetti, lui sia solo. Anthea non sarà al suo fianco. Gli agenti si focalizzeranno sulla sicurezza nazionale, lasciandolo scoperto. Dovrà badare a se stesso.
“Io non sono solo. Ho me”. Mai queste parole dette a sua sorella sono state più veritiere come oggi.
“Tu non sei solo: hai me, hai Anthea che ti aspetta qui e hai Lestrade. Sì, in qualche modo hai anche lui” ribatte suo fratello strappandogli un sorriso.
Mycroft si ricompone tornando a vestire i panni dell’uomo di ghiaccio tutto d’un pezzo.
<< Signori, abbiamo una guerra mondiale da impedire e un uomo da recuperare >> dice a John e Valerio, invitandoli a precederlo verso la porta d’ingresso. Prima di uscire, Mycroft si volta a guardare un’ultima volta quella che da sedici anni considera la sua casa.
“Spero tu possa essere ancora abitata da un Holmes” sospira, carezzando il legno finemente lavorato con decori floreali della porta, prima di chiudersela alle spalle.
 
***
 
Life goin’ nowhere.
Somebody help me.
Somebody help me, yeah.
Life goin’ nowhere.
Somebody help me, yeah
Stayin’ alive[1]
 
<< Corri, Jane! Corri! >>.
Sherlock ansima senza fiato, la mano destra a proteggere la ferita al torace. Alle sue spalle Anthea, nuda, ferita e dal volto pesto, fatica a tenere il passo. Si aggrappa alla sua mano con tutte le forze.
<< Venite qui piccoli bastardi! Dove siete, maledetti?! >>.
La voce furiosa di suo padre gli accappona la pelle. Lo sente vicino, tanto vicino e loro sono troppo stanchi e feriti per poter correre ancora più forte.
<< Sta arrivando, Sherlock. Ci prenderà! >> grida terrorizzata Anthea.
<< Vieni, di qua! >> dice entrando nella grande cucina di Musgrave. La spinge dentro lo stanzino della legnaia e vi entra a sua volta, chiudendosi la porta alle spalle.
Anthea trema come una foglia. Sherlock la stringe a sé e le posa una mano sulla bocca per fermare il ticchettio dei suoi denti che battono terrorizzati.
<< Qui non ci troverà, stai tranquilla. Non lo sa che ci nascondiamo sempre qui quando fuori piove e vogliamo starcene per i fatti nostri >> le dice, ma non riesce a rassicurarla. Il tremore del suo corpo non si quieta, anzi, accelera. Sherlock toglie il cappotto e glielo posa sulle spalle. La stringe forte, spaventato a sua volta dalle parole feroci e volgari che suo padre usa per richiamarli. La sua voce si fa più vicina e lui prega con tutto se stesso che non entri in cucina.
“Myc, aiutaci. Aiutaci ti prego!” pensa e i calore della lacrime sale a invadergli gli occhi.
<< Sta venendo qui >> uggiola Anthea da dietro la sua mano. Lui non può fare che stringerla ancora più forte, nell’illusoria speranza che possano bastare le sue braccia a salvarla.
<< Venite fuori e forse non vi ucciderò! Forse vi darò solo una bella ripassata, piccoli bastardi! >>.
È dietro la porta. Ansima, anche lui affannato dall’inseguimento.
“Fagli scoppiare il cuore, ti prego dio! Faglielo scoppiare!” prega, ma non accade nulla. Non ci si può fidare delle religioni, doveva aspettarselo!
<< Siete lì, non è vero? >> ride come l’orco cattivo di una fiaba. << Soffierò, soffierò e la porta cadere farò >> cantilena prendendosi gioco di loro. Ride così forte da far vibrare il legno tarlato e sottile che li separa.
Sherlock si porta protettivo davanti a sua sorella, pronto a balzare addosso al padre che sente ormai prossimo ad aprire la porta.
 “Ti odio, maledetto!” pensa, provando una rabbia così intensa da ribollirgli il sangue nella vene. Si volta verso Anthea i cui occhi sono così grandi da occuparle l’intero viso.
<< Ti voglio tanto bene, sorellina >> le sussurra mentre la porta si apre.
Sherlock si getta contro il padre. Lo trapassa, però, come fosse stato un fantasma e si ritrova in piedi nella cucina buia. Si guarda attorno rendendosi conto solo adesso di essere vestito dei soli boxer. Il freddo gli accappona la pelle e nuvolette bianche escono dalla sua bocca ad ogni respiro.
 
<< Vento dell’est la nebbia è là… >>
 
La voce di Moriarty rimbomba nella stanza come se nascesse direttamente dalle pareti.
 
<< Qualcosa di strano tra poco accadrà… >>
 
 Gli occhi di Sherlock si muovono ancora più veloci da una parte all’altra della stanza.
 
<< Troppo difficile capire cos’è… >>
 
Dall’ombra piano piano fa il suo ingresso in scena James. Il suo sorriso cinico e inquietante. Gli occhi vuoti che lo scrutano da capo a piedi, bramosi.
 
<< Ma penso che un ospite arrivi per me >>
 
Conclude voltandosi alla sua sinistra. Sherlock fa altrettanto e lo vede, fermo a pochi metri da lui. Mr Holmes impugna una pistola, la stessa con la quale Moran lo ha quasi ucciso.
<< Tu! >> dice a gran voce. << Tu! >> ripete, muovendo un passo verso di lui, immobilizzato dalla paura. << Tossico, pervertito. Tu! >> grida ancora più forte gelandogli il sangue nelle vene. << Tu e quell’altra non sareste mai dovuti nascere, mai! >> continua portandosi di fronte a lui. << Ma si fa sempre a tempo a rimediare >>.
Il proiettile viene esploso e il fragore gli riempie le orecchie. La pallottola perfora la sua carne cogliendolo di sorpresa. Il grido di Anthea lo accompagna nella sua lenta caduta. Tocca il suolo di schiena, lo sguardo rivolto verso l’alto e le orecchie piene delle grida della ragazza.
 
<< Tira vento e piove, Sherlock è scontento… >>
 
Canticchia Moriarty entrando nel suo campo visivo. Gli sorride e si siede sulla sua pancia. Posa le dita sulla ferita macchiandosi del suo sangue. Osserva la mano sporca, curioso e compiaciuto, e poi, strizzandogli l’occhio, ne lecca il palmo in modo malizioso.
Le grida di Anthea sono sempre più forti, unite alla risata sadica di suo padre e al rumore dei suoi pugni. Moriarty volge lo sguardo verso di loro. Sorride soddisfatto.
<< Questa devi proprio vederla! >> ridacchia. Gli posa la mano lorda di sangue sulla guancia e piega di lato la sua testa.
Immobile, bloccato dal peso del corpo del suo nemico, Sherlock non può evitare di guardare suo padre fare scempio di Anthea. La sovrasta come un orco, colpendo il suo corpo già provato con tutte le sue forze.
 
<< Sto ridendo e piangendo, Sherlock, sta morendo >>
 
Ricomincia a canticchiare James, le sue labbra vicinissime al suo orecchio. Si avvicinano alla sua guancia e la baciano sfiorandola appena.
<< No, non chiudere gli occhi. Guarda meglio >> gli dice leccandogli poi il viso.
Qualcosa è cambiato, in effetti. Non è più il corpo di Anthea quello che il padre sta massacrando. Non è lei che sta morendo. È un corpo più alto, con in dosso vestiti eleganti. Un colpo più forte degli altri porta la testa di questo corpo a voltarsi verso di lui.
<< No >> grida Sherlock scosso dal terrore.
<< E perché no, fratellino? >> domanda James disegnando linee e cerchi con la lingua sulla sua guancia. << Ciò che non serve più si butta via. Il tuo sacrificio, come puoi vedere, è stato del tutto inutile >> aggiunge ridendo di lui.
Gli occhi ormai spenti di Mycroft lo guardano senza vederlo. Suo padre continua ad accanirsi su di lui, a colpirlo, a fare scempio del suo corpo.
<< No! >> grida ancora più forte.
 
E gridando si sveglia, madido di sudore e con il cuore che batte all’impazzata nel petto.
<< Mycroft >> balbetta portando le mani alla testa. Le passa sul viso bollente e sudato. Le lascia scivolare sulle spalle fino a stringersi in un auto abbraccio.
<< Mycroft… no >> singhiozza, gli occhi ormai spenti di suo fratello ancora impressi nella mente. Sente partire un conato dalla bocca dello stomaco. Scende svelto dal letto e su gambe incerte e tremanti raggiunge il bagno a grandi passi. Cade ai piedi del water dove riversa quel poco che ha mangiato durante questa strana, lunga e tesa giornata.
Si sente vuoto e frastornato. Oggi ha dato fondo a tutte le sue energie per stare dietro al fiume di parole di Moriarty e mantenere in piedi il suo piano. James mescola discorsi logici e sensati a discorsi assurdi con una tale rapidità da confonderlo.
Non sa bene come sia accaduto, ma hanno trovato uno strano equilibrio. Una sorta di complicità folle quanto tutta questa situazione, nata sul terrazzo dinanzi alle cascate, la sera prima, e portata avanti in questa giornata. Gli scacchi sono stati lo strumento che li ha avvicinati. Il modo infantile di James di prendersela per una sconfitta o di esultare dinanzi ad una vittoria, la benzina che ha dato il via a tutto quanto. Ora, Sherlock si arrischia a pensare di aver capito come funziona il suo ‘fratellino’. Non vuole, però, commettere errori dovuti alla troppa sicurezza di sé. Come tutti i matti, Moriarty è imprevedibile e il suo piano è ancora appeso a un filo.
Eppure, ci sono dei momenti in cui prova una profonda tenerezza per lui. Quando butta lì, quasi per caso, accenni alla sua infanzia, alla solitudine che ha vissuto, al bullismo subito dai compagni di scuola, a quello portato avanti dalla sorella e dalla madre. Sherlock rivede in lui la sua stessa forza d’animo e quell’attitudine a non mollare mai, qualunque cosa accada. Lo riconosce persino più forte di sè, dal momento che, a differenza sua, non ha ceduto alle lusinghe della cocaina e di tutte le altre droghe. Non ha neppure mai fumato una sigaretta.
<< L’unica mia ossessione sei sempre stata tu, Sherlock >> gli ha confessato. È stato strano sentirsi paragonato a una droga. Sa bene cosa si prova. Se ne vuole sempre di più, non se ne può fare a meno, si farebbe qualsiasi cosa pur di averla.
“Lui, in effetti, ha fatto qualsiasi cosa pur di avere te” gli dice Mycroft e si trova d’accordo con lui. Moriarty è felice di averlo lì, finalmente tutto per sé. Una gioia a volte puramente infantile che manifesta con toni acuti della voce, mani incerte sul toccarlo o meno e occhi grandi, carichi di stupore.
Deve ammettere che una parte di sé ne è compiaciuta. Si sente quasi un piccolo dio al cospetto del suo più fedele adepto. Urla di terrore, però, l’altra parte di sé, quella più saggia, forse, che vede in questa ossessione l’orrore di una follia che può ritorcersi contro di lui. James lo vuole per sé, lo vuole con sé. Lo vuole in tutto e per tutto e ora che il medico lo ha staccato dalla flebo e gli ha tolto i punti potrebbe anche saltargli addosso.
Sherlock scuote il capo per scacciare questo orribile pensiero. Scivola a terra, sulle piastrelle fredde che lo fanno rabbrividire.
<< Non voglio che accada, no >> dice e gli occhi gli si riempiono nuovamente di pianto. Tremante e sconvolto si rannicchia sul fianco, le braccia a stringersi forte e le ginocchia al viso.
“Se non vuoi che accada alzati e datti una sistemata, fratellino”.
Apre gli occhi e si guarda attorno stupito. È solo, però, nel bagno asettico della stanza. La voce di Mycroft gli era sembrata così reale da immaginarlo lì.
“Io ci sono e ci sarò sempre per te, lo sai” gli dice ancora rimbombando nella sua testa. Un tono dolce che non gli ha mai sentito. Quel tono che avrebbe voluto sempre trovare al posto di quello acido e giudicante. “Rimettiti in piedi, Sherlock. Non crollare proprio ora che manca così poco. Dopo tutto quello che hai fatto, non avrebbe proprio senso”.
<< Sì, non avrebbe senso >> sorride. Passa la mano sul viso a cancellare le lacrime versate e lentamente si alza in piedi. Ha la testa pesante e le orecchie chiuse come fosse sott’acqua. Deve fare uno sforzo per rendersi conto di essere nella realtà e non nel proseguimento di un altro brutto sogno.
Questa strana sensazione che lo pervade potrebbe essere data non solo dalle troppe parole confusive di Moriarty, ma anche dall’aver dormito in pieno pomeriggio. Si è ritirato nella sua stanza con la scusa di voler riposare, ma intenzionato a comunicare con gli altri, e alla fine si è davvero addormentato, stordito come avesse assunto una droga pesante.
Deciso a svegliarsi del tutto, Sherlock si libera dei boxer ed entra nella doccia. L’acqua calda è così piacevole. La lascia scorrere sugli occhi stanchi, sulla fronte troppo a lungo corrugata. Lascia che gli accarezzi le spalle, contratte dalla tensione che da troppo tempo tende i suoi muscoli. La testa gli gira leggermente come reazione al rilassamento. Gli sembra trascorso un secolo dall’ultima doccia che si è concesso.
Passa la mano sul braccio destro. Questa mattina, finalmente, gli è stata tolta la cannula permettendogli di dire addio alla flebo. La vena all’altezza dell’incavo del braccio è diventata scura e un brutto livido dal foro di estende verso l’alto e il basso. Neppure nel periodo più brutto della sua vita da tossico si è ridotto le vene a quel modo.
<< La ferita è guarita. Ma sono lunghe simili cose. Non guarirà mai del tutto, no. Dovrà stare attento ai movimenti che fa, almeno per i prossimi sei mesi, ja >>.
In un inglese dal forte accento tedesco, il medico che lo ha liberato dalla flebo ha anche tolto i punti alla ferita, dandogli questa fastidiosa prognosi. Una ferita da arma da fuoco, dalla più blanda alla più pericolosa lascia segni indelebili che vanno al di là della cicatrice. Il corpo non sarà più quello di prima, perché è stato squarciato in modo innaturale.
Un sorriso, però, compare sulle sue labbra. Ha anche lui, adesso, la cicatrice lasciata da un colpo di pistola, proprio come il suo John.
“Ti prego, Sherlock!” esclama Mycroft nella sua testa. Gli sembra quasi di vederlo alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo contrariato. Anziché esserne infastidito, Sherlock, però, sorride.
Sospira riluttante all’idea di uscire dall’abbraccio caldo dell’acqua. Si avvolge svelto nell’accappatoio morbido intenzionato a non perdere neppure un istante di calore. Nonostante l’hotel superlusso nel quale si trova sia caldo e confortevole, da quando si è svegliato lì sente freddo. Un freddo che gli parte dalla pancia e si estende al resto del corpo.
Friziona i capelli con l’asciugamano lavato con un detersivo dal profumo troppo intenso e si porta davanti allo specchio. Lo asciuga della condensa che lo ha appannato, scosta i lembi dell’accappatoio e per la prima volta osserva quella cicatrice. Rossa, circolare, piccola se paragonata all’immenso dolore che gli ha causato e a tutti i fastidi ad essa correlati. La sfiora appena con le dita, timoroso che si riapra, per quanto assurdo sia.
Dal particolare della cicatrice estende il suo esame all’intero corpo. Lascia scivolare l’accappatoio, che si raccoglie ai suoi piedi, e quello che si ritrova davanti agli occhi è un corpo scheletrico. Le costole sporgono più del solito, così come le ossa del bacino. Braccia e gambe sono sottili, i muscoli privi di tono a causa della lunga e forzata degenza.
“Oddio” sospira. Ancora una volta pensa che neppure durante la tossicodipendenza era arrivato a ridursi così male. Inevitabilmente si chiede come possa presentarsi a John ridotto a quel modo.
“Non è questa la cosa importante adesso, Sherlock!” tuona Mycroft. È vero, ha ragione. Ciò che dovrebbe preoccuparlo della sua condizione fisica è la difficoltà del sostenere uno scontro o, più banalmente, darsi alla fuga. Il sesso è l’ultima cosa alla quale dovrebbe pensare.
“Eppure…” sospira chiudendo gli occhi dinanzi alla sua immagine riflessa. Quella prima notte trascorsa a ‘El lugar seguro’ in Spagna, John gli ha detto di trovarlo bellissimo. Già allora si è guardato a lungo allo specchio, stupito di quel complimento. Parole che, però, lo hanno portato a trovarsi in qualche modo d’accordo col suo dottore. Ora, non vede nulla di bello in lui. Persino gli occhi, da molti dichiarati particolari e affascinanti, non sono più gli stessi.
“Eppure dovresti esserti lasciato le crisi adolescenziali alle spalle da un pezzo, ormai, fratellino” lo canzona Mycroft.
Sherlock abbozza un sorriso pensando che, infondo, ha ragione. Le ricorda le giornate trascorse davanti allo specchio da ragazzino a cercare qualcosa che gli stesse bene, che non desse di lui l’idea di essere un attaccapanni con sopra degli abiti troppo grandi. Forse è per questo che ha ceduto così facilmente alle lusinghe di Victor. Anche dinanzi alle sue parole di adorazione era rimasto a lungo davanti allo specchio a guardarsi, cercando dove fosse tutta la bellezza che questi gli diceva vedere in lui. L’occhio gli è sempre è solo caduto sulla sua magrezza, sulle ossa visibili sotto la pelle troppo bianca.
<< Finirai col trovarti dall’altra parte dello specchio se continui a fissarti con così tanta insistenza >>.
Dopo il sogno che ha fatto avrebbe dovuto trasalire nel ritrovare il riflesso di Moriarty nello specchio. Invece, non prova nulla. Né timore, né pudore, dal momento che è nudo. Vede solo se stesso, troppo magro e troppo pallido. La presa di consapevolezza della sua condizione fisica deve averlo sconvolto per bene.
<< A quanto pare, concetti elementari come privacy e bussare alle porte chiuse prima di entrarvi non ti appartengono >> gli dice senza neppure rivolgergli lo sguardo.
<< Per quel che ne so non appartengono neanche a te >> ribatte James e Sherlock non può che sbuffare trovandosi d’accordo con lui. In questa lunga giornata fatta di discorsi e parole, molte volte si è trovato in accordo con i suoi pensieri e le sue idee.
<< E’ la prima volta che ho l’occasione di vedere questa cicatrice >> dice passandoci distrattamente le dita su.
<< Bisogna essere orgogliosi delle proprie cicatrici[2] >>.
<< Sarà, ma io di questa ne avrei fatto volentieri a meno >>.
<< Ti dona. È molto… sexy >> dice Jim inclinando la testa di lato. Sherlock non può fare a meno di ridere della sua battuta e del suo tono sensuale. Il diaframma gli duole ad ogni colpo di risa, come a sottolineare, se ancora non bastasse, che non si libererà mai delle conseguenze di quel piccolo foro.
<< Tu sei tutto matto! >> esclama tra le risate voltandosi verso di lui.
<< Tutti i migliori sono matti[3] >> ribatte Moriarty facendo spallucce.
<< Trovi davvero che sia sexy? Sono pelle e ossa, Jim. Non ho più un muscolo tonico, sono l’antitesi del sexy! >> sbraita indignato.
<< Punti di vista >> minimizza il Napoleone del crimine, fasciato dal suo impeccabile doppiopetto grigio. L’unica nota stonata è il suo girare scalzo.
<< Non posso credere che tu non ti piaccia >> ridacchia James .
<< Non ho detto di non piacermi, ho solo constatato l’ovvio: sono magro da fare schifo! Molto più magro di quanto non lo sia stato in vita mia. Non ho più tono muscolare e dio solo sa quando potrò rimettermi in forze, dato che non riesco a fare un minimo sforzo senza rischiare di morire di fatica >>.
<< Ok ok, abbiamo un consulente investigativo in crisi: aiuuuutooooo! >> esclama Jim portando le mani al viso. << Penso di avere quel che ci vuole per tirarti su di morale >> continua strizzandogli l’occhio. Gli tende la mano e Sherlock la accetta. Ora che muove qualche passo, si rende conto di avere le gambe molli e la testa pesante. Da che è stato colpito da Moran ha mangiato pochissimo, alimentato quasi esclusivamente dalla flebo. Il poco cibo che ha introdotto oggi lo ha vomitato prima della doccia e la debolezza che lo domina non gli piace per nulla. Lo porta a commettere errori grossolani.
“Come, ad esempio, illustrargli con dovizia di particolari quanto fragile e indifeso tu sia in questo momento” lo rimprovera Mycroft. “Non puoi permetterti di avere simili cadute di consapevolezza, Sherlock. James sembra non vedere l’ora di saltarti addosso”.
Suo fratello ha indubbiamente ragione, eppure le sue parole lo infastidiscono. Non lo stesso fastidio che è sempre stato solito provare dinanzi ai suoi richiami, però. È una voce diversa quella che sente borbottare.
 
“Sarebbe poi davvero una cosa tanto brutta?”.
 
Queste parole lo colgono di sorpresa. I visceri si accartocciano al suono di questa voce che sembra provenire da una caverna, ma, allo stesso tempo, da l’idea di essere calda, invitante.
<< Ta daaan! >> esclama Moriarty facendolo trasalire. Gli indica con entrambe le mani un vestito nuovo talmente in linea col suo stile da sembrare preso direttamente dal suo armadio. << Con questo addosso ti passeranno tutte le paranoie >> gli dice sorridendo allegro e gioioso come un bambino.
 
“Lui ti darebbe tutto ciò che vuoi.
Ti tratterebbe come un re.
Non dovresti più preoccuparmi di nulla” .
 
La voce ipnotica gli riempie la testa aumentando quella sensazione di essere sott’acqua. Ha l’impressione che i gesti che sta portando avanti non partano da lui. Come se si fosse sdoppiato, si vede prendere tra le mani il completo che James gli sta porgendo e indossarlo un capo dopo l’altro. Deve ammettere che si sente meglio quando chiude il bottone della giacca.
<< Che ne pensi? >> gli chiede Moriarty. La sua voce gli giunge lontana. Lo invita a piazzarsi davanti allo specchio e Sherlock ci va un piccolo passo per volta, spaventato all’idea di cadere. Il pavimento ai suoi piedi sembra allontanarsi da lui, dandogli le vertigini. Chiude gli occhi e morde forte la lingua per tornare in sè. Quando riapre gli occhi vede se stesso con indosso questo abito elegante e fatto su misura che lo avvolge rendendogli giustizia.
<< Quando mi hai preso le misure? >> gli chiede confuso, guardandolo dal riflesso nello specchio.
<< Non mi serve prenderle. Mi basta guardarti >> risponde strizzandogli l’occhio. Il suo sguardo lo percorre da capo a piedi, colmo di desiderio e della gioia di vederlo vestire gli abiti che gli ha regalato. 
 
“Devi solo dargli ciò che vuole”.
 
Sherlock sa bene cosa vuole Moriarty da lui. Lo ha capito fin dall’inizio, ma poi si è lasciato abbindolare dalla storia del divenire soci, dell’essere fratelli. Entrambe le situazioni, per uno come James, non precludono la possibilità di divenire intimi. Molto intimi.
Benchè i visceri gli si contorcano alla sola idea, si rende conto di stare sorridendogli di rimando. Sente ancora di essere come sdoppiato. Una parte di sé scappa inorridita, mentre l’altra sorride accogliendo le avance del suo nemico. Questi gli si avvicina, incoraggiato dal suo sorriso, e, come la sera prima sulla terrazza, lo cinge con le braccia. Questa volta la sua stretta scende ai fianchi, forte, possessiva.
<< Ora concordi con me nel dire che sei sexy? >> sussurra, le labbra vicinissime al suo orecchio.
 
 “Cosa ci sarebbe di male, infondo? È solo sesso”.
 
Non gli piacciono le sue mani addosso. Non gli piace il suo respiro sul collo, le sue parole sussurrate, il suo torace troppo vicino alla sua schiena. Volta la testa verso di lui, intenzionato ad allontanarlo e, invece, nuovamente gli sorride.
 
“In cambio avresti tutto ciò che hai sempre voluto”.
 
 La mano sinistra di Moriarty sale lenta percorrendogli la schiena fino ad affondare le dita nei suoi ricci neri ancora umidi.
 
“Considerazione.
Prestigio.
Devozione.
Potere”.
 
Un brivido per nulla piacevole percorre Sherlock, ma anziché gridargli di lasciarlo in pace è una risatina stupida quella che gli sfugge dalle labbra.
<< Se pensi di aver bisogno di tagliare i capelli… >> dice pettinandolo con le dita.
<< Dici che dovrei? >> gli chiede in un tono così simile alla voce che gli risuona nella testa. Troppo seducente. Troppo ambigua. Moriarty si scosta appena da lui e lo osserva attento, la mano al mento e il sopracciglio inarcato.
<< No, direi che stai benissimo così. Selvaggio e irrequieto >> dice scompigliandogli i capelli. Sherlock non capisce cosa gli stia succedendo. Deve essere ancora preda di quel brutto sogno. Forse non si è mai neppure svegliato.
Ride nervoso di sé stesso, del modo di fare di Moriarty e del tono solenne che usa. Questi prende la sua reazione come un incoraggiamento e lo stringe di più a sé. Sente la sua eccitazione premere contro il bacino. Il suo respiro farsi accelerato e le mani muoversi su di lui. Una verso il basso, l’altra verso l’alto, bramose e insistenti.
Il cellulare di James squilla. Le note di ‘Stayin’ alive’ li sorprende entrambi immobili, il cuore in gola l’uno e il fastidio di essere stato interrotto l’altro.
<< Scusami… devo rispondere >> gli dice allontanandosi da lui.
<< Certo >> borbotta.
Le braccia di Moriarty lo lasciano e Sherlock si sente cadere. James non si accorge del modo sgraziato col quale si è addossato allo specchio. Non vede il tremore che lo pervade dalla testa a i piedi all’idea di essere scampato per un soffio a qualcosa di terribile.
“Cosa diavolo mi è preso!” pensa spaventato. Non può essere solo un effetto della prolungata alimentazione endovenosa, né uno sbalzo di pressione per il ritrovarsi in piedi dopo un lungo periodo trascorso sdraiato. Quella voce. Cosa diavolo era quella voce nella sua testa, quel serpente ammaliatore?
“E’ lui?” si chiede. “E’ l’effetto venefico della sua presenza?”.
<< No >> sussurra scuotendo il capo. Lo vede di spalle, ascoltare attento quanto gli stanno comunicando per telefono. Risponde un semplice ‘ok’ prima di chiudere la conversazione e riporre il telefono in tasca.
<< Mycroft è arrivato con tutto il suo seguito >> lo informa. Non vi è più l’ombra di un sorriso sul suo viso serio e teso.
<< Mycroft… è qui? >> sussurra.
 
“Myc, aiutaci. Aiutaci ti prego!”
 
La sua stessa voce disperata in quell’orribile incubo gli rimbomba nella testa, facendola dolere. Quanta speranza ha riposto in suo fratello? Quanto bisogno ha di lui, sempre?
Moriarty lo osserva severo. Quegli occhi vuoti sempre pronti a metterlo alla prova, a scegliere del suo bene e del suo male, della sua vita e della sua morte.
 
<< Tossico, pervertito. Tu! >>.
 
La voce furiosa di suo padre gli torna alla mente e all’improvviso il significato di quell’incubo gli è chiaro. Sorride e scuote il capo dinanzi alla semplicità dell’incomprensibile inconscio umano.
<< Cosa vuoi che faccia? >> chiede a James. Questi stringe le palpebre, sorpreso del cambiamento avvenuto in lui, che deve essere così visibile. Poi risponde al suo sorriso, rasserenato da questa resa incondizionata.
<< Nulla >> dice facendo spallucce. << Lui e i suoi alloggeranno nell’ala ovest di questo hotel, quindi dall’esatta parte opposta rispetto a noi. Come ti dicevo, non sarà necessario per noi presenziare al vertice. Quel che deve essere fatto sarà fatto e quando accadrà noi, fratello mio, brinderemo >>.
<< Brinderemo >> ripete. La prospettiva di brindare dinanzi alla disfatta della civiltà occidentale e alla morte di numerosi individui gli da i brividi. La testa gli gira e si trova costretto ad appoggiarsi al muro.
<< Ehi, che ti prende? >> gli chiede James facendosi vicino senza, però, avere il coraggio di toccarlo, adesso.
<< Un calo di zuccheri >> lo informa, sentendo la nausea salire prepotente.
<< Oh… ok >> borbotta passando la mano tra i capelli impomatati. << Direi che è meglio andare a cena, quindi >> propone porgendogli la mano.
Sherlock non è sicuro possa essere in grado di sorreggerlo in caso dovesse svenire per davvero. Introdurre del cibo, però, è una buona idea. Si lascia accompagnare, quindi, in quella che è la sala da pranzo a loro riservata. Un solo tavolo apparecchiato, musica classica di sottofondo e le cascate al di là della grande vetrata.
Benchè la prima portata sia allettante a Sherlock si è chiuso lo stomaco. Pilucca appena, ben consapevole di quanto faccia meglio a mangiare se vuole rimettersi in forze. Sa cosa accadrà domani. Renè, mutato in uno degli ambasciatori dei ministri presenti, ucciderà un uomo. Quale sia quest’uomo e i connotati di chi abbia assunto l’anarchico ancora non lo sa. Benchè il sogno che ha fatto gli abbia chiarito i dubbi che aveva sul piano di Moriarty, Sherlock vuole comunque tentare la sorte e porgli la domanda fatidica.
<< Jim… cosa conti di fare con Mycroft? >>.
<< Quello che si fa con ciò che non serve più >> risponde mandando giù il boccone.
Mille spilli pungono contemporaneamente il corpo di Sherlock. Le stesse parole del suo incubo. Certo, è un’ulteriore conferma dell’interpretazione che ne ha dato, ma ciò non toglie il fatto che sia una risposta terribile.
<< Non ti serve più? >>.
<< E’ un peso, ormai. >> fa spallucce.
<< Pensavo che fosse una comoda copertura e che, anzi, usarlo fosse anche un modo per punirlo e umiliarlo >>.
<< Sì, è vero. Ma penso che tagliare i rami vecchi sia la soluzione migliore. Abbiamo bisogno di spazio io e te >>.
<< Prenderemo il suo posto? >>.
<< Oh, no >> ride di lui. << Tu prenderai il suo posto. Io gioco nell’ombra, lo sai >> gli strizza l’occhio.
<< Ah >> dice. Non aveva pensato a quella possibilità. << Come conti di farmi resuscitare? >>.
<< Raccontando la mirabolante spystory di come hai dovuto fingere la tua morte per indagare sull’attentato al vertice di pace >>.
<< Nel quale fallirò miseramente >>.
<< No >> ride ancora più forte. << Tu non fallirai. Le tue indagini hanno portato alla luce il vero mandante dell’attentato e colui che ha, quindi, causato lo scoppio della guerra. Mandante che è stato prontamente eliminato insieme alla sua cerchia di collaboratori. Ti daranno una medaglia, forse, non solo per aver risolto il caso, ma anche per aver avuto il grande coraggio di mettere ‘l’amore fraterno’ da parte per il benessere della nazione >>.
Eccola lì la conferma chiara è lampante all’interpretazione del suo sogno.  
<< No, non chiudere gli occhi. Guarda meglio >> gli aveva detto canticchiando la canzone che tanto piaceva a Jane, quella che avverte dell’arrivo di qualcosa di strano.
“Ho gli occhi aperti, adesso e non intendo più chiuderli!” pensa annuendo al suo ragionamento.
<< Il nome di Mycroft Holmes sarà oggetto di infamia e disonore >>.
<< Proprio così >> applaude Moriarty. << Quel che non ha potuto pagare con la vita tuo padre, che lo sconti il suo erede >> ringhia battendo le mani sul tavolo. << Per aver ucciso mio padre, per aver ucciso Jane, per avermi costretto a crescere con quelle due arpie e per aver tentato di uccidere anche te. La nostra vendetta si compirà domani e insieme a lei la nostra ascesa al potere, fratello mio >> dice levando il bicchiere. << Brindiamo a noi! >>.
<< A noi! >> lo imita Sherlock. Prende un sorso del vino che gli ha versato nel bicchiere, giusto per portare avanti quella pantomima. E’ talmente nauseato, però, dai suoi discorsi, che la testa prende a girargli, rischiando di fargli rigettare quel poco che ha appena mangiato.
 
“Considerazione.
Prestigio.
Devozione.
Potere”.
 
Nuovamente quella voce d’oltretomba gli rimbomba nella testa. La sensazione di essere sott’acqua, che si era solo affievolita, ricompare.
<< Ehi, cosa c’è? >> gli chiede James e il suo tono caldo e ammaliatore ben poco gli piace. Le mani piccole e umide di lui volano ad afferrare la sua. << Devi rimetterti in forze in vista del tuo debutto nella società che conta >> dice posando un bacio sul dorso della mano. Le sue labbra scivolano lente a sfiorare la sua pelle rimandandogli la sensazione di disagio e disgusto già provata nel sogno.
 
 “Cosa ci sarebbe di male, infondo? È solo sesso”.
 
<< No! >> esclama sottraendo la mano alle sue attenzioni. Jim lo guarda stupito sbattendo più volte le palpebre. Un sorriso poi compare sul suo viso.
<< Perché siamo fratelli? >> gli chiede sghignazzando.
<< Non è solo per questo, anche se già sola questa cosa dovrebbe bastare. E’ che, sessualmente parlando, tu  non mi interessi >>.
James ride come se gli avesse raccontato la più comica delle barzellette. Si alza in piedi e si porta alle sue spalle.
<< Col tempo cambierai idea >> dice posandogli le mani alla base del collo. << Mamma mia, quanto siamo tesi >> dice iniziando a fargli un leggero massaggio.
<< In base all’accordo che abbiamo stipulato saremo soci, non amanti >> tenta di farlo ragionare, sentendo il corpo tendersi anziché sciogliersi al suo tocco. 
<< Hai davvero tanta paura di me >> ride. << Guarda che non ho mai ucciso nessuno. A meno che non si parli della petit mort[4]. Sì, ammetto che ho mietuto parecchie vittime in quel senso >> sussurra al suo orecchio facendolo rabbrividire. << Prima in camera, mi sembrava non ti dispiacessero le mie attenzioni. Sono sicuro che anche tu ti senta attratto da me, solo sei troppo orgoglioso per ammetterlo >> dice cercando con le sue labbra quelle di lui.
<< No! >> esclama Sherlock. Con un moto di forza che non credeva neppure di avere si alza in piedi e si allontana da lui. Cammina all’indietro fino a ritrovarsi con le spalle contro la veranda che da sulla terrazza.
<< E per quel John Watson, non è così? E’ per lui che mi rifiuti! >> gli chiede severo. Il volto scuro e serio e una nota bassa, vibrante, nella voce, come l’eco di un vulcano pronto ad eruttare.
<< No, James, non c’entra nulla! Ti rifiuto per prima cosa perché non sei il mio tipo e poi perché sei mio fratello. John non c’entra nulla con noi due >>.
<< Non c’entra, dici? >> ridacchia senza alcuna allegria. << Tu sei innamorato di lui >>.
<< Sì, è vero e questo lo sapevi. I miei sentimenti non sono cambiati, anche se ho scelto te. John è fuori dai giochi, non prenderlo in considerazione >>.
<< Non prenderlo in considerazione, mi chiedi? Oh, oh mio piccolo Holmes >> ride andandogli incontro con passo lento e pesante. << Quando due corpi si scontrano ci sono traumi di natura… collaterale >>.
Posa le mani sui suoi fianchi e lo spinge contro la veranda. Il vetro freddo accappona la pelle di Sherlock che si sente in trappola.
<< Abbiamo stretto un patto, non puoi venire meno alla parola data! Ti odierei se gli facessi del male, James. Non avresti nulla da me. Porrei fine alla mia vita, lo sai >> tenta il tutto per tutto. La testa gli gira e morde la lingua per non svenire. Sarebbe davvero il momento meno opportuno questo, anche se James sembra averci ripensato. Lo guarda a lungo, il sopracciglio arcuato dà l’idea stia valutando quanto gli ha detto. Sbuffa, poi, e scuote il capo avvilito.
<< Lo so >> dice mettendo su la sua espressione da cucciolo abbandonato. Sorride poi e si porta a un palmo dal suo naso. << Posso sempre prenderti con la forza >> dice tentando di fare sue le labbra di lui.
<< Avresti solo un corpo senz’anima e tu non sapresti che fartene >> si affretta a ribattere Sherlock, il cuore che martella forte nel petto << Ti piace essere elogiato, adorato, desiderato e di tutto questo da me non avresti nulla. Tanto varrebbe fartela con una bambola di gomma >> dice sperando di convincerlo.
<< Mi va bene lo stesso >> insiste lui ridacchiando.
<< Bene, allora: accomodati >>.
Sherlock apre le braccia a sottolineare l’invito appena posto. Moriarty ride soddisfatto e attenta nuovamente alle sue labbra. Il consulente, però, si gira dall’altra parte presentandogli lo zigomo sinistro e fissa un punto imprecisato sul pavimento. James afferra il suo viso e lo riporta verso di sé, ma lo sguardo resta lontano.
<< Guardami! >> grida, ma lui non gli da retta. << Ti ho detto guardami! >> insiste colpendolo con uno schiaffo. Sherlock accusa il colpo, ma resta del tutto passivo.
Il volto di Moriarty si accartoccia come una spugna strizzata da una mano troppo forte. Si allontana da lui gridando come un matto. Afferra la bottiglia di vino e gliela tira contro mancandolo per un soffio. La bottiglia sfonda la finestra alle sue spalle. Una pioggia di vetro lo investe e il vento gelido e umido del fragore delle cascate lo avvolge.
L’eco del passo furioso di James si propaga per la stanza. Lo sente farsi sempre più flebile man mano che si allontana e solo quando non lo avverte più, Sherlock respira. L’aria gelida gli brucia i polmoni facendolo tossire.
 
“Cosa ne ricavi a resistergli?
Solo il pericolo che diventi violento
e che ti uccida in preda alla frustrazione
 dei tuoi continui rifiuti”.
 
Porta le mani alla testa, furioso con quella voce salita su dal nulla, che si ostina a dargli quei dannati consigli di resa.
<< Chi sei, maledetta? Si può sapere chi sei? >> ringhia colpendosi la testa con i pugni.
La cicatrice manda una sferzata di dolore tanto profondo da lasciarlo senza fiato.
“Adesso basta, Sherlock. Torna nella tua stanza e barricati dentro. Cerca di dormire, fratellino. Domani sarà una lunga giornata. L’ultima lunga giornata”.
<< Sì >> sussurra portando la mano alla cicatrice. Da qualche parte nell’ala ovest di questo stesso hotel Mycroft, Fox e il suo John si preparano a loro volta a distruggere i piani di Moriarty. Lo rincuora saperli vicini e allo stesso tempo gli da il tormento non poter andare da loro, andare da John, trovare rifugio tra le sue braccia.
“Devo restare vivo. Voglio restare vivo. Io non voglio morire”.
 

 
 

[1] Stayin’ alive -  Bee Gees
 
[2] Paulo coelho
[3] Fatevi del bene, leggete ‘Alice attraverso lo specchio’ di Lewis Carroll.
[4] Orgasmo in francese
[5] Dovremmo scambiarci i nomi di battagli, amico mio. A volte mi sembri così ingenuo, come se davvero cadessi dalle stelle dinanzi a cose ovvie e banali. Devi farti furbo, come la volpe che dici di essere, altrimenti non sopravvivrai un giorno là fuori.
[6] Citazione da ‘Walk on the wilde side’ di Lou Reed… Ok la canzone parla di transessualità, ma Moran è disgustata talmente tanto da tutto ciò che va fuori dalla sua ‘morale’ che per lei non fa alcuna differenza si parli di trans o gay.
[7] Citazione da ‘La soluzione sette per cento’ di Nicholas Meyer
   
 
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