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Autore: Emmastory    15/11/2018    6 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXVI

Fiducia materna

Scorrendo lente, lunghe ore se n’erano andate, sparendo dalla mia vita e lasciandomi assistere alla quieta marcia del tempo stesso. Sdraiata sul divano, mi sentivo stanca, ma fermandomi a pensare, mi voltai, volgendo il mio sguardo ormai privo di luce alla finestra, non più aperta com’era appena minuti prima. Mi costava ammetterlo, ma ero stata io a chiuderla. Dopo quello che era successo con Marisa, avevo capito di aver dato forse troppa importanza alle mie stesse speranze, finendo per perderle tutte in un colpo solo, come un avido e imprudente giocatore d’azzardo con tutti i suoi averi. Lontana da Christopher, ero rimasta sola, e ora che il buio mi avvolgeva, iniziavo a sentirmi sempre più triste, debole e sfiancata. Il buio mi avvolgeva, e sbattendo le ali, mi accorsi che perfino la polvere magica di cui disponevo stava lentamente abbandonando il mio corpo. Con uno sforzo che mi parve immane, riuscii ad alzarmi, e muovendo qualche incerto passo in avanti, protesi una mano in avanti nel tentativo di richiamare a me le esigue forze che mi restavano, e mettendo un piede in fallo, quasi caddi. Per pura fortuna, il davanzale riuscì a sostenermi, e rimettendomi in piedi a fatica, mi lasciai investire dallo splendere dei pallidi raggi lunari. Ad occhi chiusi, respirai a fondo, e riaprendoli, la vidi. Una stella. Mostrando tanto coraggio quanta luce, sembrava averne di propria, e con il suo candore, mi rimise in forze. “Che stai facendo?” pensai, redarguendomi da sola per il mio gesto. Era strano a dirsi, ma pur sapendo di sbagliare, sentivo comunque di star facendo la cosa giusta. Troppo triste e sconsolata per pensare lucidamente, non riuscivo a fare altro, e così, restando ferma di fronte al vetro della finestra, respirai ancora. Poco dopo, una voce mi distrasse. “Kaleia?” mi chiamò, flebile come il sussurro di un bianco fantasma. “S-Sì?” ebbi a malapena la forza di biascicare, provata dal freddo e dalla paura. “Sono io, non mi riconosci?” chiese quella voce, scivolando poi nel silenzio e facendomi piombare nel terrore. “Chi… Chi sei?” azzardai, spaventata. Senza degnarmi di una risposta, la figura avanzò nel buio, e in breve, mi ritrovai stretta in un abbraccio. In quel momento, un temporale illuminò a giorno la stanza, e fu allora che la vidi. Eliza. La mia cara madre adottiva, la donna che mi aveva preso con sé e cresciuto, ora mi aveva raggiunta al solo scopo di confortarmi. Doveva aver ascoltato il mio pianto e il mio litigio con Christopher, agendo solo secondo il suo istinto. Lasciandomi stringere, tremai come una povera bestiola impaurita, e nello spazio di un momento, sentii gli occhi bruciare a causa di alcune lacrime che volevano solo uscirne. “Puoi stare tranquilla. Adesso ci sono io, andrà tutto bene.” Sussurrò dolcemente, con il buio che intanto era tornato ad inghiottirci entrambe. “Non è vero.” Piagnucolai in risposta, sfogandomi fra le sue braccia e tirando su col naso. “Non è vero. In tutto questo non c’è niente di vero, e neanche di giusto.” Dissi poi, ferita e arrabbiata. Mantenendo il silenzio, mia madre rimase ad ascoltarmi, e fra una carezza sulla schiena e l’altra, continuava a sussurrare e stringermi a sé, tutto al solo scopo di calmarmi. “Mia piccola pixie…” biascicò ad un tratto, sorprendendomi. Erano ormai passati anni da quel fortunatissimo giorno, ma nonostante tutto, mi considerava ancora la sua bambina, la sua dolce e piccola pixie. In quanto adulta, ero una fata a tutti gli effetti, e ascoltando quelle parole, versai altre lacrime, mischiando dolore e felicità. “Sì? Dimmi, mamma. Non restare a guardarmi, dì qualcosa.” La pregai, guardandola a mia volta negli occhi e stringendo in mano la leggera stoffa della sua veste. “Ascolta, sai che non so molto del tuo mondo e che non sono la tua vera madre, ma ti voglio bene, e mi fa male al cuore vedere in questo stato la bambina che ho cresciuto. Cosa ti succede? Sfogati.” Fu la sua risposta, che giunse alle mie orecchie come pura verità. Incerta sul da farsi, mantenni il silenzio per altri lunghi secondi, e traendo un profondo respiro, diedi voce ai miei pensieri più nascosti. Ad essere sincera, non credevo di essere davvero pronta a farlo, ma la sola presenza di mia madre fu per me una vera e propria iniezione di coraggio. “Si tratta di me e Christopher. Marisa ha cercato di aiutarci, ma non ce l’ha fatta. Ha fallito, noi due abbiamo litigato, e adesso… adesso…” esordii, ritrovandomi quasi costretta a lasciare quella frase incompleta solo a causa dell’ennesimo picco di malumore. “Non vuole vederti?” azzardò lei, accarezzandomi dolcemente il viso e tenendomi stretta una mano. A quelle parole, sussultai. Sapevo bene che non era vero, ma allo stesso tempo non potevo evitare di dar credito a quell’affermazione. Era vero? Aveva ragione? Christopher avrebbe mai potuto odiarmi?” queste le domande che nei momenti di silenzio mi invasero la mente, e che scuotendo la testa cercai di scacciare come fastidiosi insetti. “No, o almeno non credo. In fondo la colpa tutta mia.” Continuai, vergognandomi come una ladra e abbassando lentamente lo sguardo. “Cosa? Che intendi?” chiese a quel punto mia madre, preoccupata come non mai. “Mamma…” titubai, impacciata. “Non possiamo più stare insieme. Ho esagerato, e fra noi è finita.” Conclusi poi, sempre più triste e amareggiata. Senza dire altro, scivolai ancora nel silenzio, e sospirando cupamente, andai alla forse disperata ricerca di conforto. Annuendo, mia madre si fece più vicina, e stringendomi ancora in un delicato abbraccio, si voltò, e allontanandosi dalla finestra, mi condusse verso il divano. “Vieni.” Disse piano, sedendosi per prima. Così, nella fredda quiete notturna, ci accomodammo insieme, e di lì a poco, finii per chiudere gli occhi. Non dormivo, ma ascoltando a mente fredda il dolce suono del silenzio, sentii ogni muscolo del mio corpo rilassarsi. Poteva sembrare stupido, o forse perfino folle, ma nonostante l’età adulta, non mi sentivo ancora pronta a vivere facendo fronte alle mie stesse responsabilità. Per quanto ne sapevo, la mia vita e le mie origini erano come avvolte da una fitta coltre di nebbia, e ormai divisa dal mio protettore, seppur volontariamente, avevo semplicemente bisogno d’aiuto e di affetto, di qualcuno o qualcosa che mi dicesse che la situazione sarebbe cambiata, e che ogni cosa sarebbe tornata al suo posto. Timida e insicura, continuavo a navigare nelle agitate acque dei miei stessi dubbi, ma quella notte, finalmente provai qualcosa di diverso. Ancora una volta, avevo ottenuto l’aiuto che mutamente cercavo, e addormentandomi solo attimi più tardi in compagnia di colei che era ormai diventata mia madre, riposai tranquillamente per il resto della notte, disturbata solo dalla luce di un nuovo giorno e dalla sensazione di una coperta sul corpo, unita ad un’orgogliosa dichiarazione. “Il tuo Christopher ti ama, ricordalo sempre, figlia mia.” Parole che ascoltai tenendo gli occhi chiusi e con un sorriso sulle labbra, con il cuore reso più libero e leggero da una sola certezza. I miei pensieri potevano oscillare fra luminosità e cupezza, e anche quando la seconda prendeva le redini come ora, io non ero e non sarei mai stata sola, nonostante il dolore che provavo e le voci che sentivo mi facessero credere di essere stata letteralmente soffocata, catturata e rinchiusa. Al mio risveglio, non riuscii a crederci, ma con la fine della notte e l’inizio del nuovo giorno, realizzai di non aver avuto bisogno che di un solo pizzico di fiducia materna.

 
   
 
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