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Autore: ChiiCat92    19/11/2018    0 recensioni
"Ancora qualche ora.
Arranco. Ho l’impressione che i piedi sprofondino nel terreno ad ogni passo: impercettibilmente, un millimetro alla volta, affondo nel buio.
Ancora qualche ora, per favore."
Questa storia partecipa al contest "Take another chance on another universe" indetta dal Forum "La Torre di Carta"
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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19/11/2018


Time is up



Ancora qualche ora.

Arranco. Ho l’impressione che i piedi sprofondino nel terreno ad ogni passo: impercettibilmente, un millimetro alla volta, affondo nel buio.

Ancora qualche ora, per favore.

Il cuore batte tanto forte da farmi male; lo sento ingrossarmi il collo nel tentativo, riempirmi il cranio.

Mi concentro sui miei passi, attento ad evitare le zone d’ombra, gli angoli, gli anfratti che sembrano brulicare di vita.

Non è la paura, non è la suggestione: creature vive si nascondono appena sotto la superficie di ogni cosa oscura.

Sono lì, pronte a prendermi, con minuscole manine ad artiglio.

Ancora qualche ora. Non voglio morire.

Mi fermo, il fiato corto, mi esplodono i polmoni.

Dietro di me avverto i Suoi passi. Sento il sangue gelarmi nelle vene e tremo, a tal punto da temere di andare in frantumi.

Tutto quello che volevo, sin dal primo istante, era solo tempo.

Tempo in più per dire ad Allie che lo amavo, tempo in più per respirare, tempo più per vivere.

Ma proprio quello, quella sostanza immateriale di cui è fatto l'Universo, mi manca.

Ho cercato il colpevole allo specchio, mentre cercavo tracce del male incurabile e prolifico che mi mangiava dall'interno. L'unico contro cui ho potuto rivolgere la mia rabbia è stato Dio.

Perché Dio ha voluto farmi ammalare a vent'anni? Perché mi ha fatto conoscere l'amore e ha voluto portarmelo via? Perché mi ha fatto assaggiare il frutto più dolce per poi togliermelo di bocca?

E Lui si trovava d'accordo. Non era giusto, mi meritavo qualcosa di più, avevo il diritto di prendermi una rivincita.

In fondo, cos'era perdere l'anima?

Il Diavolo non è esattamente come lo descrivono, non arriva con parole melliflue e sussurri sibilanti, non ha corna o zampe di capra. È un tipo affabile, qualcuno che chiameresti un sabato pomeriggio inoperoso per andare a prendere un caffè. Probabilmente offrirebbe lui, e lascerebbe una generosa mancia al cameriere: un tipo così.

I medici mi avevano dato, a voler essere ottimisti e bombardando la mia Big C con tutte le radiazioni a loro disposizione, poco meno di sei mesi. Sei mesi in cui me la sarei vista davvero brutta per poi, comunque, morire.

Un anno, mi sarebbe bastato un anno, per “concludere i miei affari”, sistemare le cose, godermi l'ultimo sprint finale della mia vita di merda. Un anno senza sofferenza, senza malattia, senza paura. Un anno.

E il Diavolo me l'aveva dato.

365 giorni di puro godimento, di puro miracolo.

Se solo fossi stato più lungimirante avrei chiesto dieci anni, o magari cento.

I passi sono sempre più vicini, più intensi, sento vibrare tutti i denti nella mascella come fossero senza radici.

Ti prego.

Devo correre, devo tornare da lui, devo almeno dirgli che mi dispiace, almeno.

« Il tempo è scaduto, Johnny boy. » le sneakers consumate, i jeans strappati, un lecca-lecca alla ciliegia sempre in bocca: non fa paura. Persino il cuore rallenta i battiti, la sua sola presenza sopprime qualsiasi istinto.

Le ombre ondeggiano sotto i suoi piedi come se camminasse su acqua nera, l'oscurità prende grandi respiri.

« T-ti prego. » l'ho pensato o l'ho detto? Ho la gola talmente secca, la faringe incollata, che non credo possa passarvi aria sufficiente per emettere un suono.

Il Diavolo solleva il polso destro per controllare l'orologio, tamburella sul quadrante con l'indice della destra mentre sposta il lecca-lecca da una guancia all'altra. « Johnny boy, avanti, si sta facendo tardi. »

Quindici anni? Sedici? Gli occhi verde cristallino brillano della luce di stelle nere, i ricci biondi morbidi sul viso sono di indomabile bellezza. L'Angelo più bello.

« Ancora...ancora qualche ora. Ho bisogno di qualche ora. Devo tornare da Allie… »

Lui rotea gli occhi verso l'alto, infila una mano in tasca, con l'altra prende a giocare con il bastoncino della caramella.

Ci sta pensando?

« È che… » comincia, pensieroso, le sopracciglia biondo oro strette tra loro. « ...credevo che fossimo amici. Io ti ho dato ben 31 536 000 secondi per fare quello che dovevi fare, e tu aspetti l'ultimo momento? » scuote la testa, deluso.

« No, no…! » riesco a dire, avvicinandomi a lui. Non dovrei, odora di fiordalisi appena colti. « Siamo amici e...ti sono grato per quello che mi hai dato ma...ho bisogno solo un altro po’ di tempo. Possiamo fare un altro patto? »

Non riesco a terminare la frase, brividi mi scuotono dalla testa ai piedi. Fa freddo, il respiro si condensa in nuvolette, cristalli di ghiaccio si formano sui vetri delle auto, delle finestre, ovunque.

« Possiamo. » commenta Lui, venendomi più vicino. È più basso di me di qualche centimetro, adatto all'età del corpo che ha scelto. Il profumo dei fiori mi riempie le narici, anche se il suo alito sa di ciliegia. « Ma tu non hai più niente che mi interessi avere. »

Infila il lecca-lecca in bocca mentre con un dito mi tocca il petto.

Avverto come una scossa elettrica percorreremi il corpo, si diffonde in ogni fibra, in ogni tessuto, si impossessa del mio intero essere.

Senza poter fare altro che strabuzzare lo sguardo e spalancare la bocca, cado all'indietro, tra le migliaia di affamate mani nascoste tra le ombre.

Si aggrappano alla mia giacca, mi tirano i capelli, mi trascinano giù.

Giù.

Giù.

ANCORA QUALCHE ORA!

Nella mia bocca spalancata entrano le ombre, sottopelle come aghi, sulle ossa come nuovi tendini. Il buio mi accoglie, perché mi hanno strappato via gli occhi. Smembrato, cosciente, vivo, ma morte.

Ancora qualche ora. Per tutta l'eternità.

   
 
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