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Autore: Itzi    06/11/2018    13 recensioni
[STORIA INTERATTIVA -ISCRIZIONI CHIUSE]
Il ragazzo si appoggiò alla vetrina, studiandosi le unghie corte con finta noncuranza. «Perché, abbiamo cose di cui preoccuparci?»
            «I nostri cari vecinos avranno di nuovo fatto casino…Ottanta anni fa se ne sono usciti con quella cosa degli imperatori; abbiamo avuto le comunicazioni bloccate per mesi, un incubo!» Gesticolò con una mano, ritirando i soldi che gli aveva poggiato vicino alla cassa «Convivenza civile un cazzo. Entro la fine di questo secolo finirò per prendere qualcuno a calci in culo, me lo sento!»
           «Uuh, quindi… Siamo di fronte a uno scontro tra Pantheon ? Ma davvero?»
*****
«Non è stata colpa mia.» Da come Olivia lo guardò, dedusse che non era per nulla credibile.
            «Allora perché sei scappato?»
         «Perché tutti saltano alle conclusioni! Senti, ieri sera, è successo qualcosa.» Si avvicinò leggermente allo schermo, con fare furtivo, quasi avesse paura di essere ascoltato. «Qualcosa che la Casa non può più ignorare.»
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Ecate, Gli Dèi, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III
THE EMPRESS
 
 
Quella mattina Callum, diciassette anni di vita da un po’ di mesi, era arrivato alla conclusione che il Ritalin non gli serviva a nulla se non fargli marcire il fegato. Secondo il foglietto illustrativo – e le rassicurazioni del suo medico – quelle pasticchette grandi come tic-tac avrebbero dovuto attenuare la sua narcolessia, stimolare il suo sistema nervoso centrale, e già che c’erano dare anche una mano per l’ ADHD.
            Il problema era che, qualsiasi fosse stato il principio attivo presente lì dentro, non funzionava. Si era rotto un braccio la settimana scorsa, perché mentre era in groppa a un pegaso si era addormentato, precipitando nel vuoto per tre lunghissimi secondi. Durante le lezioni di spada, a volte, non riusciva a tenere gli occhi aperti finendo per farsi colpire e riempire di lividi così grossi che neanche l’ambrosia riusciva a far sparire subito. E anche quella mattina si era ritrovato con il bacon spiaccicato sulla faccia, mentre si rialzava ancora confuso dopo il suo ultimo attacco di sonno. Non era rimasto quasi più nessuno, e le arpie stavano già facendo pulizia ingurgitando i resti del pasto. La guancia gli era rimasta unta per almeno mezza giornata.
            Preso dallo sconforto, una volta ritornato in cabina, aveva afferrato la confezione mandando giù una decina di pillole, una dopo l’altra. Una parte del suo cervello, in un minimo momento di lucidità, gli ricordò che forse morire di overdose non era esattamente un gesto eroico degno di lui. Poi l’avventatezza ebbe la meglio – del resto era dislessico e iperattivo, non poteva mica prestare troppa attenzione a un pensiero come quello -  e Callum si era ritrovato a trascinare i piedi sul vialetto che conduceva al campo delle canoe, lo stomaco pieno di medicine.
            La mattinata era passata pigramente, nonostante l’agitazione generale per la Caccia alla Bandiera di quella sera: nessuno era stato davvero attento, e un gran numero di semidei era intento a confabulare tra loro, stringendo alleanze e discutendo ipotetici piani di battaglia. La casa di Ares si era divertita a terrorizzare il suo vicinato sfoggiando un nuovo carro da guerra rosso cupo con i cerchioni di metallo e degli speroni grandi quanto una mano, affilati e lucenti.
            «Quella cosa è la tamarrata più orrenda che io abbia visto in tutta la mia vita.» Aveva bisbigliato una figlia di Afrodite, scrutando il carro con gli occhi socchiusi.
            «Hai ragione sorellina, è semplicemente inguardabile. Spuntoni così non c’erano nemmeno ai tempi del Punk 77.»
            «Ah! Sempre a lamentarvi voi, dolcezze, vediamo se sarete così anche stasera!»
            Lorina Caeli, della casa di Eris, era balzata tra i due dopo aver corso tra i campi di basket, in un turbinio di capelli castani e fasce svolazzanti. Teneva una spada al fianco, legata blandamente alla sua cintura.
            «Chirone non autorizzerà mai l’uso di quella roba per la Caccia alla Bandiera.»
            «Peccato l’abbia già fatto.» Lorina aveva sogghignato, già entusiasta all’idea. «Quindi a dopo. Ah, comunque, bei pantaloni Jennifer!» Aveva aggiunto prima di andarsene, tirando una pacca nemmeno troppo discreta sul sedere dell’altra, che era sobbalzata con un urletto.
            Callum l’aveva guardata prima di incrociare il suo sguardo; la mora aveva inarcato le sopracciglia in un gesto eloquente e poi si era dileguata, probabilmente per andare a importunare qualcun altro. Amava troppo Lorina, quella ragazza lo faceva scassare, e poi era l’unica che fomentava il suo incessante bisogno di essere al centro dell’attenzione. Di solito se ne andava in giro con una benda su un occhio e un mantello rosso davvero scenico, urlando al mondo quanto fosse forte e fiera e pronta a squartare qualsiasi cosa si fosse messa in mezzo al suo cammino. Formavano la coppia di semidei più melodrammatica e teatrale di sempre, probabilmente al pari del divino Apollo e del divino Hermes nelle sue giornate migliori.
            I problemi erano arrivati all’ora di pranzo. Callum si era disposto al suo posto, tra la fila della casa di Hypno e quella di Ecate, mantenendosi a una certa distanza essendo l’unico rappresentante della sua Cabina. I figli di Fobetore non erano tantissimi – giusto un paio, e tutti più piccoli di lui – ma durante l’inverno rimaneva da solo, cosa abbastanza deprimente di per sé.
            «È mai possibile che dobbiamo sempre aspettare mezz’ora prima di entrare, anche quando siamo così pochi?»
            Dietro di lui, Maria aveva sbuffato appena, ondeggiando da un piede all’altro. Avevano fatto qualche passo in avanti, mentre la casa di Ermes si sistemava nel padiglione, e poi era semplicemente collassato, sotto lo sguardo attonito dei presenti.
   
            «Tu sei davvero un deficiente.»
            La ragazza che era china su di lui socchiuse gli occhi, aspettando probabilmente una qualche risposta da parte sua. Aveva provato a legarsi i capelli neri in un codino, ma essendo troppo corti, continuavano a sfuggire dall’elastico, incorniciandole il viso tondo.
            «Maria?»
            La guardò in faccia perplesso, faceva fatica persino a mettere a fuoco quello che aveva davanti al naso. Si sfregò gli occhi con i palmi, reprimendo uno sbadiglio. La schiena gli faceva malissimo.
            «Che ci fai qui?»
            «Cosa ci faccio qui? Mi sei svenuto davanti agli occhi prima di pranzo, senza preavviso. Pensavo avessi avuto un altro attacco di narcolessia, ma non ti muovevi. Tobias era sicuro stessi avendo una crisi epilettica. »
            Infossò le mani nelle tasche della felpa e alzò le spalle, anche se la sua tensione era palese.
            Callum sospirò. Non era un tipo che si preoccupava particolarmente della sua salute, lo trovava stancante e controproducente, ma, ecco, se la dislessia gli aveva dato noia solo pochissime volte, la narcolessia si divertiva a sconvolgergli il mondo ogni volta che chiudeva gli occhi. Trovava la cosa abbastanza stressante.
            «Come stai?»
            «Da schifo.»
            «Ah, allora come al solito.» Maria gli pungolò il braccio con un gomito, mentre si sistemava seduto su uno dei letti dell’infermeria. «Se non ti conoscessi così bene, direi che l’hai fatto apposta. Sai, per essere al centro dell’attenzione e tutto il resto, razza di megalomane.»
            «Potrei aver ingerito metà confezione di Ritalin questa mattina.» Disse, strofinandosi il viso. Guardò Maria tra le fessure delle sue dita, nascondendo un sorrisetto mentre lei lo guardava sconvolta.
            «Ma sei scemo in testa?»
            «Duecento grammi al giorno non mi fanno nulla, passo più temo a dormire che altro!» Si lamentò, sistemandosi la spallina della felpa che indossava, e che continuava imperterrita a scivolargli lungo il braccio. «Sono stanco di addormentarmi d’ovunque e svegliarmi pieno di botte o con del bacon in fronte.»
            «Non puoi ingerire medicinali come se fossero caramelle!» Sottolineò la figlia di Ecate, alzando gli occhi al cielo come se stesse parlando a un bambino. «E adesso come facciamo senza di te stasera? Abbiamo un’intera ala scoperta. Emma rimarrà da sola.»
            Callum storse la bocca. Aveva la bocca secca.
            «C’è Lorina, quindi non mi preoccuperei più di tanto. Ma ora sto meglio, perciò non tagliarmi automaticamente fuori.»
            «Ah, non è lei a tagliarti fuori, ma io.»
            Tobias picchiettò le dita contro il legno degli infissi della porta, scrutandolo come se non sapesse decidersi se prenderlo a sberle, o dargli delle pacche di incoraggiamento sulla spalla. Alla fine entrò nella stanza, incrociando le braccia.
            «Sai una cosa? In effetti non è davvero successo nulla di che. Certo, hai avuto un mezzo collasso, ma credo sia perché non hai mangiato quasi nulla questa mattina. Ma tutto il Ritalin che hai preso è sparito, non ne è rimasto un grammo nel tuo corpo. Smaltito, completamente.»
            «…Quindi posso…»
            «No.»
            «Ma dai!»
            Maria scosse la testa: non era entusiasta di perdere uno dei suoi alleati migliori, ma capiva anche le preoccupazioni di Tobias, che sicuramente erano molto più valide del suo personale desiderio di disintegrare la casa di Ares a suon di incantesimi.
            Callum si era imbronciato, corrucciando le sopracciglia scure in un’unica linea arrabbiata. Sembrava che avesse scelto i vestiti al buio, perché l’arancione sbiadito della sua maglietta spariva sotto il verde lime della felpa enorme che indossava, piena di scritte sbaffate fatte con l’indelebile, borchie, perline e spille di band ormai cadute nel dimenticatoio.
            «Non voglio rimanere in infermeria!»
            «Neanche io ti voglio in mezzo ai piedi, grazie tante. Perciò rimettiti le scarpe ed esci, non ho nulla in contrario… Ma la Caccia alla Bandiera no, almeno per stasera. Potresti avere una ricaduta di qualsiasi tipo, o un attacco di narcolessia durante uno scontro, il bisogno di vomitare. E, davvero, per oggi ne ho avuto abbastanza, quindi per una volta fa’ come ti dico.»
            Il biondo sbuffò teatralmente, scivolando giù dal letto e recuperando le sue scarpe completamente rosse, giusto per rendere il suo outfit ancora più scoordinato a livello cromatico.
            «A Lorina non piacerà assolutamente questa cosa.»
            «Lorina se ne farà una ragione.» Rispose a tono Tobias, sfoggiando il suo miglior tono autoritario, quello con cui convinceva i più piccoli dei suoi fratelli a mangiare le verdure. «E poi sarà troppo impegnata a cercare di rubare e guidare il nuovo carro da guerra della casa di Ares.»
            «Che cosa?! Non è vero!» Protestò il biondo, arricciando le labbra in un segno che preludeva una lamentela coi fiocchi. Non riuscì a parlare però, perché proprio in quel momento ci fu una scossa.
            Il terreno aveva vibrato solo per un istante, e il ragazzo pensò di esserselo immaginato. Ingoiò a vuoto prestando maggiore attenzione; l’aria era diventata elettrica e densa, pesante come un macigno.
            La scossa successiva fu più violenta, le terra ribollì e gemette, come un animale sofferente. L’infermeria cigolò sulle proprie fondamenta.
            «Un terremoto…?» Azzardò Tobias, incredulo, sgranando gli occhi chiari. Accanto a lui, Maria si irrigidì, boccheggiando come se le avessero tolto l’aria dai polmoni.
            «L’Atena Parthenos!» Gridò, e poi si precipitò fuori, verso la mensa, spaventata. Callum la seguì, balzando giù dai gradini del portico, e raggiungendo i tavoli in pietra.
            Un cospicuo gruppetto di semidei si era radunato nel padiglione, e si agitava al ritmo di sussurri e frasi biascicate. Qualcuno aveva sguainato spade, lance e archi; qualcun altro era corso ad avvertire Chirone. Dalla mezzaluna principale di cabine, i ragazzi riempirono i portici, volgendo la loro attenzione all’ingresso del campo.
            La statua sembrava illesa, contornata dal solito baluginio dorato, leggermente più flebile rispetto al solito perché ormai, con l’inverno alle porte, gran parte dei semidei era tornata a casa o aveva lasciato il campo.
            «Sembra tutto a posto…» Maria strinse le labbra mentre continuava a fissare la dea. Era sbiancata, e il sudore le scivolava sulla fronte. «Eppure, ero sicura che…» Si zittì. L’intera cabina di Ecate aveva avuto una reazione più o meno simile. Peleo, il loro drago da guardia, continuava a girare intorno ai piedi della statua, nervoso, spalancando le grosse ali e rendendosi visibile anche da lì.
            «Si può sapere che sta succedendo?» Chiese Callum, avvicinandosi all’amica per cercare di cogliere qualche dettaglio in più.
            «Non lo so!» Fece lei sbrigativa. «Dov’è Chirone?»
            La folla si agitò e il mormorio diventò più forte, mentre il nome del centauro serpeggiava di bocca in bocca. Quando l’uomo apparve, accompagnato da un corteo di ninfee e satiri agitatissimi, calò il silenzio più assoluto.
            Si voltò a guardare la statua, e gli occhi scuri percorsero in silenzio i confini della valle, come se fosse in grado, in questo modo, di percepire qualsiasi stranezza. In groppa teneva una bimba, che si divertiva a passare le dita lì dove il manto diventava più rado per lasciare spazio alla pelle. La maglietta del campo le faceva da vestito, e portava una collanina di cuoio con un’unica perlina di terracotta.
            «Abbiamo un problema con l’ Atena Parthenos.»
            Maria si fece avanti, affiancando il vecchio centauro, già stufa di quell’aria pesante che sembrava opprimerle il petto. «O meglio, penso sia così.»
            «Già, è vero. Abbiamo sentito delle scosse…» I ragazzi della cabina di Ecate si smossero dal loro silenzio, iniziando a parlarsi uno sopra l’altro.
            «E la magia che circonda il campo… Per un attimo è stato come se fosse svanita!»
            «I confini magici, la Foschia… Potremmo essere visibili ai mortali, ora...»
            Una simile eventualità non era nemmeno lontanamente immaginabile, per Callum, e solo l’idea che un gruppo di contadini varcasse la soglia del loro campo, magari attratti dagli immensi campi di fragole, lo faceva sentire strano. Lo stomaco si contorse su sé stesso e il sangue gli si rimescolò nelle vene… No, una cosa così non poteva davvero succedere.
            «Ma la statua è normale, o no?» Azzardò qualcuno.
            «Non c’è nulla che non va!»
            «I confini magici funzionano ancora!»
            In un secondo, il brusio generale riempì l’aria, e Chirone fu costretto a battere gli zoccoli sul selciato per farsi ascoltare.
            «Semidei!» Chiamò, e l’ordine tornò tra le fila agitate di adolescenti. «Non sappiamo di preciso che cosa sia successo, ma è impossibile negare che non sia stato nulla. Pattuglieremo i confini per capire se, effettivamente, la Foschia sia stata intaccata o meno, anche se sono molto dubbioso, e agiremo di conseguenza. Nel frattempo, vi chiedo di riprendere le vostre attività. E no… » Il centauro assottigliò gli occhi prevedendo già la domanda della casa di Afrodite. «La Caccia alla Bandiera non sarà rimandata.»
            Delle proteste si levarono dalla cabina Dieci, ma ben presto si mescolarono al chiacchiericcio concitato del resto del campo. Mentre la folla si disperdeva, Callum afferrò per un gomito Maria. Tobias si era allontanato, raggiungendo i suoi fratelli, ma anche da lì gli aveva scoccato un’occhiata nervosa, scuotendo appena la testa.
            «E quindi?»
            «Quindi nulla. Qualcuno ci ha rotto la statua.»
 
 
 
La Discordia lo fissò imbronciata da sopra il suo carro. In realtà, essendo a rovescio, il ghigno che le tirava le labbra dipinte assomigliava di più a una smorfia di orrore. I capelli erano acconciati in trecce arrotolate sulla nuca, e le ali si piegavano seguendo il bordo della carta e circondando il numero romano in rilievo.
            VII. Il Carro.
            Forza, disciplina, indipendenza. La dea lo intimoriva un po’ con addosso l’armatura scura, ma lo sguardo ambrato – quasi tagliente – gli ricordava Marte, e la severità con cui lo scolpivano nella roccia.
            Accanto c’era Trivia. Sullo sfondo della sua carta si riusciva a distinguere un incrocio, e un cartello che indicava tre direzioni differenti. Il resto, era coperto da una voluminosa massa di capelli biondi, ricci fitti e crespi che incorniciavano un viso a cuore e due occhi scuri come la notte.
            I. Il Mago.
            Desiderio, magia, aspettativa. Da qualsiasi angolazione la guardasse, la dea sembrava seguirlo con lo sguardo, un sorriso appena accennato sulle labbra carnose. Sentiva le dita formicolare, sussurri appena accennati che gli solleticavano le orecchie. Qualsiasi cosa avesse voluto iniziare, sembrava il momento adatto per farlo.
            Infine, Egeria, anche lei a rovescio. La ninfa, moglie del re Numa Pompilio, stava al centro, tenendo una mano alzata. Alle sue spalle, due colonne dai capitelli elaborati facevano da sfondo, segregandola all’ingresso di quello che sembrava essere un tempio.
            V. Il Papa.
            Lealtà, vocazione, sacralità. Non usciva molto spesso durante le sue stese, eppure aveva sempre trovato curiosa la scelta di utilizzare quella figurina per uno degli Arcani Maggiori, protagonista di una leggenda quasi da tutti dimenticata. Aveva pianto la morte del marito così a lungo che, alla fine, aveva creato una vera e propria fonte che le era diventata sacra. Non una delle storie più tragiche che erano in circolazione, certo, eppure c’era un velo di malinconia negli occhi chiari che lo guardavano, ancora arrossati dalle lacrime.
            Ekanta osservò la sua ultima stesa coprendosi la bocca con una mano, la schiena incurvata: era tutta la mattina che continuava a pescare le stesse, identiche carte. E dal momento che non riusciva a coglierne il collegamento, la cosa stava diventando ridicola, poco produttiva, e profondamente esasperante.
            Due carte su tre a rovescio: non era per nulla un buon segno, e fino a qui nulla di difficile. Ma che cosa c’entrava la perdita di fede del Papa, con l’inizio di un viaggio del Mago?
            No, stava decisamente sbagliando qualcosa. Le figure sulle carte non gli stavano dando nessuna mano, nonostante replicassero quasi fedelmente lo stesso simbolismo dei Tarocchi Marsigliesi.
            Trivia era in mezzo, come se l’idea stessa di trovarsi ai margini di un’ipotetica scelta fosse innaturale. Era chiaro che la questione girasse attorno a lei, più come archetipo che come significato convenzionale.
            Per la Discordia ed Egeria, invece, probabilmente era l’opposto. Entrambe a rovescio, entrambe con una connotazione negativa. Perdita di sacralità, squilibrio… E poi cosa ancora? Da quell’angolazione, i cavalli scuri che trainavano il carro del settimo Arcano si inarcavano sofferenti in posizioni opposte, come se, nonostante tutto, non riuscissero ad avanzare.
            Stallo. Sconfitta. Abulia. Passività.
            «Oh…»
             Ekanta rabbrividì, scosso da una vertigine, nel momento esatto in cui intuì quello che le carte stavano cercando di dirgli. Trivia rimase silenziosa, ma la Discordia gli trasmetteva agitazione anche da lì.
            Si passò una mano tra i capelli bianchi: le bimbe di Nuova Roma si erano divertite a fargli le treccine quel giorno, perciò le sue unghie si incastrarono tra le perline e i fermagli a forma di margherita.
            «Questo non va bene. Non va assolutamente bene.»
            Raccolse frettolosamente le carte, riponendole nella tasca posteriore dei jeans, insieme al resto degli Arcani Minori. Leggeva i Tarocchi da una vita, eppure ci aveva messo così tanto – troppo – tempo per interpretarne i segni; più del solito, più di quando era un ragazzino e sapeva a malapena riconoscere una carta dall’altra. L’innaturale silenzio delle figure gli era subito risultato strano ma adesso… Oh, se anche solo la metà delle sue preoccupazioni si fosse avverata, non aveva idea di che cosa sarebbe successo! Non riusciva nemmeno a figurarsi un’ipotetica prospettiva, per quanto assurda… Eppure sapeva fin troppo bene quanto la sfortuna lo amasse, specialmente in quei casi.
            Stava correndo verso il Senato quando, nell’aria, uno squillo di trombe concitato mise in allerta l’intera città. Ekanta si sentì schiacciare sotto il peso dell’aria, che sembrava essersi fatta più densa ed elettrica. Imboccò la strada che portava al campo militare, mentre i veterani si mobilitavano: un gruppo abbastanza sostanzioso si era già radunato davanti ai negozi, disponendosi in file ordinate e armate fino al collo. Sorpassò gruppi di mercanti, bancarelle piene di cibo, cerchi di mani ancora intrecciate e giochi interrotti da parte dei più piccoli. Una bambina gli venne addosso urtandogli le gambe, e per non travolgerla si ritrovò ad annaspare in avanti, nel vuoto, finendo per cadere di schiena battendo la testa.
            «Porca…»
            Si tastò la nuca e quando ritrasse le dita le trovò integre, senza nessuna traccia di sangue. Il punto in cui era caduto però gli pulsava abbastanza da lasciarlo stordito e col fiato corto; si rialzò a fatica e zoppicò verso la sua meta.
            Era al Campo da quasi cinque anni, eppure restava sempre stupito dall’efficienza delle truppe romane. Tutte e cinque le Coorti erano ben schierate fuori dal perimetro, con il Piccolo Tevere a separarle dal tunnel di ingresso. Le catapulte erano già cariche, gli arcieri con gli archi tesi, la cavalleria serrata in ranghi ordinati. I lari si aggiravano tra le fila sussurrando e agitando le loro armi spettrali, fomentando l’irrequietezza generale.
            «Sei in ritardo…!» Louise non lo guardò nemmeno, ma si premurò di linciarlo a parole, stringendo le dita pallide attorno alla sua lancia. Si era cotonata i capelli e li aveva legati in due piccoli chignon bassi ai lati della testa, diventando la copia più violenta e taciturna di Pucca.
            «Che sta succedendo?»
            «Mostri, forse. Non si sa.» Una smorfia increspò il viso della ragazza. «Le guardie sono rientrate di corsa, sconvolte.»
            «Hai visto Crystal?»
            «No, non è ancora arrivata…» La mora lo guardò con la coda dell’occhio, intimandogli di rimanere al suo posto e di tirare fuori al più presto la propria spada. Ekanta la ignorò completamente, cercando l’amica tra le prime fila.
            Al centro, con un mantello rosso cupo drappeggiato sulle spalle, c’era solamente il Pretore Adams: la sua figura spiccava solida sul carro da guerra, mentre l’armatura dorata seguiva le linee morbide della sua muscolatura. I cavalli sbuffarono, agitando le code, in attesa che il nemico si mostrasse.
            Era il ritratto del romano perfetto, ma Ekanta sapeva che era solo apparenza, che dietro quel viso impassibile non si nascondeva nemmeno la metà dell’autorevolezza e del controllo che Crystal aveva sui suoi compagni.
            Certo, non avrebbe mai insinuato una cosa del genere davanti al diretto interessato – era pur sempre un suo superiore, oltre che un portento con la spada – ma, quando Crystal arrivò trafelata dal Foro, non gli sfuggì il sollievo generale da parte dei soldati. Schizzò via dalla Quinta Coorte per raggiungerla, con lo sguardo ghiacciato di Louise sulla schiena.
            Crystal era armata solo di una spada. Aveva il viso arrossato per la corsa e la maglietta del Campo Giove aveva il colletto sporco di cioccolata. Si tirò su le maniche della letterman jacket che indossava, probabilmente per sembrare un minimo più ordinata, nonostante si fosse presentata in guerra in jeans e Vans consumate.
            «Dov’è il problema..?» La ragazza scandagliò la zona confusa, gli occhi blu che fremevano sul paesaggio. «Non c’è nessuno qui.» Constatò.
            Malcom spostò il proprio peso sul carro, e i cavalli si innervosirono un poco.
            «Le guardie all’ingresso…»
            «Pretore Wolff!»
            «Pretore!»
            «Abbiamo un problema!»
            I due ragazzini avevano la testa nascosta dall’elmo, e le magliette sotto l’armatura fradice di sudore. Ekanta stentava a credere che dei semplici mostri di passaggio potessero creare così tanto scompiglio da mobilitare l’intero esercito; eppure le guardie erano ceree in volto in maniera preoccupante.
            «Ci sono… Ci hanno visti lì fuori e…» Iniziò il primo dei due, balbettando.
            «Hanno fermato le macchine e non capivamo, però alla fine sono arrivati…!»
            «Ci hanno parlato!» Urlò il secondo, che a causa degli occhi lucidi non si capiva se fosse incredulo oppure sull’orlo di un attacco di panico.
            «Hanno detto che ci avrebbero portato via per interrogarci! L’autostrada è bloccata ora!»
            In un crescendo di disperazione e lacrime, iniziarono a parlarsi uno sopra l’altro. Malcom strinse le labbra in un chiaro segno di disprezzo. Crystal allungò titubante le mani sulle loro spalle, cercando di farli calmare e ricevere qualche spiegazione meno confusa.  
            «Chi sta arrivando, esattamente?»
            «La polizia mortale!»
            Silenzio.
            Ekanta smise di respirare per un istante lunghissimo, sentì il corpo cedere e la tasca dei pantaloni bruciare. Il Mago lo investì di energia, annebbiandogli la mente, lasciandolo boccheggiante e confuso. Il mondo gli era, definitivamente, caduto addosso.
            «Che cazzo state dicendo!» Malcom urlò sconvolto, scendendo dal suo carro e attirando l’attenzione di tutte le Coorti. Sulla fronte gli si era ingrossata una vena che continuava a pulsare sempre più forte, minacciando di scoppiare da un momento all’altro.  «I mortali non possono vedere l’ingresso del Campo, è protetto dalla Foschia.»
            Il figlio di Marte continuò a studiare con  freddezza i due soldati, avvicinandosi e provocando il panico generale; era talmente furioso che anche i lari sparirono dalla sua vista, timorosi per la propria incolumità.
            «Non stiamo mentendo!»
            Un’altra smorfia. «Non ho detto questo.»
            «D’accordo, una cosa per volta.» Si intromise Crystal, cercando di mantenere l’ordine, nonostante anche lei fosse abbastanza scossa. Le mani non la smettevano di tremare. «I mortali hanno trovato l’ingresso, avete fatto bene a rientrare ed avvertire.»
            «Hanno lasciato il tunnel scoperto.»
            «Non importa.» Crystal gli lanciò un’occhiata intimandogli di non ribattere più del necessario; non lì, non con trecento ragazzi armati per la guerra completamente nel panico. «Comunque sia, anche se dovessero attraversarlo, probabilmente tornerebbero indietro: la Foschia che circonda il Piccolo Tevere è più potente di quella all’ingresso, li lascerà abbastanza spaesati da farli tornare indietro.»
            «Nessun mortale ha mai messo piede qui dentro.» Malcom si chinò verso la ragazza, serrando le parole tra i denti per non farsi sentire. «Hai idea di quanto disastrosa sarebbe la cosa, se succedesse?»
            «Lo so, ma che cosa dobbiamo fare altrimenti? Non possiamo combatterli, Malcom, e nemmeno esporci più di così!» Replicò Crystal, sull’orlo di una crisi di nervi.
            Nel frattempo, le ultime linee avevano iniziato ad agitarsi con più veemenza, rompendo i ranghi e richiamando l’attenzione generale. Ekanta strizzò gli occhi cercando di mettere a fuoco, ma tra la botta alla testa, il ginocchio gonfio e la nausea, la sua vista rimase appannata. Poi, davanti a lui, il Centurione della Seconda Coorte, Koori Hoshita, collassò al suolo ferendosi con la punta della propria lancia.
            «Koori!» I compagni lo soccorsero all’istante, tirandolo a forza su per le braccia; il ragazzo si lamentò, tastandosi a tentoni la spalla sanguinante, per poi puntare blandamente i piedi a terra alla ricerca di un sostegno.
            «Cosa succede ancora?»
            «I legionari stanno svenendo!» urlò qualcuno dalle retrovie, in risposta. Koori biascicò qualcosa, buttò gli occhi all’indietro e perse conoscenza.
            «È la Foschia! Crys!» Ekanta la scosse per una spalla. Gli fischiavano le orecchie. «Non c’è più nulla a proteggerci. La magia è completamente sparita!»
            La ragazza sgranò gli occhi, scuotendo la testa in diniego, mentre le pupille le si dilatavano dal terrore. Le mani le tremavano tantissimo, ora.
            «No…»
            Il rumore dei passi e delle sirene all’ingresso coprì qualsiasi cosa avesse voluto aggiungere, facendo calare un silenzio assordante. Il primo gruppo di poliziotti incespicò sull’erba, mentre giravano la testa osservando sconvolti l’acquedotto che attraversava Nova Roma. Poi si girarono verso di loro, e nell’esatto momento in cui gli sguardi si incrociarono, Ekanta sentì il sangue gelarsi nelle vene. Crystal esalò la poca aria che le era rimasta nei polmoni.
            «Miei dei.»
 
 
 
Blanca guardò i nuovi arrivati sistemare le poche cose che avevano attorno a uno dei letti della propria cabina. Erano in quattro, due ragazzi e due ragazze, con delle facce anonime dagli occhi blu e i capelli acconciati con cura.
            «Quello non ti conviene metterlo lì.» Disse a un ragazzo in maglietta rossa. «Primo, perché il telefono amplifica la nostra aurea, e i mostri se ne accorgono subito. Secondo, sei nella Cabina di Ermes, se esci di qui stai sicuro che non lo ritrovi più.»
            «E dove lo dovrei mettere, scusa?» Le rispose acido, tirando fuori dallo zainetto un caricatore. Lo attaccò alla spina del comodino e lasciò il telefono in carica.
            Blanca sospirò. Quella giornata era stata troppo stressante per i suoi gusti, tra presunti attacchi epilettici, strani terremoti e nuovi semidei. Era da pranzo che l’aria era tesa, e l’agitazione cominciava a crescere ogni minuto che passava, anche se Chirone sosteneva il contrario. Il solo fatto che continuasse a passare per il padiglione centrale però, osservando scrupolosamente tutte le Cabine, la diceva lunga sulle sue vere preoccupazioni.
            I novizi avevano alleggerito un po’ l’atmosfera quel pomeriggio, e tutti si erano premurati di scarrozzarli da ogni parte del Campo, riempendogli la testa di nozioni probabilmente scioccanti e mettendogli in mano delle spade.
            Lei era lì da pochi anni, ma di gente che andava e veniva l’aveva vista a bizzeffe: iniziavano da indeterminati ma la cosa non durava mai troppo a lungo, il riconoscimento non tardava quasi mai. Poi c’erano gli allenamenti, l’addestramento, le spedizioni congiunte con il Campo Giove; e quella gente che non sapeva nemmeno allacciarsi l’armatura, da un giorno all’altro era in prima fila brandendo una lancia e reclamando vittoria.
            Da un certo punto di vista, la cosa la rendeva orgogliosa, dall’altro le faceva venire ansia, specialmente quando i più piccoli la guardavano tirare con l’arco o scalare la parete per le arrampicate senza nessuna fatica. Era in quei momenti che realizzava quanto fosse vecchia e che, effettivamente, era considerata alla stregua di una veterana. Chirone le aveva proposto di tenere un corso tutto suo – anche qualcosa di poco impegnativo, come delle lezioni di greco – ma lei si era categoricamente rifiutata. Pensare di poter insegnare a qualcuno le sembrava impossibile, si sentiva così inadeguata in quel ruolo, vista la mole di cose che lei per prima ignorava.
            Nonostante questo, sapeva come era un novellino tipico del Campo: alcuni erano particolarmente dotati e riuscivano bene in alcune cose fin da subito, altri dovevano sputarci sangue, e altri ancora si dimostravano selettivi fin dall’inizio, preferendo fare solo quello a cui si sentivano più affini. Lasciar parlare l’istinto era la cosa migliore da fare, ma non era mai capitato che qualcuno fallisse miseramente tutte le attività che gli venivano proposte.
            Il talento non c’entrava nulla, e ci stava che il primo giorno non riuscissero a tendere bene la corda dell’arco, o stare ritti con le spade in mano, però a tutto c’era un limite. Sembrava quasi che le armi li rigettassero, per quanto del bronzo celeste potesse ribellarsi di sua spontanea volontà. Aveva provato a parlarci, dando anche diversi consigli, ma ogni volta, quando si trattava di mettere in pratica quanto detto, quei ragazzi sembravano scordarsi ogni cosa, come se la loro mente non riuscisse a processare tutte le informazioni. E quando succedeva così, tornavano sempre ai campi di fragole.
            Blanca non capiva assolutamente questa ossessione per le fragole del Signor D, ma i ragazzi ripetevano la solita cantilena ogni volta, come dei dischi rotti, e dubitava ne fossero coscienti. Li vedeva spaesati, poco lucidi, e la cosa aveva cominciato ad inquietarla. E non era l’unica ad averlo notato.
            Uscirono al suono del corno per la cena. Gli altri ragazzi di Ermes si erano già radunati ai piedi del portico, mancavano solo loro e il capo Cabina, che probabilmente stava ultimando le preparazioni per la Caccia alla Bandiera di quella sera. Blanca si raccolse i capelli in una coda alta, aprendo la fila dei non riconosciuti: era così impegnata a cercare di domare anche i ciuffi più corti, che si accorse solo dopo qualche minuto di quello che stava succedendo.
            Maria era in piedi davanti alla porta della sua Cabina, le braccia rigidamente conserte, mentre i suoi fratelli e le sue sorelle si erano disposti al suo fianco: ragazzi dai capelli tinti, piercing brillanti e trucco scuro, tesi come corde di violino pronte a spezzarsi. Tennero gli occhi fissi sul gruppo, senza mai perderli di vista, le bocche serrate. Vicino a Maria, un tipo con i capelli grigi e gli occhi truccati di viola smise di battere le palpebre.
            Blanca ci mise un po’ per rendersi conto di quello che stava davvero succedendo, perché era semplicemente ridicolo, nonostante fosse al corrente delle stranezze della casa di Ecate. Tutti i semidei si erano radunati fuori, e nessuno aveva il coraggio di parlare; l’aria era diventata irrespirabile, la sensazione che qualcosa di orribile fosse appena successo le scuoteva le ossa.
            «…Dovremmo andare a mangiare.»
            Emma Stevens, della casa di Hypno, strinse nervosamente la mano della sua sorellina più piccola, mentre si girava verso Maria. Era minuta per la sua età, con un grande giubbotto militare nero che le calzava largo sopra la salopette di jeans e la maglia del Campo. Accanto a lei, Callum fece una smorfia, assottigliando gli occhi verso di loro.
            Maria risposte con un grugnito ma non si mosse dalla sua posizione. I neofiti, che avrebbero dovuto sentirsi a disagio, o perlomeno reagire in qualche modo, si limitarono a prestare attenzione solo per qualche istante: Blanca vide i loro lineamenti spezzarsi e gli occhi scivolare nell’incoscienza, come pesci in un fiume.
            I figli di Ecate sussultarono, stringendosi tra loro, mentre tutto il Campo assisteva a quella bizzarra gara di sguardi. La ragazza più vicina a Blanca si voltò, con la confusione dipinta in viso, l’espressione di chi non ha la minima idea di dove si trovi o di che cosa abbia fatto.
            «Questa scenata è durata fin troppo, e io ho fame!»
            Lorina si fece largo a spintoni tra la folla, sogghignando verso i quattro ragazzi. In occasione della Caccia alla Bandiera si era messa una benda per l’occhio rossa, con ricami dorati che riprendessero il suo mantello. Ora la teneva sul sinistro, ma Blanca giurava di averla vista, quella mattina, con il destro coperto.
            Avanzò senza dire più nulla, e sfoderò la spada così velocemente che nessuno ebbe il tempo di fermarla. La lama tracciò un arco nell’aria, preciso e mortale, andando ad abbattersi contro il collo del ragazzo del cellulare.
            Urla, strilli.
            Il Bronzo Celeste affondò nel corpo, senza lasciare nessuna traccia al suo passaggio.
 
 
 
Crystal si sfregò l’interno del polso con il pollice, sovrappensiero. Aveva controllato l’ora pochi minuti prima, ma era così distratta che quando arrivò il dolore si morse per sbaglio le labbra, sobbalzando per la sorpresa.
            L’undicesima riga pulsò per qualche istante, mangiandosi un altro pezzetto di pelle e unendosi alle altre del suo tatuaggio. Il fulmine di Giove, alla cima, sembrava ancora più cupo, per quanto lo potesse essere una saetta marchiata sul proprio corpo.
            Undici, che numero sbagliato.
            Sospirò sconsolata, rimirando per un attimo l’ultima riga: probabilmente era solo la sua immaginazione, ma le pareva che fosse leggermente distaccata del resto, come a sottolineare il fatto che Ah! Era rimasta incastrata.
            Era arrivata al Campo a tredici anni, adesso ne aveva ventiquattro e il suo unico desiderio era poter lasciar perdere il suo posto da Pretore, i combattimenti e qualsiasi cosa centrasse con l’Olimpo nei limiti del possibile. Quella mattina doveva essere l’ultima della sua carriera militare, l’ultima prima del suo tanto agognato congedo… E invece erano arrivati i mortali e, beh, lei aveva dovuto abbandonare in fretta e furia la festa a sorpresa dei suoi amici, oltre che a far slittare la riunione in Senato.
            Il tempo, tra una crisi e un’altra, era completamente volato, ed ecco che, ora, si trovava ad iniziare il suo undicesimo anno di servizio.
            «Si potrebbe fare una riunione straordinaria, così non saresti costretta a rimanere un altro anno.»
            Ekanta era seduto ai piedi delle gradinate del Senato, attualmente vuoto, e rimescolava senza entusiasmo il suo mazzo di carte. Aveva i pantaloni strappati sulle ginocchia e la maglia viola sporca di terra ed erba, probabilmente a causa di qualche caduta. Si erano persi di vista per un bel po’ dopo la comparsa della polizia mortale e, quando era tornato, l’albino zoppicava vistosamente. Non le aveva detto niente e lei non aveva fatto domande al riguardo.
            «No, va bene così. In fondo me lo aspettavo, sai? Sarebbe stato troppo bello altrimenti.» Sospirò. «Porterò a termine ancora quest’anno. Magari è un segno. Destino.»
            «Un Destino veramente di merda…» Borbottò l’altro, girando con cautela la prima delle carte che aveva posato per terra. Crystal scorse una torre, ma non fece in tempo a sporgersi per osservare meglio che Ekanta, incredulo, la rigirò, la raccolse, e ricominciò a mescolare da capo come se nulla fosse.
            «Hai notizie dall’altro Campo?»
            «Io e Malcom abbiamo parlato con il responsabile prima, Chirone.» Ovviamente il nome non produsse nulla più che un paio di sopracciglia aggrottate da parte del ragazzo, non che si aspettasse diversamente, Ekanta non aveva mai avuto occasione di incontrare i Greci, a differenza sua.
            «E quindi?»
            «Non so molto, ma a quanto pare hanno avuto il nostro stesso problema con i mortali, anche se in forma più contenuta. Hanno chiesto di parlare, questa sera, per vedere di cosa si tratta.»
            «Quindi è per questo che mi hai trascinato qui?» Alzò leggermente gli occhi, accennando un sorriso. «Pensavo volessi cedermi il posto.»
            «Vuoi diventare Pretore? Ti ci vedrei meglio come Augure…»
            «Assolutamente no.» Rispose perentorio, facendo cadere lì la questione. Crystal rise vedendolo imbronciarsi e mugugnare alle sue carte.
            In realtà, non era poi un’idea campata per aria. Ekanta possedeva una sensibilità davvero fine e uno spiccato intuito, che molto spesso nemmeno i figli di Trivia dimostravano nei confronti della magia. Quando, sul campo, le aveva detto che nessuna barriera li proteggeva dal mondo esterno, non aveva nemmeno dubitato delle sue parole. E adesso, nonostante fosse con il capo chino concentrato a leggere la sua stesa, Crystal sapeva che stava irrimediabilmente speculando su tutto quello che era successo.
            Controllò l’orologio ancora una volta, ormai era solo questione di minuti.
            «Ci siamo quasi.»
            Mentre aspettavano, comparve sulla soglia Koori Hoshita, con una vistosa fasciatura trasversale che gli teneva ben ferma la spalla e i capelli molto più corti. Non sapeva bene come fosse successo, ma a quanto pare il giovane figlio di Trivia aveva avuto qualche problema con i leoni dell’arena, rimediando uno squarcio sulla testa che era stato chiuso con una serie infinita di punti.
            «Vieni pure.» Con un cenno, lo invitò ad entrare. «Malcom mi ha detto che ti sei ripreso.»
            «Adesso sto abbastanza bene, si.» Gli occhi scuri indugiarono nella stanza leggermente inquieti. Ekanta si lasciò sfuggire uno sbuffo esasperato mentre pescava un’altra carta e la sistemava in mezzo alle altre. Alzò gli occhi un attimo verso il ragazzo, per poi cercare di concentrarsi, di nuovo, su quello che stava facendo.
            «Mi fa piacere… Almeno una notizia positiva. Avere la Seconda Coorte con il morale sotto le scarpe è l’ultima delle mie priorità.» Commentò incrociando le braccia.
            L’attesa si prolungò per qualche minuto. Alla fine, Ekanta si arrese, lasciò cadere il suo mazzo per terra e osservò le carte sparpagliarsi sul pavimento, prima di raccoglierle e metterle via. Era palesemente frustrato, ma Crystal non avrebbe saputo dire se fosse per qualcosa che aveva letto o, al contrario, non aveva letto.
            L’aria si increspò con un lieve crepitio, lasciando intravedere lo scorcio di un paesaggio placido, con le colline coperte da boschi e il mare che si allungava dalla parte opposta; più l’immagine si faceva nitida, più cose riusciva a distinguere, come lo scintillio dorato di una statua in lontananza e un sentiero che si inerpicava tra i tronchi per poi sparire nella vegetazione.
            Era uno strano modo di comunicare ma, lo ammise, parecchio efficace. I due ragazzi le si avvicinarono e si posizionarono ordinatamente ai suoi lati, facendo attenzione a rimanere leggermente indietro: probabilmente non ci avevano neanche pensato, ma Crystal sorrise, notando come la disciplina ferrea con cui erano stati tirati su si manifestasse comunque nella loro quotidianità.
            La scena si spostò in fretta, avanzando verso il Campo Mezzosangue, mettendone a fuoco gli edifici frettolosamente, con un’urgenza che non riuscì a capire finché un paio di occhi grigi non riempirono tutta l’inquadratura.
            «Pronto…? Oh, aspetta, Ed!» la ragazza greca si voltò, mettendo in mostra i capelli neri. «Spostalo più lontano… A sinistra. Sinistra ho detto! È la mano con cui lanci i tuoi incantesimi di trasformazione.»
            L’immagine traballò un po’, in sottofondo c’erano urla e schiamazzi che si facevano sempre più rumorosi.
            «Perfetto ci siamo!» La ragazza mora sorrise, ora ben visibile. Aveva i capelli neri e un taglio sanguinante che le attraversava le labbra di sbieco, anche se sembrava non preoccuparsene affatto.
            «Chi di voi è il Pretore?»
            «Io. Crystal Wolff, è un piacere conoscerti.»
            «Ah, anche per me figurati. Chirone mi ha chiesto di chiamarvi di persona per spiegarvi al meglio la situazione… Avrei voluto farlo prima ma eravamo impegnati.» Fece una smorfia, guardandosi di nuovo alle spalle. «Ad ogni modo, sono Maria, capocabina della Casa di Ecate.»
            Doveva trovarsi nel padiglione della mensa, a giudicare da tutto il chiasso che le copriva la voce. Tentò di andare avanti ma, alle sue spalle, una ragazza con una benda su un occhio e una bandiera legata sulla fronte, in perfetto stile samurai, strillò: «Apollo fa schifo!»
            «Che cavolo succede?» sussurrò Ekanta, cercando di seguire lo scambio di battute in sottofondo. La bruna urlò ancora, seguita da altri compagni.
            «Abbiamo vinto la Caccia alla Bandiera, stiamo aspettando Chirone per il verdetto.» Disse Maria, cercando di salvare la connessione. «Lori, taci o ti faccio ingoiare un pavone nel sonno!»
            «Era mi ha detto la stessa identica cosa una volta, eppure sono ancora qua!» Urlò quella di rimando, per poi girarsi di nuovo «Ares merdaaa!».
            Maria alzò gli occhi al cielo, mentre dietro di lei si formava un coretto di “Ares merda!” con tanto di saltelli a tempo.
            «Il giorno in cui Zeus la fulminerà riderò un sacco.» Commentò. «Comunque tornando a noi. Non so quali problemi abbiate avuto, ma questa mattina tutte le difese magiche del nostro Campo sono svanite e la Foschia non è stata in grado di nasconderci agli occhi dei mortali.»
            Crystal strinse le labbra, sovrappensiero.
            «La stessa cosa è successa qui. I mortali si sono accorti dell’ingresso e delle nostre guardie. Hanno bloccato l’autostrada al traffico e… Si, insomma, sono entrati. Hanno visto tutto.»
            Maria sgranò gli occhi anche se non sembrava particolarmente sorpresa. «Vai avanti.»
            «Un delirio. Eravamo pronti per una battaglia ma siamo rimasti completamente spiazzati. L’Oro Imperiale non può ferire un mortale, ovviamente, perciò non sapevamo cosa fare. Hanno provato ad attraversare il Piccolo Tevere ma, nonostante non ci fosse nulla ad ostacolarsi, erano molto confusi, spesso finivano per guardarsi intorno e basta.»
            «Beh, non li puoi biasimare. Abbiamo un acquedotto che si snoda per cinque chilometri all’interno di una collina, fai conto.» Commentò Ekanta.
            «La situazione è peggiorata all’istante, Terminus era sconvolto e ha cominciato a urlare, dicendo che la città era completamente scoperta. I poliziotti avevano occupato tutto l’ingresso quindi ci siamo ritrovati bloccati. Braccati tra le nostre stesse mura.»
            Crystal si scoprì essere ancora scossa dalla cosa. Non aveva mai provato un tale senso di impotenza in tutta la sua vita.
            «Beh, se può consolarti, almeno voi vi siete accorti di avere dei mortali in giro per il Campo, noi no. Uno dei nostri satiri ha trovato questo gruppetto di ragazzi che vagavano vicino all’ingresso, li abbiamo portati dentro e ci è voluta Lorina per capire che non erano poi così tanto semidivini.» Indicò con un cenno la ragazza con la benda, che con molta grazia stava mostrando il dito medio alla squadra rivale, in bilico sopra due tavoli.
            «Il punto è, che Foschia o non Foschia, qui sta succedendo qualcosa di grosso. E preoccupante. Quando gli incantesimi attorno alla valle sono scomparsi lo abbiamo sentito tutti, è stato come se…»
            «…Come se un elastico si fosse rotto.» Terminò per lei Koori. «Tutta la magia si è riversata nell’aria, e ci ha stordito, lasciandoci inermi.»
            «Esatto!» Maria annuì con vigore. «Siamo tutti confusi. Uno dei miei fratelli è rimasto in catalessi per ore, prima di riprendersi.»
            «Se le cose stanno così, è ovvio che non possiamo rimanere con le mani in mano. Ma non possiamo nemmeno lanciarci verso l’ignoto.»
            «Forse Chirone può aiutarci. Può parlare con il Signor D., scoprire cosa cavolo sta succedendo.»
            Crystal incrociò le braccia. «È una buona idea. Anche noi chiederemo a Terminus, controlleremo i libri Sibillini, non sia mai che capiti una profezia, uno di questi giorni.»
            «Non la chiamare.» Borbottò Ekanta al suo fianco.
            «Quindi è deciso. Riferirò il tutto a Chirone, probabilmente sarà meglio rimanere in contatto.» L’immagine tremolò, dissipandosi nell’aria. «A presto!»
 
 




 
- THE EMPRESS - 

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 DIRITTO
            L'imperatrice abbraccia la sua bellezza interiore e la sua natura gentile, permettendole di prosperare nel mondo che la circonda.
             Ora è il momento di coltivare le tue relazioni, coltivando attentamente la tua connessione con gli altri.

ROVESCIO
            L'imperatrice dà fino a quando non è rimasto nulla per sé, lasciando dietro di sé un guscio vuoto.
Non sacrificarti per il bene degli altri.
             Non possono restituire ciò che hanno preso.






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(Signori e Signore, la mia vita in un'immagine.
Ringrazio Bungdog per questo <3 )


Questo capitolo mi ha mangiato l’anima, lo giuro. È stato scritto e riscritto, cancellato, odiato, amato… Alla fine l’ho finito. Qui, sul tavolo pieno di briciole della cucina del mio appartamento, mentre sono impegnata a guardare I Medici con la mia coinquilina nerd tanto quanto me.
            Si sta rivelando una puntata piena di gente ciclata, incomprensioni e presagi di morte. Io intanto sono troppo presa a guardare quanto bello è  Francesco Pazzi e sclerare su Botticelli e Simonetta, come la brava ragazza che sono.
            È tardissimo, perciò rimando di qualche giorno tutta la parte sull’intestazione, immagini e cose varie. Lo so che è fastidioso, ma ho tardato fin troppo, perciò voglio lasciarvi al capitolo, sperando che vi piaccia e che non abbia deluso le vostre aspettative.
            Comunque, ho avuto l’occasione di incontrare qualcuno di voi a Lucca, sono stata veramente felice di avervi conosciuto di persona! Siete davvero carinissimi <3 Volevo ringraziarvi per tutto il sostegno e l’interessamento che avete dimostrato nei miei confronti! Mi impegnerò al massimo per il prossimo capitolo, che non tarderà come questo!
            Per il momento è tutto, di solito inizio a scrivere questo spazio con un sacco di cose da dire, ma alla fine non concludo nulla.
            Ve se ama, un bacio!
            Itzi.
 
AH, DIMENTICAVO. BUNGDOG HA DISEGNATO QUESTA COSA, E IO NON RIESCO AD ESPRIMERE UN COMMENTO PIÙ COMPLESSO DI “AAAAAAAAAH!!!”
(Riuscite a riconoscerli tutti? ;D) (Se qualcun altro di voi è in vena di creare altro, per favore lo faccia, non sapevo di aver bisogno di tutto questo.) 
 


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