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Autore: edoardo811    17/11/2018    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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2

I semidei

 

 

Non appena Edward si ritrovò a camminare per la stradina del campo, con Stephanie accanto a lui che si lanciava in migliaia o forse milioni di spiegazioni in merito a quel luogo, l’unica cosa a cui lui riusciva a pensare era che “molto spesso” non rendeva abbastanza giustizia al numero di volte che gli dei dovevano aver deciso di scendere dall’Empire State Building, o Olimpo, per spassarsela con i mortali.

Forse non erano a conoscenza delle protezioni, perché c’erano così tanti ragazzi in quel posto che risultava difficile anche solo contarli. Non si sarebbe stupito di scoprire che in totale dovevano esserci almeno un centinaio di semidei, tutti quanti anche piuttosto giovani. Alcuni di loro li osservarono mentre passavano, incuriositi dal nuovo arrivato, altri invece continuarono a badare ai loro affari. C’era chi se ne stava fuori a godersi il sole estivo, chi leggeva, chi faceva esercizio e chi giocava a calcio o basket. E anche chi si allenava con le spade. Questi ultimi lo lasciarono un po’ sorpreso, ma Stephanie parve non prestare loro molta attenzione, come se fosse normale da quelle parti.

Era tutto così… vivace. Variopinto. Era un ambiente a cui non era per niente abituato, e le numerose abitazioni, quasi una ventina, così particolari, sgargianti e diverse tra loro non facevano altro che rendere ancora più colorato quel luogo. 

Si domandò dove fossero i semidei adulti. Magari raggiunta una certa età si diventava così potenti che i mostri non rappresentavano più un problema, ma non poteva esserne certo. Lo avrebbe chiesto a Stephanie, se solo lei non fosse stata così presa dalle sue attuali spiegazioni.

La osservava gesticolare e parlare a raffica, sembrava quasi che avesse preparato quel discorso decine e decine di volte. Quasi gli dispiacque non starla ad ascoltare. Quasi.

«… e poi, quando verrai riconosciuto, potrai alloggiare in una di queste splendide case» comunicò infine la semidea.

«Ancora quella parola, “riconosciuto”» mormorò Edward. «Che significa?»

«Significa che il tuo genitore divino ti “riconoscerà” come suo figlio, tramite un simbolo che si manifesterà sopra la tua testa.» Stephanie gli accennò con la mano alle case circostanti. «Vedi, ognuna di queste case è abbinata ad un diverso dio, i dodici principali più diversi minori, e pertanto sono anche gli alloggi dei loro figli. I figli della casa di Apollo alloggeranno nella casa di Apollo, quelli della casa di Efesto in quella di Efesto e così via. È proibito per un semidio di alloggiare in una casa al di fuori di quella dedicata al genitore, e anche se talvolta è concesso, i semidei non possono restare troppo a lungo in una casa non di loro appartenenza. Qualche minuto, non di più, o gli dei potrebbero… non gradire. L’unica eccezione è per la casa di Ermes, dove alloggiano tutti i semidei in attesa di essere riconosciuti, ma questa è una cosa che non si verifica da molto tempo, visto che il riconoscimento avviene nell’arco di ventiquattr’ore, alla sera, quando ci raduniamo attorno al grande falò.» 

La ragazza lo osservò sorridendo di nuovo. Sorrideva parecchio spesso, ora che ci faceva caso. Non che la cosa fosse spiacevole da vedere. «Non preoccuparti, entro sera sarai pronto a conoscere i tuoi fratelli!»

Fratelli. Edward non ne aveva mai avuti prima. Chissà come sarebbe stato dover vivere assieme a loro. Emozioni contrastanti nacquero in lui. Non era mai stato famoso per il suo carattere gentile, e con gli anni si era abituato alla vita da lupo solitario. Sperò che questo non si rilevasse un ostacolo troppo grosso per la socializzazione, ma se gli altri semidei erano tutti simili a Stephanie, allora poteva stare tranquillo, perché avrebbero fatto loro tutto il lavoro al posto suo.

«L’idea non ti aggrada?»

Quella domanda lo fece trasalire. Stephanie ridacchiò. «Non sembri molto entusiasta.»

«Beh…» Edward si strinse nelle spalle. «Non ho mai avuto una famiglia vera, eccetto mia madre. Non so cosa aspettarmi di preciso da altri… semidei.»

«Andrai alla grande, vedrai!» lo incitò la ragazza, sollevando di nuovo il pollice.

Edward riuscì a sorridere. «Di chi potrei essere figlio, secondo te?»

Stephanie si prese il mento, rallentando la camminata. «Mhh… beh, sei sopravvissuto per tanto tempo contro mostri sempre più forti, perciò significa che sai combattere bene. Potresti essere figlio di Ares, dio della guerra, oppure proprio di Ermes, il dio della strada. Oppure di Atena, la dea della saggezza e della strategi…» La semidea si interruppe. «Oh, giusto, forse è meglio spiegartelo subito per evitare… situazioni imbarazzanti. I semidei possono nascere anche da genitori dello stesso sesso, quindi… sì, anche se hai una madre mortale, potresti comunque essere figlio di una dea. Non capita spesso, in realtà, ma può succedere.»

Edward sollevò un sopracciglio, cercando di trattenere un sorrisetto incuriosito. 

Ripresero a camminare. «Comunque, i semidei presentano spesso tratti in comune con i loro genitori. Tornando a farti l’esempio di Ares, è chiaro che i suoi figli saranno più forti, grossi e portati per il combattimento, mentre i figli di Atena saranno più intelligenti, saggi, oppure quelli di Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, saranno molto attraenti e così via.»

«Tu sei una figlia di Afrodite?» domandò Edward, senza pensarci troppo. Tuttavia, non appena Stephanie si fermò ancora una volta, per poi rivolgergli uno strano sorriso, il ragazzo realizzò di essere stato un po’ troppo avventato.

«Cosa te lo fa pensare?» gli domandò, scoccandogli una strana occhiata.

Edward pensò che morire proprio in quel momento non sarebbe stata una brutta cosa. «Ehm… beh…» Distolse lo sguardo, apparendo ancora più stupido di quanto già non sembrasse.

Quando sentì Stephanie ridacchiare, tuttavia, sentì i propri nervi sciogliersi. La vide chinarsi, per poi puntare la mano verso il suolo. Roteò con un gesto delicato il polso e, ad accompagnare quel movimento, un ciuffo d’erba cominciò a spuntare dalla terra. Edward schiuse le labbra, ma il bello doveva ancora arrivare: petali spuntarono fuori dal laccio, che cominciò a tramutarsi in uno stupendo fiore dalle sfumature che dal viola percorrevano la scala di colori fino al giallo.

«Sono una figlia di Demetra, la dea dell’agricoltura e della fertilità» spiegò la ragazza, accarezzando il fiore con delicatezza e osservandolo quasi come una madre amorevole. Guardandola, Edward si sciolse. Era chiaro come il sole quanto Stephanie amasse ciò che faceva, la cura e la passione che metteva nelle cose, dal semplice illustrare il campo ad un nuovo arrivato al far spuntare un fiore, erano qualcosa di davvero lodevole.

«Ehi, Tommy!» Stephanie spostò lo sguardo dietro alle spalle di Edward, rivolgendosi a qualcun altro.

Edward si girò, per poi scorgere un ragazzino basso con un groviglio di capelli rossi e ricci, intento a trasportare un grosso sacco. 

«Sì?» domandò lui, fermandosi di colpo. Si avvicinò a loro, mugugnando infastidito dal peso dell’oggetto che stringeva tra le braccia. «Ciao Steph. Che succede?»

«Questo è Edward» annunciò Steph. «Il nuovo arrivato.»

«Oh, sì» replicò Tommy, per poi porgergli, a fatica, la mano. Lo scrutò veloce con i suoi occhi azzurri, sorridendogli timido. «Ho sentito la storia. Sei arrivato ieri sera. Io sono Thomas Blake, figlio di Ermes, ma puoi chiamarmi anche Tommy. Piacere di conoscerti.»

«Piacere mio, Tommy» disse Edward, stringendogli la mano.

Stephanie si intromise «Allora caro Thomas, il nostro Edward è un po’ titubante all’idea di vivere qui.» Steph strizzò l’occhio al ragazzo, che trasalì ancora una volta. «Che ne diresti di mostrargli l’interno della casa di Ermes? Così per aiutarlo un po' ad ambientarsi.»

«Sì, cer…» Il sacco quasi scivolò dalla presa del ragazzino, che con un grugnito cercò di non farlo cadere. «… ugh… certo. Forza, seguimi.»

Edward lanciò uno sguardo a Stephanie, che fece finta di nulla. Un altro sorrisetto scappò dalle labbra del nuovo arrivato, che si mise a seguire Thomas verso una casa molto diversa dalle altre. Questa non aveva decorazioni sgargianti all’esterno, vista da fuori sembrava una casa normalissima, tolta la tinteggiatura un po’ sporca. Una bandiera logora sventolava appesa ad un’asta sul tetto, raffigurante uno strano bastone con delle ali alle estremità.

«Allora» esordì Tommy, lasciando cadere il sacco a terra non appena varcata la soglia. Un terribile suono metallico provenne da esso, ma lui non ci prestò molta attenzione. «Ecco qua, questa è la casa di Ermes.»

Una decina di letti a castello riempivano la stanza, un grosso televisore si trovava appoggiato alla parete, con una console collegata ad esso. Chissà che modello era. Oltre a quello c’erano anche tablet e computer portatili appoggiati su molti dei materassi. Le pareti erano tappezzate di fotografie, cartoline e mappe varie, mentre per terra era pieno di cianfrusaglie, armi, carte e perfino giocattoli. In un angolo notò perfino un set per i trucchi. Alcune righe e solchi sul pavimento lasciavano intuire che avevano ridisposto i mobili almeno un milione di volte.

«Sì… non badare al disordine» commentò Tommy, calciando via una macchinina. «Ermes è anche il dio dei ladri e i miei fratelli… beh… a loro piace “prelevare cose” in giro per il campo. Quasi nulla di questa roba è nostra.»

Edward si guardò attorno. Il disordine non lo disturbava, e l’idea che così tanti ragazzi vivessero assieme in quel luogo iniziò a piacergli. Poteva immaginarseli radunati davanti il televisore a fare qualche maratona di videogiochi, o a guardare film piratati con i computer, o magari a giocare a carte e a litigare quando qualcuno imbrogliava.

«E i tuoi fratelli?» gli domandò.

Tommy scrollò le spalle. «In giro per il campo, come al solito. Vediamo…» Si girò di nuovo verso la porta, per guardare fuori, e un verso angosciato provenne dalla sua gola: «Oh-oh…»

«Cosa?» Edward osservò il punto dove Tommy stava guardando, per poi accorgersi di alcune ragazze che avevano accerchiato Stephanie. Non poteva udire cosa si stessero dicendo, ma a giudicare da come lei stesse cercando di arretrare, sollevando le braccia quasi in segno di resa, intuì che le cose non stavano andando bene. Poi una di loro, una biondina platinata conciata come una modella, si accorse del giglio e lo calpestò con le sue scarpe all’ultimo grido. Stephanie chinò il capo, affranta. Ed Edward non gradì affatto la cosa.

«Non le vogliono proprio dare pace…» mugugnò Tommy, poco prima che Edward partisse verso la loro direzione. «E-Ehi!» lo chiamò, correndogli dietro. «Che stai facendo?!»

Edward lo ignorò. Avanzò imperterrito verso le ragazze, cercando tuttavia di mantenere la calma. «C’è qualche problema?» domandò, affiancando Steph, posandole una mano sulla spalla. La figlia di Demetra drizzò la testa non appena si accorse di lui. Sgranò gli occhi e sembrò quasi che stesse per parlare, ma la ragazza di prima, quella che aveva calpestato il fiore, la anticipò: «E tu saresti?»

Gliel’aveva chiesto con tono quasi schifato, perfino il suo modo di guardarlo lasciava trasparire la medesima emozione. Tuttavia, Edward sorrise. «Sono Edward, il tizio mezzo morto di ieri sera. Piacere di conoscervi.»

«Non sapevamo di nessun tizio mezzo morto, e la cosa comunque non ci interessa. Sparisci. Questa faccenda non ti riguarda.»

«A dire il vero, Steph è la mia guida nel campo. Quindi… sarebbe meglio che io rimanga qui.»

La ragazza fece un passo avanti, osservandolo truce, ed Edward sfoderò il suo peggior sorriso beffardo, ricambiando lo sguardo. Quella tizia era davvero bella, doveva ammetterlo, ed era vestita e truccata di tutto punto come se stesse andando a un matrimonio. Lei e tutte le sue amiche erano così. Dovevano essere figlie di Afrodite, ma per davvero questa volta.

«Ascolta, verme. Non hai nulla a che fare con noi, qui. Perché non te torni sotto al ponte dal quale provieni?»

Edward corrugò la fronte e si voltò verso Stephanie e Thomas. «Steph, avevi detto che qui vivono i “semidei”, ma non mi avevi parlato delle oche.»

Alcuni squittii indignati si sollevarono dal gruppetto di oche. La figlia di Demetra abbozzò un sorrisetto. Tommy, invece, sembrava solo sconvolto. Forse da Edward, forse dalle ragazze, forse era sconvolto di suo e basta.

«Dì un po’, ti credi simpatico?!» sbottò di nuovo la tizia bionda, piantandosi le unghie nelle braccia, alzando di colpo la voce. 

«Io non mi credo simpatico, io so di essere simpatico» ribatté Edward, tornando a guardarla. «E tu, invece, pulzella? Cosa credi di essere, esattamente?» 

Quella sogghignò. «Una che quelli come te li calpesta. Se davvero pensi che mi lascerò intimidire da un pezzente come te ti sbagli di grosso. Vali meno di zero. Proprio la quattrocchi e il nano» ed indicò Stephanie e Tommy. «E comunque, dovresti farti una doccia. La tua puzza arrivava fin dalla casa di Afrodite.»

Edward piegò il capo. «Ascolta, bella…»

«Che sta succedendo qui?» si intromise una terza voce, prima che le rispondesse per le rime. Un gruppo di ragazzi era sopraggiunto, con tutta probabilità aveva sentito la bionda strillare come una pazza. Grossi, muscolosi, sembrava quasi che tutti loro avessero indossato di proposito delle magliette di una taglia più piccola solo per evidenziare ancora di più le loro corporature. Il capo del gruppo, un armadio con la testa rasata e i piercing alle orecchie, andò a cingere la figlia di Afrodite per le spalle. «Questi sfigati ti stanno importunando, Jane?»

«Non saprei, Buck. Mi state importunando?»

Edward osservò il gruppetto dei nuovi arrivati e capì che le cose stavano per peggiorare. Di nuovo, qualcosa gli suggerì che forse – ma solo forse – si trattasse di figli di Ares. 

«Ehi, sfigato.» Il tizio diede una spintarella ad Edward, facendolo arretrare. «La mia ragazza sta parlando con te.»

«Mh?» Edward finse di trasalire. «Oh, ce l’hai con me? Scusa, ma i ragli dei somari non li capisco.»

«Non capisci?» domandò Buck, con voce cavernosa, per poi sferrargli un cazzotto in piena faccia. Finì a terra, atterrando sul sedere, con il naso che sanguinava.

«E questo l’hai capito, pidocchio?»

«Edward!» Stephanie si chinò accanto a lui, e anche Tommy parve agitarsi.

«Ecco, bravo. Lascia che quelle nullità aiutino la nullità che sei anche tu.» Buck grugnì, mentre le ragazze e i ragazzi di Afrodite ed Ares ridacchiarono. «Dovresti considerare una fortuna enorme il solo fatto che tu possa esistere accanto a questa bellezza.» Afferrò Jane, che appoggiò la testa sulla sua spalla con lo sguardo di una che sapeva di averla vinta.

«Osserva bene, perché questo tu non lo avrai mai.» Come ciliegina sulla torta, Buck iniziò a limonare la ragazza. Non baciare, limonare. Pesantemente, anche. Come se i limoni li stessero gettando a terra e li stessero calpestando con un rullo compressore.

Tuttavia, Edward non si lasciò impressionare. Ignorò l’aiuto di Steph e sputò un grumo di sangue. Osservò la coppietta dal basso, senza più dire o fare nulla. Quando finirono di ispezionarsi gli esofagi, il gorilla calciò ancora della terra verso di lui, costringendolo a chiudere gli occhi. Dopodiché, il gruppetto si allontanò da loro. Edward tenne lo sguardo di loro e scosse la testa con un movimento impercettibile. Che branco di idioti.

«Sarai anche nuovo, ma dovresti già sapere di non fare certe cose» commentò un’altra voce ancora. Uno dei figli di Ares, o almeno, credeva fosse uno di loro perché era nel loro gruppo, era rimasto ad osservarlo. Non era grosso come i suoi fratelli, come corporatura era più nella media, simile ad Edward, ragion per cui non era molto certo di quale fosse la sua casa. Aveva i capelli neri, rasati sulle tempie, e una leggera barba sul volto che cozzava con gli occhi azzurri come il ghiaccio.

«Mh?» mugugnò Edward, con pigrizia. «Oh, scusa anche tu, non ti avevo visto. L’ombra del tuo amico ti stava coprendo.»

«Tsk. Cambia atteggiamento, o non durerai una settimana.» Il tizio gli diede le spalle e sembrò sul punto di allontanarsi, tuttavia si voltò un’ultima volta, lanciando un rapido sguardo verso Stephanie, che lo resse senza però dire nulla. Quello piegò poi la testa e proseguì per la sua strada.

Ancora seduto a terra, Edward sputò un altro grumo. 

«Edward?» Stephanie lo chiamò. «Tutto ok?»

Edward strofinò la mano sotto al naso, per pulire il sangue, poi si voltò verso la ragazza. «L’omicidio è proibito al campo, giusto?»

Steph esitò. Chiaramente, quella era l’ultima cosa che si aspettava di sentire. «Ehm… beh…»

«Dovrò farlo sembrare un incidente, allora…» rantolò lui in conclusione, per poi alzarsi in piedi e spolverarsi.

«Cavolo, amico…» mormorò Tommy, sbalordito.

«Cosa?»

«Cosa? Come “cosa?” Hai dato del somaro a Buck! È stato incredibile!» cominciò ad esultare. 

«Tommy!» esclamò Stephanie. «Si è preso un pugno! Non c’è niente di incredibile!»

«Sto bene, Steph. Non preoccuparti» rassicurò Edward, con un sorriso causato dall’euforia di Thomas.

Steph si morse un labbro. «Sì, beh... mi sento comunque responsabile. Se non fossi finita nei guai, tu…» Si interruppe quando Edward le posò una mano sul braccio. «Tu non centri nulla. Sono io che l’ho provocato. Almeno quelle oche hanno smesso di infastidirti.»

«No invece…» La figlia di Demetra scosse la testa demoralizzata. «Torneranno. Non mi lasceranno mai stare.»

Il sorriso svanì dal volto di Edward. Osservò il giglio calpestato, poi di nuovo Steph. Era quasi come se, in realtà, avessero calpestato proprio lei. E il suo tentativo di aiutarla, forse non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Aveva cercato di attirare il loro odio su di lui, per allontanarlo da Stephanie in modo che non potessero accusarla di nulla. Era abituato, del resto, a far arrabbiare le persone. Era abituato a farsi odiare da chiunque, e con il tempo era come se fosse ne diventato immune. Per lui non era un problema. Ma da come lei si stava comportando, era chiaro che non avrebbe funzionato. Sarebbero tornate a infastidirla, forse in modi pure peggiori.

«Grazie comunque per l’aiuto» mormorò ancora Stephanie, per poi guardare Tommy. «Ti… ti va di finire tu il giro del campo con Edward? Io… credo che andrò nella mia cabina.»

«Oh... ok» rispose Tommy. 

Stephanie lo ringraziò con un cenno, poi salutò entrambi e si allontanò, sempre con aria mesta. Edward la seguì con lo sguardo, pensieroso. Era sembrata così allegra, serena, disponibile, come se amasse quel luogo, il campo, più di ogni altra cosa al mondo. Vederla così abbattuta… faceva sentire uno straccio anche lui. E lo stesso doveva valere per Tommy, perché anche lui parlò con voce mogia: «Dai, seguimi. Finiamo il tour. Devo solo finire di sistemare una cosa, però. Ci metto un attimo.» 

Il figlio di Ermes tornò verso la sua casa ed Edward lo seguì, un po’ riluttante. 

«Devo solo…» Cominciò Thomas dopo aver varcato la soglia. Guardò per terra e si interruppe di colpo, sgranando gli occhi. «Dove diamine è finito?!»

«Cosa?»

«Il sacco che avevo prima!» Tommy indicò il punto in cui lo aveva appoggiato. «Non c’è più! Ma che… oh, no! Non dirmelo!»

«Non dire cos…»

«RICK!!!» tuonò Thomas, facendo sobbalzare Edward. «NON DEVI TOCCARE LA MIA ROBA!!!»

Il figlio di Ermes cominciò a mettere a ferro e fuoco la stanza, spalancando armadi, controllando sotto i letti e ribaltando materassi. «Dove ti sei cacciato?!»

Edward seguì la scena in silenzio, non sapendo molto bene cosa pensare. Strano era strano, quello che stava vedendo, non c’erano dubbi a riguardo.

«Dannazione, dove sei?!» sbottò Tommy, una volta controllata l’intera stanza senza risultati. «Non puoi essere sparito nel nulla…» Il suo sguardo cadde su uno zainetto sopra l’unico letto che non aveva controllato, probabilmente il suo. Strinse i pugni. «Maledetto moccioso!» Prese lo zainetto con un moto di rabbia, per poi spalancarlo. «Esci fuori!»

Ci infilò dentro un braccio e cominciò a frugare dentro infastidito. Edward schiuse le labbra. Ora davvero non ci stava più capendo un accidente, a cominciare dal fatto che il braccio di Tommy fosse entrato nella sua interezza nello zainetto nonostante questo fosse grosso a malapena per ospitarlo fino al gomito. E il peggio doveva ancora arrivare.

«Preso!» Tommy estrasse il braccio, grugnendo per lo sforzo, ed Edward noto che stava tirando fuori qualcosa. O meglio, qualcuno.

Un ragazzino biondo, un bambino che non poteva avere più di dieci anni, sbucò fuori dallo zainetto, tenuto per un braccio da Thomas. Stretto al petto, teneva proprio il sacco che Tommy stava cercando. Caddero entrambi a terra dopo quello strattone e il più piccolo scoppiò a ridere di gusto.  

Se la mascella di Edward avrebbe potuto staccarsi, quello sarebbe stato il momento giusto. 

«Sta volta te l’avevo quasi fatta!» trillò proprio il piccoletto, per poi saltare in piedi. Gli occhi verdi brillanti avevano una strana luce dentro di essi, conferendogli un’aria da furfante. Cosa che poteva essere pure vera.

Tommy si mise a sedere, massaggiandosi la testa brontolando. «Rick… la devi… smettere… con questi scherzi! Non sono più divertenti da un pezzo!»

«Per me lo sono!» Rick si buttò a sedere sopra un altro letto, per poi far dondolare le gambe. Sembrava incapace di stare fermo. «Oh, ciao!» salutò, accorgendosi di Edward. «Sei nuovo?»

«Ehm… sì…»

 «Io sono Rick! E quello è quello scemo di mio fratello Thomas!»

«Non darmi dello scemo!» protestò Tommy. 

«Eri… eri nascosto dentro quello zaino?!» domandò Edward, indicando l’oggetto rimasto accanto a Thomas.

«Sì! Ma Tommy mi ha trovato lo stesso! Ormai è un campione a trovarmi!»

Edward si rese conto di sembrare ripetitivo. «Ehm…»

«Non è uno zaino come gli altri» venne in suo soccorso Tommy. «È magico. Un regalo di mio padre. Dentro ha uno spazio infinito, posso metterci tutta la roba che voglio. E tu…» si rivolse di nuovo a Rick, con tono severo. «… devi stare attento! Non è un giocattolo, non puoi usarlo per nasconderti! Se ti perdessi come cavolo faccio poi a tirarti fuori?!»

Rick non parve prestare troppa attenzione al rimprovero quasi paterno del fratello e si stravaccò sul letto, ridacchiando.

Bevande al gusto di waffles, statuette magiche e ora uno zainetto con spazio infinito. Di bene in meglio. Se non voleva rischiare di impazzire, Edward avrebbe fatto meglio a non farsi troppe domande. Almeno lo zainetto non parlava anche. Non sarebbe riuscito ad accettarlo, altrimenti.

Tommy nel frattempo prese il sacco e cominciò a svuotarne il contenuto dentro lo zaino, brontolando qualcosa sottovoce. Uno strano tintinnio metallico riempì la stanza mentre completava quell’azione.

«Che c’è lì dentro?» chiese Edward.

Il figlio di Ermes aprì la bocca per rispondere, ma Rick fu più veloce: «Granate fumogene, granate incendiare, granate appiccicose, granate…»

«Rick!» lo interruppe Tommy, allarmato. «Abbassa la voce! Vuoi gridarlo a tutto il campo con un megafono già che ci sei?!»

«Hai anche un megafono lì dentro??»

Thomas ignorò la domanda, rivolgendosi di nuovo ad Edward. «Ho chiesto a dei figli di Efesto se potevano produrle per me, in cambio di... vari oggetti prelevati. Mi saranno utili per la sfida di quest’anno.»

«Sfida?»

«Sì, con gli scorpioni!» esultò Rick, tornando a molleggiare sopra il materasso. «Sono passati un sacco di anni dall’ultima volta che li hanno usati!»

Edward avrebbe tanto voluto capire cosa diavolo dicesse Rick tutte le volte che apriva bocca. Per fortuna, Tommy era un ottimo traduttore. Mentre finiva di svuotare il sacco, spiegò sintetico: «Ogni anno si tiene una sfida tra semidei, qui al campo, dove il vincitore, o talvolta vincitori, ottengono un premio e, soprattutto, un’opportunità per mettersi in mostra. Caccia al tesoro, cattura la bandiera, e così via. La casa di Ermes non vince una sfida da… beh, da molto, perciò quest’anno voglio provare a vincere quella degli scorpioni, che è da tutti considerata la più difficile.» Tommy completò l’operazione e chiuse lo zainetto, per poi gettare via il sacco di iuta ormai vuoto. «Nessuno prende sul serio la casa di Ermes da una vita, ed io voglio dimostrare a tutti che si sbagliano!»

«Finirai ammazzato…» borbottò Rick, ottenendo un verso adirato come risposta.

«Guarda che ci sei anche tu nella casa di Ermes!»

Rick fece finta di non sentire. Tommy fece un altro verso sconnesso, tendendo le mani verso di lui quasi volesse strangolarlo. Ormai era più rosso dei suoi capelli. Quel piccoletto amava davvero mandarlo su tutti i gangheri. Edward osservò il figlio di Ermes più grande cominciare a sbraitare contro al più piccolo, che per tutta risposta gli rise in faccia, e si ritrovò a sorridere e a ridacchiare a sua volta.

«Ok, ok, basta così…» Tommy inspirò, massaggiandosi le tempie. «Devi ancora finire il giro del campo, Edward. Forza, andiamo. Sei già stato al lago e ai campi di addestramento?»

«No. Per ora ho solamente visto le case.»

«Va bene allora. Andia...»

«Vengo anch’io!» Rick saltò giù dal letto, per poi correre verso la porta. «Andiamo!»

Edward si scansò per far passare il piccoletto. 

«Quella peste mi farà morire» mugugnò Thomas, strappandogli un altro sorriso.

Il trio si allontanò dalla casa di Ermes.

 

***

 

Bulletti da due soldi a parte, quel posto non era così male. Siccome era solo il primo giorno, Edward non avrebbe preso parte ad alcuna attività, perciò niente addestramenti con le spade, con l’arco e niente orientamento sui mostri o lezioni di greco antico. Già, a quanto pareva, doveva tornare a scuola. Brutta storia. Stando a Thomas, i semidei erano tutti portati a parlare il greco già dalla nascita, perciò non sarebbe stato un problema per lui, ma l’idea di sedersi di nuovo ad ascoltare un insegnante non faceva saltare Edward di gioia.

Al di là delle colline, il Campo Mezzosangue appariva agli occhi mortali come una piantagione di fragole qualsiasi, e la grande villa dentro cui si era svegliato come una cascina normalissima, sempre per merito della Foschia. Nessun assistente sociale sarebbe mai arrivato a investigare su dei ragazzi che giocavano con le spade vere.

I semidei – e le oche e i somari – non erano gli unici a vivere al campo. C’erano i già citati satiri, degli strambi mezzi uomini e mezzi capra – come facessero quelli ad essere guardiani di semidei e non il contrario era un mistero – e poi le ninfe, che si dividevano in driadi e naiadi, spiriti della foresta e dell’acqua. Erano fanciulle graziose, ma Thomas gli disse che era meglio non importunarle troppo, perché sapevano essere peggio delle figlie di Afrodite. Edward non voleva sapere come.

Tommy gli spiegò anche che Chirone, l’uomo sulla sedia a rotelle, era un centauro, il direttore del campo era un dio “in castigo” e il capo della sicurezza era un tizio con mille occhi o giù di lì. Tutte informazioni semplici da mandare giù in così poco tempo, non c’era che dire.

Mentre camminavano, Rick correva attorno a loro tenendo le braccia tese a mo’ di ali d’aeroplano, emulandone il suono con la bocca. A quanto pareva, come molti altri semidei, era iperattivo. E il fatto che fosse così piccolo ed energico doveva contribuire alla cosa. Di tanto in tanto ribatteva alle spiegazioni di Tommy, facendolo incavolare, ma perlopiù rimase per le sue.

Dopo un lungo pomeriggio passato a visitare i vari luoghi del campo, il trio si ritrovò sul bordo del lago. Edward e Tommy erano seduti, mentre Rick faceva rimbalzare i sassi sullo specchio d’acqua. Non sembrava preoccupato dall’idea di beccare una naiade sulla fronte e Thomas non gli disse nulla, perciò era probabile che non fosse un rischio. Alcuni semidei si stavano esercitando con le canoe, perciò non badarono molto a loro.

Una volta fermo e con la mente non più impegnata, Edward osservò Tommy. Se ne stava seduto con le braccia tese dietro la schiena, a osservare Rick. Sembrava tranquillo. Forse non avrebbe dovuto tartassarlo con argomenti che non lo riguardavano, ma la curiosità era troppa. «Chi erano quei tizi? Quelli che tormentavano Steph?»

«Mh?» Thomas si voltò e il suo viso da folletto si incupì. «La bionda è Jane Curtis, la capocasa di Afrodite. Una smorfiosa.»

«“Smorfiosa” mi sembra quasi un complimento» borbottò Edward. «E quel mulo del suo ragazzo, invece?»

«Quello è Buck O’Neal, il capocasa di Ares.»

Edward annuì. Steph gli aveva spiegato che ogni cabina aveva un suo “leader”. E se quei due erano i capi delle capanne di Ares e Afrodite, poteva solo immaginare come fossero i loro fratelli e sorelle.

«E perché Jane ce l’aveva con Steph?»

«Beh… perché lei non è una figlia di Afrodite.»

«Che vuoi dire?»

Thomas scrollò le spalle. «L’hai vista Stephanie, no? È più bella dei fiori che fa crescere. Ma solo le ragazze di Afrodite possono essere quelle carine.»

«Perché solo loro?» 

«Lo chiedi a me? Sono sempre loro ad averlo deciso. Secondo loro, un’insulsa figlia di Demetra non può essere più bella di una figlia di Afrodite.»

«Quindi… sono invidiose di lei» concluse Edward. In effetti, Thomas aveva ragione. Stephanie era davvero bella. Anche se non era truccata e pettinata come le figlie di Afrodite, accanto a loro non aveva sfigurato affatto. 

«Lo fanno solo perché lei è la più vulnerabile» proseguì Tommy. «Ci sono altre ragazze carine nel campo, figlie di Atena, Apollo, Iride e così via, ma Stephanie è il loro bersaglio preferito, perché lei… beh, hai visto com'è. Lei è "lei". Una figlia della dea dell’agricoltura. Lei e i suoi fratelli non sono guerrieri, sono persone tranquille, che badano ai fatti loro e che non farebbero del male a una mosca. Jane e le sue amiche sanno che, attaccandola, non rischiano nulla. E si divertono così, a farla sentire insignificante e debole. Proprio come Buck e gli altri figli di Ares fanno con i ragazzi più deboli delle altre case.»

Edward ripensò all’incontro con i figli di Ares e Afrodite. «Ecco perché vanno così d’amore e d’accordo…»

«Già. E poi Ares e Afrodite hanno anche una tresca amorosa, o qualcosa del genere. Penso sia una roba genetica.» Tommy sospirò, per poi osservare di nuovo Rick. «Se la prendono anche con me e i miei fratelli. Secondo loro siamo tutte nullità.»

Edward immaginò quei bulli che se la prendevano con quel bambino e sentì il sangue ribollirgli nelle vene. «Perché lo fanno?»

«Perché nostro padre è il postino degli dei e l’unico figlio di Ermes che abbia mai combinato qualcosa è stato un traditore che poi ha deciso all’ultimo di voler fare la cosa giusta. Chi vuoi che ci prenda sul serio? Siamo solo un branco di ladruncoli. E io sono solo un nano coi capelli rossi.»

«Te l’hanno detto le figlie di Afrodite?»

Thomas si strinse nelle spalle. «Non di persona, ma sì… so che dicono questo di me.» 

Edward tamburellò con le dita sul terreno, pensieroso. «Gli state permettendo di entrare nelle vostre teste. Vogliono solo farvi dubitare di voi e farvi sentire più insicuri. Non dovete ascoltarli.»

«Lo so.» Tommy strinse i pugni. «Lo so che vogliono cercare di spezzare il nostro spirito. Ed è per questo che vincerò la sfida di quest’anno. Sconfiggerò gli scorpioni e dimostrerò a tutti che si sbagliano su di noi!»

Vederlo così determinato fece sorridere Edward. «Questo è parlare.»

Thomas ricambiò il sorriso. Il suono di un corno proveniente in lontananza distolse le loro attenzioni. Edward fece per domandare cosa fosse, ma per una volta quello che disse Rick fu più che chiaro: «SI MANGIA!»

Il piccoletto smise di lanciare sassi e cominciò a correre verso il punto da cui era provenuto il suono. In effetti, il cielo aveva cominciato a scurirsi, la sera stava calando e, Edward doveva ammetterlo, moriva di fame. Non si era portato scorte per il viaggio quando aveva lasciato il suo ponte.

Tommy si rialzò, spolverandosi. «Beh, credo che rimarrai con il tavolo di Ermes a cenare, visto che ancora non sei stato riconosciuto. Se tutto va bene, dopo cena succederà. Altrimenti… spero che ti sia piaciuta la nostra compagnia, perché ti toccherà dormire da noi.»

«No, ancora voi no…» mugugnò Edward. Thomas parve offendersi per un momento, poi si accorse del sorrisetto del ragazzo.

«Ah… ma vai al Tartaro…» sbottò, per poi sussultare. Sembrò davvero spaventato, ma si rilassò quando Edward ridacchiò. 

«Ti prendevo in giro» lo rassicurò. «Tranquillo.»

Non glielo disse, ma l’idea di rimanere con i figli di Ermes non gli dispiaceva. A dire il vero, sperava quasi di essere proprio un figlio del dio della strada. Gli era piaciuta la compagnia di Thomas e Rick, e se anche il resto dei loro fratelli era come loro, pensò che sarebbero andati d’accordo.

Dopotutto... Ermes era anche il dio dei ladri. 

   
 
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