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Autore: Tenar80    08/11/2018    1 recensioni
Di Victor, che deve fare i conti con la realtà
Di Yuuri, che deve fare i conti con Victor
Di Otabek, che deve fare i conti con i propri desideri
Di Yuri, che pretende che tutti che facciano i conti con lui.
Di quello che accade dopo l'ultima immagine della serie, della difficoltà di ancorare le fiabe alla realtà. Una realtà che abbonda di elementi disturbanti quali omofobia, doping, accenni a molestie e ad abuso d'alcool, ma in cui c'è ancora spazio per la tenerezza.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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Otabek si guardò le mani sporche.

    Non ci poteva credere. Si era fatto una sega nel bagno dell’uomo che lo aveva terrorizzato più di chiunque altro al mondo. Peggio. Nel bagno della donna che era in grado di terrorizzare l’uomo che lo aveva terrorizzato. Ma, d’altro canto, dall’altra parte del muro Yuri dormiva a torso scoperto, in quanto offeso per la sua battuta sulla casacca del pigiama. E questa era la migliore alternativa che era riuscito a trovare al saltargli addosso. Che poi era il suo piano originario. Lo scopo per cui era venuto a San Pietroburgo. Solo che Yuri, lo Yuri reale che alle dieci di sera già dormiva con un gatto tra i capelli, non era quello di cui Otabek si era invaghito.

    Lo Yuri da cui Otabek era rimasto ipnotizzato era un ragazzo che aveva seguito sui social, spiandone la crescita, ammirandone le esibizioni, leggendo le dichiarazioni pubbliche. Un ragazzo bellissimo e sfrontato, con il fisico di un ballerino e la determinazione di un soldato. E, aveva immaginato il kazako, con la stessa innocenza di un soldato gettato nella battaglia fin dall’infanzia. Viveva fuori casa da che aveva dieci o undici anni. Si allenava con Popovic, che aveva una media di tre fidanzate a stagione e con Victor, che si era fatto metà del mondo del pattinaggio, sia maschile che femminile. Per dirla con la finezza di Martha, l’articolo era interessante e di certo aveva già ricevuto delle offerte. Nulla nel suo atteggiamento lasciava presupporre che non le avesse anche accettate. Otabek aveva pregato in tutte le quattro lingue in cui sapeva farlo che non fosse stato con Victor. Prima dell’inizio della stagione era girato uno speciale sulla pista di San Pietroburgo in cui si vedevano i due atleti ridere insieme a bordo pista. Era stata quella scena a fargli decidere che, costasse quel che costasse, in quella stagione avrebbe fatto in modo di gareggiare con Yuri e di parlargli. Prima che quel maledetto russo con i suoi cinque ori mondiali allungasse le zampacce. Era già abbastanza terribile dover essere confrontato al Victor pattinatore, i commenti dei giornalisti al mondiale dell’anno precedente erano stati impietosi, certo non voleva dover reggere il confronto con Victor come amante. Quando aveva saputo che Nikiforov se ne era andato in Giappone aveva gridato di gioia, nel salotto di casa sua, tra lo sconcerto generale. Nulla lo aveva preparato alla totale inesperienza di Yuri in campo affettivo. Non erano quelle le regole d’ingaggio per cui aveva firmato. Era come essersi imbarcato sul volo sbagliato ed essersi trovato da tutt’altra parte del mondo, con un bagaglio del tutto inadeguato.

    Otabek non era mai stato la prima volta di nessuno. Né aveva mai corteggiato qualcuno che non si fosse mai innamorato. Aveva frequentato il liceo un anno negli Stati Uniti e poi in Canada. Era partito dal Kazakistan che era un bambino e si era trovato circondato da adolescenti. Adolescenti occidentali disinibiti. Per quanto non integralista, la sua famiglia era mussulmana e frequentava per lo più altre famiglie mussulmane, aveva studiato fino ad allora in una scuola privata non confessionale, ma ispirata a principi in cui si suoi genitori potevano riconoscersi. In cui, tanto per dire, era impossibile trovarsi a giocare a pallavolo in squadre miste, con le ragazze in divise minimal che lasciano bel poco all’immaginazione. Loro, le ragazze, invece, lasciavano espliciti commenti su quello che stava sotto le divise dei ragazzi, che coprivano un poco di più, ma evidentemente non abbastanza. Invitavano alle feste. Cacciavano la lingua in bocca. Se sembravano innocenti e studiose si rivelavano poi come Martha, capaci di discutere di orgasmi con la stessa disinvoltura con cui le sue cugine parlavano di abiti per i matrimoni.

    Dopo le mani, Otabek si lavò anche la faccia.

    Non sono le regole d’ingaggio per cui ho firmato, pensò.

    Perché non si trattava solo di inesperienza, Yuri aveva una sorta di rifiuto per ogni coinvolgimento sentimentale. Il kazako ci aveva messo un pomeriggio intero a pilotare con cura le conversazioni, tra una seduta di streaching e una sfida alla play station, per altro clamorosamente persa, per indagarne l’origine. Il risultato di tale scientifica analisi era evidente. Nella vita di Yuri non c’era una singola esperienza di relazione affettiva positiva. Il nonno? Vedovo. I genitori? Non pervenuti. Morti o spariti, Otabek non ne aveva idea. L’allenatore, dio, sostituto famigliare? Divorziato. Situazione al momento incerta con la ex moglie, ma comunque non un esempio di rapporto felice. I compagni di allenamento? Mila, quella più vicina a un’amica, malmenata almeno una volta da un ex fidanzato. Otabek non l’avrebbe mai detto, ma, del resto, non lo si può mai dire, in quei casi. Georgi? Caduto in depressione dopo essere stato mollato per la milleunesima volta. Victor? Con una vita sentimentale talmente disordinata alle spalle che ci si sarebbe potuto scrivere non un romanzo, ma una saga di romanzi. Scommesse aperte sulla durata della sua attuale storia. Che voglia poteva avere di lasciarsi andare uno che aveva quel genere di esperienza? Nella storia più felice di cui avesse sentito parlare, lei era morta. Nessun lieto fine in vista.

     Non si trattava di battere la concorrenza. Non si trattava neppure di sedurre un’anima candida. Si trattava di abbattere una fortificazione eretta contro il mondo intero. Yuri non era un ingenuo. Nessuno che avesse avuto la sua vita poteva esserlo. Sapeva di essere bello e che il mondo era pieno di persone, di ambo i sessi, che avevano fatto dei pensieri su di lui. Gli aveva fatto leggere un imbarazzantissimo messaggio inviatogli da una fan che era una dichiarazioni d’intenti pornografica. Tutto quello che lei avrebbe voluto che lui le facesse, con una dovizia di particolari da far arrossire Otabek.

    – È di San Pietroburgo – aveva confidato. – Potrei davvero incontrarla. 

    – Beh, potrebbe essere divertente – aveva detto lui, a denti stretti.

    Yuri, però, aveva scosso il capo.

    – Non fa per me. E se poi si appiccicasse, come la ex di Victor, che continua a tampinarlo persino adesso? 

    Decisamente, quel ragazzo, per cui qualsiasi coinvolgimento sentimentale non faceva per lui non era la destinazione per cui si era imbarcato. Il problema era che la landa sconosciuta a cui era approdato era quanto di più seducente si potesse immaginare. Yuri non poteva essere una scopata occasionale con un bel ragazzo. Era qualcuno che non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi davvero, ma che concedeva a lui di dormire nella sua stessa camera. 

    Aprì la finestra, per ispirare l’aria gelida di gennaio.

    Lui non era innamorato di Yuri.

    Pensava solo ossessivamente a lui. Lo desiderava al punto, beh, di avere fatto quello che aveva appena fatto e allo stesso tempo sentiva di volerlo proteggere da tutto e da tutti.

    Non era per nulla quello che aveva provato per Marcus, ammesso che quello fosse stato amore. No. Quello che desiderava era essere guardato da Yuri come lui aveva guardato Marcus. Spiandolo da dietro a un libro con un misto di terrore e ammirazione. Attendendo con una trepidazione quasi simile al dolore il momento abituale in cui, dopo che aveva svolto un esercizio, il dottorando che gli dava ripetizioni si metteva dietro di lui, con le mani sulle sue spalle, per spiare da sopra alla sua testa. Tremando e sudando nell’istante in cui, dopo due mesi di lezioni serali, la testa di Marcus si era abbassata fino a sfiorare con le labbra il suo collo. Lui era rimasto del tutto immobile e il giovane aveva aumentato la pressione, fino a che era stata la lingua a sfiorare la pelle, e dal profondo del torace di Otabek era emerso un gemito del tutto incontrollato, segno del risveglio di una parte di se stesso che neppure aveva mai ammesso di avere. Quello che desiderava, comprese, era essere la persona che avrebbe portato Yuri a un simile cedimento. Lo voleva vedere accadere con le sue mani sulle spalle del ragazzo. Voleva essere il primo a guardare i suoi occhi, nel momento in cui il russo si fosse reso conto di essersi inoltrato in un territorio ignoto da cui non era più possibile arretrare.

    Questo però aveva delle conseguenze.

    Portare qualcuno nell’ignoto significava esporlo, renderlo vulnerabile. Non aveva mai pensato che Yuri potesse essere fragile. In nessuna accezione del termine. Aveva fatto il record mondiale alla sua prima finale seria, che diamine! Otabek era sbarcato a San Pietroburgo accettando la possibilità di tornarsene indietro con l’ego a pezzi, sbranato dalla tigre quindicenne. Ma, d’altro canto, neppure lui aveva pensato di essere fragile quando infine il viso di Marcus si era rialzato e lui si era trovato a fissare il suo sguardo castano e calmo, mentre le loro mani si intrecciavano. Non lo aveva pensato neppure quando per la prima volta si era trovato nudo di fronte a lui, con la luce del lampione che filtrava attraverso le veneziane della camera del giovane. Perché il sesso non era un problema, neppure quello che non avrebbe mai dovuto sperimentare. Perché lui affrontava tutto come se fosse una guerra e in guerra non ci sono tabù. Non lo aveva pensato fino alla sera in cui era andato con Martha al concerto, strano scambio di M, perché Marcus quella sera doveva terminare la stesura di un articolo importante. Articolo che, a quanto pareva, si scriveva con le labbra sulle labbra di un ragazzo biondo e slavato, proprio a quel concerto. E in quel momento Otabek aveva scoperto che forse non era debole, ma anche i soldati, quando vengono colpiti sanguinano. Che anche i soldati soffrono. Piangono abbracciati a un cuscino. Sbagliano i salti. Litigano con compagni di allenamento che sono, per altro, i figli del proprio allenatore. Si trovano a telefonare alla mamma dicendo di voler tornare a casa. Come un adolescente qualsiasi con il cuore spezzato per il naufragio della propria prima storia d’amore.

    Chi avrebbe potuto chiamare, Yuri, nella notte, se lui gli avesse spezzato il cuore? 

    Un cuore che nessuno aveva mai toccato è per sua stessa natura più fragile. Otabek non aveva idea di come andasse maneggiato. Di come disarmare l’artiglieria difensiva di Yuri senza accendere per errore una miccia e causare un’esplosione. Lui che, dopo Marcus, non aveva mai più avuto una storia. Non si era mai più neppure posto il problema di dover essere fedele, di meritarsi il reiterarsi di un affetto.

    Doveva essere una missione da incursore, la sua. La rapida, senza dubbio effimera, ma appagante, conquista di qualcosa di bellissimo. Si era trovato avviluppato dai cavi contorti di una bomba pulsante. Non era decisamente l’ingaggio per cui aveva firmato. Poteva districarsi e lasciarla inesplosa. Sarebbe arrivato qualcun altro, con più esperienza, in un momento più adatto e avrebbe cercato di portare a termine l’impresa. Di sicuro sarebbe arrivato qualcun altro. Forse, lasciando il campo libero, Otabek non si sarebbe fatto troppo male. Ma nessuno gli assicurava che quel qualcun altro tranciasse al giusto momento il giusto cavo.

    Ecco, forse il punto era quello. Se proprio era inevitabile rischiare che il cuore di Yuri si spezzasse, trascinando chiunque lo avesse fatto nell’esplosione, allora forse voleva essere lui a rischiare.

    Solo che non aveva la minima idea di come fare.
 

*

 

    Qualcosa era cambiato nell’aria. Un impercettibile alzarsi della temperatura. Un variare appena dell’umidità. Victor non aveva bisogno di guardare le nubi, invisibili nell’oscurità, per sapere che stava per nevicare. Lo sentiva dalla pressione dell’aria sul viso, dal suo sapore sulle labbra. Il freddo, in tutte le sue forme, era una delle poche cose di cui fosse competente.

    Richiamò Makkachin, che aveva approfittato del suo risveglio per una pipì fuori programma nel minuscolo rettangolo verde sul retro del condominio, e rientrò nel palazzo. Non era da lui non dormire prima di una gara. E neppure era stato uno dei risvegli ansiosi e pieni d’angoscia che erano diventati abituali prima della sua partenza per il Giappone. Era piuttosto la necessità di far ordine nei pensieri. Imprescindibile e forse necessaria ai fini della gara stessa. Lui, però, considerò mentre, entrato nell’appartamento, andava ad accendere il bollitore, ne capiva di freddo e di pattinaggio. A districarsi nella vita era un disastro e, dovendo da qualche parte iniziare a pensare, l’unica cosa su cui aveva voglia di soffermarsi era il sesso.

    Yakov aveva smesso da molto tempo di raccomandargli l’astinenza prima di una gara. Era un inutile spreco di fiato che non andava a incidere né sulle sue azioni né sui suoi risultati. Quindi Victor non aveva provato alcun senso di colpa, la sera precedente, nel prendersi il suo tempo per indagare con le proprie mani la schiena di Yuuri. Quello era ancora un territorio in fase di esplorazione, qualcosa a cui si erano dedicati da troppo poco tempo, troppo poco, tra una gara e un volo intercontinentale. E quindi le sue mani si erano mosse lente sulla schiena chiara di Yuuri, assaporandone a uno a uno i muscoli sottopelle. Non voleva che quell’esplorazione fosse percepita come un tentativo di invasione. Era piuttosto il lento procedere di un colono in un territorio che già ama, ma che deve ancora fare del tutto proprio. Non una conquista, ma un accasarsi. Yuuri era sdraiato sul letto, con la faccia appoggiata al cuscino. Dopo quello che aveva visto di lui, dopo quello che Victor aveva raccontato, se lo sarebbe aspettato teso. Ma non si può mentire al tatto e la rilassatezza dei muscoli di Yuuri parlava di una fiducia che lui sentiva di non meritare. Negli occhi di chi ci ama ci scopriamo migliori e per non deludere quello sguardo diventiamo migliori… Quella fiducia gli imponeva di esserne degno. Sarebbe andato avanti ore ad accarezzarlo piano, se Yuuri non si fosse girato di scatto, afferrandogli i polsi e ribaltando la posizione con un’autorevolezza che non permetteva obiezioni.

    – Se ti stiri un muscolo adesso Yakov mi ammazza – aveva detto, con un tono professionale e serio smentito dalle guance arrossate e dall’eccitazione evidente. – Quindi adesso stai giù, da bravo, e ti rilassi, senza pensare a niente.

    E, invece, Victor aveva continuato a pensare. 

    Mentre si incastravano nel letto come due pezzi di un puzzle, pensava che era difficile non credere che qualcuno non li avesse disegnati apposta così, uno più forte proprio dove l’altro era più debole, perché potessero combaciare. Pensava che poteva anche permettersi di essere debole, in quel momento, abbandonarsi al piacere che Yuuri gli regalava con la bocca e con le mani. Poteva permettersi anche di tremare. Non c’era alcun gioco di potere, nessuna record da conquistare o avversari da battere. Non sarebbe successo, ma poteva persino permettersi di fermalo, se non si fosse sentito a suo agio. Lui che era il più esperto, che aveva già fatto tutto con tutti, poteva arrogarsi con Yuuri persino un diritto alla timidezza, a cui aveva dovuto rinunciare troppo presto.

    L’acqua iniziò a bollire e, sospirando, Victor se ne versò una tazza. La sveglia sarebbe comunque suonata un’ora più tardi. Rimase un istante a guardare le bollicine formarsi lungo la parete di ceramica, incerto su quale bustina immergere. Lui e Yuuri erano un puzzle e nei puzzle non ha senso pensare a quale pezzo sia più forte. Bisogna solo trovare il giusto modo di farli combaciare. Victor conosceva solo il freddo e il pattinaggio. E su quegli ambiti, su quelli solamente, era suo il dovere di trovare il giusto incastro. L’unico perfetto per entrambi. Ammesso che esistesse.

    Cosa sei tornato per fare? Chiedeva Yakov.

    Era tornato per strappare a Yuuri il record? Allora, senza alcun dubbio, sistemarsi entrambi a San Pietroburgo, con Yakov come allenatore, era la scelta migliore. Yakov conosceva lui da… Quindici, sedici anni? E per niente Yuuri. Non era difficile immaginare con chi avrebbe fatto il lavoro migliore. Era davvero tornato per i record? Che comunque presto o tardi gli sarebbero stati strappati di nuovo? Che cosa poteva dargli, ancora, il pattinaggio, che potesse rimanere suo per sempre?

    Per cosa era tornato?

    

   
 
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