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Autore: Sognatrice_2000    18/11/2018    1 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
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Elijah

 

 

 

I mesi si susseguono con incredibile rapidità, e prima di rendercene conto l’anno è quasi alla fine.

Dicembre segna l’inizio dell’incubo natalizio, come lo definisce Nik strappandomi un sorriso: recite scolastiche, costumi da confezionare, una festa in discoteca per tutti quelli dell’ultimo anno, a cui ovviamente non ho intenzione di partecipare nonostante le proteste di Elena.

Naturalmente a casa nostra non possono mancare le classiche decorazioni di Natale che piacciono tanto ai nostri fratelli.

Quest'anno trasportare l’albero si è rivelato più difficile del previsto: ci vuole lo sforzo di noi cinque per trascinarlo dal negozio fino a casa, con Rebekah che si conficca un ago di pino nell’occhio; seguono istanti di terrore in cui siamo convinti di doverla portare al pronto soccorso, ma fortunatamente alla fine Nik riesce a rimuoverlo.

Rebekah e Freya si divertono ad addobbare l’albero con decorazioni fatte a mano, sia a casa che a scuola, e anche se il risultato finale è un gigantesco groviglio luccicante tutto sbilenco, riesce comunque a rallegrare tutti.

Persino Kol si degna di darci una mano, anche se poi passa gran parte del tempo a cercare di convincere Rebekah che Babbo Natale non esiste.

Nostra madre ci da pochi soldi per le spese natalizie, preferendo tenere il resto per sé e David, ma sono abbastanza per comprare regali economici per tutti.

Io ho l’incarico di comprare il regalo a Freya e Niklaus pensa a Rebekah.

Kol vuole soltanto soldi, ma io e Niklaus riusciamo ad accontentarlo comprandogli un paio di scarpe da ginnastica di marca che aveva già adocchiato da un sacco di tempo, dando fondo anche ai nostri risparmi.

La sera della Vigilia io e Niklaus aspettiamo che tutti si addormentino e poi mettiamo i regali sotto l’albero, fieri del nostro operato. 

Nik si diverte a scrivere sul pacchetto di Kol “Regalo di Babbo Natale”.

“Questo lo farà arrabbiare da morire.” Ride divertito, contemplando la sua opera.

Lancio un’occhiata sopra di noi, sorridendo nel vedere il rametto di vischio sopra le nostre teste, e mi avvicino interrompendo la sua seducente risata, sfiorando con le mie  quelle dolci labbra beffarde.

Un contatto lieve, appena accennato, tanto semplice quanto desiderato da entrambi, che ben presto si trasforma in un bacio caldo e appassionato che ci unisce per lungo tempo.

Allo scoccare della mezzanotte ci auguriamo buon Natale l’uno sulle labbra dell’altro, rimanendo abbracciati sotto l’albero, seduti sul pavimento ad osservare il cielo fuori dalla finestra.

Ad un certo punto Niklaus solleva la testa dal mio petto per incrociare i miei occhi. “Sai, quando sono insieme a te…” Si morde un labbro, abbassando lo sguardo, imbarazzato, incerto e infinitamente dolce. “Quando sono insieme a te riesco a credere nella felicità. Dio, quanto sono fortunato ad averti accanto.”

Sento il cuore scoppiarmi di tenerezza, le lacrime che iniziano a formarsi negli angoli degli occhi.

Il groppo in gola mi impedisce di parlare, perciò mi limito a posare un bacio tra i suoi capelli e a stringerlo più forte.

“Promettimi che ricorderai questo momento.” Sussurro, cercando di controllare il tremito nella mia voce. “Qualsiasi cosa succeda in futuro, anche se non saremo più insieme…” Mi blocco, tentando di scacciare dalla mia mente le immagini di un futuro in cui noi non siamo insieme. 

“Promettimi che ti ricorderai di questo momento. Il momento perfetto.” Sorrido per non piangere, prendendo la sua mano e baciandone il dorso con devozione e disperazione. 

“Saremo ancora insieme, Elijah. Sempre e per sempre.” Ribatte, afferrandomi il viso tra le mani e obbligandomi ad incrociare il suo sguardo. 

La sua ostinazione, la sua incrollabile convinzione di poter superare qualsiasi ostacolo se siamo insieme è commovente, ma non molto realistica.

 

 

Ma anch’io provo la stessa cosa, Niklaus… anch’io non sono riuscito a immaginare un mondo in cui noi siamo separati… che mondo senza valore sarebbe?

 

 

 

“Elijah…” Il sussurro di Niklaus mi strappa ai miei pensieri, riportandomi alla realtà. 

“Cosa c’è?” Domando a voce bassa, timoroso di spezzare questo magico momento.

Lui abbassa lo sguardo e rovista nella tasca dei suoi jeans, tirando fuori una piccola scatola nera. “È il tuo regalo di Natale. Non mi andava di dartelo domani, con i bambini e la mamma nei paraggi, sai…” La voce si spegne, imbarazzata. 

Gli prendo lentamente la scatola dalle mani.

“Ma è da un sacco di tempo che c’è un patto tra noi.” Protesto. “Natale è per i bambini, non possiamo permetterci di spendere più soldi del necessario.”

“Quest’anno il patto con conta.” Ha l’aria entusiasta, gli occhi fissi sulla scatolina, in attesa che io la apra.

“Ma dovevi dirmelo. Io non ti ho comprato nulla!” Esclamo, sentendomi profondamente in colpa.

“Non volevo che mi comprassi qualcosa. Tu mi dai già tutto, non mi serve un regalo da parte tua. E poi volevo che fosse una sorpresa.”

“Ma…” Sono senza parole.

Niklaus mi prende per le spalle e mi scuote delicatamente, ridendo. “Insomma, vuoi aprirlo o no?”

Sorrido. “Okay, okay, ma protesto formalmente contro questa infrazione non concordata…” Mi interrompo quando alzo il coperchio e subito sollevo gli occhi su di lui. “Non dovevi…”

“Ti piace?” Uno scintillio di vittoria gli illumina gli occhi, circondati da piccole rughe ridenti. “È argento. L’ho fatto fare apposta.” Mi informa orgoglioso. “Dovrebbe andarti bene. Ti ho preso la misura dal segno del cinturino sull’orologio.”

Io continuo a fissare l’interno della scatolina, conscio del fatto che non sto più parlando né facendo niente.

Il braccialetto d’argento, adagiato sul velluto nero, è la cosa più bella che abbia mai visto. 

Fatto di anelli e spire intrecciate con piccoli ciondoli, ognuno che raffigura un oggetto ben preciso, luccica nella penombra della stanza.

“Dove li hai trovati i soldi per comprarlo?” La mia voce è un sussurro scioccato. 

“Ha importanza?”

“Sì!”

Niklaus esita un attimo, lo scintillio dai suoi occhi scompare e abbassa lo sguardo. “Ho messo da parte un po’ di soldi… ho lavorato part-time al Rosseau in questi ultimi mesi.”

Alzo gli occhi dal braccialetto, incredulo. Come ho fatto a non accorgermene? “Il bar qui vicino?”

“Sì, beh… Camille lavora lì nel week end per arrotondare. Non è stato difficile farsi assumere con la sua raccomandazione. Non è stato facile, alcuni clienti erano davvero insopportabili… ma era per una buona causa.”

Non riesco a formulare una frase sensata, sono capace solo di restare a fissare il braccialetto in silenzio. 

“Non ti piace?” La luce è ormai sparita del tutto dagli occhi di Niklaus e adesso sembra solo mortificato. “Lo so, forse è  stata un’idea stupida…” Ora parla molto in fretta, quasi incespicando sulle parole. Non sembra nemmeno lui. “Probabilmente avrei dovuto chiedertelo prima. Non devi sentirti costretto ad indossarlo… anzi, sai che facciamo? Possiamo riportarlo al negozio e farci restituire i soldi, così puoi comprarti qualcosa di più utile, tipo… non so…”

Interrompo quel discorso assurdo e lo abbraccio di slancio, rischiando di farci cadere entrambi. “Stai scherzando? È bellissimo, Nik. È solo… è solo che non posso credere che tu abbia fatto questo per me. Ultimamente ho notato che eri più stanco, ma non avrei mai immaginato che fosse solo per darmi…” Non riesco a finire la frase e mi limito a premere la faccia contro il suo collo, inspirando forte per trattenere le lacrime. 

Lo sento tirare un sospiro di sollievo. “Ehi, sai, la cosa migliore in questi casi è dire grazie!”

“Grazie.” Sussurro stretto a lui, ma le parole non sono niente rispetto a ciò che sento dentro di me.

Nik mi solleva il braccio e dopo aver armeggiato un po’ sento l’argento freddo sulla pelle, a contatto con il battito del polso. “Guarda.” Si stacca da me, sollevando uno dei piccoli ciondoli per mostrarmelo.  

“Questa è una cravatta. Assomiglia a quelle dalle fantasie improbabili che ti piacciono tanto.”

Aggrotto le sopracciglia, fingendo di essere seccato. “Stai suggerendo che non ti piace il mio modo di vestire?”

“Lo sto dicendo chiaro e tondo.” Ribatte deciso, ma dalla voce si sente che sta scherzando. “Sul serio, dovresti smetterla di vestirti sempre in giacca e cravatta e comprarti qualcosa di più sportivo.”

Alzo gli occhi al cielo, segretamente divertito. “Bene, adesso possiamo chiudere la parentesi in cui critichi il mio guardaroba? Questo cos’è?” Gli indico un altro piccolo ciondolo, curioso.

“Una padella.” Davanti al mio sguardo perplesso, Niklaus sorride. “Tu sei l’unica persona che conosco che sa veramente rivoltare la frittata al volo. E questo…” La sua espressione si fa improvvisamente seria mentre tiene tra le dita un piccolo cuore argentato. “Questo è un cuore. Il mio cuore. È tuo.”

L’emozione è così forte che quasi mi impedisce di respirare.

“Lo porterò sempre con me.” Le mie dita si posano sulle sue, ci guardiamo intensamente per un lungo istante.

E in quell’istante sento le nostre anime volare fuori dai nostri corpi e fondersi in una sola.

 

**

Klaus

 

 

 

 

Nostra madre si degna di rientrare a casa almeno oggi che è Natale a mattina inoltrata, quando il tacchino è già nel forno. 

Elijah mi ha tassativamente ordinato di stare fuori dalla cucina, sostenuto a gran voce dai miei fratelli, in particolare Rebekah, che ha tirato fuori la lingua in un’evidente smorfia di disgusto appena mi sono offerto di aiutarlo a preparare il pranzo.

Sono in soggiorno a giocare con Freya e Rebekah quando la mamma entra con un finto sorriso entusiasta incollato in faccia.  

Ha portato dei regali, cinguetta tutta felice. 

Come se bastasse questo a rimediare ai suoi continui fallimenti di madre, come se qualche giocattolo chiaramente usato compensassero la sua incapacità di occuparsi dei suoi figli.

Barbie per Freya, anche se lei non gioca più con le bambole da un sacco di tempo, un orsetto di peluche con il pelo sporco e arruffato per Rebakah che lei guarda a metà tra il perplesso e l’inorridito.

Kol riceve alcuni videogiochi che non sono neppure compatibili con la sua consolle, ma lui pensa già di poterli rivendere a scuola.

Io e Elijah non vediamo nemmeno l’ombra di un regalo, perché il Natale è una cosa da bambini, angioletti miei, ormai siete troppo grandi per queste cose, si giustifica  nostra madre prima di sprofondare sul divano e versarsi un grosso bicchiere di vino scadente.

Si accende una sigaretta e prende in braccio Freya e Rebekah con la faccia già paonazza per l’alcol.

In qualche modo riusciamo a superare la giornata indenni. 

Mamma crolla addormentata sul divano prima delle sei, Kol si rintana in camera sua con i videogiochi per organizzarne subito lo smercio, mentre Freya e Rebekah acconsentono ad andare a letto prima in cambio dell’autorizzazione a portarsi in camera i loro regali. 

Elijah si offre di sistemare la cucina, e io glielo lascio fare, seppur con un po’ di rimorso.

Mi butto sul letto, contento che quest’assurda giornata in cui facciamo finta di essere una perfetta famigliola felice sia finalmente giunta al termine.

Quando ricominciano le lezioni, invece di esserne sollevato sento una strana malinconia addosso.

Occuparsi di Freya e Rebekah e tenere a bada Kol per due intere settimane è stato faticoso, ma avere Elijah accanto ha reso tutto più sopportabile, quasi piacevole.

Ho sempre odiato il Natale, l’atmosfera tanto zuccherosa da essere nauseante, gli stupidi film natalizi che danno ogni anno in televisione e che ogni anno sono costretto a rivedere insieme a Freya e Rebekah.

Ma quest’anno tutto ha un significato diverso, quest’anno sembra tutto più bello.

Questo è stato il primo Natale in cui ho conosciuto l’affetto e il calore di una persona che teneva veramente a me, la prima volta in cui ho capito cosa si prova ad amare e ad essere riamato.

Condividere tutto con la persona che amo: momenti felici, momenti tristi, momenti difficili, cose banali che riempiono di bellezza le nostre vite con la loro semplicità, cose banali che diventano speciali se fatte insieme.

Come quella notte dall’atmosfera quasi onirica, sospesa tra sogno e realtà, quando ho dato il mio regalo ad Elijah e siamo rimasti abbracciati sotto l’albero, assaporando la semplice sensazione di essere vicini, di sentire il calore dell’altro contro il proprio corpo.

Nei giorni successivi ho continuato a ripensare a quel momento, a rivivere il calore di quell’abbraccio, e il ricordo di quel momento è bastato a cancellare le paure e le incertezze riguardo al nostro futuro. 

 

 

**

 

 

Da quando è ricominciata la scuola siamo tornati alla nostra solita routine, ma qualcosa è cambiato tra me e Elijah. 

È come se fossimo ancora più legati, ancora più incapaci di stare lontani.

La mattina mi faccio una doccia al volo e indosso i primi vestiti che trovo nell’armadio, ma non appena Freya e Rebekah sono sistemate al tavolo della colazione torno al piano di sopra di corsa con la scusa di una giacca o di un libro dimenticato, per raggiungere Elijah che di solito ha l’ingrato compito di tirare Kol giù dal letto.

Di solito è lì che si abbottona i polsini della camicia o infila i libri nella borsa con la porta della camera appena socchiusa, e sbuca fuori per gridare di tanto in tanto a Kol di sbrigarsi.

Ma non appena mi vede si blocca e mi afferra per la mano tesa con espressione eccitata e nervosa.

Mentre il cuore mi batte forte, in trepidante attesa, ci chiudiamo insieme in camera mia.

Con solo pochi minuti a disposizione, un piede saldamente premuto contro l’angolo della porta e una mano aggrappata alla maniglia, tiro Elijah contro di me.

Le mie mani si muovono in cerca del suo viso, dei suoi capelli, le premo sul petto, con le dita che graffiano il sottile tessuto della camicia.

Avverto sempre una scossa al primo contatto tra le nostre labbra, e devo ricordare a me stesso di respirare. 

Ci baciamo dapprima con lentezza, poi sempre più profondamente, avidi di qualcosa che non possiamo avere ma incapaci di fermarci.

Quando poi risuonano i passi lenti e strascicati di Kol aldilà della sottile parete della stanza, Elijah tenta subito di staccarsi da me.

Eppure, non appena la porta del bagno si chiude sbattendo, finisce per arrendersi e torna a girarsi, con la schiena premuta contro la porta.

Conficco le unghie nel legno degli stipiti ai lati della sua testa per tenere ferme le mani, mentre i nostri baci si fanno sempre più intensi.

Il desiderio che ho di lui annulla ogni timore di essere scoperti, mentre sento gli ultimi preziosi secondi di estasi scivolarmi tra le dita come sabbia.

Un grido che sale da sotto, il rumore di Kol che esce dal bagno, passi pesanti che salgono le scale, sono tutti segnali che il nostro tempo è scaduto.

Elijah mi spinge via con fermezza, le guance arrossate e la bocca arrossata per i baci interrotti che trema ancora.

Restiamo a guardarci, il nostro ansimare caldo risuona nella stanza, ma non appena faccio per riavvicinarmi, implorando  con lo sguardo un altro bacio, un altro attimo rubato, lui chiude gli occhi con un’espressione di dolore e volta la testa dall’altra parte.

Di solito esce per primo, precipitandosi nel bagno libero a ricomporsi, mentre io mi avvicino alla finestra della camera e la spalanco, per poi aggrapparmi al bordo del davanzale e respirare a pieni polmoni l’aria gelida del mattino per calmarmi.

Devo essere paziente, continuo a ripetermi. 

Dobbiamo essere pazienti e goderci quello che abbiamo fino al giorno in cui i nostri fratelli saranno cresciuti e potremo trasferirci altrove, crearci nuove identità e amarci liberamente.

Devo smetterla di pensarci, altrimenti non riuscirò a fare più nulla: la scuola, preparare la cena, fare la spesa, andare a prendere Freya e Rebekah, aiutarle con i compiti, giocare con loro quando si annoiano.

Tenere d’occhio Kol, assicurarsi che non salti la scuola e faccia i compiti e che torni a dormire a casa.

E ovviamente, discutere con la mamma di soldi, sempre e solo di soldi, ora che in casa ce ne sono sempre meno, mentre quelli destinati all’alcol e ai vestiti nuovi per fare colpo su David aumentano.

Nel frattempo, Freya indossa abiti sempre più stretti, l’uniforme di Rebekah è sempre più malconcia, Kol si lamenta di continuo per tutti gli apparecchi elettronici che sfoggiano tutti i suoi amici e la casa continua ad essere invasa dalle bollette…

In mezzo a tutto questo casino, è il pensiero di Elijah che mi impedisce di crollare.

Il pensiero di essere in due, di non essere solo in questo schifo di situazione, di trovare il suo sorriso e le sue braccia ad accogliermi dopo l’ennesima brutta giornata mi spinge ad andare avanti giorno dopo giorno. 

Ogni volta che sono lontano da lui mi sento incompleto… o peggio. Mi sento una nullità, come se non esistessi affatto.

Non ho più un’identità. Non parlo, non guardo più nessuno.

A scuola, durante la pausa pranzo, osservo Elijah da dietro le pagine di un libro, seduto da solo in mensa al mio solito tavolo, sperando che lui venga a sedersi accanto a me, a parlarmi, a farmi sentire vivo, autentico, amato, ma anche il semplice parlarsi è rischioso.

Così lui si siede ad un paio di tavoli di distanza da me a chiacchierare con Elena, facendo attenzione a non alzare troppo lo sguardo verso di me, e io sprofondo nell’oscurità, sempre più solo.

La sera vado da lui non appena Freya e Rebekah sono a letto, quando è ancora presto per sentirci davvero al sicuro. 

Lui si gira, seduto alla scrivania, e fa un cenno in direzione alla porta alle mie spalle, ad indicare che le nostre sorelle sono ancora sveglie.

Ma una volta addormentate, c’è Kol che vaga per la casa in cerca di cibo o a guardare la televisione, e quando finalmente anche lui va a letto, Elijah è già crollato sul suo.

Mi sembra di impazzire.

Piove per tutto il week end, e siamo costretti a stare chiusi in casa, senza un soldo neppure per andare al cinema.

Rebekah passano gran parte del tempo a giocare o a guardare la televisione, e Freya le fa compagnia come al solito, da brava sorella maggiore, anche se sicuramente preferirebbe fare ben altro che guardare il dvd di Bambi per l’ennesima volta. Kol dorme tutto il giorno e poi esce di casa senza neanche avvertire, sparendo con gli amici chissà dove fino a notte fonda.

La notte non riesco a dormire, con la mente tormentata dall’ansia. 

La scuola e le seccature quotidiane da risolvere, unite al fatto che non possiamo esibire il nostro amore né in pubblico né in famiglia, le soffocanti catene che ormai conosciamo fin troppo bene si stringono sempre di più.

Saremmo mai liberi di vivere come una coppia normale?

Vivere insieme, baciarci in mezzo alla strada?

O saremo sempre costretti a stare nascosti, al riparo dietro porte chiuse e tende tirate?

O peggio ancora, una volta che i nostri fratelli saranno cresciuti non potremmo fare altro che fuggire via e abbandonarli per restare insieme?

Sentendomi irrequieto e in preda ad una forte agitazione, mi infilo le scarpe da ginnastica ed esco di casa mentre gli altri dormono.

Corro fino ad Ashmoore Park, scavalco la cancellata e mi metto a correre come un forsennato sull’erba appena rischiarata dalla luce della luna.

Inciampo tra gli alberi scuri e cado in ginocchio davanti al tronco di una gigantesca quercia. 

Sfrego le nocche del pugno contro la corteccia dura, frastagliata, finché non sono tutte rosse e insanguinate.

Prima che possa rendermene conto sto gridando e non so come fermarmi. 

Grido a squarciagola, prendendo a pugni la corteccia incurante del sangue che mi scorre a fiotti dalla mano, incurante del dolore fisico, che sembra così superficiale rispetto a ciò che sento dentro.

Grido al cielo la mia rabbia, la mia disperazione, la mia sofferenza.

Affido le mie grida e le mie lacrime ad un Dio in cui non ho mai creduto.

Lo prego di lasciarmi amare Elijah, perché non c’è niente di vergognoso nei miei sentimenti per lui, perché non posso perdere l’unica cosa che bella che la vita mi abbia regalato.

Ma Dio tace con un sorriso beato.

  
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