Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: little_psycho    18/11/2018    3 recensioni
Dove gli unici problemi di Percy sono trovare cibo blu e diventare il capitano della squadra di nuoto, Annabeth ha un cappello degli Yankees assolutamente normale, Piper è solo molto convincente, la peggior cosa che Luke abbia mai fatto è derubare una gioielleria.
Dal primo capitolo
«Hai provato a scappare! Dèi, ma ti rendi conto? Io e Jason siamo qui per te, e tu te ne vai!»
«Non stavo scappando. Mi stavo semplicemente allontanando.»
«Ahia!»
«Non mi interrompere!»
Percy si massaggiò il braccio, aggrottando le sopracciglia.
«Ma se mi hai dato un pizzicotto!»
«Zitto!»
Dal terzo capitolo
Era tutta colpa di Nico che l’aveva fatto spaventare, che era andato a prendere Hazel, quindi forse la colpa era di quest’ultima. Ma lei era rimasta per dare una mano a Rachel al club del macabro – occulto, pardon – e la colpevolezza passava alla rossa isterica. Ma la suddetta aveva dovuto levare l’imbottitura dei peluche di quell’altro pazzo di manicomio, e la causa del guaio diventava Ottaviano. Per concludere, la colpa era di una certa Lou Ellen, una ragazza che si era diplomata due anni prima e che non c'entrava niente.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
II
Volcano

The world is spinning fast tonight
You can hurt yourself tryin’ to hold on
To what you used to be
I’m so glad the past is all gone”
 
Che quella casa mettesse in soggezione, Nico l’aveva sempre saputo.
C’era qualcosa di assolutamente sbagliato nell’intonaco grigio scuro, nel cancelletto nero così ben oleato da non cigolare mai, in quei fiori così vivaci da stonare con tutto il resto. I fiori davanti ai quali doveva passare tutte le mattine, perché stavano proprio , davanti all’ingresso, e non si potevano mettere in nessun altro luogo, nossignore. Altrimenti lei avrebbe iniziato a lamentarsi, dicendo che quello era l’unico luogo in cui stavano bene, perché il sole si tuffava fra le montagne di fronte e lo avrebbero avuto per tutta la giornata.
Quei fiori, Nico li odiava più di tutto il resto. Il ricordo costante ancora prima di entrare in quella casa, che c’era lei  ad attenderlo.
 Lei che non aveva mai avuto una parola gentile né per lui o Bianca o Hazel. Solo accuse intrise di quell’odio velenoso che tutta la mattina le uccideva  il fegato, e lei aspettava che rientrasse per sputarglielo addosso, per alleviare il dolore, il rancore, la gelosia.
Ma ogni notte il fegato ricresceva, e tutto ricominciava.
Bloccato in una punizione di Prometeo al contrario.
Perché il fegato non era il suo, l’odio non era il suo, eppure quel circolo vizioso andava a colpire anche lui. Chissà se qualcuno l’avesse mai compatita quell’aquila, costretta tutti i giorni a fare sempre le stesse cose, non potendo mai volare via. Alla fine la punizione aveva preso anche lei. Si chiese se più il tempo passasse e più l’aquila diventasse cattiva con Prometeo, accusandolo di averla incastrata, fino a che il sangue che le bagnava il becco fosse l’unica cosa a darle sollievo.
C’era giorni in cui neanche Nico sapeva chi era l’aquila. A volte il veleno di adolescenza rubata e figli mai avuti, altre, è lui.
«Cambiati in fretta, fra cinque minuti si mangia.» Nonostante tanto per una volta le parole che le uscivano di bocca non erano cattive, Nico riusciva a percepirlo il veleno.
Ma alla fine già era tanto che cucinasse anche per lui, dato che se fosse stato per Persefone ormai vivrebbe segregato nella sua stanza, con uno spioncino intagliato nella porta da dove gli passerebbero i viveri.
La guardò, anche se  avrebbe dato di tutto per dimenticarsi della sua faccia, della sua voce e delle sue occhiatacce.
L’unica lancia che spezzerebbe mai in suo favore, sarebbe per il suo coraggio, o per la sua faccia tosta, difficile dirlo.
Perché aveva trent’anni, venticinque quando aveva sposato suo padre – il padre di Nico, non di lei, perché altrimenti la situazione sarebbe diventata inquietante – e si sa, le vicine pettegole sono dure a morire.
 Ma tutti i giorni usciva a testa alta, con i capelli biondo scuro legati in una lunga treccia e i vestitini a fiori. Aveva sempre sospettato che lo facesse di proposito, per sembrare ancora più bambina agli occhi delle cinquantenni in menopausa che già sguazzavano nei pettegolezzi secondo i quali Ade Erebis avesse avuto tre figli da due donne diverse, e che poi avesse abbandonato tutti e cinque per sposarsi con una ragazza fresca di laurea.  
Pettegolezzi fondati, a dire il vero. Ma Ade aveva già abbandonato le due donne quando Persefone era entrata nella sua vita, di conseguenza non era esattamente lei il problema.
In realtà all’inizio non l’aveva neanche presa molto male, l’importante era che ognuno se ne stesse in casa propria e che andasse a trovare il padre solo nei week end.
Poi Maria di Angelo era morta e tutto era cambiato.
«Mi passi il formaggio?» la voce di Bianca gli arrivò fin troppo chiara all’orecchio, e la fulminò con un’occhiataccia. Poteva benissimo parlare con un tono di voce che non fosse comprensibile anche ai delfini, dato che erano gomito a gomito. Per non parlare del fatto che il formaggio era più vicino a lei che a lui.
Da quando aveva iniziato a frequentare quelle squinternate arciere figlie dei fiori, era diventata ancora più insopportabile. Non avrebbe mai capito con quale pazienza Jason convivesse con Talia senza averla mai sbattuta fuori di casa.
«Come vuoi, sorellona.» Si piegò per prenderle quel benedettissimo formaggio, e nel farlo le fece cadere il cucchiaio in quella brodaglia arancione che Persefone si ostinava a chiamare zuppa, schizzandole sulla maglietta.
«Ehi!»
«Oh, scusa, non l’ho fatto apposta. Magari il formaggio ti farà stare meglio!»
«Se ti ci affogassi col formaggio, allora sì che starei meglio!»
La mano del padre che dava un leggero colpo sul tavolo e il suo sguardo stanco, impedirono a Nico una morte per soffocamento con il formaggio.
 
“Been out in the wild
Been out in the night
Been out of your mind
Do you live here or is this a vacation”

 
Leo chiuse con un piede la porta di ingresso, mentre si dirigeva verso la cucina.
«Sono a casa!» urlò, in modo che suo padre potesse sentirlo, ma se si trovava nell’officina, beh, era tutto fiato perso.
Si diresse verso la cucina, contento di trovare qualcosa di commestibile e non in scatola! Era un giorno memorabile, da segnare sul calendario in rosso, come Natale o il suo compleanno.
No, Leo Valdez non era per niente egocentrico.
Mentre metteva a scaldare i tacos – slurp! – andò il cerca del suo animaletto da compagnia, Festus. Lo vide un po’ abbattuto, perché se ne stava sul suo letto fermo, emettendo vaghi pigolii.
«Ehi bello, che ti succede?» chiese vagamente preoccupato, e anche offeso, a voler essere sinceri. Si aspettava delle feste, la coda scodinzolante, del vapore dalla bocca, che rigurgitasse dell’olio come segno del suo affetto; già, cose così.
«Adesso papà Leo ti rimette apposto!» Annunciò, piegandosi per prendere la chiave inglese dal comodino. La sua stanza era molto più simile allo studio di un meccanico che alla camera di un sedicenne. C’erano cacciaviti, tronchesi, ingranaggi di ricambio, una bottiglia che conteneva olio per motori, giornaletti di macchine, il letto sfatto e pieno di progetti in fase di lavorazione.
La vera tana di un maschio, citando una Piper vagamente nauseata. Okay, forse molto nauseata.
Anche se il realtà tutto il piccolo appartamento si sarebbe potuto definire la vera tana di un maschio.
Nonostante la cherokee sopracitata avesse usato la parola “tana” per sottolineare che  fosse regredito allo stato animale, Leo a volte non poteva proprio darle torto.
La vera tana di un maschio, per regola, non doveva avere una passata di vernice, o una mano femminile che rifaceva i letti e sfoderava lo sgrassatore al limone davanti alla sua scrivania.
La vera tana di un maschio, di conseguenza, rispecchiava l’animale che aveva imparato a vivere in solitario, senza bisogno di contatti col mondo e soprattutto con il gentil sesso. La vera tana di un maschio, in sostanza, sapeva di abbandono e decadenza.
E anche suo padre l’aveva accettato. Forse era quello il motivo per cui quando Piper era entrata armata di guanti di gomma e ogni genere di diavoleria per scrostare via gli anni di trascuratezza, Efesto aveva scrollato le spalle, per bofonchiare qualcosa sul parquet che aveva bisogno di un detersivo particolare.
Era sicuro di aver visto anche lo scintillio dell’antica vivacità rifarsi vivo, dopo le lamentele di Piper perché “là neanche l’aspirapolvere passavano” e i suoi “ma in fondo che si ci può aspettare dai maschi?”
Leo aveva avuto una sorta di déjà-vu. Il ricordo nitidissimo di sua madre che rassettava i cassetti e passava lo straccio per pulire, che per l’esasperazione di sentire l’odore di grasso ovunque andasse, spruzzava il profumo in tutte le stanza. Inutile dire che suo padre non apprezzasse particolarmente odorare come una donna, ma per amor dei nervi di Esperanza la lasciava fare.
Ovviamente rifaceva sempre la stessa domanda tutte le volte. Perché se anche lei lavorava in officina e si sporcava le mani con il “sano e duro lavoro”, era così fissava con la pulizia e lo rimbrottava sempre?
E sua madre rispondeva con un tono che faceva sempre ridere a crepapelle il Leo di sette anni.
Perché era un essere umano, e gli essere umani avevano la strana tendenza a non voler puzzare di grasso. Cose che suo marito non avrebbe mai capito, mica era un essere umano, lui.
Non lo diceva con cattiveria, ma con ilarità, sottolineando le parole tracciando trattini invisibili nell’aria.
Ma le cose belle raramente durano, e lei era morta in un incendio divampato in officina quando Leo aveva otto anni, sette mesi e ventuno giorni.
Neanche suo padre era durato senza la sua risata, il suo profumo e i suoi trattini invisibili impressi nell’aria. Ci aveva provato, Leo lo sapeva, ad andare avanti, a portarlo a scuola, a cucinargli la cena, ad accorgersi quando i vestiti si facevano troppo piccoli.
Avevano anche dovuto violare il Tempio Sacro.
Il bagno di servizio, dove c’erano lo stendi panni, la lavatrice, lo sgrassatore al limone e il suo profumo impresso sulle pareti.
Sua madre era sempre sua madre, perciò trovarono anche dei cacciaviti appoggiati vicino allo specchio, l’orologio della cucina smontato sullo sgabello e la sua salopette da lavoro ad asciugare, linda e pulita.
Era stato strano, entrare nel Tempio Sacro. Tutta la vita gli era stato ripetuto di non andarci, perché anche la mamma aveva bisogno dei suoi spazi, e quello era il suo spazio. Ma lei era un cadavere in decomposizione, e i cadaveri in decomposizione non avevano bisogno dei loro spazi.
Era rimasto, però, come un gioco fra lui e suo padre, il Tempio Sacro. Per non dimenticare, per sentirla ogni giorno un po’ più vicina, un po’ meno morta.
«Cugino, lo sai che la cucina sta fumando, vero?»
La cucina stava fumando, sì, davvero molto interessante e costrut… oh cazzo i tacos.
Corse in cucina, e con uno strofinaccio cercò di scacciare tutto quel fumo che veniva dal microonde. Perché poi non si fermato da solo? Ah, giusto. Perché lui non aveva messo il timer, di conseguenza aveva semplicemente continuato a girare e girare fino a che quei bellissimi tacos fossero diventati della bellissima colla.  Sapeva dell’esistenza di fornetti più moderni, dove il timer era d’obbligo altrimenti non partivano, o avevano tante fantastiche opzioni per una cottura diversa per ogni tipo di pietanza, ma suo padre caparbiamente continuava sempre e comunque ad aggiustare quel vecchio coso arrugginito.
Avrebbe potuto benissimo costruirne uno, ma perché perdere tempo a costruire qualcosa di così poco utile?
«Ah, primo, se non ci fossi tu!» Esclamò Leo, svolazzando lo strofinaccio con fare drammatico.
Il ragazzone afroamericano rise, e si sedette sul tavolo.
«Nonostante capisca che Festus si prenda tutta la tua attenzione» disse, con voce sognante,
«dovresti stare attento ai tacos facilmente incendiabili.»
Leo, annuì, pensando al Festus originale, quello di Charles.
Tutto era iniziato perché il cugino si era comprato un’iguana. Un’animale noiosissimo, e raccapricciante. Se ne stava ferma, enorme e squamosa, facendo serpeggiare la lingua di tanto in tanto. L’aveva chiamata “Festus”, che il latino significava “felice”.
Con che coraggio chiamare quel coso indescrivibile felice, andiamo!
Comunque restava il fatto che fosse noiosissima. Così ben presto Leo aveva iniziato a prenderle le misure, ad analizzare le varie parti del corpo, a raccattare tutti gli ingranaggi utili dall’officina, e voilà, in otto mesi era uscito fuori Festus II , l’iguana meccanica.
Inutile dire che era un fantastiliardo di volte meglio rispetto a quella cosa smorta, e piano piano quel “II” era sparito, come a significare che al massimo l’originale  potesse essere una copia venuta male di quello meccanico.
Charles ne era rimasto estasiato, e anche suo padre si era congratulato con lui, di nuovo se stesso anche se per poco. Festus era diventato componente della famiglia, sempre pronto a vibrare come se facesse le fusa appena Leo si avvicinava.
L’unica cosa di Festus che Charles non mandava proprio giù, erano gli occhi. Di vetro, rossi e luminosi, diceva che sembravano demoniaci. Lui li avrebbe fatti di un bel verde o magari neri, ma di certo non rossi.
Il telefono si illuminò, e appena lesse il messaggio, si girò verso il cugino, con un’idea assolutamente suicida e altrettanto divertente in testa.
«Ehi, Charles, che ne dici di andare al poligono di tiro con l’arco?»
«Certo! Posso invitare anche Silena?»
Oh, Leo non aspettava altro.
«Come no!»
 
“Volcano
You don’t wanna, you don’t wanna know
Volcano
Something in you wants to blow
Volcano
You don’t wanna, you don’t wanna know”
 
 
In quanto ad efficienza, Talia e le sue amiche si sarebbe meritate tutte le stelline dorate che Piper si sarebbe potuta comprare dal cartolaio.
Ogni cosa era in ordine, le frecce vaganti venivano subito raccolte, i ragazzi che volevano lanciarle come giavellotti per vedere se avrebbe centrato il bersaglio, venivano placcati. Il tutto sotto lo sguardo vigile e glaciale di Artemide, la proprietaria della “Freccia di Diana”. Era una donna sui quarantacinque anni, con lunghi capelli ramati e occhi grigi.
Non era sposata, né aveva figli, da quello che le aveva detto Annabeth, a cui lo aveva detto Talia a sua volta.
Anzi, alle parole “maschio”, o “marito”, alzava gli occhi al cielo e arricciava il naso, come se avesse sentito una squallida battuta trita e ritrita.
Era anche la zia di Will Solace, il quale scherzava sempre dicendo che probabilmente stare sette mesi con suo padre rinchiusa nella pancia di sua madre le avesse fatto venire il disgusto dal genere maschile. Piper non riusciva proprio a capacitarsene come fosse possibile, dato che il padre di Will era un uomo molto, ma molto sexy. Irrimediabilmente e dannatamente sexy. Mentre la sua mente perversa andava contemplando gli occhi azzurri, i capelli biondi e il volto cesellato dell’uomo – sarebbe potuto essere suo padre, dannazione! –, il ringhio basso di Talia la fece girare, preoccupata. Seguì il suo sguardo, e capì che la catastrofe era vicina.
Quell’idiota di Leo aveva portare Silena Beauregard nella tana del lupo.
 
 Your eyes were like landing lights
They used to be the clearest blue
Now you don’t see so well
The future’s gonna land on you”

 
Fra il sorriso di sfida di Silena, lo sguardo assassino di Talia, quello preoccupato di Piper e quelli confusi di Charles e Hazel, tutti nascosti malamente sotto espressioni tranquille, era come giocare a una partita di poker con dei bambini.
Lui era quello che se la spassava, ovviamente, perché sapeva tutte le dinamiche.
Quando Charles era andato ad un seminario fuori  città, un sacco di tempo prima, Annabeth e Piper avevano pensato bene di portare la loro adorabile e romantica amica francese al poligono di tiro, per farla distrarre con della sana compagnia femminile.
Dopo un paio di giorni la sorella di Jason aveva pensato bene di chiederle se volesse lavorare lì e diventare di conseguenza una del gruppo. Ma non aveva idea che fosse felicemente  e irrimediabilmente fidanzata.
Peccato che le “Cacciatrici” avessero leggi severissime contro i maschi – orrore e raccapriccio! – e contro delle relazioni amorose con i suddetti – doppio orrore e triplo raccapriccio!
«Allora, Silena, com’è andata con il tuo ragazzo in queste due settimane?»
Aveva per caso detto “un sacco di tempo”? Beh, erano due settimane. Ma per un iperattivo due settimane erano secoli.
«Bene. E il lavoro qui come procede?»
Il fatto che le ginocchia di Silena non stessero tremando dalla voglia di scappare sotto lo sguardo di fuoco di Talia, era sicuramente da ammirare.
Non che le ginocchia di Leo stessero tremando. Erano esattamente al loro posto, immobili.
 Charles si piegò e gli sussurrò all’orecchio, confuso: «Perché stai tremando? Mi dovrei preoccupare?»
Più o meno immobili.
«Senza maschi in giro lavoriamo benissimo.»
Altri sguardi truci.
Prima che risolvessero la questione alla vecchia maniera, Leo pensò che fosse il caso di intervenire.







 
Notes
Ecco qui il secondo capitolo.
 Era abbastanza indecisa se pubblicarlo o meno, dato che non ho riscontrato molti responsi positivi. Comunque ho deciso di fare un altro tentativo, per tastare il terreno.
 Dovendo scrivere una storia con ben sette protagonisti principali, per i primi capitoli cercherò di procedere a gruppi, in modo di poter dare un quadro generale. Via via apparirà tutta la combriccola al completo, giuro!
Volendo rimanere il più possibile fedele alla trama originale, i vari genitori morti rimarranno tali. Quelli divini saranno nella vita dei figli in corrispondenza al rapporto che avevano nei libri. Non ho mai notato Leo particolarmente frustrato nei confronti di Efesto, quindi l’ho “introdotto” nella sua vita. In base a questo, farò così anche con gli altri.
Ovviamente non ho avuto il cuore di uccidere Bianca!
“La freccia di Diana” è un riferimento al meraviglioso mondo di Shadowhunters. Mi sembrava particolarmente azzeccato, poi.
La canzone “Volcano” è degli U2, fantastica band.
Vorrei sapere come consideriate la storia, se valga la pena continuarla, se la caratterizzazione dei personaggi vi soddisfi.
Un bacio
little_psycho 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: little_psycho