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Autore: Antys    20/11/2018    4 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3° Capitolo

 

Stiles si svegliò la mattina successiva sul divano, in perfetta solitudine.

Gli ci vollero diversi attimi per focalizzare il luogo in cui si trovava, la giornata appena trascorsa e tutto il ribaltamento del mondo che conosceva.

Si alzò quando sentì dei rumori provenire dalla zona cucina abilmente riparata, mettendo i piedini nudi sul pavimento freddo e dirigendosi verso quella direzione, stropicciandosi un occhio con un pugnetto e stringendo verso l’alto la maglia con la mano libera all’altezza della vita, per facilitare i movimenti delle gambette, trovando Derek a rimettere a posto tutto quello che lui e Cora avevano lasciato in giro dopo l’abbuffata di mezzanotte ed anche l’unico pasto che Stiles ricordasse di quella giornata.

Il lupo si fermò quando entrò nel suo campo percettivo per poi ritornare alle sue faccende. «Dobbiamo comprare diverse cose».

Comprare delle cose. Era qualcosa che a Stiles suonava molto familiare e quando la voce gentile di sua madre pronunciava quelle parole, lui si fiondava sulle scale a vestirsi, pronto per acquisire qualcosa di nuovo e potenzialmente fantastico. Era sempre un’avventura speciale e senza confini ed a volte si accontentava semplicemente di poter vedere tutte quelle cose che il mondo aveva da offrire.

Ma in quel momento sembrava non possedere nemmeno i più semplici degli oggetti e tutto quello che aveva, era ciò che gli procurava Derek o chi faceva per lui.

Comprare delle cose in una casa vuota e scura, senza colori e componenti vari a popolarla, era qualcosa che lasciava Stiles perplesso e confuso, quasi messo in un piedistallo che non gli era dato vedere. Stiles non era mai stato dentro un appartamento e non aveva mai visto una casa composta da un’unica grande stanza e nemmeno così spoglio, come se mancasse la parte più viva che componeva un’abitazione calda ed accogliente, eppure conosceva piccole case confortevoli ed impregnate di calore, composte da soli due membri ad abitarle. Tutto quello che gli suggeriva quel monolocale era la pura solitudine e l’allontanamento dal mondo esterno.

Solitudine. Comprare delle cose. Era certo che mancasse un elemento a quell’equazione e che avesse tutti i dati che creavano la soluzione. Era convinto che quella solitudine non poteva essere vera se nell’abitazione esisteva qualcun altro e quell’attività piacevole che comprendeva l’acquistare qualsiasi cosa venisse alla mente andava fatta con più persone possibili ed affini. «Dov’è lei?».

Il licantropo si fermò del tutto e dovette voltarsi per capire a chi si riferisse e vedere le sue grandi iridi ambrate scrutare gli angoli dell’appartamento in attesa di vedere scorgere qualcuno. «È andata a casa sua» non c’era stato nessun altro lì, non aveva socializzato con qualcun altro al di fuori di quella dimora ed esisteva una sola lei al momento: Cora.

«Oh» emise flebile il bambino, smettendo di cercare. «Va bene».

Derek dubitava fortemente che gli andasse bene e il mutismo in cui era caduto era un gran segno rivelatore, perché lo Stiles che conosceva raramente tendeva a quel comportamento – e quando accadeva era allarmante – e lui non aveva mai compreso come avrebbe dovuto muoversi, come agire per farlo uscire e tranquillizzarlo. Non ne aveva mai avuto il tempo e l’intenzione.

«Dovevi andare con lei?» chiese all’improvviso il cucciolo d’uomo con un’inclinazione intraducibile.

L’uomo non seppe proprio come gli fosse venuta in mente quella possibilità – del tutto vera –, non una parola era mai stata pronunciata in sua presenza e dubitava ci fossero tracce in giro, ma le perle di miele erano concentrate in direzione della porta, alla sua sinistra ed in basso, lì dov’era stato abbandonato il suo borsone dopo la chiamata di Scott, quello stesso che non aveva neppure potuto sistemare da qualche parte. I dettagli. I dettagli erano tutto ciò che Stiles riusciva a vedere e di cui si fidava. «Sì» mentirgli era qualcosa che non si poteva permettere e, in tutta onestà, non aveva mai avuto bisogno di farlo, perché Stiles riusciva a fiutare la menzogna meglio di qualsiasi licantropo.

«Perché sei rimasto?» domandò allora quello con una strana accusa nella voce, non molto positiva alle orecchie del mutaforma.

«Ho una questione importante di cui occuparmi» come se avesse potuto semplificare le cose meglio di così, mostrandosi il più distaccato possibile com’era solito fare.

Il figlio dello sceriffo sembrò assimilare il concetto e piegò una gamba all’indietro, pronto per ritornare su passi immaginari. «È colpa mia» esclamò quando l’illuminazione ed il sospetto vennero fuori, fondendosi insieme. «È andata via per colpa mia e tu sei qui perché… perché sei qui?».

«Stiles, basta» l’autorità nella sua voce risuonò per tutto l’appartamento, eliminando ogni dubbio sul suo significato. Era possibile che riuscisse a catalizzare tutti i sensi di colpa del mondo? Che la sua intelligenza gli facesse capire cos’era reale e cosa andasse storto? O era semplicemente la sua inclinazione di bambino?

Stiles tacque mordendosi le labbra, forzato a non muoverle e pronte per riempire il suo interlocutore di parole. La battaglia interiore era così grande ed eclatante che Derek poteva sentire ogni fremito mal trattenuto ed il suo dolore diveniva il proprio. «Non piaccio a nessuno, per la gente sono strano, troppo rumoroso, troppo agitato e troppo veloce; nessuno mi vuole intorno e nemmeno lei».

Le caratteristiche che aveva citato nella sua semplicità erano tutte vere ed avevano il potere di rispecchiarlo con facilità, ma non traducevano nemmeno un quarto di ciò che rappresentava Stiles. «Sei straordinario».

Il cucciolo d’uomo incespicò e le grandi iridi caramellate si ingigantirono, depositandosi in quelle di giada. «Cosa?» chiese sbalordito e confuso.

«Lo sei» disse il lupo con convinzione, avvicinandosi a lui e portandosi alla sua altezza. «Sei davvero straordinario e gli altri, la gente, non è sveglia quanto te per riuscire a capirti» con la punta delle dita gli scostò i capelli ramati che gli cadevano sulle perle di miele, asciugandogli successivamente le gocce che gli si erano incastonate tra le ciglia chiare, cancellandole via con una delicatezza tale da non poter appartenere ad alcuna creatura della notte. «Cora ti è molto affezionata, in modi che non puoi ancora comprendere e piaci a molte persone. Tutte quelle che hai conosciuto ieri sono tue amiche».

«Davvero?» domandò il bambino con titubanza, meravigliato e sconcertato davanti a qualcosa che non aveva mai immaginato.

«Sì, e ce ne sono molte altre» e ci sono state. Se Erica fosse stata ancora con loro avrebbe adorato quelle sembianze dell’umano, avrebbe fatto di tutto per non perdersele e si sarebbe goduta ogni attimo. Sarebbe stata pazza di lui come lo era sempre. Boyd avrebbe probabilmente sbuffato annoiato, nascondendosi dietro la sua impassibilità, ma sarebbe stato conquistato all’istante dal piccolo Stiles. E Jackson? Quello sì che sarebbe stato uno spettacolo interessante a cui assistere.

Il figlio dello sceriffo annuì con il capo a qualcosa di cui Derek non era certo e poi si concentrò nuovamente su di lui non contento. «Ma Cora è andata via e tu sei ancora qui».

Perché sei incastrato con me, quelle probabilmente sarebbero state le parole di uno Stiles con un vocabolario più arricchito e con una maggiore consapevolezza. «Aveva bisogno di tornare a casa sua ed io è qui che voglio stare» una volta non si sarebbe mai sognato di pensarlo, ancora meno di dirlo, la cosa sconvolgente era che rappresentava l’autentica verità. «Invece di salutarmi, mi ha bacchettato per via della dispensa vuota».

Stiles ridacchiò deliziato ed immaginandosi la scena, aumentando l’ilarità. «La mia è sempre piena, come per magia».

«Lo era anche la mia» un velo di malinconia gli sfuggì dalla voce e lo notò appena.

Al contrario Stiles sembrò intercettare quella nota stonata e gli occhi si posarono nuovamente sull’ambiente spoglio intorno a lui, quello stesso che gli suggeriva la piena solitudine. «Vado a vestirmi» pronunciò senza inciampare nel tempo, spezzando quell’aria pittoresca dalle sfumature nostalgiche e dolorose.

Derek rimase esattamente nella stessa posizione dove il bambino l’aveva lasciato, con lo sconcerto della sua perspicacia.

 

Quando entrarono al supermercato, prendendo un carello e mettendovi Stiles al suo interno per sicurezza, il suo mutismo, conosciuto quella mattina, era addirittura aumentato e guardava la struttura come un’estranea e la più terribile delle traditrici.

Derek aveva riempito il carello con vari prodotti senza ricevere alcuna parola dal suo piccolo accompagnatore, dandogli il tempo di assimilare la situazione e il luogo. A volte si era fermato per mostrarglieli, aspettando una sua valutazione o approvazione, ma il bambino era parecchio distante e l’uomo si ritrovava a dover fare da sé. Forse Cora avrebbe saputo gestirlo meglio, distraendolo e diventando la sua complice, insieme ad una Allison che sarebbe venuta a capo del problema. Come avevano potuto dare per scontato che un lupo scorbutico come lui e poco affine alla socializzazione potesse occuparsi a tempo pieno di un esserino di cinque anni? «Stiles, cosa c’è?» chiese dopo qualche minuto e all’ennesimo assenteismo da parte dell’altro.

Stiles parve non udirlo e rimase a guardarsi indietro. «È tutto diverso».

Il mannaro credette di crollare.

«L’altro giorno ero qui con la mia-» si bloccò nell’immediato come punto sul vivo, facendo un impercettibile passo indietro nel carello. «Ma adesso è tutto… sono cambiati i posti, i colori sono sbagliati e sembra tutto nuovo».

Derek l’aveva notato, era impossibile non farlo, ma da quando aveva chiesto di sua madre la prima volta, al loro primissimo incontro, non aveva più pronunciato il suo nome ed aveva il terribile sospetto che nella mente del bambino esistessero più scenari di quanti lui avrebbe mai potuto immaginare. Ma sollecitarlo a parlare di lei poteva peggiorare la situazione precaria in cui si trovavano.

Comprese anche ciò che stava accadendo in quel momento nel suo cervello iperattivo, delle immagini che gli si sovrapponevano e di un luogo che credeva conoscere, ma che subito dopo lo colpiva alle spalle. Erano passati anni da quando un piccolo Stiles, di quell’identica età, era entrato lì dentro, ma i suoi ricordi partivano adiacenti a qualche giorno dopo. Chissà quante volte vi era tornato in seguito e probabilmente con compagnia diversa. Quel supermercato aveva cambiato nome, proprietario e marchio un paio di volte e l’unica cosa che non era mutata era la sua collocazione, ma era qualcosa che l’attuale Stiles, quello tornato cinquenne e completamente dipendente da lui, non poteva sapere. «È come la tua dispensa: magica».

Gli occhi dell’umano si spalancarono e sbigottiti si posarono nei suoi. «Magica?».

«Sì» confermò con convinzione il mutaforma, accennando un microscopico cenno con la testa a sottolineare il concetto. Stiles, in qualsiasi sua forma, poteva essere uno scettico e sempre alla ricerca della verità, ma al mondo fantastico e sovrannaturale non riusciva a sottrarsi, troppo ammaliato ed affascinato da esso. «A volte questi posti cambiano così in fretta che si fatica a stare al loro passo e ci si perde».

«Capita anche a te?» domandò con gli occhioni sempre più grandi e la rassicurazione che lentamente rientrava dentro di lui.

«Sì» decisamente impossibile perdersi per un lupo mannaro, soprattutto se nato come tale; qualcuno avrebbe dovuto fulminarlo per come stava mentendo ad una creatura pura ed ingenua come quella.

Stiles sembrò tranquillizzarsi e prendere un respiro profondo, quasi rincuorato, prima di ritornare vigile e presente. «Possiamo prendere i cereali?» domandò con cortesia e velata supplica fanciullesca.

«Quindi ci servirà anche del latte» constatò in risposta l’uomo, meditando sulla lista che si allungava. Cos’altro avrebbe dovuto prendere?

«Il latte aiuta a crescere» recitò come un perfetto adulto il bambino, impostandosi correttamente da assomigliare incredibilmente ad uno di loro e credendovi ciecamente.

Gli angoli delle labbra di Derek si curvarono appena verso l’alto, allungando una mano a scompigliargli la folta chioma castana. «Ha lo stesso effetto sui cuccioli».

«Ai gatti piace il latte, grandi e piccini» confessò il figlio dello sceriffo, nell’aneddoto più importante del mondo, godendosi il contatto con la grande e calda mano di Derek, etichettandolo come un premio per la propria sapienza. 

Gatti. La sera prima, nella clinica veterinaria, il bambino ne sembrava completamente innamorato, attratto soprattutto da quelli burberi e poco socievoli, che soffiavano davanti a tutti quelli che si avvicinavano troppo, ma che si abbandonavano al dolce contatto di Stiles. Aveva una snodata passione per loro? «Anche ai lupacchiotti» non era intenzionale. Non del tutto, ma sapeva che rivelare una piccola curiosità casuale avrebbe arricchito il sapere del cucciolo d’uomo, alimentando la sua curiosità ed ingigantendo la sua teoria sulle fantasmagoriche facoltà mistiche del latte; era una delle tante cose che gli doveva e non era certo perché sentirlo parlare di gatti lo infastidiva – in nessun universo canidi e felini vivevano in armonia –, ma se poteva ancora sentirlo straparlare e riempirlo di argomenti che poco gli importavano, allora doveva significare che il mondo girava ancora per il verso giusto.

«Mi piacciono i lupi» rivelò un attento Stiles, quasi catturato da quell’insieme di lettere, e la profondità e solennità con cui pronunciò tali parole gelò il sangue del licantropo.

Il tempo sembrò fermarsi per un lungo secondo e Derek apparve colpito e frastornato da quella confessione; quale Stiles stava parlando?

Le perle boscose si incontrarono con quelle di miele con il compito di accertarsi di cosa e chi avesse esattamente davanti, ma si specchiò soltanto in iridi innocenti ed appassionate, quelle tipiche scaturite da grande interesse per il mondo animale. Gli scostò le ciocche castane che gli ricadevano sulle pupille, proprio come aveva fatto quella mattina, e quelli erano gli occhi con cui Stiles guardava tutto ciò che amava, a qualunque età. «Sono sicuro che anche tu gli piaci» e quella era l’unica confessione che si sarebbe lasciato scappare.

 

Stiles gli passava diligentemente pezzo dopo pezzo tutto ciò che avevano acquistato e che era presente all’interno delle buste, seduto comodamente sul ripiano di marmo scuro vicino ai fornelli e sotto i vari mobiletti della cucina; muoveva le gambette sospese nel vuoto ad un ritmo che Derek non era ancora riuscito ad intercettare e sorrideva ad ogni oggetto che gli consegnava, divertito dal cercare dentro i sacchetti di carta e ricordare perfettamente ciò che era stato comprato.

Il portellone scorrevole fu aperto ed un tocco di nocche leggero si ripercosse sulla grande stanza. «Possiamo entrare o disturbiamo le vostre faccende? Oh, faccende domestiche, questo è qualcosa che non mi sarei mai aspettata» disse con voce divertita ed ironica la cacciatrice, varcando la soglia e dirigendosi verso l’angolo dedicato alla cucina.

«Ally!» esclamò entusiasta il bambino quando la ragazza entrò nel suo campo d’azione, scendendo in fretta dal bancone con un salto rapido e fiondandosi verso di lei.

«Ciao, bellissimo» salutò con vigore e con lo stesso entusiasmo la mora, prendendolo in braccio al volo e tenendolo il più saldo possibile. «Come si sta comportando il nostro lupo cattivo?».

Scatenò l’ilarità di Stiles quando provò a sbranarlo con i denti bianchi, emettendo dei suoni gracchianti che volevano imitare i ruggiti, ma riproducendoli fin troppo dolci e simpatici. «Mi ha comprato i miei cereali preferiti».

«Oh, allora ti vizia» proferì teatralmente la ragazza, interpretando la risposta del bambino come positiva ed incoraggiante.

«Ciao, Stiles» subentrò la figura posta vicino a loro e che fino a quel momento era stata ignorata – non propriamente una sua caratteristica.

Stiles si sentì chiamare in causa e la sua attenzione fu portata alla sua destra, dove figurava una ragazza rossa e bellissima che gli sorrideva ammiccando. Si irrigidì nell’abbraccio di Allison, diventando improvvisamente pesante.

«Lei è Lydia» si sentì in dovere di presentare la cacciatrice, spezzando quell’aria insolita che era scesa e che ormai caratterizzava lo Stiles di cinque anni poco incline ad interagire con gli altri. «C’era anche lei con noi ieri».

Il cucciolo la guardò con tanto d’occhi, intensamente e quasi studiandola, ma senza abbassare il suo scudo e la titubanza che aveva.

«Puoi salutarla» intervenne prontamente il licantropo quando ebbe riposto l’ultimo oggetto che il figlio dello sceriffo gli aveva consegnato poco prima.

Stiles si voltò verso di lui, verificando l’autenticità di quella risposta e cullato dal morbido abbraccio di Allison che lo tranquillizzava e lo sollecitava, promettendogli una via senza conseguenze. «Ciao» farfugliò con ancora quella titubanza ed incertezza, creando una piccola morsa ferita al cuore della banshee.

Lydia abbozzò un sorriso di circostanza ed il suo occhio cadde sulle buste della spesa svuotate per metà, che non contenevano ciò che serviva davvero, e le attuali condizioni del minore degli Stilinski. «Scommetto che non ha acquistato nulla per renderlo presentabile» articolò con finto sdegno, inveendo contro la poca attenzione del lupo.

«Avrei provveduto più tardi» rispose con secchezza l’uomo, già annoiato e scocciato dalla presenza delle ragazze.

«Prendi i pacchi che sono in auto» ordinò la rossa con la sua caratteristica autorità, indicando con l’indice verso il basso.

Derek la guardò dubbioso e si voltò verso la mora che ancora stringeva il bambino in un cauto abbraccio, cercandovi una spiegazione più esaustiva. «Ehm… ha comprato qualcosina» farfugliò enigmatica la cacciatrice, imporporando appena le gote.

«Qualcosina quanto?» domandò il mutaforma con sospetto, inarcando un sopracciglio accusatore.

«Bando alle ciance, lupastro. Vai e torna vittorioso» intervenne la bionda fragola, poco disponibile al dialogo, ma ai fatti, premendo perché uscisse dal loft e compiesse il suo dovere.

Derek la guardò in cagnesco ed infastidito si diresse a passo spedito verso il parcheggio. «Prendi tutto» ordinò ancora la banshee e benché nessuno di loro possedesse sensi sviluppati pari a quelli dei licantropi, lo sbuffo ed il ringhio dell’uomo li udirono tutti.

Derek tornò sopra pochi minuti dopo, stracolmo di pacchi e pacchetti e con lo sguardo fortemente irritato. «Non è una sfilata, Lydia».

«Sciocchezze» semplificò la bionda fragola, strappandogli qualche sacchetto e posizionandolo davanti ad uno Stiles confuso, che aveva finalmente rimesso i piedi per terra e riposto tutta la spesa nella dispensa insieme alla mora. «Stiles merita il meglio, soprattutto se è costretto a vivere con te».

«E credi che riempirlo di vestiti lo aiuti?» chiese il mannaro con rimprovero, non favorevole ad abbassarsi al suo livello.

«Meglio di quegli stracci che tiene ancora. Perché non li hai bruciati?» disse la banshee con sdegno, inorridita dai vecchi abiti che si erano procurati alla clinica veterinaria.

«L’avrei fatto più tardi» rincarò la dose il moro, sottolineando una questione che avevano già affrontato e che faceva emergere la frettolosità della rossa.

Allison era un po’ preoccupata per quello strano battibecco che i due stavano affrontando, soprattutto perché nel branco erano quelli che avevano meno interazioni tra loro; il loro anello congiuntivo era sempre stato Stiles, il resto era solo uno scenario sfocato – Peter era semplicemente una conseguenza.

Stiles. Era sempre e solo di Stiles che si parlava.

La cacciatrice buttò un’occhiata al pargolo che li guardava con dubbio e che lentamente si avvicinava ai pacchi che Derek aveva abbandonato ai propri piedi, sfiorandoli appena ed aprendo soltanto piccoli spirargli. «Sono per me?» chiese con incertezza ed impressionante sorpresa, ingigantendo gli occhi immensi e posandoli su entrambi.

Derek e Lydia si fermarono improvvisamente, chiamati in causa ed abbassando il capo sull’esserino che li guardava dal basso. Allison li vide impreparati per la prima volta davanti a quelle iridi di ambra pura. «Sì, sono per te» confermò la banshee con sicurezza e con una nota incredibilmente morbida.

Stiles la osservò intensamente dentro le gemme di smeraldo per poi spostare lo sguardo sui sacchetti del centro commerciale, indeciso su come procedere.

«Puoi accettarli» disse la creatura della notte con fermezza, cogliendo la sua preoccupazione e dubbio, quando il silenzio era sceso e nessuno sapeva come agire per incoraggiarlo. «Sono tuoi. Un regalo».

«Un regalo?» ripeté il figlio dello sceriffo più a se stesso che ai suoi interlocutori, cadendo in un limbo a cui nessuno di loro aveva accesso. «Non ne ho mai avuti così tanti».

Lydia si irrigidì ed Allison rimase in apnea per qualche attimo.

Derek al contrario di Stiles ne aveva sempre ricevuti a tonnellate, da più gente di cui potesse ricordare e molti di loro non esistevano nemmeno più. Non era mai stato restio dall’accettarli o modesto o così provato dal prenderli con sé, non si era posto il problema che fosse una scortesia o qualcosa di troppo, non si era nemmeno mai domandato se per chi glielo avesse fatto rappresentasse una spesa eccessiva. Ma era risaputo quanto loro due appartenessero ad altrettanti mondi diversi, in cui uno era fin troppo popolato e nell’altro esisteva una cerchia talmente piccola che si estendeva ai soli membri abitanti nella casa familiare ed a pochi altri che la costituivano all’esterno. La morale voleva che entrambi avessero perso quei mondi. «Sono tuoi» ripeté con più accuratezza ed incisione, piegandosi sulle gambe e portandosi all’altezza dei suoi occhi, sfiorandogli il nasino in una carezza leggera verso l’alto ed invitandolo a prestargli attenzione. «Puoi accettarli tranquillamente, lei vuole che li abbia tu».

Stiles esitò ancora per un momento, guardando la nuova ragazza come per accertarsi che fosse vero e che potesse andarle bene. «Okay» sillabò con accettazione, accompagnando quell’unica parola con un nuovo cenno positivo del capo. «Grazie».

La banshee restò interdetta a quella scena e da quel ringraziamento, ma la cosa che più la lasciava allibita era il tipo di rapporto che si stava istaurando tra Stiles e Derek, senza barriere e giochi confusionali che lo schermasse. «Non c’è di che».

«Bravo» convenne la creatura della notte a premiare l’azione appena compiuta ed il passo gigante di cui era stato testimone, affondandogli una mano nelle ciocche di capelli e scompigliandole con attenzione. Stiles gli sorrise incoraggiato, assaporando completamente quel contatto che gli veniva donato.

«Che ne dici di provare qualcosa?» propose entusiasta la cacciatrice, indicando varie buste di carta.

Il bambino inclinò appena la testa guardando la miriade di sacchetti, come se potesse scrutarli dal di fuori. «Sembra tutto molto rosso».

Allison ridacchiò, avvicinandosi con un balzo ed agguantandolo da dietro, infilandogli a tradimento una felpa rossa, con cappuccio annesso, della sua taglia. «Certo, perché sei il nostro Cappuccetto Rosso personale che vive tra le fauci del lupo cattivo» e mentre lo diceva con una teatralità che nessuno dei ragazzi conosceva in lei, creando divertimento nel bambino ed invitandolo ad un gioco continuo, il cappuccio gli cadde sulla testa, coprendogli le perle mielate, innescando ilarità e stravaganza appropriata alla scena.

Attimi dopo Derek si ritrovò la casa piena di suoni e rumori graffianti, vestiti sparsi dappertutto e con Stiles ed Allison che scappavano da una Lydia che li riprendeva per il pessimo accostamento di colori, scelti accuratamente per farla uscire dai gangheri. Derek aveva già mal di testa e la giornata era ancora lunga, troppo lunga. Quello che andava bene era la risata spensierata e cristallina di Stiles che echeggiava per l’intero monolocale, sovrastando tutto il resto e che le due ragazze facevano di tutto per non farla affievolire e per preservarla.

 

Improvvisamente il loft appariva più sistemato e pulito da quando erano entrate quelle portatrici di caos, appestandogli tutta la dimora, con i propri cassetti pieni della roba di Stiles e l’armadio che si era ridotto ad una sola metà per ognuno. Non si capacitava ancora di come avessero fatto quelle due ad addentrarsi nella parte più privata del monolocale, spatriandolo dei propri spazi e riordinandoli secondo un loro codice segreto. Certo era che le sue cose erano state indirizzate ad un quarto della loro capienza e tutto il resto apparteneva agli oggetti del bambino. Stiles si era divertito un mondo, Derek molto meno.

Con tutto quel movimento e l’arredamento della casa, il tempo era trascorso abbastanza velocemente – tranne che per l’esasperazione del mutaforma – ed Allison insieme a Stiles si erano appropriati dei fornelli, studiando la dispensa e dispensando consigli vari tra loro, finché non avevano mischiato roba varia e creato una pietanza molto fantasiosa che Derek si rifiutava anche solo di vedere, figurarsi assaggiarla.

In verità Stiles si era limitato a rimanere seduto sul bancone di marmo accanto alla cacciatrice, con annesso di gambette sospese nel vuoto che si muovevano nuovamente a quel ritmo che Derek non aveva ancora interpretato e con Allison che si occupava del loro pranzo improvvisato, prestandogli la sua massima attenzione ed ascoltandolo sproloquiare tranquillamente, interagendo con naturalezza e sostenendo una vera conversazione con lui, dandogli sempre nuovi agganci per non spezzare il suo chiacchiericcio.

Quando la pietanza fu pronta a tavola ed i suoi super sensi lupeschi gli suggerirono candidamente di non odorarla nemmeno, invitandolo ad astenersi da qualsiasi pratica d’assaggio, Allison gli riservò un ghigno saputo ed i candidi e spendenti occhi ambrati si specchiarono nei propri, eccitati ed entusiasti del risultato casalingo che aveva portato – benché fosse tutta farina del sacco della cacciatrice –, guardandolo febbricitante ed impaziente di avere un suo responso, Derek non poté privarsi di dargli quella soddisfazione, spezzando le sue aspettative, quindi fu costretto non soltanto ad addentarlo, ma anche a mangiare qualsiasi cosa quella poltiglia fosse. Stiles gli aveva regalato il sorriso più splendente di tutti, così simile a quello dello Stiles diciasettenne lontano dal sarcasmo che un conato di tristezza lo colse e si chiese quanto giusto fosse averlo con sé. In tutto quello la cacciatrice e la banshee ne risero compiaciute, ignorando l’occhiata in cagnesco che ricevettero in risposta.

La tavola era stata sparecchiata e le stoviglie abbandonate nel lavandino, per essere successivamente lavate, asciugate e riposte e Stiles aveva preso a sbadigliare da un po’, dirigendosi verso il grande divano e mettendovisi proprio al centro, seguito da Derek che si accomodò al suo fianco, mentre stringeva un pugnetto e lo portava su un occhio per cancellare le lacrime di sonnolenza.

«Vuoi dormire un po’?» chiese l’uomo davanti a quel gesto, osservandolo dall’alto.

«Mh, no» mormorò con insofferenza, masticando il nuovo sbadiglio che gli usciva dalla bocca ed asciugandosi l’occhio opposto, strofinando la testa sul fianco del licantropo a smentire quanto detto.

«A-ah, ti credo» lo riprese il mannaro sferzantemente, spostando un arto superiore per lasciargli più accesso.

Stiles mugugnò contrariato ed offeso, accoccolandosi sul lato destro del lupo e nascondendo la testa nel suo braccio per ripararsi dalla luce solare.

«Possiamo andare di là» tentò ancora il licantropo, facendo chiaro riferimento alla parte dell’appartamento allestita come camera da letto.

Il bambino strusciò il capo contro di lui con fare negativo, scivolando verso il basso e sistemandosi meglio. «Voglio rimanere qui».

Derek rimase in silenzio a guardarlo, mentre quello era sempre più pronto a cadere tra le braccia di Morfeo e si rese conto soltanto in quel barlume di lucidità di non aver mai avuto qualcosa di così piccolo a dormire su di lui. «Come vuoi».

«A proposito di dormire, ti abbiamo portato una cosa» disse illuminata la cacciatrice, allontanandosi dal posto in cui era seduta, sul bracciolo appartenente al cuscino in cui soggiornava Lydia, proprio quello successivo a quello dell’umano. Stiles a quella rivelazione aveva spalancato gli occhi con curiosità ed incertezza, seguendo la ragazza nel suo percorso con lo sguardo. Derek non aveva alcun bisogno di sapere cosa fosse, considerando che era stato lui stesso a mandare un messaggio sul cellulare, richiedendola. «Ecco qui, dormirai meglio con questo» affermò Allison quando ritornò, tenendo tra le mani un oggetto a forma rettangolare di svariati centimetri che appariva morbido e confortevole. «Il tuo prezioso cuscino».

Il cucciolo d’uomo sbatté le palpebre varie volte confuso, spostando gli occhi dall’oggetto che gli veniva posto alla ragazza che gli sorrideva dolcemente. «Il mio cuscino?» domandò sovrappensiero, incerto di voler conoscere la risposta.

Allison indugiò un momento a disagio, improvvisamente colta dalla possibilità di aver commesso un errore. «Sì... è il tuo, vero? Non ho sbagliato?».

«Sei stata a casa mia?» chiese con una strana sfumatura incolore, guardandola fissa negli occhi.

«Sì, ti ho portato anche qualche libro dalla tua libreria» asserì la mora con una nota titubante, lanciando un segno di allarme alla rossa.

«Oh» emise con accettazione e sorpresa, mentre gli occhi diventavano vitrei. «Grazie» proferì con distacco, prendendo il cuscino dalle mani della ragazza ed alzandosi dal divano, allontanandosi da loro e procedendo verso la parte opposta del loft.

Allison guardò entrambi con sguardo interrogativo e preoccupato, aspettandosi che uno dei due avesse una vaga idea di cosa fosse successo e se dovesse scusarsi in qualche modo, ma nessuno di loro pronunciò parola e Stiles non si fece rivedere per il resto della giornata. Le ragazze andarono via mezz’ora dopo.

 

Stiles continuò la sua fase di mutismo fino all’ora di cena ed oltre e Derek non riuscì a cavargli una sola parola – non che fosse un esperto –, rimanendo ad osservarlo per tutto il giorno, stretto al suo cuscino che si era trascinato sul letto matrimoniale e sfogliando quei libri che la cacciatrice gli aveva portato, ma che aveva lasciato sul tavolo a portata di mano. Cosa ci facesse esattamente non riusciva a spiegarselo, considerando che era certo che il bambino non sapesse ancora leggere, ma continuava a vederlo mentre girava una pagina dopo l’altra con accuratezza e tentasse di decifrare i loro grandi segreti.

«Vuoi che te li legga?» domandò quando lo vide soffermarsi su un foglio in particolare, strabuzzando gli occhi e fissandolo con attenzione maniacale, rimanendo incantato per qualche attimo di troppo.

«Non oggi» affermò il figlio dello sceriffo con schiettezza, senza distogliere lo sguardo dalla tanto decantata pagina.

In quei momenti gli ricordava eccessivamente lo Stiles che conosceva, quello autodidatta ed autoritario, che con un solo sguardo aveva la capacità di comunicare con lui come nessuno riusciva a fare e che era impossibile distogliere dalla corrente di pensiero in cui cadeva, dove metteva insieme i pezzi di un quadro completo, svelando i misteri che lo tormentavano. A quale stava lavorando in quell’occasione?

«È tardi» dichiarò il mutaforma dopo qualche minuto, interrompendo il momento di concentrazione in cui si era tuffato il piccolo umano.

Stiles voltò la testa verso di lui, riportando gli occhi sul libro e spostandoli ancora sul materasso sotto di sé. Chiuse il volume che stava consultando, poggiandolo insieme agli altri sul comodino improvvisato, infilandosi sotto le lenzuola con tanto di pigiamino già indossato ed unico indumento acquistato dalla creatura della notte stessa.

Derek non fu sorpreso da quell’ubbidienza e dalla capacità che il figlio dello sceriffo avesse di comprendere esattamente cosa intendesse. «Vuoi che resti con te?» chiese nel momento in cui si avvicinò per accertarsi che forse accuratamente al riparo e protetto dagli spifferi.

Il bambino negò vivamente con un movimento del capo, stringendosi al suo cuscino ed affondandovi la testa, scomparendo tra le coperte.

A Derek, davanti quelle spalle voltate ed il dialogo negato, non restò che ritirarsi e dirigersi verso il letto che era appartenuto a Cora, che manteneva ancora il suo odore perché non aveva avuto il tempo di cambiare le lenzuola. Domani. L’indomani poteva essere un giorno migliore, più tranquillo e con l’umore di Stiles che non variava ad ogni alito di vento.

 

Ovviamente i suoi buoni propositi e quella voglia matta che aveva di sprofondare in un sonno restauratore, almeno una volta, non furono ascoltati e per la seconda notte di fila fu strappato dalle braccia di Morfeo dal

sonno agitato e dai lamenti di Stiles.

Un braccio gli cadde sconsolato sugli occhi a coprirli e per un futile attimo si convinse a lasciarlo perdere e ad aspettare che si calmasse da solo. Ma Derek conosceva perfettamente i sogni confusionari ed affannati dell’umano, gli stessi che lo Stiles adolescente faceva e che il lupo aveva vegliato quasi ogni notte in quell’anno nel silenzio delle tenebre. Stiles non si sarebbe mai calmato se qualcosa di esterno e pacificatore non fosse intervenuto o se non si fosse svegliato urlando. Ancora si chiedeva come avessero potuto permettergli di avvicinarsi al loro mondo sovrannaturale senza che avesse la capacità di gestirlo e nella piena consapevolezza che la sua mente lavorava su piani che loro non potevano minimamente raggiungere.

Si vide costretto ad alzarsi dal suo giaciglio caldo e confortevole che lo richiamava a sé, dirigendosi verso il proprio letto, tacitamente consegnato a Stiles.

Sudava freddo e si stringeva al guanciale come unica ancora di salvezza, con le lenzuola tutte strette intorno in un groviglio incomprensibile e la coperta parzialmente caduta sul pavimento. Derek la spostò, riportandola sul materasso e con un tocco leggero scosse i capelli che umidi ricadevano sulla fronte del bambino, liberandolo lentamente e con una cura mai sperimentata dalle grinfie delle lenzuola.

Il cucciolo d’uomo si svegliò all’istante, nel momento in cui il primo ginocchio dell’uomo toccò il letto. «Derek» chiamò quasi in una domanda con la voce trattenuta e spezzata, aprendo le grandi perle di ambrosia ed abbagliandolo, trovandole incredibilmente liquide. Il bambino si guardò intorno, adocchiando la situazione caotica in cui si trovavano ed incontrando il buio della vetrata, in cui non figurava un singolo raggio solare. «Mi dispiace, Der. Non volevo svegliarti».

Der, per poco il lupo cattivo arrancò un colpo a quel suono che mai si sarebbe aspettato di udire. Nessuno da quando aveva memoria aveva usufruito di quell’abbreviazione affettuosa e carica di tenerezza nei suoi riguardi, certamente l’ultimo da cui si aspettava una simile mossa scorretta era proprio Stiles. Lo Stiles adolescente perlomeno, che puntava a qualcosa di più maestoso e carico di acidità, ma l’esserino di cinque anni che gli monopolizzava il letto era probabilmente più affine alla semplicità più estrema.

Der, il diciassettenne non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamarlo con un suono talmente dolce da concretizzare un’intimità soffocata tra loro.

Il piagnucolio e gli occhi sempre più prossimi alle lacrime allarmarono il mutaforma, obbligandolo a muoversi ed a stroncare quel disastro. Lo prese tra le braccia, portandoselo sopra le gambe incrociate sul materasso e adagiandolo con attenzione. «È tutto okay, ero sveglio» mentì spudoratamente, strizzando i capelli zuppi di sudore ed asciugandogli con tenerezza le uniche lacrime che erano incastonate sulle lunghe ciglia.

Stiles inspirò con il naso, singhiozzando e lasciandosi viziare dalle abili mani dell’uomo. «Ma è tardi».

«Sono un animale notturno» confidò segretamente, ma come la più ovvia delle rivelazioni. Non era nemmeno una vera menzogna.

«Un animale notturno» ripeté a se stesso il bambino, immagazzinando il suono di quelle parole ed il loro significato singolo e comune. «Come i lupi?».

Derek fu abbagliato dalle sue iridi di miele che si illuminavano di conoscenza e teorie, la scioltezza con cui pronunciava tutto ciò che gli passava per la testa. Perché vengono fuori i lupi? «Come i lupi».

«Sono morbidi?» chiese dopo un istante di meditazione, allargando i suoi occhioni.

«Perché lo chiedi?» domandò Derek con un sopracciglio innalzato e la perplessità dipinta sul volto.

«Perché hanno una bella pelliccia» affermò con convinzione il figlio dello sceriffo, illuminandosi completamente.

«Sì, è molto bella» convenne come conoscitore supremo di quell’osservazione e scrutandolo successivamente con occhi guardinghi. «Ma non devi toccarli né avvicinarti a loro, sono pericolosi».

«Perché?» chiese ingenuamente il cinquenne inclinando appena la testa sorpreso.

«Potrebbero mangiarti» lo informò con una voluttuosità voluta, sperando di fargli crescere quel senso di allerta e pericolo che spesso e volentieri metteva da parte.

Le iridi dorate lo guardarono con riluttanza e confusione, per poi spostare le pupille su se stesso a osservarsi ed esaminarsi, alzando le braccine in aria e proseguendo ovunque la sua visione periferica arrivasse. «Sono appetitoso?».

Derek mal trattenne quello sbuffo di risa che gli sfuggì dalle labbra, il tutto condito dalla candida e pura uscita del cinquenne, avido di una notizia che non poteva sembrargli possibile. «Per qualcuno potresti esserlo».

«Mh» mormorò pensieroso, portandosi una manina a pugno chiuso sotto il mento, immergendosi in un’aria totalmente riflessiva. «Ma se ne incontrerò uno, ci saresti tu a proteggermi».

La convinzione e la certezza con cui lo disse creò nel mannaro l’ennesima crepa nel cuore. «Non so se ne sarei in grado».

«Perché sei uno di loro?» domandò con spirito d’osservazione il pargolo umano, poco convinto di quell’uscita.

Più si addentravano in quella conversazione più diventava difficile per lui, ma l’inquietudine e l’ansia che erano prevalsi in Stiles, tormentandolo nei suoi sogni, stavano pian piano scemando. «Anche».

«Vuoi mangiami anche tu?» chiese con un’ottava di troppo, spalancando gli occhi colti da un falso pericolo, ma dalla reale possibilità.

Un altro sbuffo, somigliante pericolosamente ad una risata, scappò dalla bocca del licantropo e per vendetta lo issò dalle braccia, avvicinandolo al viso ed addentandogli per scherzo una guancia, strofinando successivamente il naso contro il suo, scatenando un urletto sorpreso e semi allarmato nel cucciolo, per poi scoppiare in piccole risatine gioiose. «No, non ti mangerei mai» non nel modo in cui lo intendi tu.

«Allora va bene, puoi proteggermi» lo tranquillizzò il figlio dello sceriffo con dovizia e con ancora un sorriso pieno sulle labbra, dandogli la sua totale assoluzione e stringendosi nel suo piccolo abbraccio.

Derek gli accarezzò con il dorso delle dita uno zigomo, solleticandogli ancora una volta il setto nasale con il proprio. «Come desideri» e lo sistemò nuovamente sul letto, dal lato più asciutto e sistemato, posizionandolo egregiamente nella parte centrale, lontana dal bordo – parte che spettava a lui – e trascinandosi l’adorato cuscino del bambino.

Stiles si addormentò stretto a lui, incastrandosi perfettamente nella curva creata dal suo corpo, entrandovi completamente, stringendo tra le manine la maglia consumata e fradicia del lupo. Per la seconda volta consecutiva cadde in un sonno profondo, sereno e rappacificatore, trascinandosi il suo coinquilino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui abbiamo un Derek che deve interamente da solo occuparsi di uno Stiles di cinque anni che dipende in tutto e per tutto da lui, uno Stiles che non si smentisce di essere sveglio e troppo consapevole di se stesso e di quello che lo circonda, uno Stiles che ha ogni insicurezza del mondo e che non ha alcuna figura di riferimento se non le associazioni ai suoi ricordi e quella del lupo. Per Derek non è una passeggiata, è impacciato e non ha alcuna idea di come relazionarsi con il pargoletto, ma ha tutta l’intenzione di fare del suo meglio e Stiles apprezza tutti i suoi sforzi.

Ci daranno ancora molto, a settimana prossima,

Antys

   
 
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