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Autore: Emmastory    05/11/2018    5 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXIV

Da fata a strega

Il giorno continuava, il mattino splendeva ancora, e io e Christopher non ci eravamo mossi di un millimetro. Ancora l’uno fra le braccia dell’altra, ci lasciavamo allietare dalla nostra reciproca presenza e dal battito dei nostri cuori e uniti nell’unisono del nostro silenzio. Avevo gli occhi chiusi, ma non dormivo, respirando appena nel sentire le dita del mio amato fra i miei capelli. Un’abitudine che aveva preso nel coccolarmi, e che sin da quel fortunato giorno, non aveva mai abbandonato. I minuti scorrevano lenti, e per una volta, nient’altro importava. Eravamo insieme, ero felice, e sentivo che nulla avrebbe mai potuto rovinare quel momento. Esageravo nel dirlo, e lo sapevo bene, ma essendomi consultata anni prima con le fate più anziane ed esperte, avevo sentito dire che il un rapporto di complicità fra una fata e un protettore era quanto di più puro e magico potesse esistere. Il nero libro che avevo letto più volte affermava il contrario, e la legge magica non mentiva, ma dopo tutto quello che Christopher ed io avevamo passato e stavamo ancora passando, rimanevo lì seduta a respirare e non pensare a niente, dimenticando come mi era stato detto il disordine della mia vita di creatura magica. Perfino il vento che soffiava fuori aveva ora taciuto, calmandosi e riducendosi ad una dolce brezza primaverile, che come una devota madre accarezza le tenere guance dei suoi figli prima di condurli nel sonno. Il solo suono del mio respiro spezzava la quiete, e di tanto in tanto, anche l’affatto estraneo rumore provocato dalle fusa della gatta. Sdraiata sul tappeto del salotto, teneva le zampe sotto al corpo, e come me, gli occhi chiusi. L’avevo vista addormentarsi poco prima di estraniarmi come stavo facendo, e quella sorta di rombo basso e soffocato poteva significare soltanto una cosa. Aveva mangiato da poco, e ora, serafica e satolla, riposava. Per quanto ne sapevo, era nata e cresciuta fra gli umani e abituata a vivere fra le mura di una casa, ragion per cui potevo solo immaginare quanto desiderasse uscirne anche solo per sgranchirsi le zampe o dare la caccia a topi e roditori. La presenza in casa di un numero imprecisato di giocattoli l’aiutava, e lentamente, la sua condizione fisica migliorava. Finalmente ora non era più scheletrica, e accarezzarla non era più un azzardo compiuto nella speranza di non farle male. “Chris…” sussurrai, aprendo gli occhi e voltandomi per sfiorargli le labbra. “Sì, piccola?” rispose lui, emulando il mio tono di voce e stiracchiandosi come un grasso e pigro felino appena sveglio. “Devo proprio? Dobbiamo proprio uscire ad allenarci?” chiesi, in una quieta cantilena unicamente adatta ad una bambina. “Non se non vuoi, e oggi avremo ospiti, contenta?” mi disse, sedendosi più comodamente sul divano e coprendosi la bocca per reprimere uno sbadiglio. “Ospiti? Di che parli? Non aspettiamo nessuno.” Replicai stancamente, ancora intontita dal sonno in cui mi ero sentita tremendamente vicina a cadere. “Kaleia, devi riposare. Non è saggio continuare ad usare i tuoi poteri in questo stato. Sei troppo debole dopo quello che le voci ti hanno fatto, quindi ho chiesto aiuto. Marisa dovrebbe essere qui a momenti.” Continuò allora Christopher, facendosi improvvisamente serio e con il viso privo di qualunque segno di stanchezza. “ A quelle parole, sgranai gli occhi, e non potendo evitare di strofinarli per l’incredulità, mi fermai a guardarlo, stupita. “Christopher, amore mio… hai davvero fatto questo per me?” azzardai, ancora incapace di credergli e sospesa a metà fra il sogno e il reale. “Certo, tutto per la mia amatissima fata.” Rispose soltanto, per poi sorridere e avvicinarsi per abbracciarmi. Senza parole, lo lasciai fare, e fu abbandonandomi fra le sue braccia che fui sicura di una cosa. Con quel gesto, aveva voluto sincerarsi del mio benessere per l’ennesima volta, e immensamente grata, non resistetti alla tentazione di baciarlo. Lo amavo, sentivo di amarlo con tutto il cuore, e al suo fianco, perfino le leggi che regolavano l’intero mondo magico perdevano di senso. Era il mio protettore, come tale mirava a farmi sentire al sicuro, e stando alle silenziose reazioni del mio corpo e del mio cuore, sembrava davvero esserci riuscito. Ad essere sincera, anche dopo un intero anno non sapevo con certezza di cosa mi avesse attratta a lui. Conoscendomi, sapevo bene di non essere solita fermarmi al semplice aspetto fisico di qualunque persona, ma quando si trattava del mio Christopher, i casi erano molteplici. Forse erano stati quei biondissimi capelli color del grano, forse quelle splendenti iridi color speranza, o forse la costante aura da paladino indomito che il suo intero corpo sembrava emanare, ma più il tempo passava, e più ne ero convinta. Il mio amore per lui era reale e potente quanto la mia magia e quella di ognuna di noi, e nessun altro essere al di sopra di me o noi avrebbe mai potuto spegnere quel fuoco primordiale e tanto ardente. Così, una nuova luce negli occhi e una neonata speranza nel cuore, ora attendevo. Conoscevo Marisa, e a volte mi fermavo a pensare proprio a lei, concludendo che nonostante il suo legame di sangue e parentela con una strega che avevo finito prima per odiare e ora per sopportare quasi a stento, lei avesse un cuore puro e diverso da quello della madre, nero come la copertina dell’oscuro tomo che da tempo non toccavo. Alzandomi dal divano, raggiunsi la mia stanza al solo scopo di vedere ancora una volta le benefiche viole della mia amichetta Lucy, una pixie di soli sette anni che tramite quel regalo mi aveva dato modo di comprendere il vero valore della bontà e dell’amicizia. In piedi accanto alla porta, mi fermai a osservare i fiori in quel vitreo vaso, e nello spazio di un momento, mille ricordi mi affollarono la mente. Li aveva colti con l’intenzione di farmi un regalo, e ad essere sincera, ricordavo ancora la dolcissima espressione di pura felicità dipinta sul suo visetto. “Perché me li hai presi?” le avevo chiesto, sorpresa e incuriosita. “Perché i fiori sono un simbolo di amicizia, e tu sei mia amica.” Mi aveva risposto, parlando con tutta la sincerità di cui era capace e avvicinando il suo corpicino al mio per un abbraccio che non le negai. “Ti voglio bene, sai?” aveva aggiunto, non dimenticandosi di esternare quella verità così semplice eppure pregna di significato. Lenta, una lacrima fuggì dai miei occhi per scivolarmi sul viso, ed io non la fermai, ma lasciandola libera, accarezzai i petali di quelle viole, sussurrando nel parlare con me stessa. “Staremo bene, Lucy. Io, tu e Lune staremo bene un giorno, te lo prometto, piccola pixie.” Dissi, tenendo bassa la voce e rivolgendomi prima al fiore e poi alla finestra, nella speranza che le mie giovani amiche potessero sentirmi. Non ne ero sicura, e forse sarebbe accaduto o forse no, ma nel frattempo, speravo. Tornando in salotto, sentii bussare alla porta, e precedendomi, Christopher andò ad aprirla. Come aveva detto, Marisa era venuta a trovarci, e a giudicare dal luminoso sorriso che aveva dipinto in volto, doveva essere felice di vederci, ma guardandola meglio potei giurare che fosse letteralmente entusiasta di vedermi ancora viva e in piedi. Ne avevo passate tante, ed era vero, ma ciò non significava che avrei dovuto arrendermi. Non subito, non dopo tutta la strada che avevo percorso. Alla sua sola vista, mi avvicinai per salutarla, e ben presto, ci ritrovammo unite in un delicato abbraccio. Amichevole, e grondante dei valori a dir poco sacri e simbolici. Felici, ci stringemmo l’una all’altra con calore, e prendendo posto con lei sul divano di casa, ebbi la gioia e la fortuna di vedere Willow andarle incontro miagolando, evidentemente contenta di rivedere la sua padrona. Accarezzandola per qualche attimo, Marisa la tenne in braccio, e posandola poi a terra, tornò a concentrarsi su di me. “Forse lo sai, ma è stato Christopher a chiamarmi, proprio perché ti aiutassi, te la senti?” mi chiese, guardandomi negli occhi e tacendo nell’attesa di una mia risposta. Inizialmente, questa parve non arrivare, ma poco dopo mi decisi ad annuire, e agendo d’istinto, lei mi prese le mani, chiudendo gli occhi come aveva imparato da sua madre. Imitandola per un solo attimo, respirai a fondo nel tentativo di calmarmi, e al calar della notte, mi preparai a fare ciò che avevo già fatto, ovvero raccontare la verità passandola quella volta da fata a strega.

 
   
 
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