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Autore: pattydcm    11/11/2018    2 recensioni
“Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui”. Scopre, invece, che Sherlock ha collaborato con un team di giornalisti investigativi madrileni. Questi rivelano a John la verità sul ‘suicidio’ di Sherlock e lo invitano ad unirsi a loro per salvare il consulente investigativo dal pericolo nel quale si è cacciato. Verranno a galla verità sul passato di Sherlock, sui piani di Moriarty e sul rapporto tra i fratelli Holmes. Questa avventura vedrà crescere e consolidarsi il rapporto tra il dottore e il consulente investigativo, intenzionati a percorrere insieme il cammino che li porterà fino alla verità, sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buongiorno e buona domenica a tutti voi
È proprio vero che scrivere permette di imparare e ampliare la propria conoscenza. Per questo capitolo ho fatto non poche ricerche sulla matematica, la statistica e i vari principi che troverete citati. Non è stata una passeggiata, dal momento che non ho affatto una mente scientifica, però mi sono divertita e posso dire di aver imparato cose nuove e fatto un ripasso di quelle che avevo incontrato (con poca gioia) negli anni delle scuole superiori e qualcosa anche nel periodo dell’università.
Altra fonte di divertimento e puro piacere personale, è stata quella di introdurre nel testo un nutrito numero di citazioni dal canone. Queste citazioni le troverete nel dialogo portato avanti dal nuovo personaggio. Sì perché io, amici e vicini, all’alba del 31° capitolo, col traguardo che è lì pronto per essere raggiunto, introduco un nuovo personaggio. So essere adorabile, nevvero? Un personaggio che sono convinta capirete perché abbia deciso dovesse parlare in modo matematico e infilando una dietro l’altra le citazioni dello stesso Sherlock Holmes del nostro buon Doyle. Non le ho indicate in nota perché sono convinta che quelli di voi che, come me, conoscono a memoria i racconti che costituiscono il canone di Sir Doyle le riconosceranno.
Detto ciò vi lascio alla lettura, che spero sia anche stavolta di vostro gradimento.
A presto
Patty

Capitolo 31
Lui alzò lo sguardo e si perse nel Suo fragore così grande
 che gli sembrava di stare sul bordo di un abisso
(Patrick Ness)
 
<< Tira vento e piove… >>.
 
Il canto giunge da lontano. Porta con sè eco cavernose, sgocciolii sinistri, freddo che penetra le ossa.
C’è davvero il vento. Gelido. Fischia facendo accapponare la pelle.
C’è davvero la pioggia. Si sente l’incessante scrosciare di un acquazzone.
<< Chi sei? >> domanda Sherlock immerso nel buio. Non vede nulla in questa oscurità fitta e disorientante. Sente solo i rumori. Il canto. Il vento. La pioggia e il suo respiro affannato.
 
<< Sto ridendo e piangendo… >>.
 
Non c’è alcun pianto in questa voce e neppure nessuna risata. Sembra stanca, ma adorante. Come una mamma che canta una ninnananna al suo bambino mentre lo stringe al seno.
<< Dove sei? >> chiede e il panico diviene sempre più pressante.
Lontano compare uno spicchio di luce, come fosse stata aperta una porta. Guardingo, Sherlock cammina svelto verso quella luce calda e ondeggiante. La luce tipica del fuoco, che oscilla viva ai capricci delle fiamme che divorano il legno.
Si ferma appena vi arriva vicino. È davvero una ninnananna quella che sente. La donna che la canta ride piano ripetendo quelle strane parole.
Curioso tenta di sbirciare l’interno di quella stanza. Una grande ombra è disegnata sul pavimento. Ondeggia anche lei ai capricci delle fiamme. Sherlock col cuore in gola prende un profondo respiro e apre piano la porta. Scorge una donna di spalle, seduta sul tappeto davanti al caminetto. Sta davvero cullando un bambino. Dal suo punto di osservazione, ne scorge le gambe esili e i piedi scalzi.
La donna indossa una strana veste che la avvolge lasciandole scoperte le braccia. Dondola appena al ritmo del suo canto. Sherlock muove qualche passo verso di lei, ipnotizzato dal suo lento oscillare.
 
<< Tira vento e piove, Sherlock è scontento… >>.
 
Canta la donna e al sentirle pronunciare il suo nome si ferma del tutto, spaventato.
<< Chi… chi sei tu? >> le domanda e la donna per tutta risposta ride. << La tua voce… sei tu che mi hai detto quelle cose >> dice riconducendo il timbro vocale della donna a quello della voce che più volte gli ha consigliato di cedere alle avances di Moriarty.
La donna, però, non gli risponde. Torna a cullare il bambino mugugnando la canzoncina. Sherlock muove qualche passo inclinando la testa curioso. Percorre con lo sguardo le esili gambe della creatura che tiene tra le braccia e che scopre essere nuda. La donna, poi, non è coperta da una veste. È un lenzuolo bianco quello nel quale è avvolta. Il fuoco getta ombre scure e tremule sui due corpi. Non sono, però, tutte zone d’ombra quelle che vede. Sono lividi.
<< Oh >> trasale il consulente facendo un passo indietro. Lentamente la donna muove la testa verso di lui. Alza lo sguardo a incontrare il suo. Orbite vuote lo fissano come ospitassero occhi pronti a scrutarlo.
 
<< Sto ridendo e piangendo, Sherlock, sto morendo >>.
 
Sherlock balza a sedere. Si ritrova nel buio fitto, l’eco della strofa cantata da quella donna ancora nella testa. Dopo un attimo di smarrimento cerca a tentoni l’interruttore della lampada posta sul comodino e la accende.
Quel volto pesto dalle orbite oculari vuote gli compare dinanzi agli occhi facendolo gridare. È solo un’immagine, però. È solo nella stanza. La porta è ancora chiusa a chiave e lo schienale della sedia è inclinato sotto la maniglia, per garantire che nessuno possa entrare a disturbarlo.
Scosta le coperte e posa i piedi per terra. Quella nenia terrificante gli rimbomba ancora nella testa. Nell’incubo che ha avuto prima di quella folle cena, la stessa canzoncina la cantava Moriarty. Con l’unica differenza che lui gli indicava qualcuno che stava per morire, mentre quella donna gli ha detto che stava morendo.
“Perché mi dai il tormento?” chiede prendendo la testa tra le mani.
Il flash di una botola gli compare nella mente. Ha un ricordo vago di cosa si celi in quel buco scavato nello strato più profondo del suo Mind Palace. Sa di avercelo messo lui, ma non ne è pienamente consapevole. Benchè sia padrone della sua mente deve ammettere di possedere zone inconsce a lui poco chiare o addirittura sconosciute. Alcune le aveva intraviste nel breve percorso terapeutico fatto con Grey. Quella botola era tra queste. Scelse allora, però, di non aprirla.
È stato grazie a questo percorso che ha potuto organizzare le cantine del suo Mind Palace. Prima erano solo un luogo buio e freddo, ora, invece, sa cosa contengono. Quella botola, però, non gli è chiara e a dirla tutta non ha per nulla voglia di andarci.
Le orbite oculari vuote della donna gli si ripropongono agli occhi della mente e lui scuote la testa per scacciarli. La risata di Moriarty risuona nella sua testa facendolo trasalire. Alza la testa di scatto ritrovandosi sempre solo nella stanza. Tende l’orecchio ma non sente nulla al di là del fragore della cascata.
<< Questa storia deve finire! >> esclama colpendo il materasso con un pugno.
Si sdraia deciso a vederci chiaro. Congiunge le lunghe dita sotto il mento e chiude gli occhi, scivolando nel suo Mind Palace
 
***
 
Mistica ravviva il fuoco con l’attizzatoio, lo rimette nel suo sostegno e si stiracchia massaggiando la schiena indolenzita. Ha scambiato i connotati di quattro uomini nel giro di una mattinata, aggiornando il suo record personale.
Anthea dorme tranquilla. Da qualche ora il suo sonno non è più tormentato da incubi, cosa che la riempie di gioia e, intimamente, la porta a pensare che sia anche grazie alla sua presenza se il tormento personale della ragazza abbia avuto fine.
Nonostante la stanchezza, però, Mistica non ha sonno. Grey e nella stanza accanto con i due agenti dell’MI6, intenzionato a non perderli d’occhio per un solo istante. Sa bene quanto ostinato sia il suo capo quando si mette qualcosa in testa. Sorride di questo, mentre curiosa tra i libri della libreria di quella cha è stata la camera di Sherlock.
“Imaginé la habitaciòn de tu adolescencia màs animada, ojòs-hermosos[1] pensa, chiedendosi come possa, un bambino prima e un ragazzino poi, crescere in un posto simile senza maturare problemi.
Un libro dalla copertina bordeaux attira la sua attenzione. ‘Criminologia forense’ cita il costato. Lo fa scivolare fuori lentamente e prima di aprirlo lo soppesa tra le mani.
“Cielos, que tomo![2] sghignazza.
Tra le pagine scorge un segnalibro. È sempre stata incuriosita da ciò che le persone sono solite lasciare tra le pagine di un libro e non ci pensa due volte ad andare a vedere di cosa si tratti. Si trova davanti ad una foto.
“Perturbador[3] è il primo pensiero che le viene guardandola. Sono ritratti una bella donna alta, magra, dal viso pallido come porcellana e gli occhi chiari, magnetici e due bambini di poco più di un anno. Non c’è alcun sorriso né sulle labbra né negli occhi di questa che deve essere una giovane madre. Non si può dire stia tenendo tra le braccia i due bambini, un maschietto e una femminuccia. Sono più che altro appoggiati a lei. Riesce ad essere lontana dai due piccoli nonostante sia loro così vicina.
“Cielos, temblando[4] pensa la ragazza mentre gira la foto restando a bocca aperta.
Con una calligrafia sottile, obliqua e quasi incomprensibile qualcuno ha scritto con una matita rossa una sola parola: assassina!
Il punto esclamativo è tracciato di netto, con rabbia a sottolineare l’incontrovertibilità di quel verdetto. Mistica scuote le pagine alla ricerca di altri tesori, ma non trova nient’altro. Cercare indizi in ogni libro sarebbe un’inutile perdita di tempo e non sembrano esserci album fotografici o altre cose simili sugli scaffali.
<< Hai trovato qualcosa di interessante? >> le chiede Anthea.
<< Penso di sì >> risponde lei raggiungendola sul letto. Le passa la foto e la osserva mentre la studia attentamente. Vede i suoi occhi chiudersi dinanzi a quella parola vergata in rosso. << Dimmi chi è >> la sprona.
<< Lo hai già capito da te >>.
<< I tre quarti del lavoro di un investigatore consistono nel cercare conferme alle sue ipotesi >> recita facendo sorridere Anthea.
<< Secondo Sherlock si tratta di un’assassina >>.
<< E secondo te? >> le chiede scivolando sotto le coperte al suo fianco.
<< In questa foto vedo una donna distaccata, del tutto incapace di empatia e emotività. Fredda, potremmo dire. Austera, anche >>.
<< Poveri bambini >> sussurra Mistica .
<< So che poi qualcosa cambiò in lei >> continua Anthea dandole la foto. << Si innamorò. Dell’uomo sbagliato, ovviamente. Dio, come la capisco! >> esclama posando la testa contro la spalla di Mistica. Questa alza il braccio per accoglierla e lei si accoccola al suo fianco.
<< A vederla si fatica a pensare che possa essere in grado di amare >> dice Mistica posando il mento sulla testa di Anthea.
<< La stessa cosa che viene spontaneo pensare osservando i suoi figli >> le fa notare Anthea.
<< Già >> ne conviene. << Oddio, su Sherlock è più facile, dai. L’ho capito subito che si era preso una cotta per Valerio. Per un po’ ho anche cercato di convincere quella testarda volpe rossa a starci, perché infondo il nostro consulente non è niente male. Poi, però, occhibelli ha dato di matto >>.
<< Tipico di lui >> ridacchia Anthea affaticata.
<< Mycroft, invece… non ti offendere ma… l’ho osservato a lungo e da qualunque parte lo abbia guardato non sono riuscita a togliermi l’idea che sia l’antitesi dell’amore per eccellenza. Ecco, lui sì che lo vedo uguale a lei >> dice battendo il dito sulla donna ritratta nella foto. << Non si somigliano molto, ma è possibile rivederla in lui nel suo portamento, nello sguardo, benchè sia Sherlock ad avere i suoi stessi identici occhi >>.
<< Mycroft somiglia a suo padre. Motivo per il quale Sherlock lo ha odiato in tutti questi anni >>.
<< Avere a che fare con un uomo che somiglia a colui che ha ucciso la tua gemella e tentato di uccidere anche te non deve essere facile. In che modo, però, sua madre si è meritata questa sentenza? >> chiede girando la foto sulla scritta rossa.
<< Non ne so molto. Mycroft non ne ha mai parlato e io, ovviamente, mi sono vista bene dal chiedere. Credo, però, che Sherlock la ritenga responsabile della morte della sorella. Da quanto ho capito non si sperticava per difenderli dalle ire del marito. L’unico gesto estremo che ha fatto è stato tentare di scappare da Musgrave portandoli con sé. Sai bene come è andata a finire >>.
<< Eppure… è strano, non trovi? È vero, il suo gesto causò la morte di Jane, ma solo perché fu scoperta. Fosse rimasta lì quel pazzo li avrebbe uccisi lo stesso tutti e tre, prima o poi. Era solo questione di tempo. Non trovo giusta questa sentenza >>.
<< Sherlock è un uomo tormentato ed è stato un ragazzo problematico e un bambino inquietante >>.
<< Sì, ma nel suo lavoro è geniale e non penso che abbia dato questo giudizio a sua madre solo perché spinto dal rancore nei suoi confronti >>.
<< Perché no, scusa? È pur sempre un essere umano, sebbene sia geniale >>.
<< E’ proprio questo il punto, Anthea. Sherlock è molto umano. Per chi sa osservare, ovviamente, e sa andare oltre la sua arroganza e quell’aria da ‘ce l’ho solo io’. E proprio perchè è umano questo giudizio ha un peso notevole >>.
Un rumore al di là della porta fa drizzare loro le orecchie. I tre uomini parlano tra loro con un tono di voce troppo alto e concitato.
<< Ehi, ma che suc… >>.
Uno sparo rimbomba contro le pareti insieme a nuove voci sconosciute.
 
***
 
Sherlock sfiora con le dita il corrimano e volge lo sguardo verso l’alto. Scorge appena il secondo piano di questo palazzo abbandonato e può solo immaginare la porta che dà sulla stanza nella quale quei ragazzini trovarono la signora in rosa.
È iniziato tutto da quel caso. Sì, aveva trovato attraente l’ex soldato che Mike Stamford gli aveva presentato nei laboratori del Bart’s. Aveva prima pensato che potesse diventare un ottimo assistente, poi che, date le sue avances da Angelo, avrebbe anche potuto tentare di sedurlo. Solo quando ha scoperto che era stato lui a uccidere Hope, il taxista serial killer, salvandogli la vita, ha capito che avrebbe potuto persino innamorarsi di lui.
Sherlock sorride e gli sembra di sentire ogni singola parola che è stata scambiata su quelle scale. Non è, però, verso l’alto che deve andare. Prende un profondo respiro e volge lo sguardo verso il basso. Dovrà scendere nelle cantine. Un brivido di freddo gli percorre la schiena. Alza il bavero del cappotto per proteggersi dall’aria gelida che sente provenire dal basso e si decide a scendere il primo gradino.
Il fondo della rampa è avvolto dall’oscurità. Il cuore batte sempre più forte gradino dopo gradino. Scricchiolii sinistri gli accapponano la pelle. I suoi passi rimbombano mentre lento arriva a quel primo piano sotto terra. Una porta si affaccia sul pianerottolo. Sherlock la ignora e procede oltre verso la nuova rampa di scale.
<< Ehi, tu >> .
La ricorda quella voce carezzevole, ammaliatrice. Si volta lentamente verso l’uomo fermo sulla soglia. Il sorriso volgare, gli occhi acquosi che lo esaminano da capo a piedi.
<< Hai bisogno di una dose, non è vero? >> gli domanda preoccupato. << Posso aiutarti >> gli dice aprendo un po’ di più la porta. Lo invita ad entrare con un sorriso poco rassicurante.
Sherlock lo ignora. Si volta e scende il primo gradino.
<< Avanti, voglio solo aiutarti. È uno scambio reciproco: io do a te ciò che vuoi e tu dai a me ciò che voglio >> insiste dandogli la nausea. Non vuole che quella porta si apra del tutto. Non vuole ricordare ciò che contiene. Sente l’uomo alle sue spalle continuare a tentare di convincerlo. È morto ammazzato da uno dei disperati che adescava, promettendo dosi di ogni tipo di droga in cambio di marchette.
“Caso chiuso” pensa mentre piano piano l’uomo diviene una voce nel buio alle sue spalle, fino a scomparire del tutto quando giunge al secondo piano sotto terra.
<< Ragazzi guardate chi c’è? >>.
<< La signorina Holmes, quale onore! >>.
<< Vuole fare un giro con noi, milady >>.
Tre ragazzi poco più che quindicenni lo insultano addossati alla nuova porta che si affaccia sul pianerottolo. Lo circondano, tentano di bloccargli la strada continuando a insultarlo, a provocarlo.
<< Lo portiamo con noi alla festa, ragazzi? >>.
<< Sì, regaliamogli questo brivido. Quando mai gli ricapiterà di passare la serata con dei veri uomini? Ti piace l’idea, signorina? >>.
Il cuore accelera i suoi battiti e i passi si fanno più svelti. Se l’uomo di prima gli ha dato la nausea questi ragazzini lo spaventano. Ne ha di cicatrici lasciate dai loro pugni sul corpo. Il modo in cui le loro risate gli riempiono la testa non gli piace per nulla. Uno di loro si è andato a schiantare ubriaco con l’auto contro un muro dopo aver investito due donne uccidendone una. Sconta ancora una pena per omicidio colposo e guida in stato di ebbrezza. Un altro è diventato avvocato ed è stato arrestato per frode e ricatto a scopo di estorsione. Ha scontato la sua pena e adesso collabora con un avvocato di dubbia fama, svolgendo per lui mansioni minori. L’ultimo lavora in banca, ha messo su famiglia e viene allegramente tradito dalla moglie. Il sabato sera si fa le sue strisce di cocaina giusto per tirarsi su il morale e paga escort d’alto bordo con le quali cerca di dimenticare la sua misera vita.
“Anche questi sono casi chiusi!” pensa lasciandoseli alle spalle. Continua a sentire quelle risate, quegli insulti che diventano sempre più rarefatti fino a scomparire del tutto inghiottiti dal buio, mentre giunge al terzo piano sotto terra.
Un bambino è fermo in piedi sulla soglia di quest’altra porta. Sui nove anni, capelli castani e un viso bello e simpatico. Lo guarda con sospetto.
<< Non siamo mica amici io e te >> gli dice arrogante. << Chi te l’ha data tutta questa confidenza? Io no >> dice disgustato per poi voltarsi verso l’interno della stanza. << Ehi, venite a vedere! C’è qui quello strano che si è convinto che siamo amici >> ride e Sherlock affretta il passo. Non vuole vederli gli altri bambini. È tristezza quella che prova, su questo pianerottolo. Gli piaceva davvero tanto quel bambino. Non sapeva ancora cosa fosse l’omosessualità all’epoca. Lui voleva solo potergli essere amico.
“Questo caso non è chiuso” pensa, sentendo le risate crudeli del bambino trafiggerlo come pugnali. Scende rapido verso il quarto piano sotto terra. Ignora del tutto la porta sottile in legno al di là della quale tuona la voce furiosa di suo padre. Un altro caso non ancora chiuso.
I suoi passi rimbombano sempre più contro le pareti ora divenute simili a quelle delle segrete di un vecchio castello. Macchie d’umidità gonfiano l’intonaco espandendo un forte odore di muffa.
Giunge al quinto piano sotto terra, l’ultimo. Con passo lento e incerto si avvicina alla porta in lamiera. Accarezza con dita tremanti lo spioncino e rabbrividisce nel sentire la risata folle di Moriarty provenire dalla stanza.
<< Tu sei come me! >> gli sente gridare. Si allontana scuotendo il capo.
“No… non sono come lui!” pensa proseguendo lungo il corridoio. C’è una botola nel terreno ricoperta da uno spesso strato di polvere. Resta immobile a guardarla a lungo.
<< Non temere >> grida Moriarty al di là della porta. << Cadere è proprio come volare. Solo che una volta arrivato non puoi più tornare indietro >>.
<< Sta zitto! >> grida di rimando Sherlock, sentendolo ridere della grossa nel suo modo folle e agghiacciante.
Sherlock si inginocchia e con dita tremanti cerca la maniglia per tirare su il coperchio. Il cuore gli batte più forte lì di quanto non abbia fatto altrove, lungo questa discesa nell’abisso che è il suo inconscio. Con un notevole sforzo apre la botola. Un fiotto di vento caldo lo investe. Profumo di erba tagliata di fresco unito a sandalo e gelsomino. Non se le aspettava queste fragranze, né, tanto meno, questo calore.
<< Dai Sherlock >> lo sprona James. << Ancora un passo e ci siamo quasi >>.
<< Sta zitto, maledetto! >> grida tremando da capo a piedi.
<< Non ti deve fare paura >> cantilena Jim, indifferente al suo richiamo. << Perdita, sofferenza, dolore, morte. Va tutto bene. E’ tutto a posto >>.
“Va tutto bene… E’ tutto a posto!” ripete tra sé, mettendo il piede sul primo piolo della scala che conduce giù.
<< Tira vento e piove, Sherlock è scontento… >> canta Moriarty al di là della porta. << Sto ridendo e piangendo, Sherlock sta morendo >> continua e il consulente scompare inghiottito dalla botola.
 
***
 
Grey colpisce con un bastone uno degli uomini che hanno fatto irruzione a villa Holmes. Riesce a disarmarlo e senza pensarci due volte afferra la pistola e gli spara. Non ha tempo di restare a farsi prendere dai rimorsi di coscienza per quanto ha appena fatto. Corre verso la stanza in cui si trovano  Mistica e Anthea. Schiva per un soffio un proiettile che si conficca contro il muro anziché nella sua testa. Spara nella direzione dalla quale il colpo è partito e si da alla fuga. Altri proiettili lo inseguono. Sono in cinque gli invasori, forse anche di più. Dal basso, i due finti John e Fox stanno tenendo su un vero e proprio scontro a fuoco.
Giunge al corridoio in cui si trova la stanza delle ragazze e, non visto, spara e atterra uno dei due uomini che lì si trovano. L’altro apre il fuoco e lui si vede costretto a nascondersi dietro un mobile.
<< Arrendetevi, non avete alcuna possibilità di sopravvivere >> grida l’uomo, l’eco di una risata di scherno nella voce. Grey si arrischia a sbirciare dal suo riparo e vede l’uomo prendere la mira, un brutto ghigno sadico sulle labbra. La porta della stanza delle ragazze si spalanca all’improvviso e, col suo grido di battaglia collaudato, Mistica salta addosso all’arrogante pistolero. Il primo calcio lo disarma, il secondo lo lascia a terra privo di sensi.
<< Que diablo esta pasando, Juan?[5] >> gli domanda venendogli incontro.
<< Los hombres que permanecieron estacionados aquì estos dìas decidieron venir y conocer a nuestro [6] >>.
<< Pero que tipo[7] >>.
<< Cuidado![8] >> grida Grey puntando l’arma contro l’uomo che, ripresosi, ha tirato fuori un'altra pistola e si prepara a fare fuoco. Un colpo, però, parte dalla stanza e lo fredda, facendoli trasalire entrambi. Anthea compare sulla soglia e si appoggia allo stipite, l’arma ancora fumante in pugno.
<< Se volete sopravvivere dovete mettere da parte le buone maniere >> dice loro.
<< Ti… ti ringrazio >> le dice Mistica correndo a sorreggerla.
<< Presto, dobbiamo andare via da qui! >> esclama Grey aiutando Mistica.
<< Hopper e Nelson che fine hanno fatto? >> gli chiede Anthea .
<< Sono di sotto. Hanno aperto loro il fuoco non appena li hanno visti entrare dal balcone del primo piano. Erano in cinque. Armati anche di cattive intenzioni. Temo, però, ne siano arrivati altri >>.
Un rumore alle loro spalle annuncia che i loro ospiti devono aver chiamato rinforzi.
<< Mierda! >> esclama Grey. Prende in braccio Anthea. << Tu coprimi le spalle e tu >>, dice a Mistica, << corri più forte che puoi! >>.
Partono di corsa, nella direzione opposta rispetto a quella dalla quale stanno sopraggiungendo gli uomini armati. Anthea spara più volte e da alcune grida sottomesse Grey capisce che i suoi colpi sono andati a segno.
<< Sono troppi, maledizione, e noi troppo pochi >> dice la ragazza. << Faremo la fine del topo >>.
<< Oh, no, bella mia, ho una famiglia che mi aspetta in Spagna e non sono certo venuto a morire qui in Inghilterra! >> ribatte Grey.
<< Di qua! >> grida Mistica. La vede aggrapparsi alla cornice del quadro di un vecchio prozio Holmes che apre come una porta. Grey la segue, la ragazza chiude il passaggio e si fermano qualche istante a riprendere fiato.
<< Come sapevi di questo tunnel? >> le chiede ansimando.
<< Me lo ha indicato Mycroft, in modo che potessi giungere più velocemente da Anthea >>.
<< Dove conduce? >>.
<< Al salone principale >>.
Cercando di fare il meno rumore possibile attraversano il cunicolo e arrivano al fondo. Da un piccolo foro ricavato nel quadro che cela questa uscita Mistica osserva la situazione.
<< Oh Dios! I due agenti sono a terra! >> .
<< Hanno ancora le fattezze di John e Fox? >> sussurra Anthea. La ragazza annuisce. << Perfetto, gioca a nostro favore >>.
<< Pensi siano venuti qui per uccidere John? >> le chiede Grey .
<< Sì. Sherlock deve aver fatto arrabbiare James >>.
<< Oppure era comunque intenzionato a fare fuori il suo rivale, infischiandosene dell’accordo di cui hanno tanto parlato >> ipotizza Grey trovando il consenso della ragazza.
Sentono delle voci provenire dall’altro lato del salotto. Tre uomini si radunano attorno ai corpi dei due agenti travestiti da John e Fox. Tolgono le auricolari e si guardano attorno esterrefatti.
<< Dove diavolo sono finiti quei tre? >> sbotta uno.
<< Non lo so, non li ho più visti. Si sono come volatilizzati! >> risponde il secondo.
<< Ci stiamo facendo una gran bella figura di merda! Non possiamo dire loro che ci siamo persi due donne, di cui una malridotta, e un uomo. Ne va della nostra reputazione! >> dice il terzo.
<< Anche dirgli che cinque di noi sono rimasti uccisi non ci fa onore >> ribatte il primo. << Maledetti bastardi! >> esclama dando un calcio al cadavere travestito da John.
<< No, no, non va bene! Se li maltrattano troppo rischiano di scoprire che sono truccati >> sussurra Mistica preoccupata.
<< Cosa diavolo possiamo fare? >>.
<< Vanno eliminati >> risponde determinata Anthea. Grey la guarda stupito dalla semplicità con la quale decide della vita o della morte del prossimo. Non può, però, darle torto.
<< Ho ancora tre colpi in canna. Non penso, però, di poterli sorprendere e uccidere uno dopo l’altro. Miriam, ci serve un’altra delle tue uscite a effetto con tanto di grido di battaglia e tu Grey >>, gli dice picchiettandogli sul torace, << trova qualcosa e gettati su di loro senza pietà. Mi avete capita? Senza pietà >> ripete guardandoli entrambi negli occhi.
Non è la prima volta che si trovano coinvolti in uno scontro. Già durante questa storia hanno dovuto menare le mani al palazzo di Magnussen quando lui, Grey, era ancora solo una voce in un’auricolare.
Grey non ha mai temuto gli scontri. Di risse ne ha vissute tante, come anche di agguati, irruzioni e azioni da infiltrato finite bene per un soffio. Con questo spirito lascia andare Anthea, che si acquatta vicino all’apertura del passaggio, pronta a fare fuoco, e cerca qualcosa che possa diventare un’arma. Appesa alla parete c’è una sorta di vecchia torcia, nemmeno si trovassero in un castello. La stacca dal supporto e la tiene tra le mani.
<< Siete pronti? >> chiede Anthea e loro annuiscono.
Mistica fa saltare il quadro e sorprende i tre malcapitati col suo grido di battaglia. Anthea ne fredda due, che cadono sui corpi degli agenti travestiti da John e Fox. Il terzo spara senza colpirla e Grey lo disarma lanciandogli la torcia. L’uomo tiene il braccio destro con la mano sinistra e, messo alle strette, si da alla fuga. Mistica, però, non è intenzionata a lasciare che vada a dare l’allarme al suo capo. Gli corre dietro gridando e, con uno slancio che sicuramente non piacerà alla sua gamba ferita, gli è addosso. Cadono malamente investendo una poltrona e un tavolino. Lo schiocco dell’osso del collo dell’uomo che si spezza battendo contro quest’ultimo rimbomba in modo macabro nella stanza.
Mistica porta la mano alla bocca e si volta colpevole verso Grey. Anthea gli posa la mano sulle labbra un attimo prima che questi possa dire qualcosa. Con un dito picchietta l’orecchio ad indicare l’auricolare che indossa il sicario. Se funziona come le loro, oltre ad essere in costante contatto tra operatori lo saranno anche con la base.
Grey si avvicina alla collega che si è allontanata dalla sua vittima e la osserva con occhi già colmi di pianto. Preleva l’auricolare che pende dal bavero della maglietta del cadavere o lo porta all’orecchio.
<< Aggiornatemi sulla situazione >> sta chiedendo una voce dall’altra parte. Grey richiama alla memoria la conversazione che ha sentito poco prima dai tre, prende un profondo respiro e risponde.
<< Missione compiuta! >> dice in un’ottima imitazione del defunto. << Abbiamo dovuto fare fuoco parecchie volte, ma alla fine li abbiamo sterminati >>.
<< Qualcuno dei vostri è stato ferito? >>.
L’aggettivo possessivo utilizzato gli lascia intuire che questi sicari siano un gruppo esterno assoldato apposta per tenerli d’occhio e poi eliminarli, piuttosto che un ramo consolidato del nemico.
<< Ehi, ma per chi ci hai presi? Siamo dei professionisti, mica degli improvvisati sicari della domenica? >> ribatte sperando di stare percorrendo la strada giusta.
<< Erano pericolosi >>.
<< Erano praticamente disarmati >> lo interrompe infastidito. << Avevano una sola pistola in cinque! È stato come sparare sulla croce rossa >>.
<< Meglio così >> taglia corto l’uomo dall’altra parte. << Tornatevene a casa con discrezione. Come sempre tra tre giorni riceverete quanto vi spetta >>.
<< Perfetto. È sempre un piacere lavorare con voi >> si concede persino la battuta.
Con un click il contatto esterno stacca la conversazione. Grey toglie l’auricolare e sospira. Per sicurezza distrugge il congegno stritolandolo nel pugno. Alza gli occhi a incontrare quelli di Mistica, dai quali un’incessante pioggia di lacrime cade a rigarle le guance. Le va in contro prendendola tra le braccia. La ragazza singhiozza silenziosa stringendosi forte a lui.
Anthea li osserva da lontano, appoggiata al bracciolo di una delle poltrone. Tra le mani stringe le auricolari distrutte degli altri due sicari. Gli sorride per poi gettarle per terra e volgere lo sguardo ai corpi degli agenti che hanno preso il posto di John e Fox. Grey la vede scuotere il capo prima di portare la mano al volto.
Per quanto gli riguarda, cerca di non guardare quella copia quasi perfetta dal suo migliore elemento. Lo aveva visto proprio così com’è ora in un incubo avuto la notte precedente. Lo sguardo vitreo rivolto al soffitto, rivoli di sangue agli angoli della bocca e il corpo crivellato di colpi.
<< Mi abuela siempre dice que si suenas con la muerte de alguien, extenderàs su vida[9] >> gli aveva sussurrato per rassicuralo mentre lo stringeva tra le braccia, ancora tremante per il brusco risveglio.
“Afortunadamente, tu abuela tenìa razòn esta vez tambìen[10] pensa sollevato.
<< Che succederà adesso? >> domanda Mistica tirando su col naso. Grey e Anthea si scambiano una lunga occhiata.
<< Non è facile risponderti >> dice la ragazza. << Quanto è successo potrebbe giocare a favore o contro il piano di Sherlock >>.
<< Dobbiamo far sapere loro quanto è accaduto >> annuisce Grey .
<< E dobbiamo anche sbarazzarci dei corpi >> aggiunge Anthea guardando ai cadaveri con disgusto.
<< Come? >> domanda Mistica sconvolta. << Non possiamo trascinarli per i passaggi segreti e andarli a seppellire nel parco più vicino, né chiamare la polizia affinchè li porti all’obitorio >>.
Grey e Anthea hanno la stessa idea nello stesso momento. Si guardano e sorridono di come i loro neuroni siano stati stimolati dalle parole della ragazza a trovare la medesima possibile soluzione al loro piccolo problema.
 
***
 
Si lascia cadere e atterra in una piccola pozza di umidità. La puzza di muffa è fortissima in questo antro. Le pareti di roccia trasudano acqua e l’eco di piccole gocce che costantemente cadono spezza il silenzio.
La penombra è rotta da una flebile luce che proviene da una porta socchiusa. Sherlock vi si avvicina trasalendo al rumore dei suoi stessi passi. Presta ascolto a quanto accade al di là della porta. Una flebile nenia giunge al suo orecchio. Prende un profondo respiro ed entra piano nella stanza.
È in realtà una piccola cella, quella nella quale si ritrova. In un caminetto molto sporco brucia un piccolo fuoco morente. Su un tappeto sdrucito siede una donna. Il debole fuoco la illumina appena, gettando ombre lunghe sul pavimento alle sue spalle. Indossa una veste scura, sotto un cappotto molto simile al suo.
Sherlock resta immobile sulla soglia. Osserva le spalle di lei dondolare piano al ritmo della nenia che mugugna. Sembra stia stringendo qualcosa tra le braccia. Col cuore in gola muove qualche passo. Il pavimento è bagnato, ma un odore diverso dall’acqua sale dalla pozza che circonda la donna.
“Sangue” deduce arricciando il naso.
Inconsciamente sapeva di averla rinchiusa lì. Lei, il suo ricordo, il dolore che questo gli causa. Non immaginava, però, che l’avrebbe ritrovata così, che negli anni inconsciamente l’avesse relegata a quell’esistenza misera e gelida.
<< Sei venuto a trovarmi, finalmente >> sussurra la donna con voce carezzevole. << Sono anni che ti aspetto >>.
Sherlock rabbrividisce al pensiero di quell’attesa. Si pente di essere sceso così in profondità, di aver aperto quella botola e di essere qui, adesso, alle sue spalle. Lo stomaco gli si chiude rimandando fitte dolorose. Non l’ha mai pianta, questa perdita, ritenendola anzi la principale responsabile della morte di sua sorella. Assassina. Così l’ha definita per anni. Addirittura l’ha giudicata essere peggiore del padre che ha commesso a tutti gli effetti il delitto. Peggiore perché non è mai stata in grado di proteggerli e quando ci ha provato ha miseramente fallito. Pagando con la vita, certo, ma nonostante questo non è riuscito a vederla come una vittima. Le vittime non hanno scelta, come non ne hanno avuto lui e Jane, colpevoli solo di essere nati e nella famiglia sbagliata. Lei, invece, avrebbe potuto scegliere di non sposare quel pazzo. Da lì tutto è nato e per questo per lungo tempo è stato convinto fosse lei l’unica responsabile delle sue disgrazie nonché la vera assassina. Poi sa di aver smussato un po’ questa idea. Di aver, come aveva raccontato all’inizio di questa storia, capito che anche lei, come tutti, aveva solo voluto soddisfare il suo bisogno d’amore. Come sia giunto a queste conclusioni, però, non lo ricorda, perché lo ha represso nascondendolo qui, in questa cella, insieme a lei.
Ora sa che non è così che andarono le cose e si rende conto, ora, di quanto sia doloroso essere lì al cospetto di lei. Di lei e di tutti i ricordi legati a lei e a quel brutto giorno e alle ricerche che su di lei e su quanto è accaduto a Musgrave aveva svolto. Ha relegato in questo antro ogni cosa e la quantità di informazioni ed emozioni ora lo investe come un’onda, causandogli capogiri e un dolore spossante allo stomaco e al petto.
<< Questo dolore… >> sussurra con voce rotta dall’emozione. << Perché non l’ho mai sentito, questo dolore? >>.
<< Il dolore si sente sempre, Sherlock, ma non ti deve fare paura >> dice voltandosi lentamente verso di lui. Trasale alla vista del suo volto pallido e sfigurato da lividi violacei. Nel suo incubo le orbite oculari erano vuote. Qui, nel suo inconscio, nei suoi ricordi più segreti, invece, gli occhi sono belli. Eterocromatici come i suoi. Di un azzurro screziato di verde e nocciola.
<< Il mio bambino è diventato un bellissimo uomo >> gli dice sorridendo dolcemente. << Che lo saresti stato si vedeva già >> aggiunge volgendo lo sguardo al bambino di cinque anni che tiene tra le braccia. Gli accarezza il viso scostando i ricci ribelli dalla fronte pallida. Sherlock osserva quella piccola versione di se stesso nuda, attaccata a tante cannule, cateteri, drenaggi. È il se stesso bambino in coma quello che sua madre tiene tra le braccia.
<< Ho sentito la tua voce >> le dice avanzando di un passo. La donna volge lo sguardo al fuoco morente. Il suo volto perde ogni espressione. Lentamente chiude gli occhi e sospira.
<< Sì, ero io >>.
<< Perché mi hai detto quelle cose? >>.
<< Come me ti sei messo in trappola con le tue stesse mani, convinto di poter salvare ciò che ami e raggirare un pazzo sociopatico. Non hai tenuto conto delle emozioni e dell’effetto che respirare la sua follia ti avrebbe fatto. Non potevo più stare a guardare mentre rischiavi di rimanere sempre più impigliato nella sua rete >> risponde e ora che lo guarda di nuovo sono così infinitamente tristi i suoi occhi.
<< Vuoi dire che… non era un invito a cedere, il tuo? >>.
<< No, non lo era. Perché mai dovrei volerti assoggettato al volere di un folle? >> gli chiede stupita della sua domanda.
<< Io… non lo so. È stato come se una parte di me seguisse le tue parole. È stato solo per caso che non ho ceduto >>.
<< Il caso non esiste >> gli sorride scuotendo la testa. << Ogni cosa è riconducibile a formule algebriche e algoritmi. Se volessimo, potremmo prevedere il futuro semplicemente completando della matrici di calcolo. Illusione del controllo, la chiamano >> ride. << Il potere della mente sulla materia, la chiamo io >> conclude orgogliosa e altera. << La mia voce è giunta alla tua coscienza da qui, mandandoti un messaggio criptato da decodificare. Il tuo sistema lo ha recepito, ma la variabile del malessere fisico e quella delle emozioni hanno confuso il risultato. Ciò ha portato la tua mente a prendere alla lettera il messaggio, cosa che ha innescato il meccanismo di difesa dell’adattamento >>.
Sherlock resta senza fiato dinanzi alle sue parole. Pensa adesso di capire cosa provino gli altri quando sono investiti dalle sue deduzioni. Deduzioni che comunque lavorano anche adesso, in questo scambio profondo con se stesso, e che gli fanno notare come stoni la spiegazione complessa di qualcosa che forse, in realtà, è molto semplice.
<< Non erano le parole di un messaggio criptato >> dice convinto e la donna distoglie lo sguardo dal suo. << Giungevano da qui, è vero, ma sembrava più l’eco di un ricordo. Un ricordo, però, che non mi appartiene >>.
La pelle pallida di questa figura altera si accappona. Le belle labbra disegnano una linea sottile e i muscoli si tendono. Dura, però, tutto solo qualche istante. Un sorriso di resa torna a curvarle le labbra.
<< Sei davvero bravo >> gli dice e nel suo sguardo c’è il fastidio per essere stata smascherata, ma anche l’orgoglio per il modo in cui questo è avvenuto.
<< Ti ringrazio >> le sorride, come sempre in imbarazzo e a disagio dinanzi a un complimento sincero. << Sto imparando dai miei errori. Mi hanno fatto notare che tendo a cercare sempre soluzioni difficili e intelligenti quando, invece, molto spesso le cose più semplici e apparentemente banali risolvono molto meglio i problemi >>.
<< Già. Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate. Le piccole cose sono di gran lunga le più importanti >> sorride volgendo lo sguardo al bambino che ha tra le braccia. << Ho studiato a fondo principi come il rasoio di Occam[11], ma ne ho capito il senso solo grazie a voi >> sospira accarezzando quel piccolo viso addormentato. Nel suo tocco delicato Sherlock vede una dolcezza che non ricordava avesse. Si avvicina a lei di qualche passo, colpito dalle sue parole.
<< Tu, però, questi principi li conosci >> gli dice volgendo a lui lo sguardo. << Sai bene quanto sia un errore enorme teorizzare a vuoto, dal momento che senza accorgersene si comincia  a deformare i fatti per adattarli alla teoria anzichè il contrario. Sai anche che eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità. Allora perché, mi domando, ti ostini a cercare e a ipotizzare soluzioni e situazioni ingegnose e complesse? >>.
<< Non è vero io non agisco così, ti sbagli >> risponde confuso e anche offeso dalle sue parole.
<< Con James lo hai fatto >> ribatte lei e il suo sguardo diventa improvvisamente duro e freddo. La sensazione di essere messo sotto esame lo assale. Non può darle torto. Lo ha fatto davvero e persino Moriarty stesso glielo ha fatto notare, dicendosi deluso dalla sua banalità.
<< Ti sei fatto fuorviare dal suo essere geniale quasi quanto te >> dice lei aprendosi in un sorriso capace di scaldarlo. << Dal momento che nulla è insignificante per una mente superiore, hai pensato che avesse in serbo per te qualcosa di grande ed è lì che lui ti ha intrappolato. Si è servito del tuo bisogno di dimostrare sempre e a chiunque quanto tu sia intelligente. È questo il tuo punto debole, figlio mio >>.
<< Io non ho bisogno di dimostrare la mia intelligenza. Io so di essere intelligente >> dice toccato nel vivo dal suo parlare di punti deboli.
<< No >> ribatte lei decisa. << Tu lo sei, ma non sei sicuro di esserlo. Troppe volte ti sei sentito dare dell’idiota, troppe volte hanno messo in dubbio le tue capacità, deridendoti, anche, al punto da far nascere il dubbio nel tuo cuore. Per questo non perdi occasione per dimostrarlo, per esporre le tue deduzioni e come ad esso sei giunto. Non travisare quanto ti sto dicendo, però, non sono fra coloro che considerano la modestia una virtù. Per un uomo dotato di logica tutte le cose andrebbero viste esattamente come sono e sottovalutare se stessi significa allontanarsi dalla verità almeno quanto sopravvalutare le proprie doti. Ed è questo che hai fatto con James, ti sei allontanato dalla verità incaponendoti nel dimostrare quanto abile tu sia e, allo stesso tempo, temendo segretamente di non esserlo affatto >>.
Lo stomaco di Sherlock si chiude. È troppo pieno per continuare. Pieno di parole che lo stanno rivoltando come un calzino dando vita ad emozioni troppo forti. Vorrebbe scappare via, ma le gambe gli tremano al punto che le ginocchia cedono. Cade in ginocchio nella pozza di sangue che circonda la donna. Porta le mani al volto che sente già rigato dalle lacrime.
<< Non angustiarti, figlio mio >> dice lei dolcemente. << La prova principale della vera grandezza di un uomo è la sua percezione della propria piccolezza >>.
La mano di lei si avvicina al suo volto e per un attimo sembra intenzionata a posare una carezza sul suo viso. La ritrae, invece, come avesse all’ultimo momento ritenuto inopportuno il suo gesto.
<< Io… non penso di essere alla sua altezza >> sussurra con voce rotta dal pianto. << Lui è… troppo per me. Troppo intelligente. Troppo pazzo. Troppo imprevedibile. Io, invece, sono così… spaventato da lui, dalle sue mani, dai suoi occhi dal suo umore che cambia senza alcun senso logico. Le tue parole… oddio, quell’invito a cedere e il modo in cui ho reagito mi hanno portato ancora di più a sentirmi del tutto inadeguato >>.
<< Quelle parole e il suggerimento che danno sarebbero la soluzione più semplice se tu davvero fossi inadeguato >>.
Sherlock alza lo sguardo confuso dalle sue parole.
<< Ma… non è ovvio che io lo sia? >>.
La donna sorride e scuote il capo.
<< Nulla è più innaturale dell’ovvio, Sherlock. Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare >>.
<< Evidentemente, allora, la paura che provo mi sta accecando >>.
<< No, Sherlock, non è la paura che ti rende cieco. La paura aiuta a pensare. È il panico che ti toglie la vista. Da quando ti sei svegliato in quell’hotel ti sei lasciato prendere dal panico. Le condizioni fisiche nelle quali ti trovi non ti hanno aiutato e, anzi, hanno aiutato James a confonderti con le sue parole, con i suoi atteggiamenti e con la sua presenza inquietante. Tutte queste cose hanno abbattuto la fiducia che hai in te, nelle tue capacità deduttive e nel tuo piano, facendo aumentare la convinzione che hai di non essere abbastanza intelligente per vincere James Moriarty. Per questo inconsciamente hai seguito il consiglio proposto dalle mie parole. Dargli ciò che vuole. Infondo, è solo sesso >> dice in tono amaro volgendo lo sguardo al fuoco morente. << Se l’alternativa al non concedersi è perdere ciò che si ama allora forse ne vale la pena, no?  >> sussurra.
Così triste gli appare adesso. Così impotente, rassegnata. Si è sentito anche lui così da quando Moriarty è entrato nella sua vita. Da quel maledetto grande gioco folle che gli ha proposto e questa sensazione di impotenza è aumentata esponenzialmente da che si è svegliato nella stanza di quest’hotel.
<< Sono tuoi quei pensieri? >> le chiede sporgendosi verso di lei senza quasi accorgersene.
<< No >> scuote il capo chiudendo gli occhi. << Non sono pensieri, conclusioni alle quali sono giunta autonomamente seguendo i risultati di una matrice di calcolo, no >> ride amareggiata. << Sono consigli. I consigli di una persona che credevo amica >>.
<< Margaret Moriarty >> dice Sherlock con un filo di voce. La donna annuisce in modo solenne. Eccola che ritorna. Ecco che l’ombra di quella donna e della sua folle figlia torna a calare su di lui, sul suo passato, sulle persone che ha amato.
<< La mia vita è stata un continuo sforzo per sfuggire alla banalità dell’esistenza >> sospira sua madre. << Ho cercato da sempre le risposte nei numeri, e sono stata considerata strana per quella che molti definivano essere ‘passione’ per la matematica. Una passione >> ridacchia amareggiata. << Una definizione svilente a ciò che per me era un bisogno primario. Non potevo vivere se non facevo lavorare il cervello. Quel altro scopo c’è nella vita? >> gli chiede mettendo su una buffa espressione di incredulità. << Ma sono nata donna e a quanto pare non va bene che una donna usi il cervello. Sono altre le parti del corpo che la società vuole che siano usate. Da altri, ovviamente, non dalla donna, che non ha il diritto di compiere scelte al di fuori di quelle che sono considerate adeguate a lei dagli uomini. Non potevo che ribellarmi a tutto questo e trovai in Margaret una valida alleata. Intelligente, non al mio pari ma abbastanza da tenere il mio passo anche nei ragionamenti più complessi. Forte, sì, devo ammettere che è stata più forte di me. Lei non ha ceduto ai sentimenti. Ha giocato il gioco imposto dalla società per ben due volte, ma è riuscita a restare padrona del suo corpo e della sua mente. Io, invece, non ne sono stata capace.
Lei aveva già sposato Mortimer Moran, un uomo molto facoltoso e, a detta di tanti, terribile, che lei, però, riusciva a raggirare e manipolare a suo piacimento. Conobbi Holmes tramite Moran. Margaret iniziò da subito a parlarmene con insistenza, ma a me non interessavano le relazioni sentimentali né, tanto meno, quelle sessuali. Non si tratta di numeri primi, matrici standardizzate, equazioni dall’esito certo, insomma. Dei vantaggi che dall’avere queste cose potessi ottenere, poi, poco mi importava. Per questo quando Holmes si propose io rifiutai e Margaret mi diede della sciocca.
‘Lui ti darebbe tutto ciò che vuoi’ mi diceva. ‘Ti tratterebbe come una regina e non dovresti più preoccuparmi di nulla’. Sembrava non capire che io non avevo preoccupazioni e avevo già tutto ciò che volevo. Era lei che non sopportava i commenti della gente, quel giudicarci pazze, strane, non normali perché così dedite al lavoro e alla ricerca. Capii troppo tardi come Margaret non sopportasse questa mia indifferenza dinanzi all’altrui pensiero. Ha sempre cercato di portarmi dalla sua parte, di assoggettarmi al suo pensiero e, di conseguenza, al suo volere. E io, nonostante pensassi di me il contrario, avevo bisogno di una figura amica a me simile, che mi permettesse di sentire di essere in qualche modo non unica nella mia intelligenza. Un’intelligenza che sembrava tanto spaventare, inquietare e infastidire gli altri. Margaret, però, sapeva essere insistente e sapeva fare leva sull’altrui punto debole e così fece anche con me.
Holmes, poi, era bravo ad ammaliare. Si presentava con ottimi modi, belle parole e un sorriso affascinante. Mi disse che sarebbe stato un matrimonio di comodo. Aveva solo bisogno di una moglie con un buon nome e che non gli desse troppo fastidio. Io allora gli proposi un accordo >> dice volgendo lo sguardo attento e serio verso di lui. << Sarei stata sua moglie, ma non ci sarebbe stato nulla tra noi. Avrei continuato a portare avanti i miei interessi e, come voleva, non gli avrei dato fastidio se lui non ne avesse dato a me. Holmes, però, cambiò subito atteggiamento, dopo aver contratto quel maledetto matrimonio >> dice tra i denti chiudendo gli occhi. << Non si attenne ai patti. Mi precluse molte cose rendendomene obbligatorie altre. Scoprii solo molto tempo dopo, per bocca di Holmes, dell’altro accordo, il giorno in cui decisi di prendere in mano la mia vita e condurci in salvo. Quello che lui aveva stretto con Margaret. Lei lo avrebbe aiutato ad avermi e lui, in cambio, mi avrebbe relegata in casa, impedendomi di portare avanti i miei interessi. Senza di me lei sarebbe potuta essere il diamante di punta della collezione di cervelli notevolmente brillanti di Oxford. La mia più cara amica mi aveva venduta in cambio di considerazione, prestigio, devozione, potere >> elenca sottolineando ogni parola chinando il capo in avanti. << Quella donna più di chiunque altro mi fece capire quanto fossi umana e non refrattaria ai sentimenti come, invece, credevo di essere. E lo capii proprio nel momento in cui l’uomo che accettai come marito stava togliendomi la vita con le sue mani. Io, però, allora non sapevo nulla di tutto questo e non mi arresi >> dice guardandolo dritto negli occhi. << Mi battei per ottenere da Holmes che rispettasse l’accordo e fu una battaglia lunga, estenuante >> sospira scuotendo il capo. << Lui mi propose di stringere un altro patto >> dice sottolineando la gravosità della cosa guardando Sherlock dritto negli occhi. << Un figlio in cambio della possibilità di frequentare ancora l’ambiente accademico dal quale mi aveva strappata. Io mi ritrovai a un bivio: ottenere ciò che volevo concedendomi a lui o perseverare nel mio rifiuto, accontentandomi di portare avanti una vita noiosa e vuota di interessi che mi avrebbe in breve tempo uccisa.
‘Sarebbe poi davvero una cosa tanto brutta?’ mi chiedeva Margaret, che aveva già una figlia di un anno. ‘Devi solo dargli ciò che vuole. Cosa ci sarebbe di male, infondo? È solo sesso. In cambio avresti tutto ciò che hai sempre voluto’.
Io non ero convinta. Per prima cosa perché sapevo che non avrei comunque potuto più apertamente fare il mio lavoro, ma tenere solo aperta una facciata e portarlo avanti sotto banco. Poi, perché l’idea stessa del sesso mi disgustava e, benchè fosse un uomo attraente, il pensiero di lui su di me, dentro di me mi dava i brividi >> dice tremando visibilmente.
Sherlock le si avvicina un po’ di più, risuonando empaticamente della sua stessa paura. Non si accorge quasi di come da quelle che erano ormai solo braci un piccolo focherello sta tornando a scoppiettare.
<< Pensai ingenuamente di poterlo raggirare. Così accettai la sua proposta e nacque Mycroft >> sospira volgendo lo sguardo al bambino che tiene tra le braccia, che Sherlock, con sorpresa, si rende conto essere ora suo fratello. << Oh… non sono stata per nulla una madre per lui >> dice accarezzando i lisci capelli chiari che ricadono sugli occhi addormentati di quel piccolo Mycroft di soli sette anni. << Lui me lo portò via subito dopo il parto. Lo diede prima a una balia e poi a una tata, ma a me stava bene. Potevo fare ciò che volevo e dimenticarmi del tutto di quei nove mesi e del fastidio di dover contenere quella piccola vita dentro di me. Mi era del tutto estraneo e lo vedevo così simile a lui. Non solo nell’aspetto, ma anche nei modi. Da me sembrava aver ereditato solo l’intelligenza, ma la cosa non mi interessava. Avevo dato ad Holmes ciò che voleva, così doveva bastare. Ma non bastò. Per il diavolo, Sherlock, nulla è mai abbastanza >> gli dice scuotendo lenta il capo.
<< Cosa… cosa accadde? >> le chiede sporgendosi verso di lei. Il fuoco, ora vivo, le illumina il viso. Sherlock può scorgere la bellezza di questa donna dietro i lividi che la deturpano e questo gli scalda il cuore in un modo del tutto nuovo.
<< Accadde che iniziò a venire da me quasi ogni notte. A dirmi che ero sua moglie e che avevo il dovere di dargli ciò che voleva. Quando mi opponevo, quando tentavo di cacciarlo allora lui minacciava di togliermi ogni cosa. Non fu mai fisicamente violento con me, non allora, ma era pur sempre una violenza la sua. Psicologica.
‘Cosa ne ricavi a resistergli?’ mi diceva Margaret. ‘Solo il pericolo che diventi violento e che ti uccida in preda alla frustrazione dei tuoi continui rifiuti’.
Per tenermi stretto ciò che davvero mi permetteva di vivere dovevo sopportare quella piccola ma immensa, costante e inevitabile morte. E così cedetti. Cedetti per troppe volte, finchè non arrivaste voi. Anzi, finchè non arrivasti tu >> dice sorridendogli dolcemente. << Per nove mesi ci sei stato solo tu. E’ stato solo dopo, al momento del parto, che abbiamo scoperto quella che Holmes ha sempre definito essere un’anomalia. Era furioso per la sua presenza >> dice volgendo lo sguardo alla neonata che ora ha tra le braccia, così piccola da stare in una sola mano.
<< Vi lasciò a me, considerandomi responsabile di questa cosa sfuggita ad ogni controllo e io… io non sapevo cosa fare. Avevate bisogno di attenzioni continue. Soprattutto tu >> dice e tra le sue braccia ora c’è anche lui neonato, che piange disperato e inconsolabile. << Eurus era soggetta spesso a malanni e tu sembravi non darti mai pace di nulla. È stato terribile. Terribile. Ed ero totalmente sola in balia di voi. Voi che non rispondevate ad alcuna logica e mi rendevate impossibile portare avanti il mio lavoro >> lacrime fredde scendono dai suoi occhi. Lacrime che toccano il cuore di Sherlock che, titubante, solleva la mano e la avvicina alla sua spalla. Appena la sfiora molte immagini gli compaiono davanti agli occhi. Lui e Jane che la tengono per mano coinvolgendola in un girotondo. Lei che legge loro il libro preferito da entrambi. Risate a squarcia gola in una battaglia a suon di solletico o a cuscinate.
Allontana la mano come si fosse scottato, sconvolto da quel carnevale di coriandoli di ricordi.
<< Sì, siamo stati felici noi tre >> gli sorride guardandolo con occhi infinitamente dolci. << E’ successo all’improvviso e, sì, potremmo dire per caso >> ride allegra e imbarazzata. << Mi ero recata da Margaret portandovi con me, nella disperata ricerca di aiuto. Non avevate ancora neanche un anno >> dice accarezzando i due neonati che ora dormono entrambi tranquilli tra le sue braccia. << Lei non era in casa, ma c’era Hugh, il suo secondo marito e padre del suo secondo figlio James, che aveva quasi tre anni. Lui mi accolse e mi aiutò. Non lo fece solo occupandosi di voi, permettendomi di riprendere fiato. Lo fece insegnandomi a stare con voi, a capirvi e ad amarvi >> dice ed è ancora visibile l’amore che prova per lui nei suoi occhi, sul suo viso che lentamente torna pulito, libero dai lividi e ancora più bello. << Non avvenne tutto in una volta, ovviamente. Presi l’abitudine di recarmi da lui, sempre quando Margaret e i suoi figli non c’erano. Parlavamo per ore, giocavamo insieme tutti e quattro e, dio, quanto gli piacevate voi due e quanto a voi piaceva lui. Iniziò così a piacere anche a me. Non ero mai stata trattata con così tanto rispetto e delicatezza. Mi innamorai di lui mentre mi innamoravo di voi, io che credevo l’amore fosse solo una favola raccontata nei libri >>.
<< Anche io lo credevo >> sussurra lui catturando la sua attenzione.
<< Lo so e sono felice che anche tu abbia avuto la possibilità di ricrederti >> dice e questa volta la mano di lei si avventura sicura verso di lui posandogli una carezza sulla guancia.
Al tocco di lei immagini angoscianti gli invadono la mente. La vede, dalla prospettiva bassa del bambino che è stato, trascinarli in fretta per mano lungo il vialetto di Musgrave. Terrorizzata, poi, intima loro di correre, correre a più non posso.
‘Nascondetevi!’ questa è l’ultima parola che le ha sentito gridare.
Si scosta dalla sua mano come l’avesse scottato. È triste lo sguardo di lei.
<< Sì, purtroppo ho fallito. Perdonami, Sherlock >> sussurra e il pianto esplode. Dapprima contenuto, poi sempre più prorompente. Continua a chiedere perdono, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi, senza più neppure tentare di sfiorarlo con le dita. Sono le sue dita allora che sfiorano lei. Mentre frammenti dei momenti felici si fondono con quelli più tristi la invita tra le sue braccia. Così piccola e fragile, da lei si propaga un piacevole profumo di sandalo e gelsomino. Fragranze che gli hanno sempre smosso piacevolezza e fastidio insieme e solo ora capisce il perché.
Sherlock chiude gli occhi e si perde nei respiri di sua madre, nei suoi singhiozzi, nel suo profumo e nella piacevolezza del tenerla tra le braccia. Il bacio che lei gli posava sulla fronte rimboccandogli le coperte. La mano di lei che affondava nei suoi capelli sempre spettinati. Il sorriso bello che gli regalava baci carichi di amore incondizionato. Aveva rimosso tutto questo. No, non lo ha rimosso, lo ha represso, volutamente schiacciato in quella cantina buia, fredda e umida.
<< Volevamo andare via, fuggire lontano >> continua tra le lacrime rincuorata dal suo abbraccio. << Avremmo vissuto nel Sussex nel cottage di una sua vecchia zia. Lì tu, Eurus e James sareste stati bene e anche noi. Lui stravedeva per suo figlio e non lo avrebbe mai lasciato a Margaret e a quella strana creatura che era la sua primogenita. Sareste cresciuti come fratelli e saremmo stati felici. Ne ero così sicura, sai? Convinta di poter raggirare Holmes e di salvarmi, di liberarmi una volta per tutte di lui. Purtroppo mi sono illusa. Non avevo tenuto conto di lei e del dubbio che insinuò nella mente violenta di Holmes >> dice e Sherlock sente ribollire il sangue di rabbia nel ritrovare anche nel racconto di sua madre l’ombra diabolica di Moran. <<  Il cuore mi andò in mille pezzi quando appresi da lui anche quella parte del piano ai miei danni portato avanti dalla mia migliore amica. Mi sentii tradita e persi i miei più grandi amori. Hugh, te ed Eurus… oddio, mi spiace così tanto avertela portata via, Sherlock >>.
Nuove lacrime sgorgano dagli occhi chiari di lei. Ora Sherlock ricorda perché cambiò idea su sua madre. Ricorda le parole di suo zio Rudolph, l’unico che abbia mai accettato di soddisfare la sua curiosità rispondendo alle sue domande scomode. Certo, quella verità deve essere stata sconvolgente al punto da portarlo a reprimere tutte le informazioni in quella piccola cella nella quale oggi l’ha ritrovata. Una repressione così forte da portarlo a non pensare più a lei e a provare fastidio al solo pensiero del concetto stesso di madre. Da anni non usa quella parola. La sente riverberare nei suoi ricordi, gridata da Jane.
<< Mamma >> sussurra vincendo lo strano imbarazzo che sta provando. Il pianto della donna si placa e resta senza fiato. << Tu ci hai provato, hai provato a liberarci da quella rete, a regalarci un futuro diverso, più felice, forse. Non hai alcuna colpa se è andata così. Era l’unico modo in cui potesse andare. Se è il mio perdono che cerchi sappi che lo hai. Ti perdono, mamma >>.
Le braccia di lei si stringono forte attorno alle sue spalle. Una risata allegra, così simile a quella di Jane, nasce dal petto di lei. La sente vibrare contro il suo, contagiarlo e scaldargli la pelle gelida.
La piccola cella nella quale si trovano diviene sempre più calda e luminosa. Il profumo di erba tagliata di fresco si unisce a quello di lei e quando Sherlock apre gli occhi non sono più le pareti gonfie di umidità di quell’antro oscuro quelle in cui si trovano. È il cielo terso della sua infanzia. Il prato nel quale andavano a giocare quando le nuvole si diradavano e finalmente la pioggia concedeva loro qualche ora di libertà. Il vento è caldo, qui, e li avvolge, accarezzando il loro abbraccio.
<< Non commettere il mio stesso errore, Sherlock >> gli dice sua madre allontanandosi appena da lui per potersi specchiare nei suoi occhi. << James è un ragazzo instabile che ha sofferto tanto, ma non devi fare mai eccezioni! Un’eccezione contraddice la regola. Ciò che Jim ha vissuto non giustifica le sue scelte e la sua condotta, ovviamente, e non deve farti desistere dal distruggerlo. Può, però, esserti d’aiuto. Lui non terrà fede al vostro accordo >>.
<< Sì, me ne ha già dato prova >>.
<< No >> ribatte seria sua madre. << Quello era solo un capriccio. Lui ha intenzione di fare proprio quello che tu gli avevi chiesto di non fare in cambio del tuo arrendersi al suo volere e affiancarlo, in qualità di socio, nella sua brama di potere >>.
<< E’ impossibile! Lui non sa che John sarà presente al vertice sotto le mentite spoglie di un agente dell’M… ah! >> esclama e cosa intenda sua madre ora gli è chiaro. << Questo non ha senso! Gli ho detto chiaramente che se avesse fatto qualcosa a John non avrebbe avuto nulla da me, che mi sarei ucciso. Io davvero non lo capisco. Quest’uomo è troppo strano >> sospira affranto. << E per me resta un mistero >>.
<< Figlio mio, non cadere nell’errore di confondere ciò che è strano con ciò che è misterioso. Tu sei un consulente investigativo e sai come spesso il delitto più aberrante è il più incomprensibile proprio perchè non presenta aspetti insoliti o particolari da cui si possono trarre delle deduzioni. Su James gli aspetti insoliti e particolari abbondano e puoi quindi trarre tutte le deduzioni che vuoi >>.
Sherlock ragiona sulle parole di sua madre. Moriarty più volte è tornato sulla possibilità che lui stia tramando alle sue spalle, dimostrando la sua diffidenza. Lui effettivamente sta tramandogli contro e su più fronti, anche. Quale modo migliore per smascherarlo di quello di fare una strage là dove, per senso di logica, dovrebbe trovarsi il suo uomo, qualora davvero non fosse impegnato in loschi complotti alle spalle del nemico? Così facendo, inoltre, James porterebbe avanti anche un altro pezzo del suo piano. Portare a compimento una strage nella casa dell’uomo al quale le nazioni riunite hanno affidato l’organizzazione del vertice di pace getterebbe questo stesso uomo in cattiva luce. Partirebbe così l’opera di distruzione del buon nome di Mycroft Holmes. Quale terreno migliore di quello per far germogliare i semi del sospetto, che lo porterebbero ad essere accusato di essere il mandante di quanto, tra qualche ora, avrà luogo sulle cascate di Reichenbach?
<< Una deduzione giusta ne suggerisce invariabilmente altre >> annuisce sua madre soddisfatta di lui.
<< Non basterà, però, che io mi mostri disperato per quanto è successo. Potrebbe pensare che sia sempre parte del mio piano e che reciti affinchè lui possa comprendere quanto fossi sincero e convincersi di aver davvero fatto fuori John >>.
<< No, infatti. Lui è intelligente, in questo hai ragione. Ed è folle, cosa che lo rende ancora più brillante. Ha tentato più volte di sedurti proprio usando questa sua diabolica intelligenza >>.
Sherlock annuisce, rendendosi conto di come James in effetti sia riuscito nel suo intento seduttivo durante quel grande gioco.
<< Non devo, però, neppure dargli ciò che vuole. Perché lui della passività non si accontenta, altrimenti mi avrebbe già preso quando l’ho invitato a fare di me ciò che voleva >>.
<< Cos’è che l’affascina di te? >>.
<< E’ convinto che io sia come lui >> risponde e la soluzione al loro problema gli si presenta chiara e maledettamente semplice.
<< Il principio del rasoio di Occam non sbaglia mai >> sorride sua madre. << E, dal momento che siete due menti dall’intelligenza superiore, fate vostra l’altra verità assoluta: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Tu e James sembrate l’incarnazione del principio di Newton! >> ridono entrambi in quest’atmosfera ora calda e serena sotto il cielo terso della Cornovaglia.
<< Direi che sono pronto ad andare in scena >>.
<< Sì, lo penso anche io >> sorride lei carezzandogli il volto e nessuna esplosione di immagini gli provoca ora il suo tocco, solo la piacevolezza della sua dolcezza. << Ricorda che il modo migliore per recitare una parte è quello di viverla. Calati, quindi, in questo nuovo ruolo, proprio come fanno i ‘Los errores’. Non cercare fuori da te, però. Non è di un personaggio che hai bisogno. Dentro di te troverai tutto ciò che ti serve per battere James perché, figlio mio, ricordati che sei più forte di lui. Questa forza ti viene dall’amore che provi per John, per Mycroft e per tutte le altre persone che consideri amiche. Devi stare attento, però, e ricordarti che il tocco supremo dell’artista è sapere quando fermarsi. Se non ti fermerai rischierai di scoprire ciò che James ha inventato per convincersi della vostra affinità >>.
<< Devo ammettere che questo mi spaventa. Scoprire queste parti di me così simili a lui mi fa temere di poterlo essere davvero >>.
<< Quella dell’investigazione dovrebbe essere una scienza esatta e andrebbe, quindi, trattata in maniera fredda e distaccata. Mi rendo conto di quanto sia importante che lo Sherlock uomo affronti queste paure. Tutto ciò che non è noto, infondo, ci appare straordinario. Tieni a mente, però, che ognuno di noi ha un lato oscuro e in qualunque momento può finirci dentro. Ma non è questo il momento di cimentarsi in simili analisi. Ora bisogna agire e risolvere questo maledetto problema >>.
<< Questo e anche quello che sta piombando su Mycroft >>.
<< No, Sherlock >> dice decisa scuotendo il capo. << Non moltiplicare gli elementi più del necessario, rischi di complicare senza motivo ciò che è semplice. Ricorda che all’interno di un ragionamento va ricercata la semplicità e la sinteticità[12]. Il tuo compito è risolvere la situazione che si è venuta a creare tra te e Moriarty. Solo lì hai da concentrare le tue energie e solo così permetterai di dare vita a quel moto energetico che porterà il sistema a trovare il suo giusto equilibrio, salvando, di conseguenza, tuo fratello >>.
Sherlock sorride del suo parlare per citazioni matematiche. Si rivede molto nel suo modo di ragionare, di buttare qua e là citazioni e frasi fatte. Si rende conto di aver preso tante cose da lei, tutte quelle cose che lo caratterizzano e che pensava con orgoglio di aver costruito da solo. Non prova alcun fastidio nel vedersi espropriato di tali convinzioni, anzi, è felice di portare dentro di sé questi logici e matematici frammenti di lei. La abbraccia e per un lungo momento torna ad essere il bambino che si addormentava sul suo petto, ipnotizzato dal ritmico battito del suo cuore. Le mani di lei affondano nei suoi capelli e il consulente prova una profonda sensazione di protezione e sicurezza.
<< Sarai qui se avrò bisogno di te? >> le chiede in un sussurro imbarazzato.
<< Certo. Sono sempre stata qui per te >> risponde posandogli un bacio sulla fronte.
<< Perdonami per essermi dimenticato di te >>.
<< Non ti sei dimenticato. Ci sono sempre stata, solo non sapevi che fossi io. C’è un po’ di me nella fiducia di Lestrade. Un po’ di me nell’amore di Molly. Un po’ di me nel the della signora Hudson. Un po’ di me nei richiami austeri di Mycroft. E c’è un po’ di me anche nell’abbraccio amorevole di John >>.
Sherlock sorride della sue parole. Inconsciamente si ricerca nelle persone che si incontrano lungo il cammino brandelli di quelle che ci hanno generato e cresciuto. Moriarty aveva rimandato l’idea che ci fosse suo padre nel John che senza pensarci su ha ucciso la donna che aspettava suo figlio e che per questo motivo lui lo avesse scelto come compagno. Ora sa che non è così. Nel suo uomo e in tutte queste figure amorevoli c’è sempre stata l’ombra di lei.
<< Mi rendo conto solo ora che hai sempre cercato di proteggermi e che, attraverso queste piccole parti di te, continui a farlo >>.
<< Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c’è più. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle[13]. È tu sei stato amato da Jane, tanto amato da lei. E da me >> sussurra imbarazzata queste ultime tre parole.
Sherlock la stringe forte tra le braccia. Bacia le sue guance arrossate e chiude gli occhi per imprimere nella sua mente il suo bel volto e quel sorriso amorevole.
 
Apre lentamente gli occhi. La stanza è appena illuminata dalla fioca luce dell’abatjour. Le mani sono ancora unite sotto il mento. Il corpo disteso, perfettamente allineato. Un sorriso sicuro e deciso gli incurva le labbra. Sente dentro di sè un’energia nuova.
<< Non è più un gioco, adesso, fratellino >> dice e con un unico movimento fluido e rapido salta giù dal letto.
 
 

[1] La immaginavo più movimentata la stanza della tua adolescenza, occhibelli
[2] Mamma mia, che tomo!
[3] Inquietante
[4] Mamma mia, che brividi
[5] Cosa diavolo sta succedendo, Juan?
[6] Gli uomini che sono rimasti appostati qui fuori in questi giorni hanno deciso di venire a fare la nostra conoscenza.
[7] Ma che gentili
[8] Attenta!
[9] Mia nonna dice sempre che se sogni la morte di qualcuno gli allunghi la vita
[10] Per fortuna tua nonna ha avuto ragione anche questa volta
[11] A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire.
[12] Capisaldi del principio del rasoio di Occam
[13] Non potevo non mettere questa bellissima citazione di Silente, da ‘Harry Potter’ della Rowling
   
 
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