German fissava
il quadro nel corridoio, stralunato.
All’uomo non
era mai andato giù il modo in cui quelle foglie oscuravano la luce del sole, né
come rami e tronchi fossero di quel nero pece che infondeva infinita tristezza
nell'animo.
Divenne
furioso. La noia lo aveva assillato per tutta la mattina senza dargli tregua ed
ora gli sembrava che quel dipinto volesse farsi beffe di lui, per nessuna
ragione in particolare.
Maledetto
rettangolo!
Conscio
dell'assenza della moglie, l’uomo lo afferrò ai lati, intenzionato a staccarlo
dalla parete. Ma quando tirò, il quadro non si smosse; l'oggetto rimase a
burlarlo dal centro del corridoio spoglio.
Lui cercò
allora di farlo ruotare, sperando che si sganciasse in qualche modo. Impiegò
tutta l'energia in suo possesso, digrignando i denti e facendosi sbiancare le
nocche a furia di stringere. Quindi fece un passo indietro.
Finalmente.
Il quadro si
era spostato.
German guardò
compiaciuto i propri bicipiti gonfi, benedicendo le ore di palestra che li
avevano prodotti. Intanto piantò saldamente i piedi al pavimento, senza neanche
sapere perché.
Poi riprese il
lavoro. Inserì a fatica le dita tra la cornice e il muro e tirò di lato. Mentre
la faccia gli diventava rosso pomodoro per lo sforzo, sentì il quadro che
ruotava ancora.
Ce la stava
facendo. Vinceva.
L’uomo si
allontanò dalla parete, succhiandosi via il sangue dalle dita, e si rese conto
di star sudando. Corse ad aprire la finestra in fondo al corridoio e ritornò al
quadro, senza domandarsi come mai gli fosse così difficile percorrere la via
inversa. L'adrenalina dovuta a quella sfida lo distraeva da tutto il resto.
Ora la
composizione di tronchi e foglie lo osservava di sbieco, inclinata di circa 35
gradi rispetto al pavimento. Pareva mostrare un ghigno sghembo, la qual cosa non
ebbe altro effetto che di aumentare la sua rabbia.
Piegandosi
inconsciamente sulle gambe per contrastare la forza invisibile che agiva sul
suo corpo, German riprese a spingere. Senza saperlo, aveva appena preso la
peggior decisione della propria vita.
Quando l’opera
d’arte superò la pendenza di mezzo angolo retto, lui fu costretto ad aggrapparvisi
saldamente per non precipitare: i suoi piedi si sollevarono da terra, attirati
verso il muro opposto.
Perfino adesso,
l’uomo insisté a spingere e tirare, sperando di inclinare il quadro ancora quel
tanto da poterlo poi staccare dalla parete; un comportamento da sciocco.
Fu un errore
fatale. Il suo ultimo errore.
Con un estremo
strattone, la cornice divenne perfettamente orizzontale. All’istante, le gambe
dell’uomo fecero lo stesso. Ora i suoi polpastrelli si reggevano al bordo
sinistro del dipinto, l’unico appiglio a impedire la caduta, ma l'attrazione in
verso contrario era troppo intensa. Sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Non resistette
più di tre secondi prima di perdere il contatto con il legno. Le sue dita viscose
di sangue scivolarono via dalla cornice e German si ritrovò a percorrere il
lungo corridoio in volo.
Il suo corpo
teso acquistò velocità. L’uomo fece appena in tempo a muovere la testa per
vedere dove stava andando, prima di raggiungere la parete opposta ed essere proiettato
fuori dalla finestra aperta, dritto contro il marciapiede di cemento.
In quei
frangenti, fu la devastazione totale. Intere sezioni dell’edificio crollarono
in cumuli di calcestruzzo e intonaco che si sparpagliarono in ogni dove.
Condutture di gas e acqua si ruppero come cannucce di vetro, disperdendo il
loro contenuto. I ratti fuggirono dagli antri bui in cerca di un luogo sicuro
dove ripararsi e rimasero schiacciati a loro volta.
Solo il quadro
restò muto e inamovibile, quasi a proprio agio, in tutto questo. Un osservatore
imparziale. L’unico oggetto nel disordine a mantenere la propria stabilità;
l’unico ad essere ancora dritto, nell’obliquità della casa.
Fine