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Autore: Lamy_    17/11/2018    0 recensioni
Nathaniel Hawthorne ha sostenuto che “il passato giace sul presente come il corpo morto di un gigante”, e Theo è ben consapevole del peso. Aranel era convinta che potessero ricominciare daccapo insieme ma i demoni del passato non si assopiscono mai, anzi si dimenano fino a liberarsi dalle catene che li tengono intrappolati negli abissi della coscienza. Quando tutto sembra andare per il verso giusto, quegli stessi demoni tornano in vita affamati di vendetta e pronti a tutto pur di vincere.
Tra vecchie conoscenze, ricordi dimenticati, amori e difficoltà, la vera sfida sarà quella di non abbandonarsi al male.
La luce di Aranel resisterà alle tenebre di Theo ancora una volta?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Theo Raeken
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO.

“L’unica cosa certa era che lui era tornato e che lei avrebbe voluto non se ne andasse più.”
(Paolo Giordano)
 
 
Un anno dopo, Kumasi (Ghana).
Faceva terribilmente caldo per essere settembre, l’afa estiva non sembrava proprio voler diminuire. Aranel si asciugò la fronte con un fazzoletto di cotone e si legò i capelli in uno chignon improvvisato. Un gruppo di bambini le scorrazzava allegramente intorno mentre l’accompagnava all’unico internet point della città. Si domandava ogni giorno come facesse quella gente, che da secoli viveva in condizioni precarie, ad essere sempre gentile e sorridente. Era stato grazie a quella cittadina che lei stessa aveva ritrovato il sorriso. Era passato un anno dall’allontanamento da Theo (perché lui odiava definirla una ‘rottura’), era stato difficile all’inizio riorganizzare la propria vita ma alla fine si era rimboccata le maniche per raccogliere i pezzi. Nei primi mesi si erano scambiati qualche sms e si erano parlati al telefono qualche volta, poi lei aveva deciso di interrompere qualsiasi tipo di comunicazione perché sentiva la necessità di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. La sua idea di ‘ricominciare’ si basava su un viaggio: il signor Bennett le aveva proposto di seguire un gruppo di medici volontari in Ghana per fare un reportage mensile da pubblicare sul giornale. Certo, non era il giornalismo di guerra cui lei aspirava, ma vivere in quei posti, quasi allo stato brado, le provocava gioia. Tamy, la figlia della coppia che la ospitava, la trascinò nel piccolo negozietto e la spinse su una delle tante sedie di plastica nere. Adorava i computer e adorava parlare con i suoi amici. Aranel entrò nel suo account di skype, cliccò sul profilo di Scott e fece partire la chiamata. Qualche istante dopo lo schermo si illuminò mostrando i volti di Stiles e di Elliott.
“Ehi, straniera!” esclamò il moro con un ampio sorriso. Suo figlio, tra le sue braccia, agitò la manina paffuta e Aranel ricambiò il gesto.
“Ciao, bellissimi! Dove sono gli altri?”
Il viso tondo e scuro di Tamy sbucò sullo schermo e sorrise timidamente, poi si nascose sotto il tavolo.
“Eccoci!” esclamò Scott, e un attimo dopo comparve insieme a Malia, Lydia, Liam, Nadia e Roxy. Aranel si commosse inevitabilmente, sentiva molto la loro mancanza e vederli era un gioia per l’anima.
“Come state? Ci sono novità?”
Liam e Nadia si scambiarono un’occhiata eloquente, erano davvero una bella coppia. Si sarebbero sposati due settimane dopo a New York, al Plaza Hotel, e avevano messo in piedi una cerimonia semplice e intima.
“Io e Liam abbiamo una proposta da farti: vorresti essere la nostra damigella d’onore?”
“Sì, ovvio!” replicò Aranel, sorridendo e battendo le mani.
“Allora sei costretta a tornare presto, principessa.” Disse Roxy, i capelli turchesi avvolti in un berretto da baseball nero. Aranel aveva avvertito stranamente la sua mancanza più di quanto avesse immaginato.
“Parto tra una settimana, promesso. Adesso devo tornare al campo, ci vediamo lunedì sera in aeroporto. Vi voglio bene!”
Dopo gli ultimi saluti e le solite raccomandazioni, spense la connessione e lasciò l’internet point in compagnia di Tamy. Per avere soli sette anni, era una bambina di grande conforto. Tornarono nella base medica e lei si riservò un banchetto per scrivere l’articolo del mese.
 
 
Theo depennò l’ultimo nome della lista. Aveva finalmente completato il suo compito. Per un anno intero, giorno dopo giorno, aveva dato la caccia a tutti gli esperimenti falliti che i Dottori del Terrore avevano erroneamente lasciato in vita, credendoli morti. Alcuni avevano semplicemente accettato la propria natura e avevano ripreso la loro vita, e lui li aveva aiutati e poi salutati, altri avevano preso una brutta strada e lui li aveva fatti arrestare o li aveva sistemati da solo. Il sole bruciava sull’asfalto di San Diego, lo smog accresceva quel caldo asfissiante, e ci avrebbe impiegato un’ora per tornare in hotel. Decise di fare la strada a piedi, aveva voglia di camminare e liberare la mente. Dopo una decina di passi il suo cellulare squillò, lo estrasse e sorrise nel leggere il nome sul display.
“Già ti manco?”
“Mi manchi ogni volta che vai via!” rispose Sophie con la sua risatina stridula.
“Sto tornando da te, piccola. Passo a comprarti i tuoi fiori preferiti, a tra poco.”
“Ti aspetto.”
Sophie, una delle ragazze più vitali e allegre che avesse mai conosciuto. Si erano incontrati quattro mesi prima all’aeroporto di Vienna, da lì avevano proseguito il viaggio insieme fino ad arrivare a San Diego. Lei non aveva idea di cosa facesse, credeva che fosse un fotografo di riviste e a lui andava bene. In fondo, era un abile bugiardo. Diceva bugie da quando era bambino, le aveva dette anche da adolescente e non si era più fermato. Aveva mentito anche ad Aranel quando, guardandola dritto negli occhi, le aveva detto che se ne stava andando. Il ricordo dei suoi occhi scuri colmi di lacrime lo feriva come una lama affilata ogni volta. Avevano provato a mantenere un legame, ma lei ad un certo punto era sparita senza avviso e lui l’aveva lasciata libera di andare avanti. Sophie non l’aveva sostituita perché sostituire Aranel era impossibile, smettere di amarla era come smettere di respirare e lui voleva continuare ad amarla nell’ombra. Il cellulare squillò di nuovo, questa volta era Roxy.
“Sei ancora vivo?”
Non si parlavano da un paio di mesi e la sua voce lo fece sorridere, gli ricordava casa.
“Sì, purtroppo.”
“Come te la passi, Theo?”
Quella domanda banale bastò per farlo preoccupare, Roxy non era il tipo di persona tanto cortese.
“Perché mi chiami? E’ successo qualcosa?”
“Tranquillo, non è successo niente. Volevo solo dirti che lei sarà presente al matrimonio di Liam e Nadia.”
“Sophie? Lo so, ho chiesto io di invitarla.”
Roxy sospirò, un palese segno di allarme.
“Aranel sta tornando.”
 
 
Il momento tanto atteso era giunto. Era settembre inoltrato, la temperatura era giusta e la tabella di marcia stabilita dalla wedding planner veniva rispettato. Aranel stava finendo di aiutare Liam ad indossare la cravatta quando Roxy entrò con un bicchiere di rum in mano. Vestita da uno stretto tubino viola senza spalline, si sedette sul divanetto accanto allo specchio con fare teatrale.
“Di là è tutto pronto, me ne sono assicurata. Stiles ha chiamato per dire che a Lydia non entra più il vestito e che per questo faranno ritardo. Scott e Malia, invece, attendono nella cappella insieme agli invitati già arrivati.”
Liam annuì, ma il suo pallore indicava che non fosse per niente preparato. Aranel ghignò, conosceva bene quella sensazione di ansia che ti mordeva lo stomaco nel giorno del proprio matrimonio. Si obbligò a non pensarci più, quella era ormai una storia vecchia. Sistemata la cravatta in modo impeccabile, gli pettinò i capelli e glieli modellò con un pizzico di gel.
“Ecco fatto, sei uno sposino a tutti gli effetti!”
“Grazie, Aranel. Senza di te sarei andato nel panico per qualsiasi cosa!” le disse Liam con un dolce sorriso, al che Aranel lo abbracciò velocemente.
“Sei andato nel panico per qualsiasi cosa, Liam!” confermò Roxy, il bicchiere vuoto in mano e le gambe distese. Il ragazzo scosse il capo e la ignorò, non voleva innervosirsi ancora di più. Le due ragazze lo seguirono nella cappella del Plaza, adatta ad una celebrazione intima, e si riunirono agli altri. Scott, il testimone di Liam, indossava un sofisticato completo di raso nero e Malia era radiosa nel suo tailleur beige.
“Ecco la damigella!” esclamò Scott non appena intravide la sua migliore amica camminare verso di lui. Roxy salutò Aranel a metà strada e si andò a sedere al suo posto, quello accanto ai genitori dello sposo. In un angolo della cappella, agitata e immersa nei propri pensieri, c’era Page, sorella e testimone della sposa.
“Sei davvero molto elegante, McCall. Complimenti!”
Scott ridacchiò con Aranel e poi le passò un braccio intorno alle spalle. Malia assottigliò gli occhi, qualcosa si muoveva nell’ombra.
“Ehm, Aranel, credo che la wedding planner ti stia cercando.”
Aranel, voltandosi, sbuffò alla vista della donna che si sbracciava per richiamare la sua attenzione.
“Andate ai vostri posti, a minuti si inizia.”
Venti minuti dopo, gli invitati si erano accomodati riempiendo il piccolo spazio sacro, e Liam si era disposto sull’altare, mentre Scott stava al suo fianco. Le porte si aprirono e l’organo intonò la marcia nuziale: Aranel, con un mazzo di roselline rosa, entrò per prima per annunciare la sposa , e subito dietro di lei avanzava Nadia. Quest’ultima indossava un abito bianco con il corpetto di pizzo e dotato di una gonna composta di più veli, e sul capo portava una coroncina di piccole dimensioni. Arrivati all’altare, mentre la damigella si andava a sedere accanto ai genitori di Liam, il padre di Nadia consegnò allo sposo la mano di sua figlia. Aranel si intristì di colpo, sebbene si fosse ripromessa di restare positiva quel giorno, al pensiero che solo un anno prima stava festeggiando il proprio matrimonio. Roxy, a qualche metro da lei, notando i suoi occhi lucidi, le fece un cenno come a rasserenarla.
 
 
Theo fu costretto a prepararsi in fretta poiché l’aereo era atterrato con un’ora di ritardo. Si era già perso la funzione in cappella e ora si apprestava a raggiungere il Plaza in taxi. Sapeva che avrebbe rivisto Aranel dopo un anno, sapeva che avrebbe dovuto tenersi a distanza, ma sapeva anche che ogni proposito si sarebbe sgretolato davanti a lei. Ripensò a Sophie, tanto dolce e apprensiva, e non poteva ferirla perché era troppo preziosa per meritarselo. Quando il taxista lo avvisò che erano arrivati, si diede un contegno e scese dalla macchina. L’ascensore salì lentamente e lui si chiese se ci fosse l’intervento del destino, però la buona sorte non era in suo favore. Catapultato nella grande sala che ospitava la festa, riconobbe gli sposi e si avvicinò a loro per congratularsi. Liam non era particolarmente felice di vederlo lì, però Nadia lo accolse con estremo calore. Salutò tutto il branco con falsi sorrisi e fredde strette di mano, era chiaro che nessuno lo volesse lì. Poi, come se un meteorite lo avesse investito, avvertì il sangue brulicargli nelle vene. Era lei. Con indosso un abito grigio perla dallo scollo a cuore e una cinta di brillantini in vita, chiacchierava allegramente con Roxy. Theo dovette chiudere gli occhi per calmare i battiti del cuore oppure sarebbe esploso. Aveva raccolto i capelli scuri in una treccia laterale e le spalle esili erano in bella mostra. Roxy sgranò gli occhi e afferrò Aranel per il braccio, e Theo si girò a causa di quella spiacevole reazione. No, non doveva per forza andare così tra di loro. Si fece coraggio e andò verso di loro. Nonostante la sua amica continuasse a scrollare la testa, lui non si arrestava.
“Salve, belle signore.”
Aranel ghiacciò sul posto al suono di quella voce. Smise di respirare per pochi secondi, poi buttò fuori l’aria trattenuta. Composta come suo solito, si fece coraggio e si voltò. Eccolo, dopo un anno. Irresistibile con quella camicia bianca che metteva in risalto i muscoli e quegli occhi chiari che l’avevano conquistata.
“Ciao.” Si limitò a dire, incapace di comandare la propria lingua. Theo sorrise, affascinante come sempre.
“Ciao a te, Aranel. Sei bellissima.”
Bastarono quelle parole a farla crollare. Rise in maniera nervosa, era al limite ormai.
“Sarei ancora più bella se non ti vedessi. Ora, scusatemi, ma non ho voglia di perdere tempo con certa gente.”
Dopo che se ne fu andata, Roxy fischiò e si beccò un’occhiataccia dal ragazzo.
“Sei serio?  Prima la molli e poi le dici che è bellissima? Sei un imbecille.”
“Non infierire, Roxy.”
“Allora tu lasciala stare. Ha già un sacco di problemi per conto suo, non peggiorare le cose.”
 
 
Erano le nove di sera e la festa proseguiva senza intoppi. Aranel si era rifugiata in giardino a bere il suo champagne, lontana da tutto e da tutti. Era più esausta di quando lavorava dodici ore al giorno sotto al sole per aiutare i medici in Ghana. Si massaggiò le tempie, aveva un terribile mal di testa e aveva anche sonno. Voleva solo che quella giornata finisse. Un rumore di foglie calpestate le fece rizzare i peli sulle braccia e, quando la fonte del rumore si mostrò, sospirò di sollievo. Era Theo, reggeva in mano un piattino di torta e un flute di champagne.
“Scusami, non volevo spaventarti.”
“Figurati.”
“Stai bene?”
Le si sedette accanto, la loro vicinanza fu dolorosa per entrambi. Aranel tremava, benché facesse ancora caldo, e si strinse nelle spalle.
“Stare bene è diventato un concetto relativo ultimamente.”
“Immagino. Senti, mi dispiace per essermi presentato qui senza preavviso. Avrei dovuto farti sapere che ci sarei stato.”
“Non è colpa tua. Dispiace a me di essermi comportata in modo sgarbato, non era mia intenzione. Ero solo sorpresa.”
“E arrabbiata.” Aggiunse Theo, ridacchiando. Aranel si lasciò scappare un sorriso divertito e annuì.
“Sì, decisamente arrabbiata. E tu come stai?”
“Me la cavo. Ho concluso la mia missione una settimana fa.”
“Sono felice per te.”
Aranel mandò giù un sorso di champagne per inumidire la gola. Voleva urlare, strappare tutti i fiori del giardino e accasciarsi a terra per la rabbia che le ribolliva nel sangue. L’aveva piantata per una stupida guerra con il passato.
“So che sei stata un anno in Ghana. Sei tornata a fare la giornalista di guerra?”
“No, sono partita con dei medici volontari. Bennett mi permette di raccontare le condizioni del Paese, però non mi fa tornare al reportage di guerra.”
“Sono sicuro che ti renda felice aiutare quella gente.”
“Sì. Ascolta, Theo, devo parlarti di una cosa.”
Theo smise di mangiare la torta e poggiò il piatto a terra, qualcosa gli diceva che altrimenti il dolce gli sarebbe andato di traverso.
“Dimmi.”
Aranel si alzò come se la panchina si fosse tramutata in lava e prese a camminare avanti e indietro.
“Devi firmare le carte del divorzio.”
“Come, scusa?”
“Due mesi fa ho richiesto il divorzio e Richard ha redatto i documenti, manca solo la tua firma.”
Theo si portò le mani sul viso, era sconvolto da quella rivelazione. Certo, si erano lasciati, ma il divorzio era un effetto che non aveva calcolato. Nonostante un anno di separazione e la relazione con Sophie, non ci aveva minimamente pensato. L’anulare sinistro di Aranel era spoglio proprio come il suo, e questa mancanza gli pesava sul cuore come un enorme macigno.
“Sì, capisco. Non pensavo che saremmo arrivati al divorzio.”
“Un anno fa il nostro matrimonio è finito dopo pochissimi mesi, perciò dovevi tenere in conto che avrei fatto ricorso alle vie legali. Hai fatto una scelta e adesso ne devi pagare le conseguenze.”
“Hai ragione. Io domani pomeriggio riparto, perciò, se vuoi, posso firmare dopo la festa.”
“D’accordo. Ci vediamo più tardi all’ingresso.”
 
 
Theo non era pronto, per niente proprio. La carta del divorzio giaceva sotto i suoi occhi come una sorta di condanna a morte. Da dieci minuti non faceva altro che far scattare la punta della penna dentro e fuori, quel ticchettio gli impediva di urlare. Aranel, al suo fianco, lo fissava intensamente. La stanza era illuminata in parte da una grossa lampada e le parole sui documenti sembravano vibrare.
“Theo, continuare a rileggere il foglio non ti aiuterà. Devi firmare.”
“E se non volessi?”
Aranel inarcò le sopracciglia, quella domanda stava alimentando la sua rabbia.
“Stai scherzano? Tu mi hai lasciata, tu hai voluto mettere fine alla nostra relazione a adesso tu firmerai il divorzio!”
Theo lanciò la penna sul tavolo e sventolò il foglio in mano, quasi la stesse minacciando con un’arma. La ragazza si alzò a sua volta e cercò di riprenderselo, ma ogni tentativo era vano.
“Non ce la faccio a firmare!”
“Dammi quel foglio o giuro che ti uccido pur di farti firmare!”
“Io ti amo!” disse Theo, e quelle tre parole seguì un terribile silenzio. Aranel si era bloccata con la mano a mezz’aria, immobile come una statua di marmo. La sua espressione era indecifrabile e sembrava avesse smesso di respirare per qualche secondo.
“No, tu non puoi dirmi che mi ami! Non puoi, maledizione!”
“Sì, posso farlo perché è vero! Perché mi manchi, mi manca la persona che ero quando stavo con te, e perché non posso non amarti!”
Aranel sorrise amaramente, la delusione era bruciante come fuoco sulla pelle. Si portò le mani sui fianchi e gli diede le spalle, era scombussolata.
“Vattene, Theo. Non voglio vederti!”
“No.”
“Sparisci!”
Non appena Aranel si voltò, Theo ne approfittò e la baciò. Dopo un anno di lontananza quel bacio era come acqua nel deserto. Si strinsero per non lasciarsi più.
“Ti amo.” Ripeté Theo sulle sue labbra, facendola arrossire. Da troppo tempo non si sentiva amata e ritrovarsi attaccata a lui riaccese i sentimenti a lungo taciuti in un batter d’occhio.
“Ti amo anche io.”
Theo le strinse i fianchi e, continuando a baciarsi, arrivarono in camera, dove si stesero sul letto. Era un intrigante gioco di mani e di labbra, un susseguirsi di mani avide di toccarsi e di riscoprirsi. Aranel gli sbottonò la camicia con estrema lentezza senza mai lasciare le sue labbra, mentre Theo agguantava la cerniera dell’abito per sfilarglielo. Rivedendo quel corpo armonioso sotto al proprio, sorrise.
“Mi sei mancata, stellina.”
Aranel lo baciò ancora con irruenza, gli tolse anche i pantaloni e tornò ad accarezzargli languidamente il petto. Theo, nel frattempo, le tempestava di baci il collo e le clavicole, per poi scendere a lambire il seno e la pancia. Lei fremeva ad ogni tocco di quelle mani capaci di farle provare emozioni uniche. Quando Aranel gli sfiorò i muscoli dell’addome con le unghie curate, il ragazzo si fece sfuggire un gemito.
“Lo vedo che ti sono mancata.” Mormorò lei contro la sua spalla, ed entrambi ridacchiarono. Nonostante fosse trascorso un anno, il loro rapporto non era cambiato di una virgola. Liberi ormai da tutti i vestiti, si unirono nei corpi e nelle anime. Aranel, coinvolta nel momento di piacere, gli graffiò la schiena fino a fargli uscire qualche stilla di sangue. Vedendola impaurita, Theo scosse la testa e le sorrise.
“Tranquilla, guariranno in pochi istanti. Tu, però, continua.”
Sentire le unghie di Aranel affondargli nella carne era un godimento senza precedenti di cui non voleva privarsi, anzi voleva che lei perseverasse.
“Sei sicuro? Non voglio farti male.”
“Sì, ti prego, continua.” Esalò Theo, la voce roca ridotta ad un filo, e la ragazza capì che stava raggiungendo il limite. I loro corpi si fusero fino alle prime luci dell’alba quando, esausti e appagati, si addormentarono.
Erano circa le nove di mattina quando Aranel si svegliò consolata da un calore familiare. Girandosi, incontrò gli occhi chiari di Theo e il suo sorriso.
“Buongiorno, Raeken.”
“Buongiorno a te, stellina.”
Notando i documenti del divorzio sul pavimento, Aranel provò uno strano senso di pentimento.
“Che cosa abbiamo fatto?”
Theo, che era troppo felice per ragionare in modo razionale, le baciò la spalla la nuda.
“Abbiamo fatto l’amore per tutta la notte.”
“No, intendo che cosa abbiamo fatto alla nostra storia? Ieri sera avremmo dovuto divorziare.”
Il ragazzo allora si mise seduto, il lenzuolo a coprirgli a stento le cosce, e i gomiti puntellati sul cuscino.
“Come possiamo divorziare se ci amiamo ancora? Senti, lo so che è stata tutta colpa mia. Me ne sono andato come se volessi scappare da noi, ma la verità è che stavo scappando da me stesso. Viaggiare per l’Europa alla ricerca delle chimere è stato catartico, mi ha fatto capire che ho finalmente tagliato i ponti col mio oscuro passato e che posso andare avanti. Ho frequentato una ragazza, Sophie, negli ultimi quattro mesi, ma ci siamo limiti solo a dei semplici baci perché l’idea di condividere il letto con una donna che non fossi tu mi faceva ribrezzo. Prima di tornare a New York ieri mattina, l’ho lasciata perché sapevo che, rivedendoti, non avrei resistito. Ci ho provato a farmi da parte e a lasciarti andare, ma sono troppo egoista e troppo innamorato per farlo. So che è difficile, ma insieme possiamo funzionare ovunque e nonostante tutto.”
Theo era maledettamente abile con le dichiarazioni d’amore, Aranel doveva ammetterlo, ma doveva anche ammettere che aveva ragione sul rivedersi e non resistersi.
“E se invece si fosse trattato di una ricaduta? Di una semplice notte di sesso? Non voglio rischiare di stare di nuovo male.”
“Come può trattarsi di semplice sesso tra noi due, Aranel? Durante quest’anno i nostri sentimenti non sono mutati, forse si sono accresciuti. Ti supplico, proviamoci di nuovo. E proviamoci fino a quando non ci riusciremo.”
Aranel non aveva più parole, era stanca di parlare, così lo baciò. Theo approfondì quel bacio tirandola sopra di sé.
“Proviamoci di nuovo.” Sussurrò lei al suo orecchio, e il ragazzo poté sorridere senza alcun peso sul cuore. Ripresero a stringersi come poche ore prima, mani fameliche e baci bollenti.
“Aranel …”
Pronunciò quel nome in preda ad un brivido di puro piacere mentre Aranel iniziava a muoversi su di lui. La ragazza ridacchiò e poggiò i palmi aperti sul suo ampio petto.
“Come sei sensibile, Raeken.”
“E’ merito tuo, stellina. Tutto merito tuo.”
Quella domenica si consumò tra quelle lenzuola che li avevano visti unirsi un’infinità di volte, testimoni del loro amore.
 
 
Un mese dopo, ottobre,  New York.
Il cuore di Aranel batteva all’impazzata da quando, dieci minuti prima, era stata informata dall’ospedale che Theo era stato ricoverato a causa di un incidente. Adesso stava percorrendo la strada sino all’ambulatorio senza tener conto delle giuste precedenze e dei semafori, voleva arrivare il prima possibile. Era sabato sera, da ore aspettava che suo marito tornasse per andare a teatro, e, infatti, tutta quell’attesa l’aveva messa in agitazione. Certo, Theo era una chimera e si auto-rigenerava, ma non era sicuro che ci fosse una cura a tutti i mali. Mentre stava immaginando gli scenari peggiori, scorse l’insegna dell’ospedale e svoltò a sinistra per parcheggiare. Indossata la giacca e afferrata la borsa, si precipitò al primo piano, come le aveva indicato l’infermiera al telefono. Il reparto era affollato di malati e di personale medico, chi andava e chi tornava senza sosta. Seduto in un angolo, con il braccio destro fasciato, Theo scuoteva la mano per salutarla. Corse da lui e la prima cosa che fece fu pizzicargli le guance per assicurarsi che fosse davvero lui e che stesse bene.
“Ero così preoccupata per te!” esclamò, poi liberò un respiro profondo. Theo si slacciò la benda e le mostrò la pelle intatta, il sangue era solo un rimasuglio della ferita.
“Sto bene, tranquilla. Sono guarito.”
“Che cosa è successo?”
Si sedettero sulle sedie in sala d’attesa al riparo da orecchie indiscrete.
“Ero andato a fare benzina quando, sulla strada del ritorno, ho visto una bambina in mezzo alla strada e ho sterzato per non investirla. La macchina si è schiantata contro un albero e il finestrino è esploso, tagliandomi il braccio. Sebbene fossi frastornato dalla botta, sono sceso per soccorrere la bambina. Diamine, Aranel, ha solo quattro anni!”
Aranel lesse nei suoi occhi una tristezza tale da intenerirle il cuore. Rendersi conto che Theo provasse sentimenti anche per altre persone, esclusa lei, era sempre una vittoria.
“E sai perché si trovasse in mezzo alla strada? Ti ha detto qualcosa?”
“No, mi ha solo abbracciato fino all’arrivo della polizia senza dire nulla. Adesso la stanno visitando perché, stando alle prime dichiarazioni dei medici, non mangia a dovere da giorni.”
Aranel gli accarezzò la spalla con gentilezza, capiva che quell’ansia derivava dalla sua stessa esperienza di bambino sperduto.
“Theodor Raeken?”
Angela Moore stava in piedi dietro di loro, un fascicolo in mano e il taccuino nell’altra. Loro si avvicinarono e la seguirono nella stanza di uno dei medici del reparto.
“Si sente meglio?” domandò il detective, prendendo posto alla scrivania bianca e rovinata.
“Sì, era solo un graffio. Come sta la bambina? Ha parlato?”
“No, si è solo limitata a chiedere dove fosse il signore che l’ha salvata, cioè lei. Pochi minuti fa dalla centrale mi hanno comunicato che nel bosco, quello da dove la bambina è sbucata, è stato rinvenuto il cadavere di una donna. Si tratta di Alexis Mann, la madre della bambina. Pare sia morta di freddo nel tentativo di scaldare sua figlia. La bambina deve aver capito che qualcosa non andava e si è gettata in strada in cerca d’aiuto. Tra poco arriverà un’assistente sociale che si occuperà di lei.”
L’espressione di Theo fu una crepa nel muro che per anni aveva protetto il suo cuore dal provare affetto per altre persone oltre sua moglie.
“No! Ha appena perso sua madre e affidarla ad una casa famiglia è una pessima idea!”
“Signor Raeken …”
“Possiamo tenerla noi!” esclamò Aranel, e non si rese conto di cosa avesse detto fino a quando quel pensiero si tramutò in parole. Theo la guardò e nei suoi occhi chiari vi fu un’immensa gratitudine. La Moore, osservandoli, ci rifletté per qualche istante.
“La legge consente l’affidamento per una sola settimana, al termine dei sette giorni sarà lo Stato a provvedere.”
“Grazie mille, lei è davvero gentile!” disse Theo, stringendo la mano della detective.
“La bambina si trova nella stanza 104, andate da lei.”
La coppia si diresse nella stanza contrassegnata dal numero ed entrarono quasi a passo felpato. Non appena la bambina riconobbe Theo, gli corse incontro e gli abbracciò la vita. Il ragazzo, allora, si abbassò al suo livello e le scostò qualche ciuffo biondo dal viso. I suoi grandi occhi verdi erano tristi, sapeva che la sua mamma era volata in cielo.
“Ehi, piccolina, andrà tutto bene. Lei è mia moglie Aranel, è un po’ matta ma è una tipa apposto. Adesso ti portiamo a casa con noi, ti daremo una bella stanza e ti prepareremo una buona cena. Ci stai?”
Theo allungò la mano verso la bambina e lei, incerta, l’agguantò in una presa salda. Gli occhi di Aranel si commossero a tutta quella tenerezza e disperazione mescolate. Poi, dal nulla, la piccola prese anche la mano di Aranel.
“Andiamo.”
 
 
Un anno dopo, New York.
Theo non avrebbe mai immaginato che la vita potesse riservargli quella grande gioia e quella serenità che da un anno a questa parte stava vivendo. Insieme ad Aranel, avevano deciso di adottare Hazel, la bambina che lui aveva salvato. Dopo essere tornati dall’ospedale e aver annunciato la triste notizia, Hazel si era abituata a loro e loro erano contenti di averla in casa. Pian piano si era aperta, aveva detto il suo nome, aveva ripreso a frequentare l’ultimo anno di asilo e anche la psicologa si complimentava con loro per l’ottimo lavoro. Theo, però, aveva capito che per Aranel non si trattava di un affidamento temporaneo, si era affezionata troppo alla piccola per lasciarla andare. Era stato allora che, una domenica sera, aveva proposto alle due donne di casa l’adozione permanente. Entrambe avevano accettato con entusiasmo, in fondo tutti e tre avevano bisogno di una famiglia. Quella mattina si stavano dirigendo in tribunale per incontrare la psicologa, l’assistente sociale e il giudice che si occupavano del caso. Aranel, elegante nel suo tubino blu scuro, stringeva con foga i manici della borsa tanto da far impallidire le nocche. Al suo fianco, tranquilla e allegra, Hazel faceva dondolare i piedi nel vuoto, dato che la sedia era troppo alta per una bambina di soli cinque anni. Theo le accarezzò i capelli biondi intrecciati sulla nuca e lei gli sorrise, quegli occhi verdi gli trasmettevano sempre una dolcezza immensa. La porta dell’aula di tribunale si aprì e la psicologa fece loro cenno di entrare. Si sedettero di fronte al giudice, pronti all’interrogatorio. L’uomo, dal viso giallastro e i capelli radi, aprì una cartella e si infilò gli occhiali.
“Con la procedura numero 1276, a carico di Aranel Jones e Theodor Raeken, si richiede l’affido permanente di Hazel Watson. Adesso la psicologa e l’assistente sociale mi diranno quale sia stata la vostra condotta durante l’anno. Prego, colleghe.”
La prima a parlare fu la signora Penny, la psicologa che aveva aiutato Hazel a superare la morte della madre.
“Grazie, signor giudice. Ho seguito i signori e la bambina dall’inizio, abbiamo condotto un ciclo di sedute, sia individuali che di gruppo, e sono giunta alla conclusione che Aranel e Theodor siano la scelta migliore. Pertanto, ritengo che l’adozione sia idonea.”
Aranel sospirò, buttando fuori tutta l’aria che aveva trattenuto, ma non era ancora finita. Il giudice annuì, poi invitò l’assistente sociale, la signora James, a proseguire con la perizia.
“Anche io ho incontrato più volte la coppia e la bambina, sia insieme che singolarmente, ho visitato la loro abitazione, mi sono accertata dei loro precedenti penali e della loro condizione economica. Sebbene il signor Raeken abbia ricevuto più volte salate multe a causa di parcheggio indebito, sono sicura che sarà un ottimo genitore. In accordo con la dottoressa Penny, dichiaro l’adozione idonea.”
Il giudice, dall’alto della pedana, sorrise e marchiò la cartella con un timbro.
“Sono lieto di annunciarvi che da oggi Hazel Watson è Hazel Raken-Jones. Congratulazioni!”
Inutile dire che Aranel scoppiò in lacrime e Theo l’abbracciò stretta, entrambi sapevano che quello era il momento che aspettavano con ansia da un anno. Hazel si intrufolò tra di loro e li abbracciò entrambi, felice di avere finalmente accanto due persone che l’amavano. Finalmente potevano definirsi una famiglia.   
 
Un mese dopo, New York.
Aranel osservava il soffitto con un’insolita leggerezza nel cuore, che nell’anno precedente aveva scarseggiato a causa del mondo sovrannaturale. Theo, al suo fianco, la guardava sorridere e si sentiva felice. La casa era silenziosa, avevano da poco finito di fare l’amore, e a momenti si sarebbero dovuti alzare per partecipare ad un evento speciale. Quella sera Hazel avrebbe compiuto cinque anni e avevano organizzato una festa nel giardino di Amanda e Kabir.
“Secondo te le piacerà il regalo che le abbiamo fatto?” domandò, voltandosi appena verso suo marito. Theo aggrottò le sopracciglia, era una domanda davvero stupida.
“Come potrebbe non piacerle una casa delle bambole lavorata interamente a mano? E poi, ci è costata una fortuna e sarà costretta a dire che le piace.”
Aranel scoppiò a ridere perché, da quando la bambina era entrata nella loro vita, aveva disseminato bambole e vestiti dappertutto, e aveva sin da subito manifestato il desiderio di avere una casa delle bambole arredata nei minimi dettagli.
“Sei un idiota, Theo! Un regalo non si valuta in base al prezzo. In fondo, Hazel è una bambina eccezionale e si merita un regalo del genere.”
Era vero, Hazel era una bambina deliziosa. Era gentile, premurosa, ubbidiente ed educata, amava ascoltare gli altri, leggere e giocare, e soprattutto le piaceva andare a scuola per imparare cose nuove. Era radiosa e vitale, aveva portato in casa una luce tutta nuova. Theo le baciò la spalla, sorridendo contro la sua pelle un attimo dopo.
“Hai ragione, se lo merita. Però direi che è giunta l’ora di andare.” Disse, quindi si alzò e iniziò a vestirsi. Aranel rimase ancora un po’ a letto ad ammirarlo mentre si abbottonava la camicia, era talmente bello da farle venire i brividi come la prima volta che lo aveva visto. Dopodiché, notando di essere in ritardo, indossò velocemente un tubino bordeaux con lo scollo a barca e un paio di decolleté nere di vernice, si legò i capelli in una treccia e si sistemò il trucco. Hazel si trovava con Liam e Nadia, essendo ignara della festa, e loro avevano circa un’ora per andare a prendere la torta e portarla a destinazione.
 
 
“Esprimi un desiderio!” gridò Stiles dalla cerchia di persone intorno ad Hazel. La bambina era china sulla torta a forma di sirena e sorrideva alla folla, pronta a soffiare sulle candeline. Aranel e Theo stavano rispettivamente uno a destra e l’altro a sinistra, sorridenti e divertiti. Hazel diede un’occhiata ai volti familiari davanti a sé, non aveva mai avuto tanta gente che le volesse bene e riservò a tutti un sorriso raggiante. Strinse le mani dei suoi genitori e tornò a calarsi sulla torta, chiuse gli occhi e spense le cinque candeline. I presenti proruppero in fischi e applausi, mentre Liam e Scott lanciavano i coriandoli verso la festeggiata. Aranel strinse la piccola in un abbraccio caloroso e Theo scattò loro numerose foto. Mentre Roxy e Lydia iniziavano a distribuire le fette di torta, Malia e Mason raccoglievano i regali da mettere sul tavolo apposito. Da lontano, Scott e Stiles si lanciarono uno sguardo di intensa, alla fine anche un nemico si poteva tramutare in un amico.
“Grazie di tutto.” sussurrò Hazel all’orecchio della donna, che inevitabilmente si commosse e non trattene le lacrime.
“Su, stellina, non fare così!” la prese in giro suo marito, accarezzandole la schiena per calmare i singhiozzi. Hazel non li chiamava ‘’mamma’’  e ‘’papà’’ perché avevano stabilito che, poiché lei ricordava bene i suoi genitori biologici, era giusto che li chiamasse per nome, ma quel ringraziamento valeva più di qualsiasi etichetta. Theo abbracciò le due donne più importanti della sua vita e in cuor suo seppe di aver trovato la redenzione.
Aranel, Theo e Hazel erano legati da un vincolo indissolubile, quello della famiglia, che dava alla loro esistenza un tocco di luce.
 
 
 
Salve a tutti! ^_^
Alla fine tutto è andato bene, hanno avuto il tanto ‘happy ending’ meritato.
Vi fa piacere che abbiano adottato Hazel?
Vi aspettavate un finale diverso?
Qual è il vostro personaggio preferito?
 
NOTA BENE: per ora la storia di Aranel e Theo finisce qui. Non so se scriverò una terza parte, forse lo farò più in là, ma per ora credo di aver esaurito le loro avventure. Questo non è ovviamente un addio ai nostri beniamini, è solo un arrivederci.
 
GRAZIE DI CUORE A TUTTI COLORO CHE HANNO SEGUITO, LETTO, RECENSITO, MESSO TRA PREFERITI (… ETC) LA STORIA.
 
 
ALLA PROSSIMA,
UN GRANDE BACIO,
LA VOSTRA Lamy_
 
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.

 
  
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