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Autore: lady lina 77    04/11/2018    4 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Con l'arrivo del nuovo anno, Demelza e Margarita avevano inziato a frequentare il circolo di tiro con l'arco dove si allenava Edward, il ragazzo che piaceva alla giovane.

Non ci era voluto molto tempo per capire però che nelle vene delle due non scorreva il sangue di Robin Hood e dopo poche settimane di corso Margarita aveva già sulla coscienza due piccioni e molti alberi del parco che ospitava il circolo portavano impietosamente il segno, sulla loro corteccia, dei tiri sbagliati da Demelza.

In tutto questo gli istruttori erano disperati, Hugh si divertiva come un matto e rideva come non mai quando assisteva alle loro lezioni ed Edward si vedeva raramente e quando accadeva e notava la presenza di Margarita, scappava dall'altra parte del parco per la timidezza e i due finivano col non rivolgersi mai la parola.

Fu un periodo, quello, che Demelza avrebbe sempre ricordato come il più sereno e spensierato della sua vita. Hugh stava bene e si divertivano insieme, tanto da farsi venire il singhiozzo dal ridere tutti e tre per la mancanza di talento e mira delle ragazze. Dopo la lezione, Margarita tornava a casa col suo cocchiere Demelza e Hugh rimanevano soli, prendendosi quella mezza giornata solo per loro. Passavano la serata in una deliziosa pensione del centro dove cenavano insieme e si amavano nelle piccole e graziose stanze la primo piano. Era la loro serata, quella, dove Demelza lasciava i bimbi alle cure di Prudie e si prendeva delle ore esclusivamente per se stessa.

Era una strana euforia, un vivere leggera che mai le era appartenuto e che la faceva star bene e non pensare ai suoi problemi. Hugh sembrava in forze, i bimbi lo adoravano e la sua vita a Londra stava acquisendo riti, abitudini e consuetudini che le facevano sentire un pò più sua quella città che all'inizio l'aveva terrorizzata tanto e che ora invece, pian piano, stava diventando la sua casa.

Jeremy e Hugh avevano inziato anche la costruzione della casetta sull'albero nel parco della reggia dei Boscawen. Non aveva idea di cosa stessero facendo, i due mantenevano il più assoluto riserbo sulla loro opera edile ma il fatto che Hugh avesse le mani sempre piene di graffi e garze e Jeremy tornasse a casa pieno di trucioli e polvere, le facevano ritenere che la cosa dovesse essere più impegnativa di quanto preventivato. Jeremy aveva cinque anni e mezzo, Hugh era un poeta che nulla sapeva del lavoro manuale e l'unica cosa che la tranquillizzava era che il giovane si stava facendo aiutare anche dal giardiniere-capo della sua magione.

Ad inizio marzo, il giorno in cui Margarita trafisse il suo terzo piccione, finalmente Demelza riuscì a centrare la parte esterna del bersaglio per la prima volta, con grande sollievo degli alberi del parco che ospitava il tiro con l'arco, e a metà mese Hugh le propose a sorpresa, coi bambini, un viaggio in Scozia. Durante i lavori per la casetta sull'albero, aveva raccontato al bimbo storie di cavalieri, castelli e draghi di quella terra lontana e piena di leggende e ora aveva desiderio di mostrargliela di persona e di fare tutti e quattro una vacanza insieme.

Spinta da Dwight e Caroline ma ancora un pò titubante, alla fine aveva ceduto a quella prima vacanza della sua vita ed erano partiti con una sontuosa carrozza.

Rimasero in Scozia per tutta la fine di marzo e l'intero mese di aprile e Hugh, che già era stato in quelle terre da bambino, aveva mostrato a Jeremy antichi castelli abbandonati, foreste rigogliose e piene – a suo dire – di spiriti magici, laghi plumbei e pieni di mistero e infiniti prati di un verde acceso. Il ragazzo aveva fatto confezionare, per i bimbi, abiti da piccoli cavalieri e principesse e i due fratellini avevano corso per i corridoi di antichi e gloriosi castelli dal passato leggendario vestiti come mini condottieri o donzelle cantate nelle ballate dei menestrelli secoli prima. Fu qualcosa di grandioso per Jeremy e Clowance, qualcosa che avrebbero ricordato sempre per il resto della loro vita.

Era stato un viaggio meraviglioso. I bimbi avevano vissuto una fiaba e un'esperienza emozionante, resa ancora più magica dai racconti di Hugh, e lei, che non aveva mai visto nulla del mondo, si era sentita principessa di una fiaba vera, amata dal suo principe azzurro e spinta verso nuove avventure senza paura dell'ignoto e dei pericoli.

Si erano amati con passione nelle varie locande in cui avevano soggiornato durante il loro cammino e Hugh era rifiorito e mai aveva accusato malesseri mentre erano in viaggio, eventualità che l'aveva molto preoccupata alla partenza.

Erano tornati a Londra a inizio maggio, uniti più che mai da quell'esperienza vissuta insieme e Hugh aveva organizzato una festa anticipata per il sesto compleanno per Jeremy nel parco del suo palazzo, invitando i bimbi degli amici di famiglia dei Boscawen. Demelza avrebbe preferito una festa in piccolo e amichetti non così altolocati per suo figlio ma Hugh aveva insistito, Jeremy pure e lei aveva ceduto per l'ennesima volta.

Con la scusa della festa di compleanno, fu inaugurata la casetta sull'albero di Jeremy, graziosa, tutta in legno, che poteva ospitare fino a sei bambini al suo interno e altrettanti sulla piccola terrazza che la circondava e che era costata graffi e tagli ai suoi due improvvisati costruttori che però alla fine avevano vinto la loro sfida.

I suoi figli e i bimbi che Hugh aveva invitato si divertirono come matti a salirci e quel giorno Jeremy fece amicizia con Gustav, un bimbetto biondo suo coetaneo, figlio di un duca che però aveva modi impacciati e dolci come Margarita e nulla aveva dell'altezzosità dei nobili. I bimbi decisero che sarebbero stati il migliore amico l'uno dell'altro e da quel giorno, ai giardini di Kensington che si trovavano dietro la casa dei Boscawen e che erano frequentati dai pargoli dell'alta società londinese, giocarono sempre insieme. Divennero inseparabili, dando vita a una amicizia che sarebbe durata negli anni e che a Demelza ricordava quella che aveva unito Dwight e Ross, un tempo.

Fu dopo la festa di compleanno che Demelza iniziò a stare poco bene. Continui giramenti di testa e nausea l'avevano costretta a letto alcuni giorni e Dwight, sulle prime, aveva dato la colpa a una intossicazione alimentare. Le aveva prescritto riposo ma Demelza non era persona da stare ferma e immobile a letto troppo a lungo e, anche per sopire le preoccupazioni di Hugh sulla sua salute, dopo cinque giorni di inattività aveva accettato di fare un giro con lui a una fiera vicino ad Hyde Park.

Non era un giorno particolarmente caldo, la notte aveva piovuto incessantemente e l'aria era talmente carica di umidità che la nausea le tornò quasi subito anche se non disse nulla, limitandosi a prendere a braccetto Hugh per non cadere a terra a causa dei capogiri.

Fecero una passeggiata per Hyde Park, molto più grande dei giardini di Kensington dove giocavano i suoi figli e frequentato da una varietà più eterogenea di persone e a un tratto la sua attenzione fu catturata da un prete attorniato da bambini poverissimi, scalzi e vestiti di stracci a cui l'uomo distribuiva del pane. Demelza osservò quei bambini tanto simili a lei da piccola e così pericolosamente vicini a ciò che avrebbero potuto essere i suoi figli se non fosse stato per Dwight e Caroline e a quei pensieri, la nausea si accentuò. Vedere bimbi denutriti che vivevano di nulla faceva sempre male e la riportava alla vita in Cornovaglia, ai minatori, alla Wheal Grace e alle lotte di Ross per migliorare la vita di quelle povere persone come stava facendo, a modo suo, anche quel prete di Hyde Park. "Hugh, la gente come tuo zio e tua madre, non fa nulla per aiutare i poveri di questa città?".

Lui ci pensò su. "Beh, in teoria le sedute in Parlamento dovrebbero servire proprio a questo, a rendere l'Inghilterra un posto migliore".

Demelza storse il naso, era evidente che Hugh non avesse ben chiara la situazione e che il suo disamore per istituzioni e politica lo portasse a non conoscere o a ignorare i giochi di potere dei più forti e la disperazione dei più deboli. "Certo, in teoria... Ma in pratica in Parlamento si fanno leggi per arricchire ancora di più chi è già ricco".

Hugh abbassò il capo. "E' uno dei motivi per cui ho sempre trovato odioso partecipare alla politica con mio zio e sono fuggito".

"Ma... Fuggire e fingere di non vedere da parte di chi ha potere per cambiare le cose, non è sbagliato?".

Lui le accarezzò i capelli, baciandola sulla fronte. "Sì, credo che lo sia ma io mi conosco e so che in quell'ambiente non combinerei nulla di buono".

Demelza abbassò il capo. "Vorrei poter aiutare, in qualche modo... Cosa potremmo fare noi, nel nostro piccolo? Vedi, io avrei potuto essere la madre di uno di quei bambini affamati, bisognosa di tutto... Vorrei poter dare una mano a chi non ha avuto la mia fortuna! C'è un centro per i poveri dove poter offrire un aiuto?".

Hugh divenne stranamente serio e il suo volto si indurì. "Esiste ma non è posto per te, è pericoloso e vorrei ci stessi lontana. Parlerò con mia madre, magari lei può aiutarti a fare qualcosa, se ti fa piacere".

"Tua madre?".

Lui le strizzò l'occhio. "Adora fare cose tipo aste di beneficenza e raccolte fondi. Magari potreste organizzare qualcosa insieme".

Lei sospirò, arresa al fatto che da sola non avrebbe potuto fare di più e quella suggerita da Hugh era forse la soluzione migliore e più fattibile. La nausea era ancora più forte e la fiera lontana e di colpo provò la voglia di sedersi. Era senza forze... "Hugh, ci fermiamo un pò?" – propose, indicando una panca in legno.

Lui la studiò in viso. "Sei pallida! Stai ancora male?".

Demelza fece per rispondere quando fu interrotta da un uomo che, con un sorriso smagliante, si avvicinò loro. Era alto, elegante, dal fisico asciutto e atletico, coi capelli castani leggermente mossi, il viso squadrato e due occhi color ghiaccio.

"Hugh Armitage, quanto tempo è che non ci vediamo?".

Hugh stranamente perse il sorriso e si irrigidì e, conoscendolo, da quella reazione Demelza si accorse che il nuovo arrivato non gli doveva piacere molto.

"Monk Adderley, non immaginavo di trovarvi ad Hyde Park! Di solito sono i giardini di Vauxall quelli che frequentate" – disse Hugh, in tono di voce cordiale ma nervoso.

L'uomo, che anche a Demelza dava una sensazione sgradevole, sorrise sornione. "Volevo vedere un pò di marmaglia" – disse, indicando il prete coi bambini – "Mi giudicano tutti farfallone e amante del piacere e quindi ho deciso che un'ora del mio tempo la posso passare fra il popolino per arricchire il mio spirito viziato e vizioso. In fondo i giardini di Vauxall diventano interessanti di sera, non a quest'ora del pomeriggio...". Poi osservò Demelza, esibendosi in un sorriso suadente a trentadue denti. "Mia lady, è un vero piacere fare la vostra conoscenza" – sussurrò, inchinandosi e baciandole la mano. "Si sussurrava in giro che questo straniero di Hugh Armitage, sempre in fuga dai doveri di famiglia, fosse accompagnato da una donna bellissima dai capelli rossi ma i racconti su di voi non vi rendono onore...".

Demelza arrossì ma non perché quel complimento le fece piacere. C'era qualcosa di subdolo e viscido in quel Monk Adderley e fra lui e la nausea, sentiva che presto sarebbe stata malissimo. "Grazie signore" – si costrinse a rispondere in tono forzatamente gentile, desiderosa che se ne andasse, smettendo di mangiarla con quegli occhi lussuriosi e sgradevoli.

Lui sorrise di nuovo, alzò il cilindro in segno di saluto a Hugh e poi se ne andò per la sua strada. "Spero di vedervi presto, madame..." - sussurrò ancora, leccandosi le labbra in un gesto che a Demelza fece aumentare la nausea.

"Odioso!" - sbottò Hugh, appena furono soli.

Demelza si accasciò sulla panca, esausta. "Chi è quell'uomo?".

Hugh si mise accanto a lei, cingendole le spalle col braccio e attirandola a se. "Uno dei motivi per cui odio il Parlamento! Si chiama Monk Adderley, è un nobile molto potente quì a Londra ed è un parlamentare anche se, di fatto, non presenzia quasi mai alle sedute di Westminster. E' pericoloso, uno da trattare con riguardo ma da tenere lontano, ama il gioco d'azzardo, ha un'infinità di amanti e adora i duelli. Si dice che abbia già molti uomini sulla coscienza. Mio zio lo detesta e mi ha detto di stare sempre attento quando lui è nei paraggi. Ma per fortuna frequentiamo posti diversi".

"Ohh...". Demelza si appoggiò allo schienale della panca, tenendosi lo stomaco. "Un personaggio pessimo...".

"Già".

Lei chiuse gli occhi, la nausea sempre più opprimente e le vertigini sempre più forti. Non ce la faceva più... "Sto male..." - riuscì solo a dire. Prima di cadere svenuta fra le braccia del poeta.


...


Quando riaprì gli occhi era nel suo letto e aveva accanto Dwight e Hugh, mortalmente preoccupati. Santo cielo, cos'era successo? Quanto era rimasta priva di sensi? Non era mai svenuta prima d'ora e si sentiva debole e senza forze, spaventata e indifesa...

"Piccola fata, bentornata fra noi..." - susurrò Hugh, baciandole la mano.

Dwight, silenzioso, le accarezzò i capelli sulla fronte. "Come va? Hugh ti ha portata quì svenuta e ci hai fatto spaventare. Per fortuna i bambini, con Caroline e Prudie, sono fuori e non ti hanno vista in questo stato ma... Santo cielo, eri bianca come un cadavere e Hugh pure, dallo spavento che si è preso! Non farlo mai più, non uscire di casa se non ti senti in forma".

Troppe parole, le scoppiava la testa e lo stomaco le si contorceva in corpo. "Dwight, cosa mi è successo?".

Hugh la baciò sulla nuca, aiutandola poi a sedersi e a poggiarsi contro il cuscino. "Sei stata davvero male ma Dwight ti ha visitata e ora ti farà stare meglio. Non è nulla di grave, ne sono sicuro".

Demelza osservò Dwight, mortalmente serio e pensieroso, e poi Hugh a cui il suo amico non doveva ancora aver detto niente dopo la visita. "Dwight, ho due figli, dimmi che non è niente di grave" – lo implorò.

Il medico consigliò a Hugh di mettersi seduto accanto a lei e appena il poeta ebbe ubbidito, sospirò. "La Scozia, nei mesi scorsi, deve aver rigenerato mente e cuore di entrambi. E quando il cuore e la mente stanno bene, sta bene anche il fisico che diventa più forte e acquisisce nuova energia. Soprattutto nelle persone dalla salute malferma..." - concluse, guardando Hugh.

Demelza si accigliò. Che diavolo stava farfugliando Dwight? E soprattutto, cosa c'entrava col suo malessere? "Che stai cercando di dirci?".

Il medico prese un profondo respiro, quasi fosse spaventato lui stesso da quella diagnosi. "Sei incinta, Demelza. Di quasi due mesi... Il bambino dovrebbe nascere i primi giorni del prossimo gennaio".

Quelle semplici parole ebbero l'effetto di una potente bomba su di lei. Incinta? LEI ERA INCINTA? Era impossibile, non poteva essere, NON VOLEVA!!! Giuda, Hugh era malato e non in grado di diventare padre e invece lei ERA INCINTA! Provò la voglia di urlare, di piangere, di scappare lontano e fuggire da tutto ma la nausea e la consapevolezza che nessuna fuga l'avrebbe salvata, la lasciarono piantonata nel letto. Mille pensieri incoerenti affollarono la sua mente in quel momento che, sperava, essere un incubo. Ma non lo era, i suoi malesseri erano troppo reali per essere un sogno... Aspettava un bambino... Da Hugh... Lei, con la sua vita disperata, il cuore ancora diviso fra la nuova vita a Londra e la Cornovaglia che nonostante tutto era cuore e casa, ancora, aspettava un bambino da Hugh... Da quel giovane dolce, che la adorava, che le voleva regalare il mondo e che forse non avrebbe mai corrisposto con lo stesso forte sentimento... Era incinta e non di Ross e santo cielo, anche se lui faceva parte del passato, aspettare un bimbo non suo la annientava e la faceva sentire spersa nel nulla. "Non può essere" – sussurrò, mentre le mani tremanti di Hugh stringevano le sue. "Hugh non può avere figli".

Dwight sospirò. "Non è esatto. Aveva scarsissime possibilità di essere padre ma evidentemente il momento giusto, l'atmosfera rilassata, un momento di estremo benessere di entrambi...".

Hugh deglutì. "Ne sei sicuro?".

Dwight annuì. "Sì. Non c'è ombra di dubbio".

E a quella sentenza a cui non c'era appello, Demelza sprofondò fra i cuscini con le mani premute sul viso. No, no, nooooooo! E ora? E in quel momento si accorse che quell'anno e mezzo spensierato in cui si era sentita protagonista di una favola, era finito. Era un ritorno brusco e traumatico alla vita vera, reale, alla vita dove non va sempre tutto come nelle favole e non esistono elfi e fate ma imprevisti e problemi che ti riportano alla vera essenza dell'esistenza dove spesso c'è poco spazio per il romanticismo.

Dwight le mise una coperta addosso. "Vi lascio soli, avrete molto di cui parlare. E non so se sia il caso ma... congratulazioni... Un figlio è sempre un miracolo, soprattutto in questo caso. E Demelza, qualsiasi paura tu abbia, ricorda che con Clowance hai vissuto di peggio".

E detto questo, alludendo alla terribile gravidanza vissuta con la piccola a causa di Ross, Dwight uscì dalla stanza. Era vero, Hugh non era Ross. Nel bene e nel male, non era Ross...

Hugh la abbracciò forte, rimasti soli. Tremava, forse per la paura, forse per l'emozione. "Piccola fata... E' un miracolo! E io sono il più felice degli uomini".

Quelle parole sicuramente sincere la intenerirono, così come la commosse il suo non saper vedere quale terremoto avrebbe causato quella situazione. "Hugh, è... è una cosa che non sarebbe dovuta succedere". C'era troppo in gioco, troppe implicazioni, due mondi che mai si sarebbero amalgamati, una famiglia d'origine che non l'avrebbe accolta con favore e poi Jeremy e Clowance, figli di un uomo che le aveva mostrato il lato più crudele del matrimonio e della maternità.

Hugh parve non volersi far scoraggiare. "Ma è successo e niente succede per caso. Il nostro bambino non è in arrivo per caso... Io, che non avevo speranze nel domani, avrò un figlio o una figlia! Grazie a te... Sei davvero una fata, visto?".

Fata un corno! "Hugh, non è un gioco questo! E nemmeno una fiaba...".

"Lo so, è un figlio, il nostro. E io sono ubriaco dalla gioia".

Demelza deglutì e poi le lacrime, incontrollabili, iniziarono a cadere. Si rannicchiò contro il suo petto, lui la strinse a se e, vedendola piangere, tremò come accorgendosi solo in quel momento dell'enormità di quello che stava succedendo loro. "Come puoi esserlo? Siamo felici insieme ma un figlio rende SERIA la nostra storia e apparteniamo a due mondi incompatibili. Come possiamo essere genitori? Una famiglia? Quando nemmeno ci sono riuscita in Cornovaglia, con Ross, da sposata?".

Lui le prese la mano, baciandola. "Ricordi che a Natale ti avevo detto di pensarci? Di valutare se venire a vivere con me? So che il tuo cuore è rimasto la, in Cornovaglia, so che non sono Ross ma so che ti amo e che desidero stare con te come lo siamo stati fin'ora. Averti vicina, viverti, amarti, è la più grossa gioia che mi sia mai capitata. Un figlio è un miracolo e il destino, tramite lui, ci sta urlando la via che dobbiamo seguire". La baciò dolcemente sulle labbra, un bacio lungo e appassionato. "Sposami piccola fata... E io sarò, per il tempo che ho da vivere, il tuo compagno, il tuo sostegno, il padre dei tuoi figli e la tua spalla. Questo bambino, Jeremy e Clowance avranno un cognome e una casata a cui appartenere e per me tutti loro saranno la mia famiglia. Con te... E quando me ne sarò andato, avrò chiuso gli occhi con la certezza che tutto sarà a posto per il vostro futuro. Questo è un inizio nuovo Demelza e troveremo una soluzione felice che ci farà star bene. Tutti quanti. Sposami e sarò, saremo una famiglia. Te lo prometto".

"Hugh...". Rimase senza fiato. Le aveva chiesto di sposarlo e sentendolo parlare, per un attimo le sembrò tutto facile e fattibile... Una proposta di matrimonio fatta in modo dolce, romantico, appassionato come lui era sempre stato... Era così diverso dal matrimonio con Ross, dalla sua reazione alle gravidanze, alla sua freddezza e lontananza... Eppure un filo invisibile e sottile ma forte e resistente come il granito la collegava ancora a lui e le rendeva impossibile donare totalmente cuore e vita a quel giovane che aveva davanti, a cui voleva un mondo di bene ma a cui sentiva di non appartenere del tutto. Si accasciò sul cuscino, prendendo un profondo respiro. Le scoppiava la testa... "E' troppo... Tutto in una sola giornata... Lasciami tempo...".

Hugh le accarezzò il ventre, piano. "Non negarmi mio figlio" – disse, con voce spezzata.

Gli sorrise, nonostante tutto non avrebbe mai fatto una cosa del genere. E vedere un uomo così desideroso di essere padre era commovente, dopo quanto aveva vissuto con le gravidanze di Jeremy e Clowance. "Non lo farei mai e so che lui o lei avrà un meraviglioso papà. Ho solo bisogno di stare un pò tranquilla a rimettere in ordine le idee. Una cosa così non me l'aspettavo, non sono preparata e rivoluzionerà tutta la mia vita, assieme a quella dei miei figli".

La baciò sulla fronte, scompigliandole i capelli. "Hai ragione, ho lasciato che la mia gioia parlasse per me, non dandoti tempo per riprenderti. Ti lascio riposare, allora. Dwight è quì e si prenderà cura di te e io ne approfitterò per andare a casa a comunicare la notizia a mio zio e mia madre. Un erede, non ci speravano nemmeno più... Scoppieranno dalla gioia".

Demelza, a quelle parole, lo guardò storto. "Ne dubito..." - disse, con sarcasmo, ancora una volta intenerita dalla sua ingenuità.

Hugh la baciò ancora, le chiese di riposarsi, diede un'altra carezza al suo ventre e poi, emozionato come un bambino, corse via. "Torno presto, prestissimo".

Demelza lo guardò andarsene, comprendendo la sua gioia e le sue emozioni. Per lui doveva essere qualcosa di grandioso quell'evento e non riusciva a scorgerne le problematiche e quanto un bimbo avrebbe influito sulla sua vita sicuramente agiata, piena di passioni ma assolutamente priva di responsabilità.

Era strano per lei che uno come Hugh riuscisse a essere felice di avere un figlio da una donna con un passato come il suo, con due figli piccoli e un legame nonostante tutto indissolubile col loro padre. Il suo innamoramento era sempre stato un mistero ai suoi occhi, anche perché da subito era stata chiarissima circa i suoi sentimenti e gli strascichi che Ross aveva lasciato sulla sua mente e il suo cuore. Eppure quel legame, ora, doveva essere reciso del tutto perché un bambino c'era e lei era sua madre e l'avrebbe amato e protetto come gli altri due. Si accarezzò il ventre, da stesa, notando già un leggero rigonfiamento. "Già la pancia al secondo mese di gravidanza? Santo cielo, ma quanto sei già grande, bimbetto scozzese? Non ce l'ho con te, dico davvero... Ma non me l'aspettavo, sei una sorpresa a cui mai avrei pensato e ho solo bisogno di tempo per abituarmi all'idea e capire cosa fare. Troveremo... troverò una soluzione, come sempre, sta tranquillo piccolo mio".

Si rannicchiò nel letto e pensò, cercando di calmare i nervi. I Boscawen come avrebbero reagito a questo piccolo, inaspettato erede? E lei, lei che ruolo avrebbe avuto? E Jeremy e Clowance? E Hugh e la loro storia, in virtù di quel terremoto che li aveva colpiti? E Ross, ormai perso nel passato ma che tormentava ancora i suoi pensieri nascosti, come avrebbe reagito, cosa avrebbe detto se avesse saputo una cosa del genere? Come l'avrebbe giudicata nel saperla sposata con un uomo appartenente a una casta che giudicava come il suo peggior nemico?

Pensò a quell'anno e mezzo di vita dolce e spensierata vissuta con Hugh, alla felicità dei suoi figli, al loro futuro e anche a quello di questo nuovo piccolino e capì che doveva agire con calma, mettere in chiaro un pò di cose, lasciar perdere poesie e fiabe e tornare coi piedi per terra per il bene dei suoi tre bambini.

E poi, spossata, prima di addormentarsi, pensò ai bellissimi paesaggi della Scozia, teatro di questa nuova vita... "Accidenti a te, terra scozzese che fai spuntare bambini dal nulla come funghi!" – mormorò, prima di addormentarsi.

Si risvegliò che era ormai quasi buio e probabilmente era già passata l'ora di cena, destata dal vociare dei suoi due figli che avevano fatto irruzione nella sua stanza. Fisicamente stava meglio ma per un attimo si sentì confusa al suo risveglio, come se fosse uscita da un incubo non reale. Però poi si guardò attorno, si accorse che era a letto da ore, che lo stomaco era ancora un pò sottosopra e lo sconforto l'assalì di nuovo. Era incinta, decisamente!

Jeremy e Clowance saltarono sul letto illuminato da una candela sul comodino che qualcuno doveva aver acceso mentre dormiva. "Mamma, mi ha detto Dwight che sei un pò ammalata" – disse il bimbo, guardandola con preoccupazione.

Guardò i suoi figli, il suo più grande tesoro, l'unico amore che MAI avrebbe messo in discussione, l'unica certezza della sua vita. "Sto meglio, non sono malata".

"Cos'hai?" - chiese Clowance, curiosa.

Sospirò, negare o procrastinare non sarebbe servito a niente considerando che il baby-scozzese sembrava impaziente di farsi vedere al mondo. "Diciamo che, fra sette mesi, a gennaio, avrete un fratellino o una sorellina".

Jeremy divenne rosso per la sorpresa e per l'emozione, Clowance si accigliò e per un attimo calò un pesante silenzio nella stanza. Che durò poco, per fortuna.

"MAMMA, C'HAI UN BAMBINO NELLA PANCIA?!" - urlò Jeremy, toccandole il ventre, ridendo.

E la sua risata finì per contagiare anche lei. "Sì, un minuscolo, piccolo principe. O una principessina...".

E a quella parola, Clowance divenne furiosa. Le prese il viso fra le manine, si fece seria e poi scosse la testa. "Io plincipettina!".

La baciò, si era momentaneamente dimenticata che Clowance si sentiva l'unica lady della casa e che una eventuale rivale l'avrebbe decisamente contrariata. "Ma certo amore, la grande principessa sarai sempre tu. Lei potrà solo imparare da te che sei già bravissima".

Clowance annuì, finalmente soddisfatta.

Osservò poi Jeremy che, silenzioso, si era fatto però pensieroso. "Il suo papà è Hugh?".

Deglutì, non sapendo bene come spiegare al suo bimbo i rapporti fra uomo e donna adulti. "Sì tesoro. Probabilmente ci sposeremo e tutti insieme, voi, lui e il nuovo bimbo, saremo una grande famiglia e andremo a vivere nella sua grande casa. Sei contento? Avrai tutti i giorni a disposizione la tua casetta sull'albero". Glielo chiese, glielo disse, doveva sapere cosa ne pensavano di quella eventualità che si faceva man mano sempre più certa... Era ovvio che per il bene del bambino avrebbe sposato Hugh, se Lord Falmouth non avesse fatto resistenze. Non era ciò che sentiva come il suo destino ma se aveva bisogno di qualcosa per recidere il filo che ancora la teneva legata a Ross, quel bambino era decisamente la spinta giusta. Hugh la adorava, si volevano bene, c'era passione fra loro, un figlio in arrivo e una vita che poteva essere rosea per tutti. Aveva sposato Ross per amore ed era andata male, avrebbe sposato Hugh perché la vita l'aveva instradata forzatamente su quella scelta suo malgrado, con mille dubbi e paure e forse sarebbe andata bene proprio grazie a tutte quelle incognite che nel suo cuore non sentiva con Ross. Quel sonno di poco prima aveva fatto luce sulle sue mille paure e sulle soluzioni e sposare Hugh era l'unica scelta per dare un padre, un cognome e una famiglia a suo figlio e anche agli altri due. Hugh avrebbe annullato il passato difficile che si portava dietro, dato un nuovo futuro ai suoi figli e soprattutto amore. Non importava il suo nome e nemmeno il suo denaro, Hugh poteva essere l'uomo più povero della terra ma desiderava dar loro una vera casa e una vera famiglia e per Demelza quello era ciò che più contava, soprattutto per i suoi bambini. Se il destino voleva questo dalla sua vita, non aveva motivo per opporsi. Specialmente ora, con un nuovo figlio in arrivo, giunto a sorpresa battendo un destino avverso e una malattia che forse li avrebbe prima o poi privati di Hugh. E questo doveva avere un perché!

"Mamma...?".

"Dimmi Jeremy...".

Il piccolo abbassò il capo. "Se sposi Hugh... allora vuol dire che papà non viene più da noi?".

Quella domanda ebbe l'effetto di un terremoto, di un violento schiaffo in pieno viso. Giuda, Jeremy allora ricordava ancora Ross? Ancora lo aspettava? Non ne parlava mai, lo aveva visto per l'ultima volta quasi tre anni prima e credeva lo avesse scordato e sostituito con Hugh ma invece... Tremò, era troppo pure quello, per quel giorno... "Jeremy, certo che non viene... Credevo che lo avessi ormai capito, dopo tutto questo tempo".

"Perché?".

Jeremy fece quella domanda con una serietà che poco aveva a che fare coi suoi cinque anni e mezzo di età. Chiuse gli occhi, tanti ricordi tristi presero il sopravvento e si sentì gli occhi pungere. E per un attimo il dolore e la rabbia presero il sopravvento, facendole dire cose che mai avrebbe dovuto pronunciare davanti ai suoi figli. "Perché non ci vuole. Non voleva me, non voleva voi. Voleva essere il marito di un'altra donna e il padre di altri bambini. Non lo devi aspettare e non devi ricordarlo. Lui ci ha già dimenticati e vive felice con la sua nuova famiglia, lontano...".

Disse quelle parole come in tranche e si rese conto del loro significato solo quando vide il viso sgomento di Jeremy, il suo dolore e lo smarrimento di Clowance che, anche se ancora molto piccola, sembrava aver compreso l'enormità di quella rivelazione. Si mise le mani nei capelli, che aveva fatto? CHE AVEVA FATTO? Tentò di recuperare, strinse a se Clowance baciandole i boccoli biondi e accarezzò il visino di Jeremy. "Tesoro, forse mi sono spiegata male... Volevo dire che lui ha seguito il suo cuore, il suo vero amore. Ed è una cosa bellissima lottare per chi amiamo veramente. Lo dovrai fare anche tu da grande, lottare per stare con chi ami. Tuo padre è un uomo generoso, che ha sempre lottato per chi amava, che si è spaccato la schiena per dare una mano ai poveri che lavorano in miniera, che...".

Jeremy alzò lo sguardo, serio, guardandola dritta negli occhi. "Vuol bene a tutti tranne a noi?".

Demelza deglutì e per una volta non seppe rispondere. Dire la verità era sempre un bene ma in quel caso lei aveva sbagliato a sfogarsi e ora doveva rispondere con una bugia per sistemare il disastro fatto e non gliene venivano in mente... E Hugh, il suo amore e la sua gioia per il bimbo in arrivo, in contrapposizione a quello che Ross aveva fatto alla sua famiglia divennero reali e lì, davanti ai suoi occhi ancora spaventati della scelta che presto avrebbe dovuto fare, le diedero le risposte che cercava per intraprendere la strada giusta per i suoi figli . "Jeremy, tu ti ricordi ancora di lui?".

"Non tanto, non la faccia... Solo una cosa che mi ha detto...".

"Cosa?".

Jeremy alzò le spalle. "Niente di importante, mamma".

Capì che non voleva parlare e che forse era meglio non insistere. C'era un'altra cosa che voleva sapere da lui, ora, importante quanto il discorso su Ross. "Saresti felice se mi sposassi con Hugh? Lui ti piace?".

Jeremy sorrise. "Sì".

"E a te, Clowance?" - chiese, alla bimba.

"Sì".

Li baciò sulla fronte, guardando la loro bellezza e ringraziando il cielo di averli avuti. Se Ross non era stato capace di amarli e godere della loro presenza, era un problema suo e lei non avrebbe mai più dovuto pensarci. Erano la sua ricchezza e a quel pensiero, unito a quello del nuovo bimbo in arrivo, si sentì immensamente grata verso la vita e un pò più positiva verso quella nuova ed inaspettata gravidanza.

"Mamma, posso chiederti una cosa?".

Credeva, con terrore, che Jeremy gli chiedesse altro di Ross ma il bimbo la stupì, cambiando di colpo argomento. "Certo".

"Voglio imparare ad andare a cavallo. Adesso!".

Si accigliò davanti a quella richiesta che non capiva, soprattutto in quel momento. Ma lo assecondò. "Ovviamente, amore mio! E' tanto che ti chiedo, con Dwight, se vuoi provare, ma mi hai sempre detto di voler aspettare".

Lui scosse la testa. "Adesso non voglio aspettare più. Gustav va a lezioni al maneggio vicino ad Hyde Park, posso andare con lui?".

"Sì. Lasciami sistemare un pò di cose relative al bambino e a Hugh e poi potrai andarci".

"Grazie mamma" – disse Jeremy, baciandola sulla fronte.

E dopo quelle parole, calò il silenzio nella stanza.

I bimbi si addormentarono con lei e quella notte li tenne con se, aveva bisogno di loro. Odiava essersi lasciata andare parlando a quel modo di Ross ma i suoi nervi tanto provati non erano riusciti a frenare la sua lingua. Clowance avrebbe dimenticato quel discorso nel giro di poco ma temeva che Jeremy prima o poi le avrebbe fatto ulteriori domande.

Ma si sbagliava perché da quel giorno, Jeremy non chiese mai più nulla di Ross e fu come se quella figura fosse evaporata completamente dalla sua mente.




  
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