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Autore: Vale Sky    09/11/2018    0 recensioni
Un giorno come tanti che il destino trasforma in una drammatica attesa
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL BERRETTO
Mi sono nascosto in un angolo della casa. Oggi non c’è nessuno. Sono usciti tutti e sono rimasto solo. Capita. Sono abituato, mio malgrado. Ma oggi è un giorno particolare ed avrei preferito avere qualcuno a farmi compagnia. Anche solo per sentire due chiacchiere. Ascolto volentieri le conversazioni dei grandi. La sera li osservo, dall’angolo del divano, ed ascolto. Ed il tempo passa e quasi non mi accorgo. Talvolta mi addormento, dico la verità, ed è bello chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno quasi accarezzato dalle voci e dai rumori del dopo cena. Quando tutti sono intenti a sparecchiare od a sorbire il caffè. Ed a raccontarsi della giornata appena trascorsa. La sera è l’unico momento in cui la casa si ferma, ci si trova e si sta insieme. Ed io mi sento bene. Come se nulla mi mancasse e di niente avessi bisogno. Ma sopra ogni cosa sento l’amore. Come se fossimo tutti una cosa sola. Sento un legame vigoroso che ci unisce. Come biglie che vorticano in un imbuto. Alla fine, ci si trova uno accanto all’altro. Nel centro. Nella cucina. Ed il mio cuore vampa. Mio dio, dovrebbe sempre essere così!
Guardo il mio papà e non posso non pensare a quanto sono fortunato. A quanto ci vogliamo bene. Anche se non ce lo diciamo. Ma ci capiamo. A volte si siede accanto a me, mi appoggia delicatamente la mano sulla testa, si china e mi sussurra in un orecchio: “Il mio ragazzo!”. Ed io fremo di felicità.
Ma adesso c’è solo silenzio. E tristezza. Allungo lo sguardo attraverso il corridoio. Sopra la mensolina, proprio in prossimità della porta d’ingresso, è appoggiato il berretto di papà. Lo mette sempre prima di uscire. Alla mamma non piace. Dice che è vecchio e logoro. Anche se non capisco cosa vuol dire ‘logoro’, lo afferro mentre la mamma me lo porge lesta:” Prendilo tu, a lui non serve”. E via di corsa! E papà che cerca di acciuffarmi. E che risate. Papà ride forte. Così forte che le sue risate echeggiano per tutta la casa. Ora, invece, le stanze attendono in silenzio un qualcosa che riaccenda la vita. Una porta che sbatte o la televisione che cicaleccia annoiata. Qualsiasi cosa.
Papà è uscito dimenticando il berretto. Strano. Vederlo giacere dove non dovrebbe, mi infastidisce. Non so il perché. Mi decido. Mi alzo barcollando. Sono stato seduto in terra troppo tempo. Mi sgranchisco e raggiungo l’ingresso. Con un salto cerco di afferrare il berretto. Non comprendo appieno cosa mi spinga a volere quel maledetto berretto. Ma ci provo. Mi allungo più che posso ma non ci riesco. Il berretto rimane al suo posto. Ed io dal basso lo osservo. Ci riprovo! Tutto inutile. Rimango così, con il naso all’insù ed il berretto che sporge beffardo la sua tesa dal pensile, come ad invitarmi.
“È assurdo!”.
Vengo scrollato dai miei pensieri così repentinamente che ho l’impressione di essere atterrato dopo un lungo salto. Mi batte forte il cuore. Sul pianerottolo ci sono delle persone che si stanno avvicinando. Li sento parlare. Guardo la porta in attesa.
“È inutile, sono usciti tutti”. Riconosco la voce della signora gentile che abita in parte a noi. È sempre così premurosa che non posso fare a meno di gioire nel vederla.  Non manca mai di regalarmi qualche biscotto mentre la incrociamo nell’uscire. Ma ora è diverso. La sua voce è diversa. Sempre così calma ed accogliente, ora trema incerta. Quasi stridula. Sento qualcosa muoversi nella pancia. Un peso mi blocca il respiro e rimango immobile.
“Driiiiinnn”.
Stamattina papà ha dimenticato il berretto. Quel maledetto berretto che tanto vorrei avere alla portata per buttarlo. Stracciarlo. Mi sono appisolato poco dopo che tutti sono partiti. Ed ho aperto gli occhi, non potrei dire quanto dopo, con un forte malessere. Non vedevo più. Sgranavo gli occhi ma non riuscivo a vedere. Un‘ombra scura calava sulla vista una densa patina. Avevo l’impressione che qualcosa dentro di me stesse precipitando nel vuoto. Sentivo gli occhi umidi e caldi. Mai in vita mia avevo provato una sensazione così terribile. E neppure immaginavo potesse esistere. E come è venuta, come un eco lontana che si smorza, è scemata piano piano, lasciandomi questa tristezza. Non facevo che pensare alla mia famiglia. A quanto avrei voluto averli con me in quel momento. Finché non ho visto il berretto.
“Driiinnn”.
“È tutto inutile, le dico”. La voce della signora gentile. “Sono usciti tutti insieme. Che tragedia! Ma come è possibile?”
“Sono cose che purtroppo capitano”. Un uomo dalla voce ferma ma misurata. Come se stesse valutando attentamente ogni singola parola.
“Una famiglia intera, mio dio!”
“Signora, stia calma. Venga, andiamo a sederci”.
“Si, mi scusi. I bambini… Due fanciulli… Oh, mio dio!”
“Venga, signora, venga”, incalza l’uomo.
Il mio papà arriverà. Parlerà con la signora gentile che smetterà di piangere. E magari gli regalerà dei biscotti per me. La mamma farà cadere la borsa sul pavimento e correrà ad abbracciarmi. Ed andremo tutti in cucina. E papà mi si siederà a fianco. Come sempre.
“Un attimo, agente. In effetti qualcuno a casa è rimasto”.
“Come, scusi?”.
“Hanno… avevano un cane. La mattina viene a prenderlo il cognato di lei, quando sono via”.
“Lo avvisiamo subito. Ha per caso un numero con cui poterlo contattare?”.
“Si, certo”.
Sento le voci più lontane ed una porta che si chiude. E’ tornato il silenzio. Guardo il berretto. È in attesa anche lui. Mi siedo di fronte alla porta. Prima o poi la maniglia si muoverà.
Aspetto.
 
 
   
 
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