3° Capitolo
Stiles si svegliò la mattina successiva sul divano,
in perfetta solitudine.
Gli ci vollero diversi attimi per focalizzare il
luogo in cui si trovava, la giornata appena trascorsa e tutto il ribaltamento
del mondo che conosceva.
Si alzò
quando sentì dei rumori provenire dalla zona cucina abilmente riparata,
mettendo i piedini nudi sul pavimento freddo e dirigendosi verso quella
direzione, stropicciandosi un occhio con un pugnetto e stringendo verso l’alto
la maglia con la mano libera all’altezza della vita, per facilitare i movimenti
delle gambette, trovando Derek a rimettere a posto tutto quello che lui e Cora
avevano lasciato in giro dopo l’abbuffata di mezzanotte ed anche l’unico pasto
che Stiles ricordasse di quella giornata.
Il lupo si
fermò quando entrò nel suo campo percettivo per poi ritornare alle sue
faccende. «Dobbiamo comprare diverse cose».
Comprare delle cose. Era qualcosa che a Stiles suonava molto familiare e quando la voce
gentile di sua madre pronunciava quelle parole, lui si fiondava sulle scale a
vestirsi, pronto per acquisire qualcosa di nuovo e potenzialmente fantastico.
Era sempre un’avventura speciale e senza confini ed a volte si accontentava
semplicemente di poter vedere tutte quelle cose che il mondo aveva da offrire.
Ma in quel
momento sembrava non possedere nemmeno i più semplici degli oggetti e tutto
quello che aveva, era ciò che gli procurava Derek o chi faceva per lui.
Comprare
delle cose in una casa vuota e scura, senza colori e componenti vari a
popolarla, era qualcosa che lasciava Stiles perplesso e confuso, quasi messo in
un piedistallo che non gli era dato vedere. Stiles non era mai stato dentro un
appartamento e non aveva mai visto una casa composta da un’unica grande stanza
e nemmeno così spoglio, come se mancasse la parte più viva che componeva
un’abitazione calda ed accogliente, eppure conosceva piccole case confortevoli
ed impregnate di calore, composte da soli due membri ad abitarle. Tutto quello
che gli suggeriva quel monolocale era la pura solitudine e l’allontanamento dal
mondo esterno.
Solitudine. Comprare delle cose. Era certo che
mancasse un elemento a quell’equazione e che avesse tutti i dati che creavano
la soluzione. Era convinto che quella solitudine non poteva essere vera se
nell’abitazione esisteva qualcun altro e quell’attività piacevole che
comprendeva l’acquistare qualsiasi cosa venisse alla mente andava fatta con più
persone possibili ed affini. «Dov’è lei?».
Il
licantropo si fermò del tutto e dovette voltarsi per capire a chi si riferisse
e vedere le sue grandi iridi ambrate scrutare gli angoli dell’appartamento in
attesa di vedere scorgere qualcuno. «È andata a casa sua» non c’era stato
nessun altro lì, non aveva socializzato con qualcun altro al di fuori di quella
dimora ed esisteva una sola lei al
momento: Cora.
«Oh» emise flebile il bambino, smettendo di cercare.
«Va bene».
Derek dubitava
fortemente che gli andasse bene e il mutismo in cui era caduto era un gran
segno rivelatore, perché lo Stiles che conosceva raramente tendeva a quel
comportamento – e quando accadeva era allarmante – e lui non aveva mai compreso
come avrebbe dovuto muoversi, come agire per farlo uscire e tranquillizzarlo.
Non ne aveva mai avuto il tempo e l’intenzione.
«Dovevi
andare con lei?» chiese all’improvviso il cucciolo d’uomo con un’inclinazione
intraducibile.
L’uomo non
seppe proprio come gli fosse venuta in mente quella possibilità – del tutto
vera –, non una parola era mai stata pronunciata in sua presenza e dubitava ci
fossero tracce in giro, ma le perle di miele erano concentrate in direzione
della porta, alla sua sinistra ed in basso, lì dov’era stato abbandonato il suo
borsone dopo la chiamata di Scott, quello stesso che non aveva neppure potuto
sistemare da qualche parte. I dettagli.
I dettagli erano tutto ciò che Stiles riusciva a vedere e di cui si fidava. «Sì» mentirgli era qualcosa che non si poteva permettere e,
in tutta onestà, non aveva mai avuto bisogno di farlo, perché Stiles riusciva a
fiutare la menzogna meglio di qualsiasi licantropo.
«Perché sei
rimasto?» domandò allora quello con una strana accusa nella voce, non molto
positiva alle orecchie del mutaforma.
«Ho una
questione importante di cui occuparmi» come se avesse potuto semplificare le
cose meglio di così, mostrandosi il più distaccato possibile com’era solito
fare.
Il figlio
dello sceriffo sembrò assimilare il concetto e piegò una gamba all’indietro,
pronto per ritornare su passi immaginari. «È colpa mia» esclamò quando
l’illuminazione ed il sospetto vennero fuori, fondendosi insieme. «È andata via
per colpa mia e tu sei qui perché… perché sei qui?».
«Stiles,
basta» l’autorità nella sua voce risuonò per tutto l’appartamento, eliminando
ogni dubbio sul suo significato. Era possibile che riuscisse a catalizzare
tutti i sensi di colpa del mondo? Che la sua intelligenza gli facesse capire
cos’era reale e cosa andasse storto? O era semplicemente la sua inclinazione di
bambino?
Stiles
tacque mordendosi le labbra, forzato a non muoverle e pronte per riempire il
suo interlocutore di parole. La battaglia interiore era così grande ed
eclatante che Derek poteva sentire ogni fremito mal trattenuto ed il suo dolore
diveniva il proprio. «Non piaccio a nessuno, per la gente sono strano, troppo
rumoroso, troppo agitato e troppo veloce; nessuno mi vuole intorno e nemmeno
lei».
Le
caratteristiche che aveva citato nella sua semplicità erano tutte vere ed avevano
il potere di rispecchiarlo con facilità, ma non traducevano nemmeno un quarto
di ciò che rappresentava Stiles. «Sei straordinario».
Il cucciolo
d’uomo incespicò e le grandi iridi caramellate si ingigantirono, depositandosi
in quelle di giada. «Cosa?» chiese sbalordito e confuso.
«Lo sei»
disse il lupo con convinzione, avvicinandosi a lui e portandosi alla sua
altezza. «Sei davvero straordinario e gli altri, la gente, non è sveglia quanto
te per riuscire a capirti» con la punta delle dita gli scostò i capelli ramati
che gli cadevano sulle perle di miele, asciugandogli successivamente le gocce
che gli si erano incastonate tra le ciglia chiare, cancellandole via con una
delicatezza tale da non poter appartenere ad alcuna creatura della notte. «Cora
ti è molto affezionata, in modi che non puoi ancora comprendere e piaci a molte
persone. Tutte quelle che hai conosciuto ieri sono tue amiche».
«Davvero?»
domandò il bambino con titubanza, meravigliato e sconcertato davanti a qualcosa
che non aveva mai immaginato.
«Sì, e ce
ne sono molte altre» e ci sono state.
Se Erica fosse stata ancora con loro avrebbe adorato quelle sembianze
dell’umano, avrebbe fatto di tutto per non perdersele e si sarebbe goduta ogni
attimo. Sarebbe stata pazza di lui come lo era sempre. Boyd
avrebbe probabilmente sbuffato annoiato, nascondendosi dietro la sua
impassibilità, ma sarebbe stato conquistato all’istante dal piccolo Stiles. E
Jackson? Quello sì che sarebbe stato uno spettacolo interessante a cui
assistere.
Il figlio
dello sceriffo annuì con il capo a qualcosa di cui Derek non era certo e poi si
concentrò nuovamente su di lui non contento. «Ma Cora è andata via e tu sei
ancora qui».
Perché sei incastrato con me, quelle probabilmente sarebbero state le parole di uno Stiles con un
vocabolario più arricchito e con una maggiore consapevolezza. «Aveva bisogno di
tornare a casa sua ed io è qui che voglio stare» una volta non si sarebbe mai
sognato di pensarlo, ancora meno di dirlo, la cosa sconvolgente era che rappresentava
l’autentica verità. «Invece di salutarmi, mi ha bacchettato per via della
dispensa vuota».
Stiles
ridacchiò deliziato ed immaginandosi la scena, aumentando l’ilarità. «La mia è
sempre piena, come per magia».
«Lo era
anche la mia» un velo di malinconia gli sfuggì dalla voce e lo notò appena.
Al
contrario Stiles sembrò intercettare quella nota stonata e gli occhi si
posarono nuovamente sull’ambiente spoglio intorno a lui, quello stesso che gli
suggeriva la piena solitudine. «Vado a vestirmi» pronunciò senza inciampare nel
tempo, spezzando quell’aria pittoresca dalle sfumature nostalgiche e dolorose.
Derek
rimase esattamente nella stessa posizione dove il bambino l’aveva lasciato, con
lo sconcerto della sua perspicacia.
Quando
entrarono al supermercato, prendendo un carello e mettendovi Stiles al suo
interno per sicurezza, il suo mutismo, conosciuto quella mattina, era
addirittura aumentato e guardava la struttura come un’estranea e la più
terribile delle traditrici.
Derek aveva
riempito il carello con vari prodotti senza ricevere alcuna parola dal suo
piccolo accompagnatore, dandogli il tempo di assimilare la situazione e il
luogo. A volte si era fermato per mostrarglieli, aspettando una sua valutazione
o approvazione, ma il bambino era parecchio distante e l’uomo si ritrovava a
dover fare da sé. Forse Cora avrebbe saputo gestirlo meglio, distraendolo e
diventando la sua complice, insieme ad una Allison che sarebbe venuta a capo
del problema. Come avevano potuto dare per scontato che un lupo scorbutico come
lui e poco affine alla socializzazione potesse occuparsi a tempo pieno di un
esserino di cinque anni? «Stiles, cosa c’è?» chiese dopo qualche minuto e
all’ennesimo assenteismo da parte dell’altro.
Stiles
parve non udirlo e rimase a guardarsi indietro. «È tutto diverso».
Il mannaro
credette di crollare.
«L’altro
giorno ero qui con la mia-» si bloccò nell’immediato come punto sul vivo,
facendo un impercettibile passo indietro nel carello. «Ma adesso è tutto… sono
cambiati i posti, i colori sono sbagliati e sembra tutto nuovo».
Derek
l’aveva notato, era impossibile non farlo, ma da quando aveva chiesto di sua
madre la prima volta, al loro primissimo incontro, non aveva più pronunciato il
suo nome ed aveva il terribile sospetto che nella mente del bambino esistessero
più scenari di quanti lui avrebbe mai potuto immaginare. Ma sollecitarlo a
parlare di lei poteva peggiorare la situazione precaria in cui si trovavano.
Comprese
anche ciò che stava accadendo in quel momento nel suo cervello iperattivo,
delle immagini che gli si sovrapponevano e di un luogo che credeva conoscere,
ma che subito dopo lo colpiva alle spalle. Erano passati anni da quando un
piccolo Stiles, di quell’identica età, era entrato lì dentro, ma i suoi ricordi
partivano adiacenti a qualche giorno dopo. Chissà quante volte vi era tornato
in seguito e probabilmente con compagnia diversa. Quel supermercato aveva
cambiato nome, proprietario e marchio un paio di volte e l’unica cosa che non
era mutata era la sua collocazione, ma era qualcosa che l’attuale Stiles,
quello tornato cinquenne e completamente dipendente da lui, non poteva sapere.
«È come la tua dispensa: magica».
Gli occhi
dell’umano si spalancarono e sbigottiti si posarono nei suoi. «Magica?».
«Sì» confermò con convinzione il mutaforma, accennando
un microscopico cenno con la testa a sottolineare il concetto. Stiles, in
qualsiasi sua forma, poteva essere uno scettico e sempre alla ricerca della
verità, ma al mondo fantastico e sovrannaturale non riusciva a sottrarsi,
troppo ammaliato ed affascinato da esso. «A volte questi posti cambiano così in
fretta che si fatica a stare al loro passo e ci si perde».
«Capita
anche a te?» domandò con gli occhioni sempre più grandi e la rassicurazione che
lentamente rientrava dentro di lui.
«Sì» decisamente impossibile perdersi per un lupo
mannaro, soprattutto se nato come tale; qualcuno avrebbe dovuto fulminarlo per
come stava mentendo ad una creatura pura ed ingenua come quella.
Stiles
sembrò tranquillizzarsi e prendere un respiro profondo, quasi rincuorato, prima
di ritornare vigile e presente. «Possiamo prendere i cereali?» domandò con
cortesia e velata supplica fanciullesca.
«Quindi ci
servirà anche del latte» constatò in risposta l’uomo, meditando sulla lista che
si allungava. Cos’altro avrebbe dovuto prendere?
«Il latte
aiuta a crescere» recitò come un perfetto adulto il bambino, impostandosi
correttamente da assomigliare incredibilmente ad uno di loro e credendovi
ciecamente.
Gli angoli
delle labbra di Derek si curvarono appena verso l’alto, allungando una mano a
scompigliargli la folta chioma castana. «Ha lo stesso effetto sui cuccioli».
«Ai gatti
piace il latte, grandi e piccini» confessò il figlio dello sceriffo,
nell’aneddoto più importante del mondo, godendosi il contatto con la grande e
calda mano di Derek, etichettandolo come un premio per la propria
sapienza.
Gatti. La sera
prima, nella clinica veterinaria, il bambino ne sembrava completamente
innamorato, attratto soprattutto da quelli burberi e poco socievoli, che
soffiavano davanti a tutti quelli che si avvicinavano troppo, ma che si
abbandonavano al dolce contatto di Stiles. Aveva una snodata passione per loro?
«Anche ai lupacchiotti» non era intenzionale. Non del tutto, ma sapeva che
rivelare una piccola curiosità casuale avrebbe arricchito il sapere del
cucciolo d’uomo, alimentando la sua curiosità ed ingigantendo la sua teoria
sulle fantasmagoriche facoltà mistiche del latte; era una delle tante cose che
gli doveva e non era certo perché sentirlo parlare di gatti lo infastidiva – in
nessun universo canidi e felini vivevano in armonia –, ma se poteva ancora
sentirlo straparlare e riempirlo di argomenti che poco gli importavano, allora
doveva significare che il mondo girava ancora per il verso giusto.
«Mi
piacciono i lupi» rivelò un attento Stiles, quasi catturato da quell’insieme di
lettere, e la profondità e solennità con cui pronunciò tali parole gelò il
sangue del licantropo.
Il tempo
sembrò fermarsi per un lungo secondo e Derek apparve colpito e frastornato da
quella confessione; quale Stiles stava parlando?
Le perle
boscose si incontrarono con quelle di miele con il compito di accertarsi di
cosa e chi avesse esattamente
davanti, ma si specchiò soltanto in iridi innocenti ed appassionate, quelle
tipiche scaturite da grande interesse per il mondo animale. Gli scostò le
ciocche castane che gli ricadevano sulle pupille, proprio come aveva fatto
quella mattina, e quelli erano gli occhi con cui Stiles guardava tutto ciò che
amava, a qualunque età. «Sono sicuro che anche tu gli piaci» e quella era
l’unica confessione che si sarebbe lasciato scappare.
Stiles gli
passava diligentemente pezzo dopo pezzo tutto ciò che avevano acquistato e che
era presente all’interno delle buste, seduto comodamente sul ripiano di marmo
scuro vicino ai fornelli e sotto i vari mobiletti della cucina; muoveva le
gambette sospese nel vuoto ad un ritmo che Derek non era ancora riuscito ad
intercettare e sorrideva ad ogni oggetto che gli consegnava, divertito dal
cercare dentro i sacchetti di carta e ricordare perfettamente ciò che era stato
comprato.
Il
portellone scorrevole fu aperto ed un tocco di nocche leggero si ripercosse
sulla grande stanza. «Possiamo entrare o disturbiamo le vostre faccende? Oh,
faccende domestiche, questo è qualcosa che non mi sarei mai aspettata» disse
con voce divertita ed ironica la cacciatrice, varcando la soglia e dirigendosi
verso l’angolo dedicato alla cucina.
«Ally!» esclamò entusiasta il bambino quando la ragazza
entrò nel suo campo d’azione, scendendo in fretta dal bancone con un salto
rapido e fiondandosi verso di lei.
«Ciao,
bellissimo» salutò con vigore e con lo stesso entusiasmo la mora, prendendolo
in braccio al volo e tenendolo il più saldo possibile. «Come si sta comportando
il nostro lupo cattivo?».
Scatenò
l’ilarità di Stiles quando provò a sbranarlo con i denti bianchi, emettendo dei
suoni gracchianti che volevano imitare i ruggiti, ma riproducendoli fin troppo
dolci e simpatici. «Mi ha comprato i miei cereali preferiti».
«Oh, allora
ti vizia» proferì teatralmente la ragazza, interpretando la risposta del
bambino come positiva ed incoraggiante.
«Ciao,
Stiles» subentrò la figura posta vicino a loro e che fino a quel momento era
stata ignorata – non propriamente una sua caratteristica.
Stiles si
sentì chiamare in causa e la sua attenzione fu portata alla sua destra, dove
figurava una ragazza rossa e bellissima che gli sorrideva ammiccando. Si
irrigidì nell’abbraccio di Allison, diventando improvvisamente pesante.
«Lei è
Lydia» si sentì in dovere di presentare la cacciatrice, spezzando quell’aria
insolita che era scesa e che ormai caratterizzava lo Stiles di cinque anni poco
incline ad interagire con gli altri. «C’era anche lei con noi ieri».
Il cucciolo
la guardò con tanto d’occhi, intensamente e quasi studiandola, ma senza
abbassare il suo scudo e la titubanza che aveva.
«Puoi
salutarla» intervenne prontamente il licantropo quando ebbe riposto l’ultimo
oggetto che il figlio dello sceriffo gli aveva consegnato poco prima.
Stiles si
voltò verso di lui, verificando l’autenticità di quella risposta e cullato dal
morbido abbraccio di Allison che lo tranquillizzava e lo sollecitava, promettendogli
una via senza conseguenze. «Ciao» farfugliò con ancora
quella titubanza ed incertezza, creando una piccola morsa ferita al cuore della
banshee.
Lydia
abbozzò un sorriso di circostanza ed il suo occhio cadde sulle buste della
spesa svuotate per metà, che non contenevano ciò che serviva davvero, e le
attuali condizioni del minore degli Stilinski. «Scommetto che non ha acquistato
nulla per renderlo presentabile» articolò con finto sdegno, inveendo contro la
poca attenzione del lupo.
«Avrei
provveduto più tardi» rispose con secchezza l’uomo, già annoiato e scocciato
dalla presenza delle ragazze.
«Prendi i
pacchi che sono in auto» ordinò la rossa con la sua caratteristica autorità,
indicando con l’indice verso il basso.
Derek la
guardò dubbioso e si voltò verso la mora che ancora stringeva il bambino in un
cauto abbraccio, cercandovi una spiegazione più esaustiva. «Ehm… ha comprato
qualcosina» farfugliò enigmatica la cacciatrice, imporporando appena le gote.
«Qualcosina quanto?» domandò il mutaforma
con sospetto, inarcando un sopracciglio accusatore.
«Bando alle
ciance, lupastro. Vai e
torna vittorioso» intervenne la bionda fragola, poco disponibile al dialogo, ma
ai fatti, premendo perché uscisse dal loft e compiesse il suo dovere.
Derek la
guardò in cagnesco ed infastidito si diresse a passo spedito verso il
parcheggio. «Prendi tutto» ordinò ancora la banshee e benché nessuno di loro
possedesse sensi sviluppati pari a quelli dei licantropi, lo sbuffo ed il
ringhio dell’uomo li udirono tutti.
Derek tornò
sopra pochi minuti dopo, stracolmo di pacchi e pacchetti e con lo sguardo
fortemente irritato. «Non è una sfilata, Lydia».
«Sciocchezze»
semplificò la bionda fragola, strappandogli qualche sacchetto e posizionandolo
davanti ad uno Stiles confuso, che aveva finalmente rimesso i piedi per terra e
riposto tutta la spesa nella dispensa insieme alla mora. «Stiles merita il
meglio, soprattutto se è costretto a vivere con te».
«E credi
che riempirlo di vestiti lo aiuti?» chiese il mannaro con rimprovero, non
favorevole ad abbassarsi al suo livello.
«Meglio di
quegli stracci che tiene ancora. Perché non li hai bruciati?» disse la banshee
con sdegno, inorridita dai vecchi abiti che si erano procurati alla clinica
veterinaria.
«L’avrei
fatto più tardi» rincarò la dose il moro, sottolineando una questione che
avevano già affrontato e che faceva emergere la frettolosità della rossa.
Allison era
un po’ preoccupata per quello strano battibecco che i due stavano affrontando,
soprattutto perché nel branco erano quelli che avevano meno interazioni tra
loro; il loro anello congiuntivo era sempre stato Stiles, il resto era solo uno
scenario sfocato – Peter era semplicemente una conseguenza.
Stiles. Era
sempre e solo di Stiles che si parlava.
La
cacciatrice buttò un’occhiata al pargolo che li guardava con dubbio e che
lentamente si avvicinava ai pacchi che Derek aveva abbandonato ai propri piedi,
sfiorandoli appena ed aprendo soltanto piccoli spirargli. «Sono per me?» chiese
con incertezza ed impressionante sorpresa, ingigantendo gli occhi immensi e
posandoli su entrambi.
Derek e
Lydia si fermarono improvvisamente, chiamati in causa ed abbassando il capo
sull’esserino che li guardava dal basso. Allison li vide impreparati per la
prima volta davanti a quelle iridi di ambra pura. «Sì, sono per te» confermò la
banshee con sicurezza e con una nota incredibilmente morbida.
Stiles la
osservò intensamente dentro le gemme di smeraldo per poi spostare lo sguardo
sui sacchetti del centro commerciale, indeciso su come procedere.
«Puoi
accettarli» disse la creatura della notte con fermezza, cogliendo la sua
preoccupazione e dubbio, quando il silenzio era sceso e nessuno sapeva come
agire per incoraggiarlo. «Sono tuoi. Un regalo».
«Un
regalo?» ripeté il figlio dello sceriffo più a se
stesso che ai suoi interlocutori, cadendo in un limbo a cui nessuno di loro
aveva accesso. «Non ne ho mai avuti così tanti».
Lydia si
irrigidì ed Allison rimase in apnea per qualche attimo.
Derek al
contrario di Stiles ne aveva sempre ricevuti a tonnellate, da più gente di cui
potesse ricordare e molti di loro non esistevano nemmeno più. Non era mai stato
restio dall’accettarli o modesto o così provato dal prenderli con sé, non si
era posto il problema che fosse una scortesia o qualcosa di troppo, non si era
nemmeno mai domandato se per chi glielo avesse fatto rappresentasse una spesa
eccessiva. Ma era risaputo quanto loro due appartenessero ad altrettanti mondi
diversi, in cui uno era fin troppo popolato e nell’altro esisteva una cerchia
talmente piccola che si estendeva ai soli membri abitanti nella casa familiare
ed a pochi altri che la costituivano all’esterno. La morale voleva che entrambi
avessero perso quei mondi. «Sono tuoi» ripeté con più accuratezza ed incisione,
piegandosi sulle gambe e portandosi all’altezza dei suoi occhi, sfiorandogli il
nasino in una carezza leggera verso l’alto ed invitandolo a prestargli
attenzione. «Puoi accettarli tranquillamente, lei vuole che li abbia tu».
Stiles
esitò ancora per un momento, guardando la nuova ragazza come per accertarsi che
fosse vero e che potesse andarle bene. «Okay» sillabò con accettazione,
accompagnando quell’unica parola con un nuovo cenno positivo del capo.
«Grazie».
La banshee
restò interdetta a quella scena e da quel ringraziamento, ma la cosa che più la
lasciava allibita era il tipo di rapporto che si stava istaurando tra Stiles e
Derek, senza barriere e giochi confusionali che lo schermasse. «Non c’è di
che».
«Bravo»
convenne la creatura della notte a premiare l’azione appena compiuta ed il
passo gigante di cui era stato testimone, affondandogli una mano nelle ciocche
di capelli e scompigliandole con attenzione. Stiles gli sorrise incoraggiato,
assaporando completamente quel contatto che gli veniva donato.
«Che ne
dici di provare qualcosa?» propose entusiasta la cacciatrice, indicando varie
buste di carta.
Il bambino
inclinò appena la testa guardando la miriade di sacchetti, come se potesse
scrutarli dal di fuori. «Sembra tutto molto rosso».
Allison
ridacchiò, avvicinandosi con un balzo ed agguantandolo da dietro, infilandogli
a tradimento una felpa rossa, con cappuccio annesso, della sua taglia. «Certo,
perché sei il nostro Cappuccetto Rosso personale che vive tra le fauci del lupo
cattivo» e mentre lo diceva con una teatralità che nessuno dei ragazzi
conosceva in lei, creando divertimento nel bambino ed invitandolo ad un gioco
continuo, il cappuccio gli cadde sulla testa, coprendogli le perle mielate,
innescando ilarità e stravaganza appropriata alla scena.
Attimi dopo
Derek si ritrovò la casa piena di suoni e rumori graffianti, vestiti sparsi
dappertutto e con Stiles ed Allison che scappavano da una Lydia che li
riprendeva per il pessimo accostamento di colori, scelti accuratamente per
farla uscire dai gangheri. Derek aveva già mal di testa e la giornata era
ancora lunga, troppo lunga. Quello che andava bene era la risata spensierata e
cristallina di Stiles che echeggiava per l’intero monolocale, sovrastando tutto
il resto e che le due ragazze facevano di tutto per non farla affievolire e per
preservarla.
Improvvisamente
il loft appariva più sistemato e pulito da quando erano entrate quelle
portatrici di caos, appestandogli tutta la dimora, con i propri cassetti pieni
della roba di Stiles e l’armadio che si era ridotto ad una sola metà per
ognuno. Non si capacitava ancora di come avessero fatto quelle due ad
addentrarsi nella parte più privata del monolocale, spatriandolo dei propri
spazi e riordinandoli secondo un loro codice segreto. Certo era che le sue cose
erano state indirizzate ad un quarto della loro capienza e tutto il resto
apparteneva agli oggetti del bambino. Stiles si era divertito un mondo, Derek
molto meno.
Con tutto
quel movimento e l’arredamento della casa, il tempo era trascorso abbastanza
velocemente – tranne che per l’esasperazione del mutaforma – ed Allison insieme
a Stiles si erano appropriati dei fornelli, studiando la dispensa e dispensando
consigli vari tra loro, finché non avevano mischiato roba varia e creato una
pietanza molto fantasiosa che Derek si rifiutava anche solo di vedere,
figurarsi assaggiarla.
In verità
Stiles si era limitato a rimanere seduto sul bancone di marmo accanto alla
cacciatrice, con annesso di gambette sospese nel vuoto che si muovevano
nuovamente a quel ritmo che Derek non aveva ancora interpretato e con Allison
che si occupava del loro pranzo improvvisato, prestandogli la sua massima
attenzione ed ascoltandolo sproloquiare tranquillamente, interagendo con
naturalezza e sostenendo una vera conversazione con lui, dandogli sempre nuovi
agganci per non spezzare il suo chiacchiericcio.
Quando la
pietanza fu pronta a tavola ed i suoi super sensi lupeschi gli suggerirono
candidamente di non odorarla nemmeno, invitandolo ad astenersi da qualsiasi
pratica d’assaggio, Allison gli riservò un ghigno saputo ed i candidi e
spendenti occhi ambrati si specchiarono nei propri, eccitati ed entusiasti del
risultato casalingo che aveva portato – benché fosse tutta farina del sacco
della cacciatrice –, guardandolo febbricitante ed impaziente di avere un suo
responso, Derek non poté privarsi di dargli quella soddisfazione, spezzando le
sue aspettative, quindi fu costretto non soltanto ad addentarlo, ma anche a
mangiare qualsiasi cosa quella poltiglia fosse. Stiles gli aveva regalato il
sorriso più splendente di tutti, così simile a quello dello Stiles
diciasettenne lontano dal sarcasmo che un conato di tristezza lo colse e si
chiese quanto giusto fosse averlo con sé. In tutto quello la cacciatrice e la
banshee ne risero compiaciute, ignorando l’occhiata in cagnesco che ricevettero
in risposta.
La tavola
era stata sparecchiata e le stoviglie abbandonate nel lavandino, per essere
successivamente lavate, asciugate e riposte e Stiles aveva preso a sbadigliare
da un po’, dirigendosi verso il grande divano e mettendovisi proprio al centro,
seguito da Derek che si accomodò al suo fianco, mentre stringeva un pugnetto e
lo portava su un occhio per cancellare le lacrime di sonnolenza.
«Vuoi
dormire un po’?» chiese l’uomo davanti a quel gesto, osservandolo dall’alto.
«Mh, no» mormorò con insofferenza, masticando il nuovo
sbadiglio che gli usciva dalla bocca ed asciugandosi l’occhio opposto,
strofinando la testa sul fianco del licantropo a smentire quanto detto.
«A-ah, ti
credo» lo riprese il mannaro sferzantemente, spostando un arto superiore per
lasciargli più accesso.
Stiles
mugugnò contrariato ed offeso, accoccolandosi sul lato destro del lupo e
nascondendo la testa nel suo braccio per ripararsi dalla luce solare.
«Possiamo
andare di là» tentò ancora il licantropo, facendo chiaro riferimento alla parte
dell’appartamento allestita come camera da letto.
Il bambino
strusciò il capo contro di lui con fare negativo, scivolando verso il basso e
sistemandosi meglio. «Voglio rimanere qui».
Derek
rimase in silenzio a guardarlo, mentre quello era sempre più pronto a cadere
tra le braccia di Morfeo e si rese conto soltanto in quel barlume di lucidità
di non aver mai avuto qualcosa di così piccolo a dormire su di lui. «Come
vuoi».
«A
proposito di dormire, ti abbiamo portato una cosa» disse illuminata la
cacciatrice, allontanandosi dal posto in cui era seduta, sul bracciolo
appartenente al cuscino in cui soggiornava Lydia, proprio quello successivo a
quello dell’umano. Stiles a quella rivelazione aveva spalancato gli occhi con
curiosità ed incertezza, seguendo la ragazza nel suo percorso con lo sguardo.
Derek non aveva alcun bisogno di sapere cosa fosse, considerando che era stato
lui stesso a mandare un messaggio sul cellulare, richiedendola. «Ecco qui,
dormirai meglio con questo» affermò Allison quando ritornò, tenendo tra le mani
un oggetto a forma rettangolare di svariati centimetri che appariva morbido e
confortevole. «Il tuo prezioso cuscino».
Il cucciolo
d’uomo sbatté le palpebre varie volte confuso, spostando gli occhi dall’oggetto
che gli veniva posto alla ragazza che gli sorrideva dolcemente. «Il mio
cuscino?» domandò sovrappensiero, incerto di voler conoscere la risposta.
Allison
indugiò un momento a disagio, improvvisamente colta dalla possibilità di aver
commesso un errore. «Sì... è il tuo, vero? Non ho sbagliato?».
«Sei stata
a casa mia?» chiese con una strana sfumatura incolore, guardandola fissa negli
occhi.
«Sì, ti ho
portato anche qualche libro dalla tua libreria» asserì la mora con una nota
titubante, lanciando un segno di allarme alla rossa.
«Oh» emise con accettazione e sorpresa, mentre gli
occhi diventavano vitrei. «Grazie» proferì con distacco, prendendo il cuscino
dalle mani della ragazza ed alzandosi dal divano, allontanandosi da loro e
procedendo verso la parte opposta del loft.
Allison
guardò entrambi con sguardo interrogativo e preoccupato, aspettandosi che uno
dei due avesse una vaga idea di cosa fosse successo e se dovesse scusarsi in
qualche modo, ma nessuno di loro pronunciò parola e Stiles non si fece rivedere
per il resto della giornata. Le ragazze andarono via mezz’ora dopo.
Stiles
continuò la sua fase di mutismo fino all’ora di cena ed oltre e Derek non
riuscì a cavargli una sola parola – non che fosse un esperto –, rimanendo ad
osservarlo per tutto il giorno, stretto al suo cuscino che si era trascinato
sul letto matrimoniale e sfogliando quei libri che la cacciatrice gli aveva
portato, ma che aveva lasciato sul tavolo a portata di mano. Cosa ci facesse esattamente
non riusciva a spiegarselo, considerando che era certo che il bambino non
sapesse ancora leggere, ma continuava a vederlo mentre girava una pagina dopo
l’altra con accuratezza e tentasse di decifrare i loro grandi segreti.
«Vuoi che
te li legga?» domandò quando lo vide soffermarsi su un foglio in particolare,
strabuzzando gli occhi e fissandolo con attenzione maniacale, rimanendo
incantato per qualche attimo di troppo.
«Non oggi»
affermò il figlio dello sceriffo con schiettezza, senza distogliere lo sguardo
dalla tanto decantata pagina.
In quei
momenti gli ricordava eccessivamente lo Stiles che conosceva, quello
autodidatta ed autoritario, che con un solo sguardo aveva la capacità di
comunicare con lui come nessuno riusciva a fare e che era impossibile
distogliere dalla corrente di pensiero in cui cadeva, dove metteva insieme i
pezzi di un quadro completo, svelando i misteri che lo tormentavano. A quale
stava lavorando in quell’occasione?
«È tardi»
dichiarò il mutaforma dopo qualche minuto, interrompendo il momento di
concentrazione in cui si era tuffato il piccolo umano.
Stiles
voltò la testa verso di lui, riportando gli occhi sul libro e spostandoli
ancora sul materasso sotto di sé. Chiuse il volume che stava consultando,
poggiandolo insieme agli altri sul comodino improvvisato, infilandosi sotto le
lenzuola con tanto di pigiamino già indossato ed unico indumento acquistato
dalla creatura della notte stessa.
Derek non
fu sorpreso da quell’ubbidienza e dalla capacità che il figlio dello sceriffo
avesse di comprendere esattamente cosa intendesse. «Vuoi che resti con te?»
chiese nel momento in cui si avvicinò per accertarsi che forse accuratamente al
riparo e protetto dagli spifferi.
Il bambino
negò vivamente con un movimento del capo, stringendosi al suo cuscino ed
affondandovi la testa, scomparendo tra le coperte.
A Derek,
davanti quelle spalle voltate ed il dialogo negato, non restò che ritirarsi e
dirigersi verso il letto che era appartenuto a Cora, che manteneva ancora il
suo odore perché non aveva avuto il tempo di cambiare le lenzuola. Domani. L’indomani poteva essere un
giorno migliore, più tranquillo e con l’umore di Stiles che non variava ad ogni
alito di vento.
Ovviamente
i suoi buoni propositi e quella voglia matta che aveva di sprofondare in un
sonno restauratore, almeno una volta, non furono ascoltati e per la seconda
notte di fila fu strappato dalle braccia di Morfeo dal
sonno
agitato e dai lamenti di Stiles.
Un braccio
gli cadde sconsolato sugli occhi a coprirli e per un futile attimo si convinse
a lasciarlo perdere e ad aspettare che si calmasse da solo. Ma Derek conosceva
perfettamente i sogni confusionari ed affannati dell’umano, gli stessi che lo
Stiles adolescente faceva e che il lupo aveva vegliato quasi ogni notte in
quell’anno nel silenzio delle tenebre. Stiles non si sarebbe mai calmato se
qualcosa di esterno e pacificatore non fosse intervenuto o se non si fosse
svegliato urlando. Ancora si chiedeva come avessero potuto permettergli di
avvicinarsi al loro mondo sovrannaturale senza che avesse la capacità di
gestirlo e nella piena consapevolezza che la sua mente lavorava su piani che
loro non potevano minimamente raggiungere.
Si vide
costretto ad alzarsi dal suo giaciglio caldo e confortevole che lo richiamava a
sé, dirigendosi verso il proprio letto, tacitamente consegnato a Stiles.
Sudava
freddo e si stringeva al guanciale come unica ancora di salvezza, con le
lenzuola tutte strette intorno in un groviglio incomprensibile e la coperta
parzialmente caduta sul pavimento. Derek la spostò, riportandola sul materasso
e con un tocco leggero scosse i capelli che umidi ricadevano sulla fronte del
bambino, liberandolo lentamente e con una cura mai sperimentata dalle grinfie
delle lenzuola.
Il cucciolo
d’uomo si svegliò all’istante, nel momento in cui il primo ginocchio dell’uomo
toccò il letto. «Derek» chiamò quasi in una domanda con la voce trattenuta e
spezzata, aprendo le grandi perle di ambrosia ed abbagliandolo, trovandole
incredibilmente liquide. Il bambino si guardò intorno, adocchiando la
situazione caotica in cui si trovavano ed incontrando il buio della vetrata, in
cui non figurava un singolo raggio solare. «Mi dispiace, Der. Non volevo
svegliarti».
Der, per poco
il lupo cattivo arrancò un colpo a quel suono che mai si sarebbe aspettato di
udire. Nessuno da quando aveva memoria aveva usufruito di quell’abbreviazione
affettuosa e carica di tenerezza nei suoi riguardi, certamente l’ultimo da cui
si aspettava una simile mossa scorretta era proprio Stiles. Lo Stiles
adolescente perlomeno, che puntava a qualcosa di più maestoso e carico di
acidità, ma l’esserino di cinque anni che gli monopolizzava il letto era
probabilmente più affine alla semplicità più estrema.
Der, il
diciassettenne non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamarlo con un suono
talmente dolce da concretizzare un’intimità soffocata tra loro.
Il
piagnucolio e gli occhi sempre più prossimi alle lacrime allarmarono il
mutaforma, obbligandolo a muoversi ed a stroncare quel disastro. Lo prese tra
le braccia, portandoselo sopra le gambe incrociate sul materasso e adagiandolo
con attenzione. «È tutto okay, ero sveglio» mentì spudoratamente, strizzando i
capelli zuppi di sudore ed asciugandogli con tenerezza le uniche lacrime che
erano incastonate sulle lunghe ciglia.
Stiles
inspirò con il naso, singhiozzando e lasciandosi viziare dalle abili mani
dell’uomo. «Ma è tardi».
«Sono un
animale notturno» confidò segretamente, ma come la più ovvia delle rivelazioni.
Non era nemmeno una vera menzogna.
«Un animale
notturno» ripeté a se stesso il bambino,
immagazzinando il suono di quelle parole ed il loro significato singolo e
comune. «Come i lupi?».
Derek fu
abbagliato dalle sue iridi di miele che si illuminavano di conoscenza e teorie,
la scioltezza con cui pronunciava tutto ciò che gli passava per la testa. Perché vengono fuori i lupi? «Come i
lupi».
«Sono
morbidi?» chiese dopo un istante di meditazione, allargando i suoi occhioni.
«Perché lo
chiedi?» domandò Derek con un sopracciglio innalzato e la perplessità dipinta
sul volto.
«Perché
hanno una bella pelliccia» affermò con convinzione il figlio dello sceriffo,
illuminandosi completamente.
«Sì, è
molto bella» convenne come conoscitore supremo di quell’osservazione e
scrutandolo successivamente con occhi guardinghi. «Ma non devi toccarli né
avvicinarti a loro, sono pericolosi».
«Perché?»
chiese ingenuamente il cinquenne inclinando appena la testa sorpreso.
«Potrebbero
mangiarti» lo informò con una voluttuosità voluta, sperando di fargli crescere
quel senso di allerta e pericolo che spesso e volentieri metteva da parte.
Le iridi
dorate lo guardarono con riluttanza e confusione, per poi spostare le pupille
su se stesso a osservarsi ed esaminarsi, alzando le
braccine in aria e proseguendo ovunque la sua visione periferica arrivasse.
«Sono appetitoso?».
Derek mal
trattenne quello sbuffo di risa che gli sfuggì dalle labbra, il tutto condito
dalla candida e pura uscita del cinquenne, avido di una notizia che non poteva
sembrargli possibile. «Per qualcuno potresti esserlo».
«Mh» mormorò pensieroso, portandosi una manina a pugno
chiuso sotto il mento, immergendosi in un’aria totalmente riflessiva. «Ma se ne
incontrerò uno, ci saresti tu a proteggermi».
La
convinzione e la certezza con cui lo disse creò nel mannaro l’ennesima crepa
nel cuore. «Non so se ne sarei in grado».
«Perché sei
uno di loro?» domandò con spirito d’osservazione il pargolo umano, poco
convinto di quell’uscita.
Più si
addentravano in quella conversazione più diventava difficile per lui, ma
l’inquietudine e l’ansia che erano prevalsi in Stiles, tormentandolo nei suoi
sogni, stavano pian piano scemando. «Anche».
«Vuoi
mangiami anche tu?» chiese con un’ottava di troppo, spalancando gli occhi colti
da un falso pericolo, ma dalla reale possibilità.
Un altro
sbuffo, somigliante pericolosamente ad una risata, scappò dalla bocca del
licantropo e per vendetta lo issò dalle braccia, avvicinandolo al viso ed
addentandogli per scherzo una guancia, strofinando successivamente il naso
contro il suo, scatenando un urletto sorpreso e semi allarmato nel cucciolo,
per poi scoppiare in piccole risatine gioiose. «No, non ti mangerei mai» non nel modo in cui lo intendi tu.
«Allora va
bene, puoi proteggermi» lo tranquillizzò il figlio dello sceriffo con dovizia e
con ancora un sorriso pieno sulle labbra, dandogli la sua totale assoluzione e
stringendosi nel suo piccolo abbraccio.
Derek gli
accarezzò con il dorso delle dita uno zigomo, solleticandogli ancora una volta
il setto nasale con il proprio. «Come desideri» e lo sistemò nuovamente sul
letto, dal lato più asciutto e sistemato, posizionandolo egregiamente nella
parte centrale, lontana dal bordo – parte che spettava a lui – e trascinandosi
l’adorato cuscino del bambino.
Stiles si addormentò stretto a lui, incastrandosi
perfettamente nella curva creata dal suo corpo, entrandovi completamente,
stringendo tra le manine la maglia consumata e fradicia del lupo. Per la
seconda volta consecutiva cadde in un sonno profondo, sereno e rappacificatore,
trascinandosi il suo coinquilino.
Qui
abbiamo un Derek che deve interamente da solo occuparsi di uno Stiles di cinque
anni che dipende in tutto e per tutto da lui, uno Stiles che non si smentisce
di essere sveglio e troppo consapevole di se stesso e
di quello che lo circonda, uno Stiles che ha ogni insicurezza del mondo e che
non ha alcuna figura di riferimento se non le associazioni ai suoi ricordi e
quella del lupo. Per Derek non è una passeggiata, è impacciato e non ha alcuna
idea di come relazionarsi con il pargoletto, ma ha tutta l’intenzione di fare
del suo meglio e Stiles apprezza tutti i suoi sforzi.
Ci
daranno ancora molto, a settimana prossima,
Antys