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Autore: _laragazzadicarta_    05/11/2018    2 recensioni
Cinque sconosciuti con nulla in comune: un cervello, un atleta, una principessa, una disadattata e un criminale.
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E così io, Bulma Standish, finii nell’aula punitiva il sabato prima di Natale. Quello che mi stava guardando il culo era il signor Vegeta Bender, era un criminale. Aveva trascorso i sabato degli ultimi due anni nell’aula punitiva in completa solitudine e, un paio di volte, era perfino finito in caserma per possesso di sostanze stupefacenti. Si sentiva il capo del gruppo, in realtà era solo un gran cazzone. Quello che sta sottolineando il manuale di fisica è Cabba Johnson: lo studente più promettente dell'istituto, il classico nerd con problemi a relazionarsi con gli altri. Quello seduto nel banco accanto al mio è Goku Clark: il mio punto debole. Capitano della squadra di rugby è una specie di William Shakespeare dello sport, per tutte le altre cose della vita è come se fosse nato ieri. Lì infondo c’è ChiChi Reynolds, probabilmente è pazza, o forse solo una disadattata, ciò che è certo è che fa morire dalle risate.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Goku, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Who you think you are?

Chapter Five: Love's strange so real in the dark.

La pioggia, insistente e sottile, avvolgeva la terra con le sue braccia silenziose, assopiva i colori rendendo tutto più oscuro, meno nitido, riempiva il mondo di sottintesi e di piccole malinconie, stringeva di più i nodi, teneva il senso della vita lassù in alto, indecifrabile, tra le nuvole dense e fitte. Nemmeno un timido raggio luminoso della luna penetrava dalla finestra. Goku era in disparte, con le braccia incrociate sopra l’isola in marmo della cucina e l'odio negli occhi, guardava ogni cosa come se potesse distruggerla solo fissandola. Nel cuore solo il desiderio di disintegrare quello che con tanta fatica aveva costruito negli ultimi anni, tutto aveva perso il suo significato in un singolo istante grazie ad un breve messaggio vocale di uno sconosciuto. Le risate che avevano popolato quelle mura domestiche, i sorrisi spontanei quando la mattina si svegliavano l’uno accanto all’altra, i teneri baci, i dolci abbracci, tutto era stato rimpiazzato dall'oscurità, spazzato via con poche frasi. Per un attimo, si girò verso di noi con la testa tra le mani. Non credo di aver mai visto uno sguardo più fragile e triste di quello. Nella sua testa un milione di interrogativi si stavano susseguendo con una velocità sbalorditiva, adrenalinica. Perché tradire la persona che dici di amare? Per noia? Per capire cosa si prova a ferire qualcuno che si ama? Per lussuria? Perché non le bastava più quello che aveva? Per cattiveria? Per vederlo soffrire? Per mettere alla prova il loro amore?
« Con permesso » aveva sussurrato ChiChi con lo sguardo basso rivolto al pavimento prima di alzarsi e raggiungere suo marito in cucina con le braccia strette al petto come ad isolarsi dal mondo esterno. Improvvisamente mi ricordai di una frase che mi aveva detto mia madre quando ero solo una bambina. Eravamo al mare, il sole splendeva alto nel cielo di Agosto, quando mi disse: “Attenta, il mare è traditore”. Per anni avevo temuto il mare in burrasca o anche quando era popolato da piccole onde, solo con il tempo avevo compreso che c’era qualcosa di molto più pericoloso di un mare in tempesta: l’amore. Ti fa credere di essere in grado di toccare il cielo con un dito e in due secondi ti ritrovi a precipitare al suolo senza paracadute, destinato a sfracellarti. Quando meno te l’aspetti ti crolla il mondo addosso e ti senti così piccolo, gli occhi si riducono a due piccoli fessure inondate di lacrime, il sorriso diventa solo una smorfia contratta; l’unica cosa che puoi fare è farti coraggio e andare avanti. Andare avanti poi, un’altra fregatura, perché, per i primi periodi che cerchi di dimenticare una persona, avrai sempre davanti una cosa che te la ricorderà: fotografie sbiadite, una vecchia sciarpa, lo spazzolino sul ripiano del lavandino sporco, il suo profumo che sembra persistere nelle tue narici. Ti diranno sempre cose che te la ricorderanno e allora ti verrà lo sconforto e penserai: “non lo dimenticherò mai”, e forse è davvero così. L’amore, quando è vero, è impossibile da dimenticare. Così deciderai di perdonare e verrai di nuovo tradito perché l’amore, prima di essere tentatore, è traditore.
ChiChi appoggiò la schiena al muro dietro di sé e, mordendosi dolorosamente il labbro inferiore, aspettò che la furia negli occhi di Goku si attenuasse, almeno un po’.
« Perché? » chiese semplicemente il corvino con un sussurro cercando di dissipare i suoi dubbi, di far cessare le domande che ingombravano la sua testa, di trovare una risposta. Non aveva mai messo in discussione la fedeltà di sua moglie, non era un’azione compatibile con il suo carattere, o almeno aveva sempre pensato che fosse così.
« Non lo so » ammise rammaricata ChiChi continuando a tenere lo sguardo basso « È successo tutto così velocemente…avrei dovuto, avrei voluto dirtelo in più di un occasione, ma tu non c’eri mai, eri sempre a lavoro per rincorrere quella dannata promozione che aspetti da più di cinque anni »
« Mi stai dicendo che ti ho trascurata? » chiese Goku amaramente, forse era la verità: trascorreva troppo tempo a lavoro, ma lo faceva per lei, per darle migliore sicurezza, una stabilità economica maggiore.
« No, tu…tu sei fantastico, sei…» cercò di chiarire la corvina trattenendo il più possibile le lacrime che solcavano il suo volto, ma Goku la zittì quasi immediatamente.
« Non dirlo, ti prego. Non dire quella stupida frase, quel “sei migliore di me”. Lo sono, ma non dirlo » supplicò Goku tornando a nascondere la testa tra le mani, dopo un attimo disse « Voglio sapere dove e quando »
ChiChi scosse la testa e, incapace di frenare le lacrime che ormai dilagavano sul suo volto, iniziò a singhiozzare.
« Sul nostro letto? In un motel? Dove? Una settimana fa? Ieri? Quando? » continuò ad insistere l’uomo parandosi davanti alla corvina che si sentì una bambina incredibilmente spaventata, la donna si portò le mani davanti al volto temendo di essere picchiata non appena l’uomo mosse le mani verso di lei, ma inaspettatamente Goku le prese il volto tra le mani costringendola a guardarlo negli occhi. I loro occhi urlavano, si prendevano a schiaffi, si graffiavano, ma all’estero c'era la calma più piatta, il silenzio più assordante.
« È successo solo una volta, più di due mesi fa…in un motel di Chicago. È venuto nel mio studio un pomeriggio per un servizio fotografico. È uno psicologo importante, sta per pubblicare un libro e gli serviva una foto da inserire sul retro del suo stupido libro. Ti giuro che per me non significa nulla, ho sempre amato solo te…è stato un momento di...debolezza » spiegò ChiChi prima di scoppiare a piangere contro il petto di Goku che a sua volta nascose il volto tra i capelli corvini della donna. Avevano paura, paura di continuare a farsi del male, di gettare altri anni della loro vita inseguendo l’ideale della coppia perfetta e felice…loro che non erano felici più da tempo, ma che continuavano ad amarsi a distanza, in silenzioso. Goku chiuse gli occhi ed immaginò una vita senza ChiChi, vide il buio, il freddo, la tristezza, i pranzi in solitudine, il letto troppo grande per una persona sola. Preferiva soffrire al suo fianco, piuttosto che essere felice senza di lei. Sapeva che il perdono era un percorso lungo, frastagliato e che probabilmente non si sarebbe mai più fidato ciecamente di lei, ma preferiva questo alla completa infelicità, alla solitudine e, se lei un giorno avesse smesso di amarlo, lui avrebbe amato abbastanza per tutti e due.
« Ti amo » sussurrò Goku con un filo di voce « Amo di te tutto quello che fa male…che mi fa stare male »

Gli mancò il fiato. Un magone insostenibile si contorceva nelle sue viscere. Viveva con un nemico dentro di sé, con la nebbia, con la notte, con lo smarrimento. Vedeva, sentiva il dolore crescere dentro di sé e non poteva farci niente, c’era un morbo pestilente che dilagava nelle sue viscere. Il silenzio cresceva come un cancro, voleva chiedere aiuto, urlarlo ma le sue parole sarebbero cadute come gocce di pioggia e avrebbero riecheggiato nei pozzi profondi del silenzio. L'incompiutezza, il vuoto, il fallimento e non ne capiva il senso, era solo, nessuno lo ascoltava, nessuno voleva ascoltarlo, nessuno voleva prenderlo per mano e mostrargli che il mondo non era poi così spaventoso e oscuro come credeva. Avevano tutti paura di lui, di stargli un po’ vicino, ma al contempo l’avevano idealizzato a tal punto da ritenere inconcepibile la sua sofferenza. Vidi da qualche parte in lui, intuii un'armonia e una luce immensa e, a questa luce e a questa armonia volevo avvicinarmi, mentre lui stava allontanando da sé tutto ciò che c’era di luminoso rinchiudendolo su una nave che prende il largo; ciò che all'inizio era il senso di ogni respiro, con il tempo era diventato il lampeggiare di un faro lontano. Singhiozzava silenziosamente per non essere sentito, perché aveva paura del vuoto, del buio e della solitudine che lo attendevano. Come nel più agitato dei sogni si estraniò da se stesso, si vide camminare da solo per le strade della città, strette e ciottolose, nell'alone della luce dei lampioni malfunzionanti sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità.
« Dove vai, Bulma? » domandò in un sussurro Cabba mentre era ancora in piedi, paralizzato come tutti noi da quello che gli era stato appena raccontato. ChiChi nascondeva il volto sotto un folto ciuffi di capelli neri e Goku vagava con lo sguardo sulle mura dell’aula che improvvisamente si erano ristrette. Io, come in trance, mi muovevo lentamente per raggiungere Vegeta, percorsi silenziosamente le scale di ferro che cigolarono sotto il mio peso; giunta dal corvino, vidi che nascondeva la fronte tra le braccia ed il volto era catatonico. Non mi sentì quando mi accovacciai accanto a lui, o forse preferì ignorarmi. Allungai titubante la mano verso i suoi capelli ed iniziai a massaggiargli la nuca con un’accuratezza quasi micidiale, un gesto intimo che gli fece strabuzzare gli occhi. Le mie dita si muovevano lentamente, con gesti circolari, regolari, concentrici e lentamente allontanò le braccia dalla fronte per nascondere il capo sulla mia spalla. Nella sua mente, smise di camminare sotto la luce vibrante dei lampioni che illuminavano quella strada buia e i suoi occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon che attraversò la notte e disintegrò il suono del silenzio.
« Andiamo a fare un giro? » proposi con voce strozzata dalla commozione, finalmente Vegeta alzò lo sguardo verso di me ed i suoi occhi lucidi vibrarono nella luce artificiale dell’aula. I suoi occhi sarebbero risultati più neri del carbone, se non fosse stato per quella piccola luminescenza capace di illuminare da sola il mondo intero. Pensiamo che il nero sia qualche cosa di spento, come un rogo combusto fino in fondo, qualche cosa di inerte come un cadavere, che è insensibile a tutto ciò che gli accade intorno e che lascia che tutto vada per il suo verso. È come il silenzio del corpo dopo la morte, dopo la conclusione della vita. Esteriormente, è il colore meno dotato di suono, sul quale perciò ogni altro colore, anche quello che ha il suono più debole, acquista un suono più forte e più preciso, a differenza di quanto avviene su un fondo bianco, su cui quasi tutti i colori perdono in intensità di suono e molti si dissolvono completamente, lasciandosi dietro un suono fioco, indebolito. Compresi l’altruismo del nero e l’insensibilità del bianco, imparai ad amare l’oscurità perché sarebbe stata capace di farmi sentire speciale in qualunque momento, con poco. Il nero non è triste. Il nero è poetico.

Il signor Freezer era tornato nel suo ufficio asettico da diversi minuti per concedersi l’agognato pranzo che consisteva in un tramezzino preparatogli da sua madre quella stessa mattina al cui interno spiccavano due foglie di lattuga, un pomodoro maturo ed un petto di pollo arrosto. Pranzo salutare per compensare il colesterolo alto che gli era stato registrato con le ultime analisi del sangue. L’uomo alzò gli occhi al cielo pensando che se qualcosa doveva essere pieno di calorie e di colesterolo, perché non poteva esserlo la lattuga, invece del gelato di cui era goloso? Addentò il primo morso e avvertì immediatamente un pezzo di lattuga incastrarsi tra gli incisivi, come se quella foglia del demonio non attendesse che di essere mangiata per ribellarsi contro il suo addentatore ed avere salva la vita. Freezer deglutì a fatica cercando di ignorare quella fastidiosa sensazione, poi avvicinò alle labbra la bottiglia d’acqua e, dopo che quest’ultima venne a contatto con le sue pupille gustative, sputò tutto sulla sua scrivania. Non poteva crederci! Sua madre aveva di nuovo aggiunto dell'aspro succo di limone all’acqua con il pretesto: “aiuta a dimagrire con facilità”. Quella donna era veramente impossibile, certo nell’ultimo periodo aveva messo su qualche chilo a causa dello stile di vita sedentaria ma restava comunque un cinquantenne con un fisico abbastanza asciutto. Guardò l’orologio che pendeva sul muro alla sua destra: tra qualche ora sarebbe stato finalmente libero di tornare a casa e godersi le agogniate vacanze di Natale. Ammirò il fascino degli orologi: rendevano concreta e visibile una cosa astratta come il tempo, che non si vede e non si tocca, eppure c’è. Finì velocemente il tramezzino e si alzò dalla sua poltrona, avrebbe pulito in seguito il disastro che aveva creato sulla sua scrivania, ora necessitava di un nuovo caffè che però, al contrario del primo, non avrebbe lasciato sulla scrivania a freddare ma avrebbe gustato fino all’ultima goccia. D’altronde pensò che noi ragazzi stessimo mangiando tranquillamente nell’aula magna e che di consulenza l’avremmo lasciato tranquillo almeno per un’ora, quanto si sbagliava.
Vegeta, con l’orecchio appoggiato alla porta d’ingresso, avvertì la porta dell’ufficio del preside aprirsi per poi richiudersi dopo pochi istanti dietro le spalle dell’uomo che continuava a borbottare qualcosa di incomprensibile alle nostre orecchie. Il corvino contò fino a dieci nella sua mente, poi schizzò fuori dalla porta gettando un rapido sguardo al corridoio alla sua sinistra giusto in tempo per vedere l’ombra di Freezer svoltare in direzione del distributore di bevande; con il capo mi fece segno di seguirlo e, dietro di me, tutti sguisciarono fuori da quell’aula divenuta troppo stretta per la nostra vivacità adolescenziale. Svoltammo a destra, consapevoli che se il preside ci avesse scoperto girovagare per la scuola senza permesso ci avrebbe seriamente frantumato il cranio questa volta.
« Come sai dov’è andato? » chiesi ingenuamente. Vegeta camminava davanti, io lo seguivo e gli altri erano a pochi passi da noi in quella che voleva sembrare una scalmanata fila indiana.
« Non lo so » rispose atono il corvino, quasi scocciato da quella domanda, alzò le spalle per enfatizzare la sua risposta continuando a camminare con lo sguardo dritto davanti a sé.
« Come sai quando tornerà? » insistetti di nuovo titubante, ero da anni nel consiglio studentesco e infrangere le regole non era nel mio stile. Avevo sempre seguito le regole, anche da bambina ero incredibilmente ubbidiente e docile, possibile che quel ragazzo fosse stato capace di convincermi con uno sguardo ad ignorare i miei principi più ferrei?
« Non lo so » rispose ancora una volta Vegeta, poi si voltò verso di me con un ghigno soddisfatto prima di dire « Comportarsi male è una cosa abbastanza piacevole, vero? »
« A che serve frugare nel suo armadietto? » bisbigliò Cabba titubante all’orecchio di Goku.
« Non chiedermelo »
« Ma questo è da stupidi, perché dobbiamo? Così rischiamo di essere scoperti da Freezer! Ci farà il culo a strisce » obbiettò di nuovo Cabba gesticolando eccessivamente. Goku storse il naso mentre mi osservava camminare al fianco di Vegeta, uno strano fastidio gli torturava le viscere.
« Di’ un’altra parola e sarò io a farti il culo a strisce » sbottò Goku sorpassando Cabba per raggiungere me e Vegeta. Vegeta si bloccò davanti a quello che capii immediatamente essere il suo armadietto a causa della minacciosa scritta che troneggiava su di esso: “Apri questo armadietto e morirai”¹, con tanto di fune pendente. Non appena il corvino aprì l’armadietto dovette impiegare entrambe le mani per impedire che una montagna di oggetti non identificati cadesse sulle nostre teste.
« Certo che sei un casinista² » commentai mordendomi il labbro inferiore mentre ero appoggiata alla fila di armadietti rossi.
« Che vuoi farci? La mia domestica è in ferie » rispose Vegeta distrattamente mentre scavava con le mani in un sacchetto di carta, ne estrasse un altro sacchetto contenente della marijuana che sistemò sotto la camicia nella tasca dei jeans con nonchalance, poi ricominciò a camminare.
« È droga. Il ragazzo ha la marijuana » constatò sbalordito Cabba venendo immediatamente fulminato con lo sguardo da Vegeta che si era voltato un attimo verso di noi, anche ChiChi osservava la scena con la bocca aperta, non poteva credere che lui volesse fare una simile cazzata.
« Vaffanculo, Bender, rimettila a posto » tuonò Goku, ma il corvino si limitò ad ignorarlo come al solito. Senza dire una parola mi limitai a seguire Vegeta mentre Cabba continuava a ripetere « Quella è marijuana ».
« Sta’ zitto » tuonò di nuovo Goku, questa volta rivolto a Cabba, prima di seguirmi a sua volta.
« E tu non dici niente? » chiese infine Cabba a ChiChi che continuava a guardarci a bocca aperta, quando anche il ragazzo si rimise in marcia, la corvina si avvicinò all’armadietto di Vegeta, sfilò il lucchetto e se lo infilò in borsa, ma questo noi non lo notammo.
« Attraversiamo il laboratorio e poi torniamo indietro » spiegò Vegeta dopo qualche istante camminando lentamente affinché i suoi passi non risuonassero nel corridoio a causa della pessima acustica.
« Spero che tu abbia ragione, se Freezer ci sgama la colpa è tua coglione » puntualizzò Goku camminando al fianco dell’altro ragazzo.
« Che cosa ha detto? Ma dove andiamo? » continuava a domandarsi ad alta voce Cabba venendo puntualmente ignorato da tutti noi. Girammo a sinistra verso il laboratorio, ma trovammo ad attenderci le spalle di Freezer che camminava tranquillamente sorseggiando il suo caffè. Iniziammo a correre a perdifiato, l’adrenalina pompava nel nostro cervello, inondava le nostre viscere facendo muovere convulsivamente le nostre gambe. Correvamo come matti tenendoci tutti per mano, eravamo una grande catena e lasciare chiunque indietro era inconcepibile, fuori discussione. Vegeta mi stava sorridendo, o forse era solo frutto della mia immaginazione, sentivo il cuore che mi batteva forte. Non so se fosse perché avevo paura di essere scoperta da Freezer che sembrava riapparire dietro ogni angolo sbarrandoci la strada verso la salvezza o perché ero già innamorata di Vegeta.
Vegeta si fermò improvvisamente davanti ad un bivio, dove andare? La strada più corta o quella che ci avrebbe condotti con sicurezza alla salvezza? Goku stava continuando a correre in direzione dei club, quando fu afferrato per il bavero della felpa da Vegeta che disse: « Fermi! Ci conviene passare per la mensa! »
« No! » rispose fermamente Goku « Per l’aula dei club ».
« Hey, amico, non sai di cosa parli » tentò di insistere Vegeta, ma fu tutto inutile perché Goku rispose a tono « No, sei tu che non sai di cosa parli. Abbiamo finito di ascoltarti, noi andiamo da questa parte…tu vai dove ti pare ». Non diede nemmeno il tempo a Vegeta di controbattere che era già partito alla volta dell’aula dei club seguito a ruota da Cabba, dopo un attimo di esitazione li seguii a ruota anch’io. ChiChi rivolse un rapido sguardo a Vegeta prima di raggiungerci e il corvino, a sua volta, sussurrò un « Oh, Cristo, non mi capiranno mai » prima di seguirci. Ricominciammo a correre a perdifiato, Vegeta era di nuovo davanti a tutti noi, forse gli anni che aveva trascorso a scappare da suo padre che lo inseguiva con una mazza da baseball per scaricare su di lui la sua frustrazione erano serviti a qualcosa. Le gambe avevano iniziato a farci male da alcuni istanti, ma continuavamo a correre facendo leva sulla nostra forza d’animo…eravamo quasi arrivati all’aula dei club quando delle sbarre si materializzarono sul nostro percorso. Vegeta lanciò un pugno contro l’inferriata che vibrò per alcuni istanti prima di voltarsi verso Goku per guardarlo biecamente.
« Cristo » commentò Goku sbattendo la testa conto una sbarra.
« Bella idea, Kakaroth » rispose di rimando Vegeta aggrappandosi a sua volta all'inferriata, come a volerla scalfire, per creare un varco verso la libertà.
« Vaffanculo » rispose Goku sbuffando, convinto di non avere alcuna responsabilità riguardo allo sviluppo degli eventi.
« Vacci tu » mi intromisi con concitazione raggiungendo gli altri, mi sistemai accanto a Vegeta, poi mi voltai verso Goku e aggiunsi « Perché non hai dato retta a Vegeta? »
« Siamo fregati » sospirò Cabba dando alito all’ovvietà come più volta era accaduto negli ultimi minuti.
« No, solo io» sussurrò improvvisamente Vegeta rispondendo a Cabba, infilò una mano della tasca dei jeans, poi velocemente si avvicinò al più giovane di noi: Cabba.
« Eh?» chiesi io non riuscendo ad intuire le sue intenzioni.
« Che vuoi dire? » chiese Cabba un istante più tardi incrociando lo sguardo di Vegeta che infilò lestamente una mano nei pantaloni del ragazzo per depositare la droga.
« Tornate in aula » ordinò Vegeta con un tono tanto reverenziale da parlo apparire quasi un generale, o forse addirittura un re; poi guardando intensamente Cabba disse « E tu, fai la guardia al tesoro ». Un attimo più tardi ricominciò a correre a perdifiato verso la palestra dell'istituto che si trovava nell'ala opposta all’aula che avremmo dovuto raggiungere. Lo vedemmo sparire dietro il terzo corridoio alla nostra sinistra mentre saltellando intonava a squarciagola “God Save the Queen” dei Sex Pistols, alterando di volta in volta il testo e sostituendo la parola “Queen” con “King” riferendosi velatamente – neanche troppo - a Freezer: stava mettendo in atto un diversivo garantendo la nostra salvezza a scapito della sua.



¹ Open this locker and you die.
² Nel film è Andy a dirlo a John.
   
 
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