Fanfic su artisti musicali > Mika
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Autore: ValeriaLupin    06/11/2018    1 recensioni
Raccolta di one-shot ispirate da canzoni, interviste, sguardi, riflessioni, fantasie.
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1. Love you (even) when I am drunk
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«Le due e quaranta» gli rispose. Mika lo guardò confuso poi riportò l'attenzione sul suo cellulare e notò che in effetti l'orario era scritto anche lì, come sempre.
Perché Andy lo chiamava a quell'ora? Sentì una morsa allo stomaco che, questa volta, poco riguardava tutto l'alcol che aveva ingurgitato.
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2. Over my shoulder
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«Ragazzi» lo sentì dire poi ai suoi amici «mai toccare la ragazza del frocio». Il tremolio d'astio nella voce di quel ragazzo suonava come un presagio. Gli fece entrare un gelo nelle ossa che aveva assaggiato già tante volte.
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3. Ocean eyes
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Quale magia possedevano quegli occhi per poter leggere così a fondo nello sguardo di un altro uomo? Come poteva somigliare all'atto di dipingere quel suo modo di esprimersi?
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4. Invisible
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Dopo anni, scopriva che nulla era cambiato: giocava ancora a nascondino, questa volta con i sentimenti, e pareva fosse destinato a vincere.
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5. Make you happy
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S’imbatté, fra mille di quelle memorie delicate, in una più fragile delle altre: un segreto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Invisible

 
La pioggia cadeva fitta e sottile, affilata quanto un migliaio di spilli e poco più fastidiosa di un filo di sudore sul volto. Avvolto da un cielo candido come la vela gonfia di una nave, se ne stava fermo ad ascoltare il ticchettio dell’acqua sui canali di scolo, il battito d’ali frettoloso delle colombe che si annidavano negli alberi ai lati del sentiero di mattoni, il proprio respiro affannato, che esalava nuvole di vapore contro il muro in cemento. Affinò l’udito, pronto ad intercettare ogni tipo di suono, ogni passo rapido e fruscio sospetto.
Posò le mani sulla parete della casupola dietro cui si era nascosto e smorzò il sorriso, unendo le labbra arrossate dal freddo e sporgendosi oltre il suo nascondiglio in modo da controllare il viottolo dinnanzi a lui.
Era vuoto. Michael fece un salto e si trovò nel mezzo della stradina, poi corse in punta di piedi sul lato opposto, rintanandosi fra due dei centinaia di mausolei che formavano quella necropoli dei tempi moderni.
Si sporse appena per individuare il traguardo, o quello che ne era visibile: un tetto ocra che si stagliava contro la cittadina senza vita. Si mosse per raggiungerlo, fiondandosi verso il nascondiglio successivo, attento a non fare rumore quando, improvviso, un grido squarciò il silenzio.
«Visto!» un piccolo stormo prese il volo dai rami dell’albero «Mika!»
«Daiii» sbuffò, abbandonando con forza le mani sui fianchi. Rise, preso per mano dalla risata della sorella.

 
Un trio di ragazzini donava vita a quella città morta, custode di affetti remoti e nomi desueti.
 
 
Mika si voltò, sorridente, verso la voce della sorella, scrutando la linguaccia di Yasmine con simulato fastidio. La ragazzina sparì di nuovo fra le viuzze, continuando la sfida con Paloma.
Mika tirò un sospiro rassegnato, avvicinandosi al sentiero principale; non vinceva mai a quel gioco e si trovava sempre costretto ad aspettare tutti davanti il mausoleo di famiglia.
Passò il tempo al riparo sotto la pensilina della casupola dal tetto ocra, usando un ago di pino a mo’ di pennello e il fango come acquerello per disegnare sei piccoli soli sul cemento ingrigito del pavimento e portare una pennellata di luce in quella giornata tetra.
«Ti ho vista!» sentì d’improvviso.
«Prima io!» ribatté l’altra voce.
Michael fece appena in tempo ad alzare lo sguardo dal suo dipinto che le vide entrambe sfrecciare verso di lui. Dovette scansarsi e rovinò con il sedere a terra. Come prevedibile, Yasmine toccò per prima il muro del mausoleo, guadagnando la vittoria e uno sguardo omicida dalla sorella più giovane. Quest’ultima gli diede una spinta giocosa subito seguita da uno scroscio di risate cristalline.
«Avete rovinato i soli che avevo disegnato» si lamentò il più piccolo, notando come fosse ruzzolato proprio sopra il suo disegno.
«Sempre a lagnarti tu!» lo rimproverò Paloma, scoppiando in una risata ancora più prorompente nel vedere i pantaloni del fratello sporchi di fango. «Secondo me dovresti preoccuparti di quelli» disse, indicando il disastro.
Il ragazzino diede uno sguardo preoccupato al retro dei suoi jeans, cercando di porre rimedio con una mano.
«Oh, la mamma ti ucciderà» profetizzò solennemente la più grande.
«Aiutatemi, dai!» le implorò, spaventato.
Paloma mise le mani a coppa per raccogliere un po’ d’acqua piovana e cercare di pulire la macchia, mentre Yasmine si limitava ad assicurare l’inutilità del tentativo.
Udirono un mormorio che lentamente si andava intensificando. Ben presto la voce gracchiante della nonna si fece chiara, al contrario quella più dolce di Joannie divenne udibile solo quando furono più vicine.
«Penso che meglio di così sia impossibile» dichiarò con una smorfia Paloma, rassicurando Mika sul fatto che il danno non fosse più così visibile.
«Questi bambini ce l’hanno un po’ di rispetto per le loro origini?» esordì la più anziana e i tre si misero in ascolto, consapevoli che quelle parole non fossero destinate alle loro orecchie.
La risposta della madre giunse ovattata.
«Un briciolo di rispetto per i defunti glielo hai insegnato?» gracchiò, acida «Corrono, ridono, saltano, urlano. Un po’ di educazione!»
«Sono solo bambini» tentò di dire Joannie in difesa dei propri figli.
«E diventeranno criminali di questo passo» ribatté la vecchia, abbassando poi la voce a un sussurro «Soprattutto… per non parlare di… Michael, me ne intendo io, quel ragazzino si dimostra sempre più per quello che è»
«Mika ha passato un momento difficile, ma ora lavora, è felice, molto creativo…»
«Strano» sentenziò l’anziana donna, cercando di tenere un tono basso. Portava scritto sulla pelle il romanzo di una vita straordinaria dinnanzi al quale qualunque lettore diventava un granello di sabbia. «Io ti avverto… è uno scherzo della natura»
Yasmine trattenne il respiro, facendo scivolare una mano su quella del fratello, pietrificato.
«Mika poi! Smettila di chiamarlo con quel nome da femmina» fece poi, parecchio disgustata, comparendo nella loro visuale e intercettando lo sguardo dei tre nipoti. «Oh, siete qui!».
Il volto di Joannie era così tetro da far paura, la mascella serrata di qualcuno che avrebbe tanto da dire, o da urlare più verosimilmente, ma che è costretta a zittire ogni pensiero.
Osservò preoccupata i propri figli e addolcì lo sguardo nell’incontrare gli occhi nocciola del più piccolo. Era così indifeso, seppure ormai non più così piccolo come quando aveva perso la parola.

 
I suoi dieci anni sembravano raddoppiare in quello sguardo ferito che gli rammentò il bambino senza voce che era stato.
 
 
La rabbia di non poterlo davvero difendere da quegli insulti gli corse fino agli occhi. S’inondarono di lacrime che dovette intrappolare, brucianti, fra le palpebre.
«Ecco» esordì la vecchia «Questi sono il vostro passato…»
Mentre la donna narrava la storia di immigrati della famiglia, Joannie si avvicinò al figlio e si chinò appena per baciarlo sulla fronte e lasciargli una carezza.
«Hai bisogno di un solo superpotere» mormorò sulla sua pelle, ripetendogli quelle parole che spesso gli rivolgeva. Come uno di quegli artisti di strada pitturati di bronzo che prendevano vita di tanto in tanto nelle strade di Londra, si mosse un poco e accennò un sorriso stremato.
 

 
****
 
 

Aveva imparato a farci l’abitudine a sua nonna e alle sue parole, dardi intinsi in tossine che avrebbe voluto saper scoccare anche lui, individuando il punto dove la carne era più morbida, fragile e mirandovi con impeccabile precisione. Sembrava le venisse completamente naturale, un’arte del tutto innata.
Se ne stava seduta in silenzio e quando apriva quelle labbra raggrinzite e timbrate da chiazze di vecchiaia, ci si chiedeva solo chi stesse per ferire. Naturalmente lui era uno dei suoi bersagli preferiti.
 

«… è uno scherzo della natura», parole che gli riaffioravano ancora alla mente dopo oltre quattro anni che le aveva pronunciate. Scappavano dal rifugio dove le aveva confinate e gli arrugginivano i pensieri.

 
 
“Aveva ragione” pensò amaramente, finendo di addentare una mela rossa.
Quella sera aveva rifiutato di prendere parte alla cena di famiglia perché aveva litigato ferocemente prima con sua sorella e poi con sua madre. A dire la verità, non ce l’aveva con nessuna delle due, era solo innervosito dalla presenza di sua nonna: doveva spegnersi quando lei era nella stessa stanza, così com’era costretto a scuola di fronte ai suoi compagni. E, dopo un po’, quella presenza diventava asfissiante, opprimente.
Forse avevano ragione a pensare che fosse ridicolo.
Se solo avesse provato a dire quel suo segreto alla nonna, Mika sospettava che lei lo avrebbe negato fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe avuto ribrezzo di lui, avrebbe provato pena nei suoi confronti, magari celandoli dietro una bugia dorata. In fondo, non avrebbe avuto tutti i torti.
Era forse giusto ciò che provava?
Sembravano naturali quelle sensazioni intessute sulla sua pelle, penetrate nelle sue ossa, ricamate sulle sue labbra, suonate nella sua musica. Se invece s’intrufolavano nella sua mente, parevano sbagliate, contronatura, perverse. La vergogna lo seguiva ovunque andasse.

 
Dopo anni, scopriva che nulla era cambiato: giocava ancora a nascondino, questa volta con i sentimenti, e pareva fosse destinato a vincere.
Proprio ora che avrebbe voluto scrollarsi l’invisibilità di dosso.
Era rimasto incastrato in un rifugio fatto di corazze.

 
 
La risata di sua nonna gli giunse alle orecchie come il peggiore dei violinisti avesse sfiorato le corde sottili dello strumento. Si ergeva sopra le altre, più melodiose, giovani, sincere.
Gettò il torsolo della mela nella pattumiera e si corazzò di virilità, entrando nel suo stesso spazio. «Che ridi, strega?» sussurrò appena, rivolgendo uno sguardo d’odio alle sue spalle.
«Come dici, tesoro?» chiese stridula la nonna, voltandosi verso di lui. Qualche altra testa si volse nella sua direzione. Avevano appena iniziato a vedere un film.
Il fumo le aveva lasciato un’impronta raspante e grigia nella voce, ora ghignava, scoprendo denti macchiati qua e là dalla nicotina, ma ancora tutti al loro posto.
Se ne stava abbandonata sulla poltrona del soggiorno, davanti al televisore che la inondava di colori innaturali, abbagliando le pareti come lampi allucinogeni in un club. Il suono invadeva la stanza, il volume alto gli martellava i timpani. Ripeteva spesso di non sentire più come una volta. Eppure l’udito di quella donna pareva funzionare selettivamente: sarebbe stata capace di fiutare qualsiasi tipo di affronto sussurrato a metri di distanza.
Suo fratello e le sue sorelle più piccole sedevano a terra, a gambe incrociate, sotto la televisione, con la schiena poggiata sulle gambe dei genitori e di Yasmine che, invece, occupavano la poltrona, sbocconcellando qualche popcorn.
«Che state guardando?» rimediò, pronto.
«La Cage aux folles» rispose la più anziana, tornando a prestare attenzione al film.
«Vieni» lo invitò il padre, battendo una mano sul posto fra lui e la sorella. Mika fece per rifiutare quando sentì nuovamente la risata della nonna unita a quelle dei suoi fratelli.
Sua madre lo guardava. «Dai» lo spronò, facendogli un cenno con il capo. Guardò di sfuggita lo schermo, dove comparivano parole in francese sull’insegna al neon di un locale. Quel titolo gli solleticò la mente, così li raggiunse, accomodandosi dove il padre gli aveva gentilmente indicato.
Si voltò per un secondo verso sua sorella che, accortasi del suo sguardo, si limitò a corrucciarsi, imprimendo al suo giovane volto una serietà che non si addiceva alla visione di quella leggera commedia. Era ancora arrabbiata con lui per prima. Mika sospirò, riconoscendo quanto avesse ragione.
Delle volte si sentiva patetico quando, senza neanche accorgersene, dava inizio a una di quelle sue scenate che si concludevano spesso con una battuta dal sapore decisamente tragico. Era una tendenza famigliare che in lui si esasperava all’inverosimile. Era semplicemente troppo ed era qualcosa che lo spingeva a distruggersi.
 

 
Ricordò un giorno in cui piangeva senza poter smettere e piangeva così forte da respirare a fatica e, piangendo, serrava fra le dita un desiderio aberrante perché aveva scorto un po’ di quella donna – di quel mostro – in sua madre.
Aveva immaginato di stringere con brutalità le mani attorno al collo vizzo di quella vecchia. Non si era posto domande: nulla era più giusto. Non aveva avuto la forza di inorridirsi di se stesso.
Aveva pianto le lacrime di mille notti e aveva sognato di non essere mai nato.

 
 
Era stato uno dei suoi giorni più bui. Lo rammentava avvolto nelle fiamme oniriche e nelle colonne brumose di un incubo.
«Il dito!» la voce dell’uomo in completo color panna lo destò dai suoi pensieri «Non tenere quel dito in aria così, è da zio secondo te?» fece all’uomo al suo fianco, intento a girare il tè con un cucchiaino.
«Si alza da solo» ribatté, incurante l’altro, scatenando qualche risatina. Le labbra del ragazzo s’incurvarono.
«Uno zio uomo si muove così? Eh sì, eh!» chiese, retorico, accennando ai suoi modi femminei. «Cominciamo a virilizzarlo un pochino questo zio, proviamo!»
La scena che seguì lo fece ridere di gusto, insieme al resto della sua famiglia. La risata di sua nonna lo stupì profondamente. Sul suo volto non poteva notare neanche una vena di disgusto o disprezzo.
«Ma questa è la sorella di John Wayne!» sospirò, rassegnato l’uomo di nome Baldi. Una nuova risata venne fuori dalle labbra dei presenti. Lasciando l’ombra di un sorriso sui loro volti che si affievolì al suono del “frocio” rivolto ad Albain.
Perfino l’espressione di sua nonna divenne più cupa, nonostante avesse visto più volte quella parola fuoriuscire dalla sua bocca, seppur non nei suoi confronti.
La prontezza dell’uomo in completo nel difendere il suo compagno gli riscaldò il cuore e espressioni colorate affiorarono sui volti di tutti i presenti. Mika le osservò, affascinato e felice, per qualche strano motivo.
 

 
Forse era l’impressione di non essere difettoso, come aveva creduto.
Forse l’idea che non ci fosse più giudizio.
Ché quei sentimenti li capivano tutti.
 

Un nuovo scroscio d’ilarità lo trascinò in una risata di pura gioia. Nulla aveva a che vedere con il film, quanto piuttosto con quella sensazione di essere compresi, giusti.
Si spogliò dell’armatura: non ne avrebbe usata altra che non fosse la sua pelle, neanche al cospetto di sua nonna.
Nacque per la seconda volta, nudo e vulnerabile, con una risata invece che un pianto, una scelta cosciente e la volontà di essere visibile. Accettarsi era stata la sua conquista in quei pochi secondi. Faceva mille passi verso se stesso e uno verso gli altri.
Non c’era modo di fingere oltre, di spegnersi ancora. Ma non poteva ancora avere il coraggio di rendersi del tutto vulnerabile, seppure autentico. Non aveva ancora la forza per parlarne, ma si promise che lo avrebbe fatto.
Si rivolse a sua nonna, alla sua famiglia, a se stesso.

 
 “Sono più di quello che sai.
Non mi vedi ora, ma mi vedrai.
Non sono invisibile”.






 
Note: Ciao a tutti!
Allora grazie di aver letto, recensito, messo fra le seguite e le preferite la storia. Grazie mille!
Ora, per me è stato davvero difficilie scrivere questo capitolo perché non sono riuscita a trovare informazioni chiare sulla nonna di Mika. Non che io volessi sapere la sua vita, ma mi chiedevo più che altro se si trattasse della nonna materna o paterna, dove abiti, generalmente. Dato che non ho trovato nulla, ho lasciato la storia in un ambientazione molto vaga, fin troppo forse. Fatemi sapere se vi è piaciuta. Inoltre ho dato per scontato che fosse quella materna, perchè davanti quest'ultima aveva detto di non baciare o toccare in qualche modo il compagno.
"Ti serve un solo superpotere" è una cosa che la madre realmente gli diceva. Mika lo disse in una delle interviste a Che tempo che fa. Ho immaginato che fosse diventato quasi un motto.
De Il vizietto parlò in Casamika, ma anche nella press conference di cui vi metto il link per chi volesse vederla. L'ispirazione per il capitolo si trova al minuto 27:20 circa. Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=3uUWJ8qITS0

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se non sono troppo convinta del risultato e se si sia capito il senso... Ho parecchi dubbi, ma vabbè :)
Ci si legge, alla prossima!
Bacioni :*


P.S. Le ultime tre frasi e il titolo sono riprese da una canzone degli U2 che stavo ascoltando e ho pensato ci stesse troppo ;)
   
 
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