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Autore: Sognatrice_2000    16/11/2018    2 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
Capitoli:
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Elijah

 

 

 

 

Sono consapevole che io e Niklaus dovremmo stabilire dei limiti al nostro amore, sono consapevole che non potremmo mai vivere questo sentimento alla luce del sole, che non potremmo mai andare oltre a dei semplici baci o abbracci.

L’incesto è un atto illegale.

Amandoci, sia fisicamente che emotivamente, stiamo commettendo un crimine.

E io sono terrorizzato. 

Un conto è sottrarci al resto del mondo, un altro è sottrarsi alla legge. 

Perciò continuo a ripetermi che basta non spingerci oltre e andrà tutto bene.

In fondo, finché non superiamo quel confine, non violiamo nessuna legge. 

Finché non c’è unione sessuale, non stiamo commettendo alcun crimine.

Basta non oltrepassare quel limite e la nostra famiglia sarà al sicuro, nessuno potrà portarci via i nostri fratelli, nessuno potrà separarci.

Stando insieme come adesso, non facciamo male a nessuno; stando separati, ci consumiamo. 

Volevo essere forte e dimostrare a Niklaus che se lui fosse riuscito a buttarsi alle spalle quella notte, l’avrei fatto anch’io. 

Se fosse riuscito a distrarsi uscendo con un’altra, lo avrei fatto anch’io. 

La mia mente era concentrata sull’obiettivo, ma il mio cuore non voleva saperne.

Piuttosto che rispettare i termini del nostro patto, il cuore  ha preferito lanciarsi in un salto nel vuoto, ignorando qualsiasi morale, ignorando qualsiasi regola.

Da quando abbiamo ammesso liberamente i nostri sentimenti è cambiato tutto. 

Sentiamo il bisogno di stare sempre vicini. 

Lo seguo da una stanza all’altra, inventando scuse per stargli vicino, per guardarlo, per toccarlo. 

Ho voglia di abbracciarlo, di accarezzarlo, di baciarlo ma ovviamente, con i miei fratelli in giro per casa, è impossibile.

Amarlo a queste condizioni per me è ormai un profondo dolore fisico. 

Sono sopraffatto da un turbinio di emozioni contrastanti: da un lato, sento dentro una felicità incontrollabile; dall’altro, sono consumato dal terrore che qualcuno possa scoprirlo e separarci con la forza. 

Non voglio prestare ascolto alla bomba a orologeria che mi ticchetta nella testa, non voglio pensare al futuro, che è una specie di buco nero in cui nessuno di noi due può esistere, né insieme, né separati… Non voglio che le mie paure riguardo al domani finiscano per rovinarmi il presente. L’unica cosa che importa, adesso, è che Niklaus sia qui con me e che noi ci amiamo. 

Non mi sono mai sentito così felice in vita mia.

Anche lui sembra più allegro. 

L’espressione sofferente di stanchezza e di falsa allegria gli è ormai sparita del tutto dalla faccia. 

Ride più spesso, fa il solletico a Rebekah e la fa volteggiare talmente veloce che lo supplico di fermarsi. 

Asseconda Kol e non reagisce più alle sue solite provocazioni. Ha persino smesso di mordicchiarsi il labbro. E ogni volta che i suoi occhi incrociano i miei, il suo volto si accende con un sorriso.

Un venerdì mattina, circa due settimane dopo il suo incidente, lui mi arriva silenziosamente alle spalle mentre sono davanti al lavandino, con le spalle alla porta, intento a rimuovere le ultime tracce di schiuma da barba con il rasoio.

Le sue braccia mi avvolgono da dietro, il suo petto caldo aderisce alla mia schiena provocandomi un brivido di  eccitazione. “Buongiorno.” Sussurra posandomi un bacio leggero sulla nuca.

Mi volto con un sorriso sorpreso, ma con la preoccupazione nello sguardo, unita ad un desiderio sofferente, una dolorosa disperazione. 

“Gli altri scenderanno a momenti.” Lo avverto a voce bassa quando sento le sue mani posarsi sulle mie braccia, su e giù in una lenta carezza. 

Il mio respiro accelera pericolosamente, il rasoio mi scivola dalle mani finendo dentro il lavandino. 

Incapace di trattenermi, inarco la schiena sotto il suo tocco,   quando le sue mani aprono il primo bottone della mia camicia, scivolando ad accarezzarmi una porzione di pelle nuda e mandandomi scintille elettriche nel ventre.

“Va tutto bene.” Sussurra, un sorriso malizioso ad ornargli le labbra. “Possiamo toccarci. Toccarci e basta. Non ci sono leggi che lo vietano.” 

La sua mano scivola sul mio petto, proprio all’altezza del cuore. 

Chissà se riesce a sentire come batte fragorosamente, così forte che riesco a sentirne il ritmo convulso risuonarmi nelle orecchie e cancellare qualsiasi altro rumore.

 

 

Il mio cuore è tuo, Niklaus… prendilo, torturalo, fallo a pezzi, accarezzalo, divoralo, marchialo …

 

Improvvisamente sento le gambe diventare molli. 

Mi aggrappo con entrambe le mani al lavandino per non cadere, stringendo la presa così forte che le mie nocche diventano bianche.

Ogni fibra del mio corpo trema di passione repressa, che mi incendia le vene come lava bollente.

Guardo il mio volto allo specchio, e vedo uno sconosciuto fissarmi di rimando. 

I capelli spettinati, le guance arrossate, gli occhi colmi di uno sguardo febbrile, le pupille dilatate, preda di un insopportabile desiderio, di un istinto feroce che non so come domare. 

Non posso permettere che accada di nuovo.

Avevo giurato a me stesso che non avremmo mai oltrepassato quella linea. Che avrei mantenuto il controllo. “Va tutto bene.” Ripete Niklaus contro il mio collo. “Voglio sentirti, Elijah.”

È troppo, la combinazione dei suoi occhi che continuano a fissarmi così intensamente, la sua mano premuta sulla mia pelle nuda, senza alcuna barriera di vestiti a separarci, la sua mano ancorata al mio cuore.

È l’intensità del gesto, è l’intensità del sentimento che mi impedisce di respirare, di ragionare lucidamente.

Un gemito mi sfugge dalle labbra, e subito mi copro la bocca con la mano, allarmato, mentre Niklaus ridacchia, divertito dalla mia momentanea mancanza di autocontrollo.

Lancio un’occhiata alle scale, preoccupato che Kol, Freya o Rebekah possano avermi sentito e compaiano da un momento all’altro, sorprendendoci in questo atteggiamento fin troppo intimo.

Non c’è ancora nessuno, forse stanno ancora finendo di fare colazione. 

Guardo la porta chiusa della cucina, da cui provengono voci concitate. Come vorrei poterla chiudere a chiave.

Mi giro nuovamente verso Niklaus, posando una mano sulla sua per interrompere quel movimento fin troppo provocante.  

Cerco di sorridergli, ma i miei occhi sono tristi.

“Dobbiamo solo… aspettare il momento giusto, Klaus.” 

“Non c’è mai un momento giusto. Tra la scuola, le faccende, Freya Rebekah e Kol che restano svegli fino a tardi, non restiamo mai da soli.”

Si stacca da me e si  volta verso la finestra, lo sguardo improvvisamente incupito.

Tento di avvicinarmi nuovamente e di abbracciarlo, ma lui rifugge bruscamente dalla mia presa. 

“Non capisci come mi sento?” Si volta verso di me quasi con rabbia, la voce che comincia a tremargli. “Vederti, starti vicino ogni giorno senza poter…” Si blocca, passandosi una mano sul viso per impedirsi di crollare.

“Lo so. Lo so. Anch'io provo la stessa cosa. Ma non possiamo superare quel limite, Niklaus. Non possiamo.” Ripeto, più per cercare convincere me stesso. “Ma questo non cambia quello che provo per te.”

Mi sporgo verso di lui e lo stringo forte, mentre lui mi circonda i fianchi con le braccia.

Il calore del suo corpo scorre all’interno del mio come se fosse corrente elettrica. 

La sua guancia calda mi sfiora il viso, il suo respiro mi solletica la pelle. 

Lo sento tremare contro di me, e lo stringo più forte, accarezzandogli i riccioli ribelli alla base della nuca, cullando la sua testa sul mio petto come facevo quando eravamo bambini e cercavo di calmarlo dopo che aveva avuto un incubo nel cuore della notte.

Adesso quell’incubo che lo tormenta è il nostro futuro, l’impossibilità di amarci fisicamente, l’impossibilità di vivere appieno questo sentimento che agli occhi degli altri apparirà sempre sbagliato, disgustoso e immorale.

Gli prendo il viso tra le mani, le nostre fronti si toccano da tanto siamo vicini. “Guardami. Guardami. Ti amo. Mi prometti che non lo dimenticherai?”

Klaus ha quell’espressione, l’espressione incerta di chi non è bravo con i sentimenti e ha paura di fidarsi, perché non ci vuole credere, di potersi fidare.

Perché ha paura che fidarsi significhi restare di nuovo ferito.

Ma alla fine annuisce con un piccolo sorriso e mi abbraccia di nuovo, stringendomi come se avesse paura che potessi dissolvermi tra le sue dita. 

La porta della cucina si spalanca all’improvviso, come un colpo di pistola. Ci stacchiamo subito.

Kol è in piedi davanti a noi, i capelli arruffati e la camicia fuori dai pantaloni, gli occhi ancora mezzi chiusi.

Ho il cuore in gola, una morsa di terrore mi stringe lo stomaco.

Abbiamo sentito la porta solo dopo che si è spalancata del tutto e ha sbattuto contro lo spigolo del bancone.

Ci avrà sentiti? Ci avrà visti? 

“Mi serve il bagno.” Borbotta lui con la voce impastata dal sonno. Io e Nick usciamo immediatamente senza dire una parola e lui si sbatte la porta alle spalle con un colpo secco senza nemmeno degnarci di un’occhiata.

Cerco di regolarizzare il respiro. 

Anche Niklaus è visibilmente scosso. Continua a gettare occhiate nervose alla porta del bagno, mordicchiandosi il labbro inferiore di tanto in tanto. 

Mi giro verso di lui, posandogli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. “Kol non ha visto niente. Era ancora mezzo addormentato, non riusciva neanche a tenere gli occhi aperti.” Sento ancora il groppo di paura allo stomaco, ma mi sforzo di sorridere in modo rassicurante. “È tutto sotto controllo.” Niklaus annuisce appena, chiaramente scettico.

Ma nessuno di noi due ha il coraggio di dire che stiamo entrambi mentendo a noi stessi.

 

 

 

 

**

Klaus

 

 

 

Nelle ultime settimane non ho fatto altro che ripensare a quella mattina, a quanto il mio comportamento sconsiderato ci abbia messi in pericolo entrambi.

Se soltanto Kol fosse entrato un attimo prima… non voglio neanche pensare a quello che sarebbe potuto succedere.

Dopo quel giorno, io e Elijah abbiamo cercato di mantenere le distanze il più possibile per non insospettire Kol, arrivando al punto di parlarci a malapena.

Il nostro sforzo per maniere un atteggiamento il più freddo possibile ha dato i suoi frutti, perché Rebekah è arrivata al punto di chiedermi preoccupata se avessimo litigato. 

Nessuno ha il minimo sospetto di ciò che sta succedendo.

Ma non possiamo andare avanti così per sempre.

Io e Elijah dobbiamo trovare il modo di stare da soli almeno pochi minuti ogni giorno, senza paura di essere disturbati.

So che dopo quanto è successo con Kol, lui non mi toccherà più quando c’è qualcun altro in casa, vale a dire sempre.

Non mi permette nemmeno di stargli accanto, stringergli la mano o appoggiargli la testa sul braccio se siamo soli in una stanza. Dice che così non faccio altro che peggiorare le cose, ma cosa c’è di peggio che non toccarlo affatto?

Cosa c’è di peggio di una vita continuamente costretto a nascondere i miei sentimenti, quando vorrei poter gridare al mondo intero quanto lo amo?

 

 

 

**

 

 

Sabato sera nostra madre rientra improvvisamente a casa dopo due settimane passate da David, cogliendoci tutti di sorpresa.

“Ah, siete qui.” Sospira, senza curarsi di nascondere la propria delusione, in piedi sulla porta del soggiorno con un impermeabile da uomo troppo grande e calze a rete, le gambe malferme sui tacchi vertiginosi.

Rebekah è distesa sulla moquette a guardare i cartoni animati in televisione, Freya sta facendo i compiti di storia sul tavolino da caffè mentre io sono seduto sul divano immerso nei miei pensieri, osservandole distrattamente di tanto in tanto.

Kol è già uscito con i suoi amici ed Elijah è di sopra, in camera sua a ripassare non so quale materia.

“Mamma!” Non appena la vede, il volto di Rebekah si illumina di gioia infantile. Salta subito in piedi e le corre incontro a braccia aperte con un enorme sorriso.

Lei le accarezza appena i capelli senza neanche degnarsi di abbassare lo sguardo, così Rebekah si accontenta di abbracciarle le gambe.

Freya le fa soltanto un debole sorriso, mormorando un “ciao, mamma” appena sussurrato con voce dolce e malinconica, riabbassando subito lo sguardo sui suoi compiti. 

Posso vedere la piega triste delle sue labbra, le lacrime raggruppate agli angoli degli occhi, lo sforzo disperato per nascondere la tristezza e apparire forte.

Sento una fitta di tenerezza e amarezza pungermi il petto.

La mia dolce, mite sorellina, sempre così matura, non ha mai chiesto niente, non ha mai preteso nulla. 

È una presenza leggera, silenziosa, a volte quasi invisibile in questa casa.

Cerca di nascondere sempre il suo dolore, anche se è evidente che soffre molto per l’assenza di una figura materna nella sua vita.

Esther le ha procurato soltanto delusione e dolore, come a tutti noi del resto. 

Che razza di madre abbandona i propri figli in questo modo? In fondo lei e Mikael erano molto simili: entrambi sono stati i mostri che hanno segnato le nostre vite, i veri cattivi della nostra storia; lui con la sua violenza, lei con la sua indifferenza.

Una madre si prende cura dei propri figli. Un mostro no.

“Come mai non sei da David?” Le chiedo in tono aspro, faticando persino a guardarla in faccia da tanto mi sento pieno di odio e disgusto nei suoi confronti.

“È andato a soccorrere l’ex moglie.” Risponde lei, arricciando le labbra in una smorfia contrariata. “A quanto pare soffre di agorafobia o qualcosa del genere. Ma credo sia solo un modo per essere sempre al centro dell’attenzione.”

“Mamma, ti prego, andiamo da qualche parte!” Implora Rebekah, ancora aggrappata alla sua gamba.

“Non ora, piccola.” Risponde lei con un sorriso tirato nel tentativo di scrollarsela di dosso come se fosse un insetto fastidioso. “Fuori piove e la mamma è molto stanca.”

Stanca di cosa? Sento la rabbia crescere dentro di me.

Stanca di scopare con il tuo fidanzato? Stanca di ubriacarti e andare a ballare tutte le sere vestita come una puttana e truccata come una stupida teenager?

“Potresti portare le tue figlie al cinema.” Suggerisco subito, sforzandomi di controllare l’astio nella mia voce. “C’è un film sui supereroi che Rebekah vuole vedere da un sacco di tempo. Dovrebbe iniziare tra un quarto d’ora, fate ancora in tempo a prendere i biglietti. Le avrei portate io, ma dato che sono due settimane che non ti vedono…”

“Sì, mamma, andiamo!” Il volto di Rebekah si illumina di entusiasmo, mentre comincia a saltellare per il soggiorno. “Dai, ti prego!” Le strattona la mano con insistenza, ricevendo un sorriso teso in risposta.

“Tesoro, ho mal di testa e sono appena rientrata.”

“Ma sei stata da David per due intere settimane!” Grida di colpo Freya, rossa in viso.

Io e mia madre ci giriamo a guardarla, sorpresi da questa sua reazione inconsueta.

In verità, un po’ sono orgoglioso di lei. 

Non è giusto che soffra sempre in silenzio, ha tutto il diritto di opporsi all’assurdo egoismo di nostra madre, ha tutto il diritto di vedere un film con sua madre e sua sorella il sabato sera.

La mamma arretra leggermente, colpita. “Okay, okay, va bene. Andiamo al cinema.” Mi lancia un’occhiata rabbiosa.

“Ti rendi conto che ho lavorato senza sosta nelle ultime due settimane?”

Sostengo il suo sguardo con freddezza. “Anche noi.”

Gira bruscamente i tacchi, e dopo un litigio per l’ombrello, urla furibonde per un cappotto che non si trova più e lamenti di sofferenza della mamma, la porta si chiude sbattendo con un tonfo pesante.

Lascio cadere la testa all’indietro contro lo schienale del divano e chiudo gli occhi. 

Dopo un attimo, li riapro e sorrido, la realizzazione mi colpisce. Se ne sono andati.

Sono usciti tutti. Troppo bello per essere vero.

Io e Elijah siamo soli. Abbiamo la casa finalmente libera, tutta per noi.

Salgo le scale in punta di piedi con il cuore che batte più forte ad ogni gradino. Voglio fargli una sorpresa. 

Arrivargli da dietro di soppiatto e annunciargli la nostra inaspettata libertà con un bacio lungo e intenso.

Giunto davanti alla porta della sua camera, trattengo il fiato e ruoto piano la maniglia.

Lentamente, socchiudo la porta. E mi blocco sulla soglia, impietrito.

Elijah non è alla scrivania, chino sui libri come mi aspettavo.

È vicino alla finestra e si sta sfilando la camicia, aprendo lentamente i bottoni uno dopo l’altro. 

Notando l’asciugamano sullo schienale della sedia capisco che sta per farsi una doccia e so che dovrei allontanarmi, ma non riesco a distogliere lo sguardo dal suo petto che si rivela pian piano davanti ai miei occhi, assaporando ogni porzione della sua pelle liscia e priva di imperfezioni, ammaliato dal vista del suo torace possente dai muscoli perfettamente scolpiti.

È più forte di me. Gli arrivo silenziosamente alle spalle e gli stringo le braccia attorno ai fianchi in una stretta prepotente, possessiva.

Elijah si irrigidisce contro di me, sorpreso e spaventato. “Niklaus…”

“Non c’è nessuno. Nostra madre le ha portate al cinema, e Kol non tornerà prima di mezzanotte.” Gli sussurro nell’orecchio, incapace di contenere la mia frenesia.

Elijah si volta di scatto e mi bacia in modo appassionato, urgente. 

Stavolta non c’è nessun pericolo di essere scoperti, stavolta siamo liberi dalla catene di cui eravamo prigionieri nelle ultime settimane.

“Mi sei mancato.” Sussurra tra i baci, ansimando delicatamente contro la mia guancia.

“Anche tu.” Sento il dolore dell’attesa che mi invade tutto il corpo.

Elijah mi bacia ogni angolo del viso, delle orecchie, del collo, insopportabilmente lento, insopportabilmente gentile. 

Faccio scorrere le mani sul calore del suo petto nudo, sulle braccia forti, sulle spalle, impaziente.

Ho voglia di sentire ogni parte del suo corpo, di respirarne il profumo.  

Elijah ora mi bacia con tale intensità che riesco a malapena a respirare.

La sua pelle nuda freme sotto il mio tocco.

Ma ci sono ancora troppi strati di vestiti, troppi ostacoli a separare i nostri corpi.

Senza riflettere infilo una mano nella cinta dei suoi pantaloni. Non appena provo ad abbassarli, le mani di Elijah mi afferrano i polsi allontanandoli con forza.

“Che stai facendo?” Sembra incredulo, quasi arrabbiato.

“Shh, lasciami fare…” Con unico movimento fluido gli sfilo la cintura dai passanti e la getto sul pavimento. 

I pantaloni gli scivolano fino alle caviglie, e lui tenta di opporre resistenza afferrandomi le mani tra le sue.

“Niklaus, no!” Ansima forte, una nota di terrore convulso nella sua voce.

Lo ignoro, sollevando l’elastico dei boxer e infilando le dita all’interno. Un’ondata di ebbrezza mi travolge non appena lo tocco. È sorprendentemente caldo e duro nella mia mano.

Elijah geme e inspira a fatica, mentre mi fissa con un’espressione stupita, come se si fosse dimenticato chi sono, il rossore che si espande sulle sue guance, il respiro che si fa più rapido e ansimante.

Poi, improvvisamente, lancia un grido e mi afferra per le spalle, spingendomi via.

“Che cosa pensavi di fare?” Sta gridando, mentre si riveste in tutta fretta, tremando letteralmente di rabbia. “Avevamo stabilito che non sarebbe mai successo. Sai bene che non potremmo mai e poi mai…” Inspira con violenza, sembra fuori di sé. “Questa cosa ci sta completamente sfuggendo di mano!” Urla, con le vene del collo in evidenza. “Siamo malati! Tutto questo è malato!”

Mi sfreccia accanto spingendomi via, la faccia paonazza, e si chiude in bagno sbattendo la porta.

Un attimo dopo sento lo scroscio dell’acqua.

In soggiorno, cammino avanti e indietro con il respiro affannato, rabbia e senso di colpa che mi circolano nel corpo in egual misura.

Rabbia per come mi ha urlato contro, per la sua insensata ipocrisia. 

Senso di colpa per non essermi fermato quando me lo ha chiesto.

Eppure non capisco, non riesco proprio a capire.

Credevo fossimo d’accordo di restare insieme ad ogni costo. 

Ma ora sento la paura attanagliarmi la gola, le spalle, il petto. 

La paura di aver rovinato quello che io davo per scontato ci fosse tra noi.

Amore in ogni senso possibile. 

Non riesco a crederci. Non è possibile. Io mi fidavo di lui.

Cerco di trovare una spiegazione, di rielaborare le parole di Elijah senza cadere a pezzi.

Accettare che per lui la magia della prima notte in cui ci siamo baciati e della mattina trascorsa nella mia stanza non siano altro che un errore perverso da seppellire nella parte più profonda della sua mente, fino ad illudersi che non sia mai successo.

Fare i conti con ciò che Elijah pensa realmente del nostro rapporto e non ha mai avuto il coraggio di dirmi fin dall’inizio. 

E trovare il modo di sopravvivere a questa terribile rivelazione.

Ma com’è possibile soffrire così tanto? 

Com’è possibile che delle semplici parole mi spingano a desiderare di morire?

Non appena sento il rumore dei passi di Elijah sulla scala gli vado incontro, ma lui mi passa accanto con espressione gelida senza neanche guardarmi.

Dal corridoio sento provenire un tintinnio di chiavi, il cigolio delle scarpe contro il pavimento, il suono della cerniera del giubbotto. E la porta di casa che sbatte.

Io rimango lì, impietrito, pieno di sgomento. 

Mi aspettavo almeno un confronto, e invece se n’è andato, è letteralmente fuggito lasciandomi qui da solo.

È assurdo, è inaccettabile. 

Non posso permettere che scappi da me un’altra volta.

Mi infilo di corsa le scarpe da ginnastica e il giubbotto e corro fuori in strada senza neanche preoccuparmi di prendere le chiavi.

Faccio appena in tempo ad intravedere la sua sagoma che scompare nel buio umido, in fondo alla strada.

Mi metto a correre.

Quando il suono dei miei passi lo raggiunge accelera ancora di più il passo e attraversa la strada.

Finalmente riesco ad affiancarlo, senza più fiato.

Elijah si volta nella mia direzione, alzando un braccio per tenermi a distanza.

“Vattene, Klaus! Torna a casa e lasciami in pace!”

Non l’ho mai sentito parlarmi in questo modo, con tutta questa rabbia, con tutto questo odio.

“Perchè?” Grido a mia volta, incamerando aria gelida nei miei polmoni, incurante della pioggia che mi sferza il viso e i capelli. “Si può sapere cosa ti ho fatto di così terribile?”

“È proprio questo il problema! Non ti rendi conto di quello che hai fatto! Se non ti avessi fermato io, lo sai cosa sarebbe potuto succedere?” Anche nel buio, posso distinguere chiaramente i lineamenti del suo viso trasfigurato della rabbia.

“Certo che lo so! Lo so perché ti amo, cazzo, e ti desidero, e non riesco a starti lontano!”

Elijah si lascia cadere di colpo contro il muro alle sue spalle, la furia che si dissolve nella notte come le nuvole bianche di vapore che ci escono dalla bocca.

“Non possiamo più andare avanti così.” Sussurra con voce rotta e fioca, e d’un tratto sento la mia rabbia travolta da un’ondata gelida di paura. “È troppo doloroso, troppo pericoloso. E hai pensato a Rebekah, a Kol, a Freya? Hai pensato a quello che potrebbe succedere a loro se ci scoprono? Siamo l’unica famiglia che hanno, Niklaus, e non possiamo mettere il rischio il loro futuro per stare insieme.”

La sua disperazione è quasi tangibile, tanto da sottrarre all’aria gelida intorno a noi ogni più piccolo accenno di speranza.

“Cosa vuoi dire? Che è tutto finito?”

“Non avrebbe nemmeno dovuto cominciare, Niklaus. Forse ha ragione il resto del mondo. Siamo due adolescenti vulnerabili, pieni di casini….  è stato solo un momento di debolezza. Avevamo solo bisogno di aggrapparci a qualcuno per sostenere il peso della nostra situazione familiare.”

Indietreggio lentamente, con il dolore e l’orrore che mi invadono il corpo come ghiaccio liquido.

“Niklaus, aspetta… non è questo che intendevo dire.” L’espressione sul volto di Elijah cambia di colpo e si avvicina verso di me, incerto, con il braccio teso, come se fossi una bestia selvatica pronta a fuggire. “Non lo penso davvero. Ho avuto paura, e non…”

No basta, non voglio più ascoltare le sue patetiche scuse. Scuoto la testa, descrivendo un grande semicerchio intorno a lui, scappando all’improvviso per poi ritrovarmi davanti ad una grande rete di protezione chiusa con un lucchetto.

Mi infilo a forza in una fessura all’estremità, ignorando le grida di Elijah dietro di me.

Una volta varcata la rete, svolto di lato nel vento pungente, inoltrandomi nel sentiero buio che porta al cimitero, disseminato come sempre di bottiglie, mozziconi e rifiuti.

Il rumore del traffico diventa un mormorio distante e le sagome delle lapidi, spezzate e abbandonate, sono ridotte a semplici forme amorfe nel buio.

Sento le lacrime pungermi gli occhi, e vorrei gridare, invece stringo le labbra e allungo il passo, rifiutandomi di crollare.

“Niklaus!” La voce di Elijah continua a risuonarmi nelle orecchie, il suo passo veloce continua a risuonare dietro di me. “Sai che non penso davvero quello che ho detto!” Dalla voce sembra angosciato, sconvolto. “Ti prego, torna a casa. Gli altri saranno di ritorno a momenti e si preoccuperanno.”

Il fatto che voglia appellarsi al mio senso di responsabilità dimostra quanto lui abbia frainteso l’effetto delle sue parole su di me, la violenza dei sentimenti che mi attraversano fin dentro le viscere.

Cerca di afferrarmi per il braccio.

“Lasciami!” Urlo divincolandomi, la voce amplificata dal silenzio del cimitero.

Elijah si ritrae di colpo, come se gli avessero sparato, schermandosi la faccia come per proteggersi dal mio tono isterico.  

“Klaus, calmati.” Mi implora con voce tremante. “Se qualcuno ci sente, penserà…”

“Penserà cosa?” Lo interrompo aggressivo, voltandomi di scatto per affrontarlo.

“Che… che ti stia aggredendo.”

“Ah, è sempre tutto riferito a te!” Sbotto, con i singhiozzi che minacciano di esplodermi in gola. “Tutta la faccenda… ruota solo intorno a te, non è così? Cosa penserà la gente? Come apparirò? Come mi giudicheranno? 

È chiaro che non te ne frega niente del sentimento che c’è tra noi, rispetto al timore patetico che hai di quei pregiudizi meschini, bigotti e perbenisti che prima sembravi disprezzare, ma che adesso sei dispostissimo ad accettare!”  

“No!” Ribatte lui disperato, bloccandomi la strada non appena faccio per allontanarmi di nuovo. “Non puoi capire cosa provo. Io vorrei essere libero di amarti come tutte le persone normali, senza la paura che qualcuno possa scoprirci e separarci per sempre, chiamare la polizia, portarci via i nostri fratelli e distruggere tutto. Non hai idea di quanto stia soffrendo per questo, per essere continuamente costretto a mentire, a nascondermi per stare con te.”

“Bene! Allora se è davvero tutto così malato e perverso, se ti faccio davvero soffrire così tanto allora hai ragione tu, meglio chiuderla qui, adesso, subito! Così almeno non dovrai andartene in giro con la coscienza sporca a riflettere su quanto sia schifoso provare questi sentimenti per me!”

Ansioso di andarmene via, inizio a correre in modo scomposto.

“Niklaus!” Mi urla dietro lui. “Non hai sentito quello che ti ho detto? Questa è l’ultima cosa che voglio!”

Tenta di nuovo di afferrarmi, di costringermi a rallentare, ma non ci riesco. 

Sono sul punto di crollare, di scoppiare in lacrime, e mi rifiuto di farmi vedere così da lui o da chiunque altro.

Girandomi di colpo, gli sbatto le mani sul petto e lo spingo via con tutte le mie forze. “Vattene via!” Urlo così forte che sento la gola bruciare. “Perchè non mi lasci in pace? Perché non la smetti di illudermi in questo modo?”

I suoi occhi sono pieni di angoscia. “Ti prego, so di aver sbagliato. Ho detto un mucchio di sciocchezze, perdonami… non voglio che finisca così!”

“Ma io sì! Non voglio che tu stia con me per pietà! Hai ragione tu: siamo malati, siamo fuori di testa, non avremmo mai dovuto iniziare questa storia! Quindi cosa diavolo ci fai ancora qui? Tornatene a casa a farti la tua vita normale e socialmente apprezzata, levati dai piedi!”

Sono completamente distrutto. 

Ho paura che, se smetto di urlargli contro, accecato dalla rabbia, finirò per accasciarmi in lacrime.

E non mi va di farmi vedere così: l’ultima cosa che voglio è fargli pena o che si senta obbligato a fingere di amarmi, o peggio ancora, che capisca che non posso vivere senza di lui.

Faccio un passo indietro. “Dico sul serio, Elijah! Va a casa! Non toccarmi o mi metto a gridare!”

Lui ritrae il braccio, ma ancora non si allontana. “Lo vuoi veramente?”

“Sì.” Sospiro incerto, abbassando lo sguardo. “Vattene e basta.” Ripeto, ma la mia voce è svuotata, priva di convinzione.

“Non è vero, non lo vuoi, e non lo voglio nemmeno io. Non capisci, Niklaus? Io voglio stare con te a qualsiasi costo.” Mormora con occhi lucidi. “Ti amo…”

“Ma non abbastanza.”  Deglutisco con forza per allentare la stretta alla gola, cercando di arginare una tempesta di lacrime.  Nessuno mi ha mai amato abbastanza… tu non sei diverso dagli altri, Elijah. Abbiamo vissuto una magnifica illusione, ma adesso anche tu mi stai abbandonando.

Un dolore acuto mi sale dall’interno, così acuto che rischio di svenire, riempiendomi i polmoni, la gola, la testa.

“Hai detto che il nostro amore era malato e schifoso, Elijah!”

Lui si prende la faccia tra le mani, il mento comincia a tremargli. “Ma non lo penso, non l’ho mai pensato!”

“Allora perché l’hai detto? Lo pensi davvero e ormai lo penso anch’io. Mi hai fatto vedere questa squallida vicenda per quello che è davvero: un terribile sbaglio. Eravamo entrambi annoiati, instabili, soli… scegli tu. Il nostro non è mai stato vero amore.” Faccio un respiro profondo per calmarmi. Sento gli occhi pungermi fastidiosamente. “Tu non mi hai mai amato.”

“Sì, invece!” La voce di Elijah si incrina pericolosamente. Stringe gli occhi e si porta una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo. “Io non ti ho mai mentito, Niklaus! Ti ho sempre amato, sempre!”

Sono così triste, così arrabbiato, così stanco. 

Non so più a cosa credere.

“Sono stato un completo idiota a dire quelle cose. Possiamo amarci, Niklaus.” La voce di Elijah è infinitamente dolce, il tocco della sua mano che afferra improvvisamente la mia è caldo, confortante. Stavolta non mi oppongo.

Rimango fermo, arrendendomi definitivamente a lui, arrendendomi a quell’amore che ormai si è preso ogni parte di me, semplicemente troppo potente per essere contrastato.

“Non ci sono leggi per i sentimenti. Siamo liberi di amarci con tutta l’intensità e la profondità che vogliamo. Nessuno potrà mai impedircelo, Niklaus.”

Sorrido tra le lacrime, pensando di colpo a tutte le cose che potremmo condividere anche senza amarci in modo fisico.

Lascio che le sue braccia mi circondino il collo tirandomi contro il suo petto, cancellando tutti i miei dubbi e le mie paure. “Sono tuo.” Mi sussurra, disseminandomi di baci leggeri la fronte, le palpebre tremanti, il naso, le guance. “Eternamente tuo.”

“Eternamente mio.” Ci baciamo con passione e dolcezza sotto la pioggia scrosciante, mescolando i nostri brividi e le nostre lacrime, suggellando per sempre la nostra promessa d’amore.

Eternamente nostri. 

 
  
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