Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Crilu_98    20/11/2018    2 recensioni
La fame ed il freddo invernale non sono nemici che l'uomo possa sconfiggere da solo. Ma il prezzo che gli dei chiedono in cambio della salvezza è molto alto: i nati di quella primavera maledetta saranno tutti consacrati a Mamerte, sanguinario e crudele dio della guerra.
Tra di loro, Sattias è il più gracile, il meno abile, per nulla carismatico; tuttavia, quando giunge il momento di partire verso la terra che è stata loro promessa, è lui che il picchio di Mamerte sceglie come guida.
In un viaggio pieno di pericoli, profezie ed incontri inaspettati, Sattias dovrà ricorrere a tutta la sua astuzia per tenere al sicuro le persone che ama: perché nel loro mondo ci sono poche certezze, ma una di queste è che gli dei non ripongono mai la loro fiducia nell'uomo sbagliato.
Genere: Avventura, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il sole del tardo pomeriggio bagnava ogni cosa in una calda luce dorata. Sattias, approfittando di quelle ultime ore di luce, si era arrampicato su un albero per godere della vista che si dispiegava ai piedi delle montagne. Le rocce lasciavano ben presto spazio ad erba e morbida terra scura e in lontananza le colline digradavano dolcemente verso la pianura; dalla sua postazione a strapiombo su un abisso il ragazzo poteva vedere anche il resto della catena montuosa che curvava alla sua sinistra e proseguiva verso nord, nascondendo alla sua vista le terre dove Laktéa era nata.
“Da qualche parte, in quella direzione, c’è il mare…”
I guerrieri di Diomedas sembravano essere scomparsi: non solo il convoglio con cui viaggiavano non era stato più attaccato, ma nessuno degli uomini che avevano mandato in avanscoperta era riuscito a trovare le loro tracce. Sattias, tuttavia, non si illudeva ed esortava sempre i suoi compagni alla prudenza. Non che ce ne fosse bisogno: la perdita di Manlios era una ferita ancora aperta che, se da un lato li aveva uniti, dall’altro aveva esacerbato gli animi. Non passava giorno senza che Sattias si trovasse a fare i conti con l’arroganza di Hostius, o con la gelosia di Sabidia e i battibecchi che dividevano lei e Laktéa; anche Pileius, che dopo Manlios era sempre stato il più cauto ed equilibrato, si lasciava spesso andare a scatti d’ira.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando per la frustrazione: in momenti come quello la solitudine tornava a mordergli il cuore e nelle sue orecchie risuonava la risata cristallina del suo migliore amico. C’erano stati giorni, in quel mese di viaggio, in cui Sattias si era voltato con gli occhi spalancati, convinto di aver intravisto la figura di Manlios più indietro lungo il sentiero, o nascosta in mezzo agli alberi; ma era solo una suggestione.
Un fruscio gli fece abbassare lo sguardo: Laktéa si era accovacciata ai piedi dell’albero ed osservava con interesse il paesaggio sotto di loro. Aveva iniziato a portare i capelli legati alla maniera del popolo delle capre per patire meno il caldo, scoprendo il collo candido e la fronte alta, increspata da una ruga di preoccupazione.
“Ti sei pentita di non aver accettato la proposta di Corvo Nero?” domandò il ragazzo a bruciapelo, chinandosi dal ramo su cui si era appollaiato. Laktéa piegò le labbra in un sorriso divertito, ma non rispose né lo guardò: mentre si abituava agli usi e ai costumi del suo popolo l’affetto nei suoi confronti si era fatto più discreto e Sattias spesso si chiedeva se non si fosse immaginato quella istintiva complicità che li aveva legati fin dal loro primo incontro.
“Sei ancora in tempo, sai” borbottò, infastidito. “Domani mattina il popolo delle capre continuerà verso nord mentre noi scenderemo a valle, secondo le visioni di Etrilia… Nessuno ti obbligherà a venire con noi!”
Finalmente la ragazza alzò il capo verso di lui:
“C’è forse qualcuno che mi obbligherà a non farlo?”
Sattias sapeva che si stava riferendo a Sabidia e al suo comportamento ostile:
“No. Sarai sempre la benvenuta tra di noi.”
“Allora non vedo alcun motivo per cui dobbiamo separarci” mormorò pigramente la ragazza, riportando gli occhi di ghiaccio sulla valle che si faceva più indistinta mentre la notte scendeva.
“Bello” sussurrò in un soffio, stringendosi la pelliccia sulle spalle.
“Lo è” confermò lui, scendendo dall’albero con un balzo e rischiando di scivolare giù per il pendio.
“E’ questa la valle che Mamerte vi ha destinato?” ridacchiò Laktea.
Una delle cose che Sattias più apprezzava di lei era il malcelato disprezzo che covava nei confronti degli dei: in un mondo di magia e rituali aveva finalmente trovato un’anima affine.
“Lo spero.”
Questa volta lo sguardo della ragazza si fermò su di lui più a lungo:
“Cosa hai intenzione di fare, una volta concluso il viaggio?”
“Vorrei sposarti” pensò Sattias “Darti dei figli e una casa in cui crescerli. Osservare il nostro popolo fiorire e sperare che non abbia mai fine. Di tutto il resto, della corona, dell’onore e delle guerre, non mi importa nulla.”
Quelle parole, però, gli rimasero incastrate in gola e quando Hiccia li chiamò per cenare, Laktéa si allontanò senza attendere la sua risposta.
 
Attraversare quel largo fiume si era rivelato più difficoltoso del previsto: sebbene il fondale fosse basso, la corrente era sostenuta ed il fondale scivoloso.
“Per tutti gli spiriti!” borbottò Pileius, allungando un braccio per aiutare Laktéa a salire sull’argine fangoso “Etrilia, manca ancora molto?”
“Non lo so” fu la sincera risposta. Da quando il suo compagno era morto, le visioni della giovane sacerdotessa si erano fatte più dolorose ed oscure da interpretare.
Una cappa di sconforto gravava sul gruppo mentre, dopo un breve momento di riposo, riprendeva la marcia; un trillo familiare, però, fece scattare lo sguardo di Sattias verso l’alto alla ricerca di una brillante figura verde. Dopo qualche istante il picchio scese in picchiata verso di loro, atterrando sul prato a qualche passo di distanza.
Tutti trattennero il fiato mentre l’uccello li squadrava ad uno ad uno con gli occhietti intelligenti e vivaci; tutti si chiedevano perché era apparso proprio in quel momento, nel bel mezzo del nulla.
“Siamo arrivati?” chiese Hostius, speranzoso.
La sua voce baritonale spezzò l’incanto ed il picchio spiccò nuovamente il volo, sfiorando lo stendardo che pendeva floscio dal bastone prima di virare velocemente verso destra.
Senza neanche doversi consultare i ragazzi iniziarono a correre, terrorizzati dall’idea di perdere la loro guida che solcava i cieli con leggerezza ed eleganza e si faceva ogni istante più lontana sull’orizzonte. Sattias, appesantito dalla spada, dalla corona e dallo stendardo, fu l’ultimo a raggiungere l’albero su cui il picchio si era posato.
L’animale si stava lisciando le piume tra i rami di un eschio frondoso, una pianta giovane ma già robusta, che offriva un fresco riparo dalla calura del solleone.
“E’ qui” mormorò il giovane re, mentre sollievo ed esultanza gli riempivano il petto fin quasi a farlo scoppiare.
“Possiamo fermarci” gli fece eco Etrilia, con gli occhi fissi su qualcosa che nessun altro poteva vedere “Mamerte ordina di fermarci!”
Ma a Sattias degli ordini di Mamerte importava ben poco, ora che avevano trovato un posto da chiamare casa.
 
Meno di una settimana dopo, Hiccia era di nuovo in viaggio. Non perché non le piacesse il luogo che avevano scelto per edificare il villaggio: la conca in cui cresceva l’eschio solitario era ricca di selvaggina e fonti, un posto perfetto da abitare. Proprio per questo, il fatto che la valle fosse disabitata la riempiva di sospetto.
Aveva perciò chiesto ed ottenuto il permesso di esplorare il territorio circostante, alla ricerca non solo del pericolo più noto e minaccioso, Diomedas, ma anche delle popolazioni confinanti che potevano rivelarsi ostili. In quella mezza giornata di cammino non aveva ancora incontrato segnali di presenza umana, ma non fu sorpresa quando percepì una presenza alle sue spalle.
“Pileius, nel nome di Pico, esci da lì!”
Il ragazzo sbucò dagli arbusti, scostandosi i capelli dagli occhi con aria imbarazzata. Hiccia, d’istinto, accarezzò l’arco che il giovane le aveva regalato come promesso: non aveva alcuna impugnatura in osso, ma il legno era stato inciso di simboli beneauguranti e lei lo usava bene quasi quanto il vecchio.
“Sattias lo sa che mi hai seguito?”
“No…”
La ragazza spalancò gli occhi:
“Sei impazzito? Potrebbe punirti per questo!”
“Sattias è saggio e capirà le mie ragioni. Ma in ogni caso, meglio una punizione che non vederti tornare.”
Hiccia sentì le guance bruciare come tizzoni ardenti e si voltò per non darlo a vedere:
“Come se avessi bisogno della tua protezione!” esclamò, con voce leggermente incerta.
Pileius si avvicinò e con insospettato coraggio le afferrò la mano che tormentava un ciuffo di ricci ribelli:
“Quattro occhi sono meglio di due, no?”
Un attimo dopo era piegato in due per la gomitata che lei gli aveva rifilato sulle costole.
“E sia, ma vedi di non rallentarmi, altrimenti ti lascio indietro!”
Nonostante il dolore al petto, il ragazzo si affrettò a seguirla con un sorriso raggiante sul volto.
 
Sattias si asciugò il sudore dalla fronte, esausto ma soddisfatto: la capanna di legno che stava costruendo sembrava solida e capace di mantenerlo all’asciutto.
“Già, peccato che mi aspettino solo notti solitarie, qui dentro!”
Laktéa, infatti, sembrava più che contenta di condividere una casa con Etrilia ed ignorava la presenza fastidiosa di Sabidia.
“Devi fare qualcosa” gli aveva detto la sacerdotessa. “Hostius si strugge per Sabidia e gli dei sono favorevoli alla loro unione.”
“La decisione non è mia da prendere, Etrilia”
“Sei il re. Se non tu, chi?”
“E’ giunto il momento di parlarle, sì” pensò, vedendo Sabidia distogliere lo sguardo da quello innamorato e gentile di Hostius. Le andò incontro con passo incerto e una smorfia sul viso che tradì le sue intenzioni, perché la ragazza aggrottò la fronte di colpo:
“E’ successo qualcosa?” domandò, ansiosa.
“No, nessun pericolo” rispose Sattias “Però vieni, siediti con me.”
Si accoccolarono davanti alla capanna appena costruita ed osservarono in silenzio una lucertola che si scaldava al sole sopra ad una piccola pietra. Il giovane si morse l’interno della guancia, a disagio:
“E’ venuta su bene, non è vero?” borbottò poi, indicando con un cenno del capo la sua nuova casa. Sabidia annuì con eleganza, senza sorridere:
“Davvero. Ma non credo che tu mi abbia portata qui per chiedermi di entrare nella tua casa come sposa, vero, Sattias?”
Lui sbatté le palpebre un paio di volte:
“Ho tentato di fartelo capire per anni e tu non mi hai mai creduto. Perché ora è diverso?”
La ragazza si strinse nelle spalle:
“E’ vero, non mi hai mai ricambiato, ma finché il tuo cuore era libero potevo continuare a sperare. Ho tentato anche di sottrarlo a Laktéa, ma sembra proprio che tu abbia fatto la tua scelta!”
Sattias balzò in piedi come se fosse stato morso da un serpente:
“Questo non c’entra niente con… Il fatto che io… Eravamo bambini, Sabidia…”
La piccola mano di Sabidia si strinse sulla sua:
“E ora non lo siamo più. Lo capisco, dico davvero, e rispetto la tua scelta. Ma non puoi chiedermi di esserne felice, perché anche se eravamo bambini io ti ho sempre amato come solo una donna può amare un uomo. E temo che questo non cambierà mai.”
Mentre la osservava allontanarsi, Sattias pensò che in apparenza non era cambiato nulla: Sabidia si muoveva con la stessa eleganza e fierezza e con la stessa andatura seducente, consapevole della propria bellezza.
Eppure il ragazzo sapeva anche che qualcosa, in quell’assolato pomeriggio di fine estate, si era spezzato per sempre.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Crilu_98