Pages blanches ~ di goffe spiegazioni su un mondo complicato
L’Aula 33 si svuota rapidamente. La presentazione del primo numero de Le avventure di Ladybug
è stata un successo, si dice Nathaniel con un
sorriso, salutando con la mano Marinette che si allontana
in corridoio con Alix, Rose e Juleka, ridendo alle
loro benevole prese in giro riguardo quella dedica sul retro di copertina.
Naturalmente però – e il sorriso si smorza
– non se ne sono ancora andati tutti;
e forse questo è il momento buono.
«Ehi, uhm. Marc?»
Si volta in tempo per sorprenderlo nell’atto
di far cadere una pila di fogli dei suoi appunti sulla sceneggiatura finale.
Affrettandosi a raccattare tutto il possibile, il ragazzo lo guarda di sotto in
su con aria preoccupata. «S-sì? Tutto bene? Ho sbagliato qualcosa, vero?»
balbetta.
Nathan si lascia scappare un risolino, ma
poi pensa che potrebbe dargli l’impressione di star ridendo di lui, e si
affretta a tornare serio. «No, certo che no» gli assicura, avvicinandosi e
chinandosi per aiutarlo. «Andava tutto benissimo. Penso che abbiamo messo su
una storia davvero fantastica!»
Il sorriso dell’altro è ancora nervoso
mentre insieme rimettono in sesto gli appunti e li depositano sul loro tavolo –
lo stesso cui hanno lavorato, più o meno imbarazzati, per tutta l’ultima
settimana.
Alla fine, Nathan recupera lo zaino da
sotto una sedia, e lo tiene in mano come una bomba carica mentre cerca le
parole successive.
«Senti, volevo... darti una cosa. Insieme alle
mie scuse. Per – sai.»
Gli caccia in mano un semplicissimo libro
dalle pagine bianche.
Marc lo guarda perplesso, poi i suoi occhi
si illuminano di comprensione, mentre tende le mani ad accettare il libro.
«Mi dispiace da morire, davvero» borbotta Nathaniel, «e avrei solo voluto riuscire a dirtelo prima.»
«Oh, n-non fa niente.» Marc solleva la
copertina rigida, accarezza la prima pagina e l’annusa. «Grazie, Nathan. È molto...
molto carino da parte tua.»
Qualche secondo di silenzio imbarazzante e
imbarazzato, e alla fine Nathaniel prende fiato e
decide che tanto vale mettere tutte
le carte in tavola.
«E poi, ecco... C’è un’altra cosa di cui
forse dovremmo parlare, visto che ora siamo una squadra.» Una ‘squadra’? Dio,
patetico. Ma come diavolo si fa ad affrontare questo argomento?
«Ti ascolto» ribatte Marc con una certa
sicurezza nuova, forse dovuta al libro – Nathan ha già notato l’effetto che hanno
su di lui le pagine intonse: lo conosce bene, è anche il suo – appollaiandosi sullo
schienale di una seggiola senza smettere di rigirarselo da tutte le parti, come
un tesoro inaspettato.
Questo potrebbe rendere le cose più
difficili, riflette lui, afferrando un’altra sedia, dondolandola sulle gambe,
imponendosi di restare ben saldo sui propri piedi.
«Tu...» esita un po’, e alla fine decide
di buttarla lì come viene. «Lo sai, vero, che a me piacciono le ragazze?»
Marc sussulta e alza lo sguardo su di lui.
Nei due secondi e mezzo che ci mette a costruire una risposta, la pelle del suo
viso diventa progressivamente dello stesso colore dei capelli di Nathaniel.
«C-certo che lo so.»
«Ah.»
Passa un altro arco di tempo indefinito,
con Nathan sempre più concentrato sul dondolio delle gambe della sua seggiola.
Si chiede se fosse davvero necessario
metterlo in parole. Certo, che lo sapeva.
D’altro canto, pur nei suoi tentativi di vivere la vita come un alter ego di
carta e inchiostro, Nathan non è mai stato un esempio di discrezione a scuola; e
anche se persino a lui suona un po’ ridicolo che i suoi standard siano passati
nel tempo da Marinette Dupain-Cheng
a una supereroina come Ladybug – insomma, sempre di ragazze si tratta, giusto? Mentre Marc,
be’, insomma... lo guarda in un certo modo. E lui non è mica cieco come Adrien Agreste.
«A dirla tutta...»
Il bisbiglio di Marc lo coglie del tutto
alla sprovvista, e per poco non fa cadere la sedia.
Gli lancia uno sguardo di sbieco, ma vede
solo la sua fronte rosso pomodoro, l’unica cosa che emerge dal libro che ora
tiene scrupolosamente aperto davanti alla faccia.
«A dirla tutta, io... io non mi identifico
sempre come un ragazzo.»
Nathaniel non è sicuro di aver capito, ma non osa
fare domande troppo esplicite. È vagamente conscio di trovarsi in una zona
molto, molto delicata per Marc, e aspetta che sia lui a continuare a parlare.
Infatti, dopo una pausa, il ragazzo si
decide a sbirciarlo a sua volta oltre il bordo del libro. «Hai mai sentito
parlare di fluidità di genere?»
Potrebbe anche mentirgli, ma gli sembra
molto più giusto scuotere la testa, e intanto si rende conto che è praticamente
la prima volta da quando sono rimasti soli nell’aula che non lo sente
balbettare.
Marc sospira, si posa il libro sulle
ginocchia con il dorso in su, e si muove a disagio sullo schienale, come un
uccellino – molto colorato – che si agita sul suo trespolo.
«Vedi, non esistono solo i ragazzi che si ‘sentono’
ragazzi e le ragazze che si ‘sentono’ ragazze. Il mondo è più complicato di
così, ti pare? E io... io ho sempre saputo di non essere soltanto un ragazzo. Non sempre, almeno. Non al cento per cento. Ad
esempio, a volte mi riesce fin troppo facile... immedesimarmi in Ladybug, e scrivere dal suo
punto di vista. Sì, insomma, da un punto di vista femminile. So che è un
esempio stupido, ma... Accidenti, è difficile da spiegare.»
«No, credo... credo di capire.»
Marc azzarda un’altra occhiata verso di
lui. «Davvero?»
«Sì.» Nathaniel
si sorprende a scoprirsi sincero. Ha ragione; il mondo è più complicato di
così. Basterebbero anche solo le storie di Evillustrator
e Reverso a spiegarlo, e non solo nelle pagine di un fumetto.
Lo osserva mentre si mordicchia un’unghia
smaltata di nero, apparentemente incerto se credergli o no, ed è allora che gli
scappa una domanda probabilmente sbagliata.
«E c’è, uh, un motivo particolare per cui
me l’hai detto?»
«C-certo che no!»
Marc quasi cade dalla sedia, e Nathan
molla la sua per corrergli accanto e sorreggerlo.
Quando lo lascia andare si rende conto che,
per un attimo, era un po’ come se lo stesse
abbracciando; però non gli ha dato alcun fastidio.
Poi, prima di rendersene conto, sta
ridendo. E Marc tenta una risata insieme a lui.
Et
les passants qui passent
les désignent du doigt
Mais les enfants qui s'aiment
Ne sont là
pour personne
Poco più tardi escono insieme dall’Aula
33, nella scuola ormai deserta. Camminano vicini senza più disagio.
«Potremmo farci un giro, ogni tanto.
Andare in fumetteria. O da qualsiasi altra parte.»
«Sì... mi piacerebbe.»
Spazio
dell’autrice
La ragione
principale per cui ho scritto questa cosuccia inutile è che non mi è
piaciuto assolutamente che Nathaniel non si sia
scusato, in Reverso, per aver fatto a
pezzi il libro Il diario di Ladybug dopo aver scoperto che a scriverlo era stato
Marc e non la stessa Ladybug. A parte il fatto che
nell’intera situazione si può vedere una certa omofobia latente (gli stessi
creatori di Miraculous
hanno confermato che Marc ha una cotta per Nathan, e il fatto che Nathan si
senta “preso in giro nei suoi sentimenti” può benissimo ricondursi al fatto che
non vuole sentirsi – neanche per vie traverse come quel libro – corteggiato da
un ragazzo: il che ci sta, ma non è giusto che assuma tratti violenti come quel
gesto!), la cosa principale è che quello non è il mio Nathan, il mio piccolo adorabile Nathan che sa fin troppo bene
cosa significa sentirsi umiliati dagli altri. Questa shot
è un tentativo di riscattarlo, e con lui anche il suo rapporto con Marc,
naturalmente. Perché è chiaro che li shippo come se
non ci fosse un domani anche se mi manca da morire shippare
Nathaniel/Marinette.
Inoltre, da
qualche parte ho letto che il personaggio di Marc è ispirato da un* amic* genderfluid (e bisessuale)
di Thomas Astruc, creatore principale della serie,
perciò mi sembrava giusto che in questa storia le scuse di Nathaniel
portassero anche a una maggiore comprensione di Marc da parte sua: non volevo
rendere troppo “denso di significati” un confronto di questo tipo tra due
quindicenni, fondamentalmente ancora molto ingenui e self-questioning,
però volevo sottolineare la presenza di questo tratto particolarissimo in un
cartoon per adolescenti perché, Dio santo, ERA ORA che ci fosse un minimo di
rappresentazione in più sulla comunità LGBT+.
I tre versi
prima della conclusione sono tratti da Les enfants qui s’aiment di Jacques Prévert.
Thanks for reading,
Aya ~