Burn.
Capitolo
primo.
Spiegazioni.
Kagome
scalciò per l’ennesima volta, colpendo il lato
superiore del
sedile che sbatté contro la nuca del mezzo demone, ormai
abituato a quel
trambusto. Si fece infatti una risata, senza più adirarsi,
come aveva invece
fatto una manciata di minuti antecedenti a quel momento.
-Cosa
diavolo hai da ridere?! Io pretendo delle risposte!- Sbraitò
la
ragazzina, mentre le gote andavano in fiamme. Ogni centimetro del suo
corpo
stava tremando per innumerevoli ragioni, ma principalmente per
l’ovvia paura
che stava provando. Il tentativo di nasconderla, n’era
sicura, stava risultando
parecchio sghembo. Inefficace in ogni modo.
Continuò
nonostante tutto a non volersi rassegnare e con tutta la grinta
che riuscì a trovare, colpì il volto sornione di
Miroku, che per qualche attimo
aveva perso concentrazione.
Immediatamente
si pentì di quel gesto, temendo una reazione violenta di
questo che però non si scatenò mai. Lei lo
guardò confusa, domandandosi per
quale ragione non stesse ancora subendo lo stesso trattamento.
Il
giovane riacquistò quello spudorato e irritante
comportamento.
-Io
non picchio le donne, mocciosa. Nemmeno quando si comportano da
tredicenni mestruate.- Le fece notare, aggrottando le sopracciglia.
Spossata
da quella vana lotta, e abbattuta da quel testardo non prenderla
sul serio, s'incupì, per poi ignorarlo.
Pochi
istanti dopo la macchina inchiodò dinanzi ad un grande
cancello,
rovinato in vari punti dal tempo. Kagome ne osservò le onde
sinuose, fantasie
di metallo che diramandosi circondavano una splendida villa.
Come
tutte le altre abitazioni del quartiere era in stile occidentale. Di
un giallo spento, però totalmente uniforme. Doveva essere
stata riverniciata di
recente.
Le
grandi finestre prive di tendaggi opprimenti davano una piccola
anteprima dell’interno, ben illuminato. Ne rimase folgorata:
era veramente una
splendida casa, di quelle che non puoi far a meno di notare e che ti
smuovono
dentro una piccola invidia verso i proprietari.
Miroku
interruppe la sua totale meraviglia, invitandola ad uscire dalla
vettura in modo poco cortese. Provò ad ignorarlo,
pretendendo almeno d’essere
trattata con un minimo di garbo; dopotutto l’avevano
trascinata lì senza
curarsi minimamente delle sue lamentele -o meglio urla-, e stava
cominciando a
pensare di doversi affermare in qualche modo o quei due
l’avrebbero sopraffatta
completamente.
Il
suo tentato valoroso comportamento non servì a nulla ed
infatti il
ragazzo le afferrò il polso e la trascinò fuori
dall’auto, facendole anche
incastrare il piede nella cintura di sicurezza. Non cadde per un pelo.
“Maledizione!”
Pensò, dopo essere quasi precipitata contro
l’asfalto.
“Deficienti figli di papà”,
inveì interiormente.
Il
desiderio di ribellarsi in qualche modo continuò a crescere
dentro di
lei sbaragliando completamente la paura provata fino a quel momento. Si
sentì
traboccare di adrenalina, e l’idea fulminea di cacciare un
urlo l’attraversò
quando vide un’anziana signora trafficare nel giardino a
fianco; ma proprio
mentre stava per spalancare la bocca qualcosa la bloccò.
In
fondo che cosa mai avrebbero potuto farle? L’avevano
prelevata davanti
a scuola, senza preoccuparsi minimamente di coprirsi il volto.
Nonostante
tutto, non parevano né dei maniaci né dei
completi idioti. Inoltre, una
pizzicante curiosità si stava facendo violentemente spazio
nella sua fantasia.
Se
avesse chiesto aiuto in quel momento, non avrebbe potuto sapere il
perché di quell’assurda situazione.
Forse
avrebbe dovuto resistere, almeno ancora un po’.
Si
fece in tal senso più coraggio.
Fingendo
rassegnazione si lasciò guidare in mezzo al giardino, ricco
di
alberi da frutta e meravigliosi roseti. Lo trovò
esageratamente vistoso ma al
contempo rassicurante. Tutti quei colori erano belli da guardare e il
profumo
di terreno ed erba la rilassò. Inoltre era tutto
organizzato, tutto pareva ben
potato e piccoli sentieri formati di grandi cocci rosso mattone si
diramavano
perfettamente in mezzo alla natura.
Ci
vuole dedizione per prendersi cura di un giardino simile e chi
è
capace di spendere tanto tempo per qualcosa di simile non
dev’essere poi così
cattivo. A meno che non paghi qualcuno per farlo.
Kagome
scosse la testa, scacciando uno dei pochi pensieri positivi a cui
era riuscita ad aggrapparsi.
Percorsero
quel paradiso di flora a passo svelto e in breve si trovarono
davanti alla porta d’ingresso che il mezzo demone
spalancò in un batter
d’occhio.
“Che
razza di persona non chiude a chiave in una città come
Tokyo?!”
pensò. “E se fosse perché nessuno
avrebbe il coraggio di intrufolarsi a casa
sua? Sarà un membro della yakuza?!”
L’ansia
l’aggredì nuovamente.
E
se si fosse sbagliata? Magari quei due stavano tramando di abusare di
lei e poi corrompere gli studenti testimoni del suo rapimento. In fondo
i soldi
sembravano non mancagli. Immediatamente si diede della stupida: va bene
avere
potere, ma corrompere tutti quei ragazzi sarebbe stato alquanto
surreale,
troppo.
Però
l’idea di un qualsiasi legame con la criminalità
organizzata le
parve ancora un’idea da prendere in considerazione anche se,
a guardarli bene,
non sembravano affatto appartenervi.
Erano
entrambi trasandati, con indosso maglie di gruppi metal che ancora
non aveva ascoltato e conosceva soltanto grazie all’omonima
mascotte mostruosa
degli Iron Maiden.
Inuyasha
portava i capelli lunghi, sciolti in meravigliose ciocche
argentee. Erano splendidi tanto che quasi frivolamente glieli
invidiò. Rimase
stupida riflettendo sul fatto che il suo istituto scolastico
permettesse
un’acconciatura simile. Era piuttosto disdicevole.
Sempre
che questi frequentassero una scuola!
Miroku
invece i capelli li portava medio lunghi, ma legati in un piccolo
e buffo codino dietro alla testa. Quell’intenso corvino
metteva in evidenza gli
splendidi occhi blu, meno spaventosi di quelli gialli e demoniaci
dell’altro.
Chinando
il capo notò che portavano tutti e due gli anfibi, calzature
che
aveva sempre odiato e visto innumerevoli volte ai piedi di Koga, suo
fratello.
Li trovava brutti, grossi e scomodi, buoni solo ad attirare
l’attenzione. Un
po’ come gli anelli di dimensioni esagerate raffiguranti
teschi, spade e rose.
Sulle collane non ci si soffermò molto, intuendo che non
avrebbe nemmeno
decifrato che cosa potessero raffigurare.
Li
stava giudicando senza remore. Ne aveva vista parecchia di gente come
loro, amici fuori di testa di Koga, e non ne aveva un bel ricordo.
Quel
ricordo mise in moto un meccanismo automatico che le riportò
alla
mente troppe immagini dolorose, che volle cancellare concedendosi di
osservare
l’arredamento perfetto.
La
posizione di ogni oggetto sembrò essere stata decisa con
molta
attenzione perché non c’era nulla di sgradevole
agli occhi in quelle stanze.
L’arredamento era sui toni chiari, riprendendo -nonostante
l’esterno- il
classico tocco orientale giapponese.
Vi
erano parecchi fiori, e si convinse sempre più che chi se
n'occupava
non lo faceva di certo per denaro.
La
colpì maggiormente la mancanza di pesantezza. Solitamente le
ville
degli aristocratici esagerano in soprammobili o quadri, mentre quel
salone
nella sua ampiezza conservava una frescura molto accogliente.
Stranamente
si sentì a casa. Una sensazione che le piacque, nonostante
tutto.
Non
ebbe il tempo di continuare le sue osservazioni che Inuyasha strinse
con forza il suo polso, trascinandola con prepotenza al piano di sopra.
Così
velocemente attraversarono un’altra sala perfettamente
arredata, quasi corsero
su per le scale e dopo un paio di rampe, percorsero un lungo corridoio,
totalmente bianco e leggermente claustrofobico. Svoltarono a destra e
si
fermarono davanti ad una porta. In quel momento Kagome non poteva
immaginare
cosa sarebbe diventata quella stanza per lei e in cosa si sarebbe
trasformata
all’interno di quelle mura solide.
Inuyasha
aprì la porta, e una luce abbagliante li travolse.
Era
il posto più luminoso dell’intera abitazione
(almeno per quello che
aveva visto sino a quel momento) e il motivo erano le enormi finestre
che
ricoprivano quasi per intero una delle quattro pareti.
Il
profumo di muschio le si infranse addosso insieme all’aria
che
penetrava dai vetri aperti, avvolgendola, così intenso da
darle alla testa.
Quello stesso profumo l’aveva già sentito poco
prima, nell’auto, proveniva dal
mezzo demone.
L’occhio
curioso ricadde su tutto ciò che le si presentò
davanti. Era una
stanza semivuota, il letto a due piazze collocato perfettamente al
centro le
sembrò bizzarro, dandole l’idea di audace ed
elegante nonostante fosse sfatto.
Un solo armadio poggiava contro il muro, e dallo specchio su una delle
ante
vide riflessa davanti una scrivania stracolma di scartoffie con
poggiato un
portatile bianco.
Avanzò
in quello strano ambiente sospinta da un’immensa
curiosità, e dopo
un lieve capogiro per tanta confusione si mise a sedere sul letto.
-Credo
di meritare una spiegazione.- Disse, fiduciosa in se stessa.
Lui
non rispose subito; dapprima le accarezzò il viso con lo
sguardo, poi
con passo felpato si avviò alla catasta di fogli sul tavolo
di legno e
imprecando un po’ contro il proprio disordine, ne
tirò fuori un rettangolo
lucido e colorato che sventolò con soddisfazione.
Era
una foto.
La
raggiunse, s'inginocchiò davanti e le porse ciò
che in quel momento
considerava un tesoro. Con spudorata malignità attese la sua
reazione, convinto
in un'assicurata devastazione sentimentale.
Infatti
Kagome perse un battito, riconoscendo i propri tratti somatici
nel viso di suo fratello, pallido e spento. Qualcosa dentro di lei si
mosse, e
per qualche istante temette di poter vomitare. Non raffigurava nulla di
così
rivoltante, però la tensione la stava scombussolando. I
sentimenti che
s'impegnava tutti i giorni a soffocare fecero capolino fuori dai limiti
che si era
predisposta e le diedero alla testa.
-Koga…-
Sussurrò. Tentò caparbiamente di trattenere le
lacrime, ma fu del
tutto vano e una le scivolò lenta lunga la guancia rovente.
In
quell’immagine rubata al tempo trascorso lui se ne stava
lì, seduto ad
un tavolo da poker, con l’espressione afflitta che poteva
avere solamente un
perdente. Alle sue spalle, Inuyasha e Miroku a braccia conserte.
Sembravano
soddisfatti e ancora più sornioni del solito. Si
sentì disgustata.
Inconsciamente,
conosceva già la ragione di quel gesto. Ricordava
ciò che
Inuyasha aveva esclamato subito dopo averla rapita.
Lei
era un premio, e stava realizzando anche in che partita di poker era
rimasta coinvolta. Era un pensiero così rivoltante da
sembrarle impossibile.
Come
aveva potuto farle questo?
-Che
significa?- Chiese, implorando qualsiasi entità custode di
non darle
la risposta che temeva.
Lui
assunse un’espressione tanto seria da farla deglutire: in
quell’espressione da cane bastardo era cambiato qualcosa.
Una
traccia di rimorso?
No,
sembrava piuttosto un momento agognato, e tensione scaturita da
questo.
Lo
vide inumidirsi le labbra e allungare una mano verso di lei, chiuse
gli occhi d’istinto e il tocco deciso della sua mano la fece
fremere. Le stava
accarezzando il collo, con disinvoltura e delicatezza. Lo stava facendo
nel
modo giusto, su di lei che non era mai stata sfiorata da un uomo, come
se
l’avesse fatto altre mille volte.
-Lo
sai anche tu, che significa.- Rispose, sadico. E quelle parole si
dissociarono completamente da quel tocco gentile e perfetto.
Kagome
allora aprì gli occhi velocemente, e lo sfidò:
-Voglio
che tu me lo dica!- Insistette, alzando persino la voce.
Inuyasha
osò ulteriormente, le scostò i capelli lunghi e
corvini da una
parte, e con le labbra baciò un piccolo centimetro della sua
pelle. Era
paralizzata, avrebbe voluto colpirlo in pieno volto, mettersi a
strillare e
scappare via, ma il suo corpo non voleva muoversi di un solo centimetro.
Così
restò ad ascoltare ciò che quel maledetto aveva
da dirle, così vicino,
ancora più crudelmente.
-Koga
ha deciso di giocarsi la sua dolce sorellina a poker, poco prima di
schiattare.- Le sussurrò all’orecchio, per poi
morderle il collo con
eccitazione. L’afferrò per i fianchi, in modo da
non farla fuggire.
Era
calda, sensuale in quell’ingenuità che il mezzo
demone non provava a
violare da molto tempo.
Kagome
si abbandonò a quella carnivora delusione e cessò
di trattenere le
lacrime, che in abbondanza presero a scivolare bagnando anche il viso
di lui,
ancora così vicino.
Avrebbe
voluto non sentire altro. Perché le sue orecchie percepivano
ancora suoni? Eppure dentro la sua testa era esplosa una bomba, non
avrebbe
dovuto essere sorda allora?
Non
voleva sentire, no.
-Sai,
solitamente non giocava a poker, ma quella notte era rimasto senza
un soldo e l’astinenza si stava facendo sentire. Brutta
bestia, la droga-
Continuò Inuyasha, rafforzando la presa.
Non
voleva sentire.
Finalmente
il suo corpo tornò ad avere stimoli, carico di adrenalina.
Con
uno scatto provò a sfuggire dalle braccia del mezzo demone
ma non ci riuscì.
Inuyasha la sospinse indietro, e in pochi istanti fu subito sopra di
lei,
insediatosi fra le sue gambe e premendo il proprio corpo maschile sul
suo,
verginale e tremante.
Sorpresa
ma non più impaurita, lo osservò da vicino. Era
bello. Il suo
viso era perfetto, anche se inchiostrato di velenosa cattiveria.
Non
sapeva che il suo per lui, era ancora più attraente. Sulle
sue labbra
regnava l’ingenuità, uno scarlatto trattenuto in
una sensuale morbidezza. Gli
occhi grandi e umidi la rendevano indifesa, e per questo ancora
più intrigante.
Kagome,
malinconica e sensuale.
Inuyasha
l’aveva vista qualche tempo prima che Koga morisse e senza
ombra
di dubbio l’aveva trovata deliziosa, ma il tempo
l’aveva maturata
splendidamente. I seni erano abbondanti, perfettamente gonfi e sodi.
Ogni parte
di quel corpo era diventata più rotonda. Le cosce
semiscoperte dalla gonna alla
marinara non erano eccessivamente magre, ma perfettamente tirate. Il
viso era
più adulto, ma lo stesso delicato e fanciullesco,
perfettamente in linea con i
suoi quindici anni.
Si
avvicinò alle sue labbra di bambina cresciuta e
meditò di profanarle.
Quella situazione lo stava eccitando incredibilmente e a trattenerlo fu
la sola
consapevolezza che sarebbe stato stupro: lui non era né un
criminale né un
depravato. Sapeva inoltre che l’avrebbe avuta, e un
po’ d’attesa non sarebbe
guastata.
-Stai
tremando. Hai paura?- Le domandò, respirando sul suo viso.
Kagome
strillò.
Non
era terrore.
Ma
la rabbia si era accumulata, e quel contatto forzato la stava facendo
impazzire. Si sentì soffocare.
Quel
gesto consentì al mezzo demone di concedersi un piccolo
assaggio,
così la mise a tacere baciandola. Assaporò la sua
bocca con foga, scostando i
capelli da quel viso esasperato. L’accarezzò con
delicatezza, percorrendo il
collo e scendendo lungo i fianchi.
La
baciò intensamente, non soltanto per metterla a tacere.
L’eccitazione
stava crescendo in lui sempre di più, e per un istante
sentì di non potersi
controllare più.
Lei
paradossalmente non oppose resistenza, e per un breve attimo gli
parve di sentirla socchiudere le labbra, ma nulla più.
Stava
provando un immenso desiderio di accarezzarle le gambe e insinuarsi
fra le sue cosce, ma non lo fece.
Si
fermò, soddisfatto di ciò che aveva
già avuto.
-Stai
tranquilla, non voglio violentarti. Non sei abbastanza attraente-
La rassicurò, mentendo. Si sollevò sulle braccia,
dividendosi da lei.
Quando
si alzò, Kagome provò un forte contrasto dentro
di sé. Era
incredibilmente sollevata e respirava come se non lo facesse da mesi,
però
provò subito un senso di inadeguatezza non sentendolo
più sopra di lei, come
una forte e vecchia nostalgia.
Le
venne voglia di raggomitolarsi in posizione fetale, ma la ragione la
spinse ad alzarsi di colpo.
Inuyasha
le aveva aperto la porta e con un sorriso indecifrabile le
indicò l’uscita.
-Quella
è la porta, va' pure. Tanto sono convinto che tornerai!-
Disse.
Lei
non se lo fece ripetere due volte, lo sorpassò e con sdegno
esclamò:
-Vai al diavolo, deficiente!-
Poi
scappò via senza guardarsi indietro, ripercorrendo le stanze
della
casa che la separavano dalla libertà come se lo avesse fatto
da sempre, e varcò
la soglia ignorando l’amico di lui placidamente seduto sul
divano.
Miroku,
vedendola fuggire a gran velocità, raggiunse il migliore
amico.
-Già
fatto?!- Domandò, interdetto.
Inuyasha
sbottò.
-Mica
stupro le ragazzine io, feh! Tranquillo però, ho fatto in
modo di
farla tornare. Vedrai, in meno di una settimana me la
ritroverò a casa.-
L’altro
fece spalline, quasi deluso. –Me ne torno di sotto a
mangiarmi
qualcosa!-
Kagome
corse il più velocemente possibile, costringendo il proprio
corpo
ad uno stress insolito, ma non si fermò nemmeno quando le
facevano male le ossa
e il respiro corto stava cominciando a farle dolere anche il resto del
corpo.
Il
cuore batteva così forte che quasi non lo sentiva
più.
Si
sentiva confusa e delusa. Da suo fratello e anche un po’ dal
mondo.
Cosa stava succedendo alla sua realtà? Come poteva tutto
quello esistere e
confondersi alle cose normali?
Perché
le persone per strada continuavano la loro vita mentre lei stava
andando in pezzi?
Koga
era morto, l’aveva abbandonato in una realtà
simile e non solo,
aveva fatto in modo di lasciarla senza difesa alcuna.
Cosa
avrebbe potuto fare?
Non
era sicura più di nulla, soprattutto perché
quell’atroce delusione la
provava anche verso se stessa. Cosa diavolo era accaduto poco prima?
Perversamente
quel baciò aveva provocato anche delle sensazioni
piacevoli. C’era qualcosa dentro di lei di sbagliato?
Le
lacrime le rigarono il viso, annebbiandole la vista.
Corse
fino al momento in cui trovò la prima fermata della metro, e
leggendo il nome della stazione finalmente seppe dove si trovava.
Almeno
quello.
Si
fermò un momento e tossì. Sentì che le
gambe non potevano più
reggerla. Non aveva più fiato, la testa le girava.
Il
suo corpo stava cedendo, o almeno avrebbe voluto farlo.
Scese
le scale e si mise a sedere sulla banchina della stazione. Tremava
ancora, non riusciva in alcun modo a calmarsi.
Dentro
di lei continuò a spaccarsi la sua volontà,
formando un cratere
fra il desiderio di fuggire il più lontano possibile e
quello di tornare
indietro. Per quale ragione?
Per
saperne ancora, per spaccare la faccia di Inuyasha.
O
per farsi baciare ancora?
Scosse
la testa. No, era stata solo l’adrenalina, lei lo
disprezzava. Lo
conosceva da poche ore e già lo odiava con ogni fibra del
suo essere.
Il
suo pensiero tornò violentemente a Koga. Lui
l’aveva venduta.
Non
era possibile, era una menzogna, quello che il mezzo demone aveva
detto era solo una grandissima cazzata. Suo fratello l’amava,
anche se
nell’ultimo anno della sua vita aveva commesso degli errori.
Ne
era convinta, era tutta una messa in scena.
Il
treno arrivò, lo prese e in poco riuscì a
raggiungere la scuola. Non
aveva pensato che forse sarebbe stato meglio tornare a casa, farsi una
doccia
per riprendersi da quel trauma e dormire tutto il resto del giorno. Il
suo
senso del dovere l’aveva spinta a presenziare il suo primo
giorno: anche se era
in un ritardo atroce, qualcosa avrebbe inventato.
Arrivò
in una ventina di minuti e, attraversato il cancello e il cortile
anteriore, cercò la sua classe sui tabelloni chiedendo
informazioni su dove
potesse essere la sua aula.
Respirò
profondamente, e spalancò la porta.
Una
massa di adolescenti in piena tempesta ormonale la fissarono. Il
professore la squadrò esterrefatto. Sul viso dai lineamenti
duri lesse
immediatamente che non avrebbe ottenuto il permesso di entrare e
l’imbarazzo la
fece arrossire.
Nell’esatto
momento in cui fece per uscire, una voce femminile prese le
sue difese.
-Professore
mi scusi, io ero presente, come del resto quasi tutti in
questa classe, e ho visto la signorina essere aggredita da
Yamamoto-Kun, un
ragazzo dell’ultimo anno. E beh, lei sa quanto problematico
sia…-
L’uomo
fece segno di smettere di parlare all’allieva, che
ritornò nel
proprio silenzio.
Kagome
si sentì improvvisamente rincuorata, e sorrise alla sua
salvatrice.
Il
professore, a malincuore, le fece segno di entrare.
Lei
s’inchinò dinanzi a tutti, scusandosi.
-Bene,
vedremo di prendere provvedimenti per questa mancanza di rispetto.
Ora presentati e vai a posto.-
Scoraggiata,
pensò velocemente a cosa dire. Prima di aprir bocca
però,
notò che i suoi compagni di classe stavano ridendo.
-Il
mio nome è Higurashi Kagome, mi sono appena trasferita a
Tokyo dopo
aver passato un anno e due mesi in campagna. Sono figlia unica e ho
scelto
questa scuola per il suo prestigio-
Detto
ciò, si mise a sedere nell’unico posto libero,
fortunatamente
dietro alla ragazza che si era disturbata per aiutarla.
-Grazie.-
Sussurrò, piena di una sincera gratitudine.
L’altra
sorrise. –Sta tranquilla, io sono Rin, piacere ci
conoscerti.- Si
presentò.
-Piacere
mio.- Le rispose, cercando di restituire la gentilezza ricevuta.
-Come
mai Yamamoto-kun ti ha trascinata via?- Attaccò subito
quella.
Kagome si stranì nel notare che non si stava trattando
affatto di curiosità. Ma
era troppo esausta mentalmente per pensarci.
-Perché
è un povero deficiente- Sbottò lei.
Ringraziamenti:
Bellatrix_Indomita: Ed eccoti accontentata , il primo
capitolo ^^ . Sono felice che ti sia piaciuto il prologo , spero che il
seguito non ti deluda. Continua a seguirmi. Tanti tanti ringraziamenti.
Nimako: Magari scrivessi bene , ma grazie
tante per i complimenti =]
Chocola
92: Ed ecco qui il primo capitolo ,
spero che ti piaccia :D grazie tante per aver letto e recensito il
prologo .
luca
blight: Non so perché , ma ero
sicura che ti sarebbe piaciuto. Devo ringraziare solo te se ho
ricominciato a scrivere. Te e il tuo starmi così vicino
<3
Un ringraziamento anche solo a chi mi legge xD