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Autore: nikita82roma    13/11/2018    3 recensioni
Ambientata dopo la fine della serie. Kate Beckett e Richard Castle sono al loft, si sono da poco ripresi dal conflitto a fuoco con Caleb, si stanno riabituando ad una loro nuova quotidianità quando Rick legge una notizia sul giornale che attira la sua attenzione e le loro vite saranno di nuovo messe sotto sopra da un passato sconosciuto che viene a galla.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle, Sorpresa | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Per qualche ora si era dimenticata di tutto, aveva pensato solo a Flynn. Lo aveva ascoltato, consolato e confortato. Aveva accolto il suo sfogo e gli aveva detto che non si doveva sentire responsabile per quanto accaduto ad Alice solo perché più volte in quei giorni gli era capitato di sperare che quel bambino non ci fosse mai stato. Si sentiva in colpa e gli dispiaceva. Così Emily lo aveva confortato, lo aveva rimproverato dicendo che quello non era un bel pensiero, ma che lui non aveva nessuna responsabilità. Si tenne per sé l’idea che se bastasse solo un pensiero per far accadere qualcosa lei sarebbe stata il peggiore dei serial killer. Forse lo era sul serio, quell’idea non riusciva a togliersela dalla mente. Preparò qualcosa per cena, un piatto di mac & cheese, una volta le piaceva cucinare ma da quando era tornata non lo faceva mai se non quando Flynn l’andava a trovare. Cucinare solo per sé stessa le metteva tristezza, quindi andava avanti a panini, toast, pizza e qualche cibo d’asporto ogni tanto. Avere lì Flynn le riportava un minimo di calore familiare, era bello avere qualcuno di cui prendersi cura, era bello prendersi cura di lui. Lo aveva poi spedito a letto dopo essersi fatto una doccia, lo aveva fatto sistemare nella sua camera ed era rimasta distesa a letto vicino a lui a guardarlo dormire per un po’ dopo che si era addormentato e lì riusciva a riconoscere ancora i lineamenti di quel bambino piccolo che era sempre impresso nella sua mente: come teneva le mani sul cuscino, la bocca appena socchiusa, il suo rannicchiarsi il posizione fetale, era sempre il piccolo Flynn che voleva dormire sempre vicino a lei e quando Nick lavorava fino a tardi lo lasciava addormentare nel letto al suo fianco, per poi addormentarsi anche lei vicino a lui. Il suo bambino, la cosa migliore della sua vita.

Era poi uscita silenziosamente e si era sistemata sulla poltrona quando i pensieri erano diventati così rumorosi da sembrarle che stessero urlando tutte le loro domande fuori dalla sua testa e mentre cercava risposte un pensiero divenne concreto: non era più nessuno, anche lei aveva una storia, era qualcuno, non solo un punto interrogativo ma nonostante le tante domande, aveva anche delle risposte. Per la prima volta sapeva chi era, sapeva che qualcuno le aveva voluto bene. Aveva un padre e una madre che non l’avevano abbandonata ma avevano scelto un nome per lei, Christine. Lei era Christine Beckett e tutto quello che sapeva della sua vita erano falsità. Era falsa anche la sua data di nascita, sorrise per la prima volta nel pensare che era anche più vecchia di un anno di quanto aveva sempre saputo. Aveva sempre festeggiato il compleanno in un giorno che non voleva dire nulla ed anche il suo nome era inventato. Non era più un nulla, era altro rispetto a quello che aveva sempre creduto di essere e non capiva cosa fosse peggio.

Pensò a Kate Beckett. Al suo sguardo carico di speranza che si spegneva man mano che si scontrava con i suoi muri, al suo racconto dettagliato che faticava a tenere fuori dall’emotività che ogni tanto le sfuggiva, quando i loro sguardi si incrociavano e si accorgeva come sotto al tavolo stringeva di più la mano di suo marito da quell’impercettibile movimento della spalla che però lei aveva notato. Era tesa, non meno di lei ed era anche emozionata. Di sicuro aveva avuto modo di prepararsi a quell’incontro al contrario di lei, però le era chiaro che nonostante questo non fosse pronta. Kate Beckett era sua sorella. Lei aveva una sorella, una sorella gemella e di certo qualunque cosa fosse accaduta alla loro nascita lei non poteva mai avere nessun tipo di colpa. Fu come se ne avesse preso pienamente coscienza solo in quel momento della portata di quanto era successo quel giorno. Si era addormentata poi sul divano quando la sua mente si era arresa ed aveva smesso di combattere con tutti quei pensieri, quando aveva smesso di elaborare scenari futuri di cosa sarebbe potuto accadere. Forse non avrebbe dovuto fare nulla, prendere la notizia così come era venuta, non aggiungere altre tessere a quel puzzle complicato che era la sua vita, andare avanti come aveva progettato negli ultimi tempi. O forse no.

 

 

Castle era stato un morbido cuscino ed un abbraccio rassicurante. Non lo aveva detto con le parole, perché sapeva che Beckett non lo avrebbe sopportato, ma ogni suo gesto le gridava “andrà tutto bene”. Lui lo pensava veramente, sarebbe andato tutto bene, in ogni caso, sia, come sperava, se Emily avesse deciso di accettare l’esistenza di Kate e concederle almeno l’opportunità di conoscerla, sia se fosse rimasta chiusa nel suo mondo, convinto che prima o poi avrebbe fatto un passo verso sua sorella. Ci avrebbe pensato lui, in caso contrario, a fare tutto quello che gli era possibile per far star bene sua moglie, come aveva sempre fatto e si sarebbe messo a nudo per lei come invece mai aveva fatto prima, per aiutarla. Lui era un’esperto, ormai, di parentele scoperte da adulto. Jackson Hunt era apparso, gli aveva sconvolto la vita più di una volta, poi era sparito di nuovo, prima ancora di riuscire a conoscerlo, prima di fargli tutte quelle domande che aveva dentro da una vita, prima di avere quelle risposte che era ormai certo non avrebbe mai avuto. Si era tenuto sempre tutto dentro, senza mai far partecipe nessuno di questo suo peso, nemmeno Kate, perché istintivamente cercava sempre di proteggerla da qualsiasi cosa potesse turbarla, anche da se stesso se lui ne era la causa. Sapeva che era sbagliato, perché a parti inverse lui avrebbe voluto sapere ogni suo dubbio ed ogni suo turbamento, si erano promessi più volte in quegli ultimi mesi fatti di confronti e di tentativi di ricucire un rapporto più solido, senza segreti e senza omissioni, che si sarebbe sforzato di farlo, ma quella rimaneva sempre una zona oscura che gli aveva causato troppi dolori da bambino e da ragazzo, sempre nascosti a tutti, per riuscire a tirarli fuori senza farsi del male ancora. Gli faceva male solo a pensarci, ma se era diventato quello che era, lo doveva anche a quello, la sua fantasia si era sviluppata in modo esponenziale negli anni, mentre inventava storie, creava mondi per darsi ogni volta una spiegazione tutta sua e tutta originale. Non sarebbe mai diventato Richard Castle senza l’assenza di Hunt, non sarebbe mai stato lì, in quel letto nella suite del XV Beacon Hotel tenendo stretta tra le braccia Kate Beckett e allora, in fondo, andava bene così. Glielo aveva già detto una volta, quando stavano ballando la loro canzone, ormai diversi anni prima, tutte le scelte che aveva fatto, tutte le cose tremende o meravigliose che gli erano capitate l’avevano condotto a vivere questo presente con lei e ogni volta che la guardava, pensava che in fondo, valeva la pena. Valeva la pena tutto.

L’aveva sentita addormentarsi a notte fonda, aveva fatto finta di dormire per un po’ prima di lasciarsi andare veramente. Lui aveva fatto finta di crederci, ma non si era addormentato fin quando non aveva sentito il respiro di lei farsi lento e regolare e solo dopo aveva ceduto anche lui, doveva essere prima certo che dormisse, non poteva lasciarla sola nei suoi silenzi e dormire, doveva vegliare su di lei, stringerla quel poco impercettibile in più, quando la sentiva sospirare, per farle capire che lui c’era, era lì, senza dire nulla. Questa era la cosa che aveva imparato nel corso degli anni al suo fianco, ad essere, quando lei ne aveva bisogno, una presenza solida e silenziosa, a placare la sua irrequietezza e la sua smania di parlare, sapere, fare domande ed accettare i suoi silenzi, leggerci dentro tutto quello che non poteva e non voleva dirgli. Ci era riuscito bene, si diceva senza troppa modestia, era stato un lavoro lungo e difficile, ma ormai sapeva riconoscerli e quello di cui aveva bisogno quando la sera lo abbracciava e nascondeva il viso tra le pieghe della sua maglietta, stringendo nel pugno un pezzo di stoffa, come a volergli chiedere, ogni volta, di non andare via. Non lo avrebbe mai fatto, lei lo sapeva, ma aveva bisogno di quel gesto simbolico per esserne sicura. Lui lo capiva e la abbracciava a sua volta, la stringeva perché si sentisse protetta tra il suo braccio ed il suo corpo, perché capisse che lei, lì poteva stare finchè voleva e nessuno avrebbe cambiato quello. Era stata una grande conquista per Castle, ricordava i primi tempi, quando invece che cercarlo si isolava, le dava le spalle rannicchiandosi sola nella sua parte di letto, e lui rimaneva a guardarla, timoroso anche di sfiorarla per non invadere i suoi spazi. Alcune volte dava per scontato tutto quello che aveva, poi gli capitava come in quella mattina di fermarsi a pensare da dove erano partiti e capire quanta strada avevano fatto, inciampando, a volte cadendo, perdendosi anche, ma erano sempre lì, nonostante le difficoltà. Erano cresciuti insieme ed erano cambiati rimanendo però, sempre fedeli a loro stessi. Lei era riuscita a tirare fuori delle cose nascoste di lui, tanto quanto lui era riuscito a farlo con lei. Lo aveva fatto maturare, aveva fatto in modo che ammettesse a se stesso prima ancora che agli altri quali erano le cose per lui veramente importanti, cosa lo rendeva felice, aveva tirato fuori quel Richard Castle che lui teneva nascosto a tutti, anche a sé stesso, dietro la maschera del playboy amante solo del divertimento. Lei era riuscito a vederlo, nonostante la sua diffidenza iniziale e lui non aveva mai rinunciato a quel suo lato leggero che sapeva essere fondamentale per affrontare insieme la vita di tutti i giorni.

- A cosa stai pensando? - Gli chiese Beckett. Non si era accorto che era un po’ che si era svegliata e lo stava osservando. Rick si ridestò ed abbassò lo sguardo per incrociare il suo.

- A noi.

- A noi?

- Sì. È strano?

- No, Castle è… bello. - Gli rispose sinceramente colpita. Anche lei pensava spesso a loro, a quanto era fortunata ad avere loro, che era più che avere lui, perché si rendeva conto che lui lo aveva avuto anche per quattro anni, quando ancora non erano “loro”, ma era diverso. La forza che aveva ricevuto dallo stare insieme non era paragonabile a niente ed era certa che non avrebbe sopportato nemmeno metà delle cose che le erano capitate in quegli anni se non ci fosse un “loro” da cui tornare, perché tornare da lui era tanto, da un uomo che l’amava e che sapeva di amare ancora prima di rendersene conto e di accettarlo, ma tornare da “loro” era di più. Lui non era suo, Castle era una bellissima mente libera che aveva deciso di vivere la sua vita con lei, “loro” sì. Loro era qualcosa che insieme avevano costruito, qualcosa di immensamente più grande che non aveva nemmeno idea di come poteva esserci riuscita, lei, Kate Beckett, a dare vita a qualcosa di così potente. Loro era quella speranza che nonostante tutto, alla fine sarebbe andato tutto bene.

- Sai, già che siamo qui, stavo pensando… potremmo fare un po’ i turisti, che ne dici?

- Non sono mai stata a Boston, in realtà. - Gli confidò.

- Io sì, ma non ci sono mai stato con te.

Le sorrise e la baciò. Sarebbe comunque andato tutto bene.

   
 
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