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Autore: Sognatrice_2000    21/11/2018    1 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
Capitoli:
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Elijah

 

 

 

 

Il rumore della porta di casa che sbatte con tonfo secco mi fa balzare sul letto con il cuore in gola, strappandomi bruscamente dal mio sonno.

Lancio un’occhiata alla sveglia sul comodino: segna le tre del mattino. 

Possibile che Kol sia rientrato a casa soltanto adesso, dopo la sua solita uscita con gli amici? 

Ero così stanco che sono crollato questa sera, ma erano soltanto le dieci e mezza e di solito Kol non torna a casa prima di mezzanotte nel migliore dei casi, perciò la preoccupazione non mi aveva nemmeno sfiorato la mente.

Cerco di sempre di imporgli un orario decente per il rientro, ma è in quella fase di ribellione adolescenziale in cui trasgredire le regole è d’obbligo e qualsiasi tentativo di metterlo in riga risulta solo una perdita di tempo.

Abbiamo litigato innumerevoli volte per questo, ma solitamente Kol non è mai rientrato più tardi dell’una. Stavolta ha decisamente superato il limite.

Scosto le coperte e mi metto a sedere sul letto con un sospiro, preparandomi ad affrontare una delle nostre solite discussioni sul coprifuoco.

Infilo le pantofole e scendo piano le scale per non svegliare Freya, Rebekah e Niklaus, che non sembrano essersi accorti del rumore al piano di sotto dato che le loro stanze sono ancora immerse nel silenzio.

Una sagoma si staglia nel buio del soggiorno.

Mi avvicino in punta di piedi e premo la mano sull’interruttore della luce con un movimento fulmineo per coglierlo in flagrante, ma appena la luce artificiale delle lampadine rischiara la stanza mi blocco stupito.

Davanti a me c’è Niklaus, con ancora il giubbotto addosso, i jeans e le scarpe macchiati di erba e fango e il viso arrossato per il freddo, gli occhi terribilmente gonfi come se avesse pianto per ore.

Non appena mi vede sobbalza e abbassa lo sguardo, nascondendo velocemente le mani nelle tasche del giubbotto.

“Che stavi facendo fuori a quest’ora?” Lo guardo confuso, senza capire, la preoccupazione che mi artiglia lo stomaco alla vista del suo volto sofferente. “Rischi di prenderti una polmonite con questo freddo. Come ti salta in mente in andartene in giro per le strade a notte fonda?”

Mi guarda a malapena in faccia, continuando a dondolarsi incerto da un piede all’altro. “Stavo solo… facendo un giro qui intorno. Non riuscivo a dormire.”

“Tutto bene?” Posso leggere chiaramente l’angoscia sul suo viso, per me Niklaus è sempre stato un libro aperto, nonostante i suoi sforzi per dissimulare e nascondere le sue emozioni. Ma non voglio forzarlo a confidarsi con me, vorrei solo alleviare un po’ di quella sofferenza che sembra logorarlo dall’interno.

“Sembri Kol quando perde una partita e si sforza di fare la faccia da coraggioso.” Scherzo, nella speranza di strappargli almeno un debole sorriso.

Niklaus si sforza di ridere alla mia battuta, ma i suoi occhi rimangono cupi, infinitamente tristi.

“Dimmi cosa c’è che non va.” Provo di nuovo, cercando di far suonare rassicurante la mia voce.

Lui fa un sospiro breve e intenso e scuote la testa guardando il pavimento. “Niente, sai, pensavo solo… al futuro.”

Mi sforzo di mantenere un tono leggero, anche se sto cominciando a capire a cosa si riferisce.

“Piuttosto vasto come argomento, per essere le tre di mattina. Qualche momento più specifico?”

“Più o meno la parte in cui questa storia finirà. Perché sappiamo entrambi che finirà, Elijah. È come una bomba ad orologeria; è solo questione di tempo prima che esploda, ma un giorno esploderà, e cancellerà ogni cosa intorno a sé. Abbiamo tutto il mondo contro.” La sua voce è ridotta ad un sussurro angosciato. “Come… come possiamo farcela se abbiamo l’intero mondo contro di noi?

Il suo improvviso sfogo carico di amarezza mi lascia momentaneamente senza parole.  

Vorrei abbracciarlo e rassicurarlo che sono tutte sciocchezze, che troveremo il modo di rendere le cose più facili, che non sarà sempre così doloroso, così complicato. 

Ma sarebbe solo una bugia pietosa. 

“Lo so.” Continuo a sorridere, la mia voce stranamente calma e piena di sicurezza. “Lo so benissimo. Ma non mi importa.”

In pochi rapidi passi sono davanti a lui, e gli afferro le guance gelide con forza, poggiando la mia fronte sulla sua, obbligandolo a guardarmi negli occhi. “Non mi importa, perché affronterei qualsiasi ostacolo, qualsiasi dolore pur di continuare a starti vicino.”

“Non ho il diritto di trascinarti giù con me. Non voglio che tu perda tutto quello che potresti avere senza di me. Insomma, guardati, Elijah…” Lacrime e risate si mescolano nella sua voce. “Sei giovane, bellissimo, e hai così tanto amore da offrire, c’è così tanta luce dentro di te… puoi avere il mondo intero.”

“Cosa me ne faccio del mondo, se ho già conosciuto il meglio che può offrirmi?” Sussurro sulle sue labbra, godendomi la vista dei suoi occhi lucidi spalancati per lo stupore, grandi e innocenti come quelli di Rebekah.

È talmente bello, vestito solo delle sue paure e delle sue incertezze. 

È pazzesco che dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dopo tutte i baci e le carezze e le promesse, ancora creda di non essere degno del mio amore.

Con stupore, mi accorgo che alcune lacrime hanno iniziato a sfuggire dai suoi occhi. 

Le porto via con i pollici, baciandogli delicatamente le guance umide. “Ogni volta che piangerai, io sarò qui ad asciugare le tue lacrime. Ogni volta che urlerai, io sarò qui per cacciare via tutte le tue paure. Saremmo sempre in due. Qualsiasi cosa ci aspetti in futuro, la affronteremo insieme. Come è sempre stato. Come sarà sempre.” Allungo la mano per prendere la sua, ancora saldamente conficcata nella tasca del giubbotto.

Trasalisco non appena vedo le sue nocche spellate e insanguinate, la pelle grattata via dalla ferita: un rettangolo bianco e frastagliato che circonda le lacerazioni rosse e umide. “Che cos’hai fatto, Niklaus?” Domando, la voce piena di orrore.

“Sono… inciampato contro un muro.” Borbotta lui a mezza voce, ritirando di scatto la mano. “Va tutto bene.”

“Non va bene per niente, quella ferita deve essere subito disinfettata.” Gli prendo il braccio, trascinandolo risoluto verso il bagno.

Una volta entrati gli intimo di sedersi sul bordo della vasca mentre io prendo garza e disinfettante dall’armadietto dei medicinali.

Niklaus alza gli occhi al cielo esasperato con una piccola risatina di scherno. “Apprezzo la tua preoccupazione, ma non ti sembra di essere un po’ paranoico? È solo un piccolo taglio, non è niente di grave.”

“Non è affatto piccolo, per ridurti in quello stato sembra che tu lo abbia preso a pugni, il muro. E poi potrebbe infettarsi se non la disinfettiamo bene.”

“Non sapevo ti piacesse giocare all’infermiera.”

Ignoro la sua frecciatina sarcastica e mi inginocchio, tamponandogli con un batuffolo di cotone imbevuto di cotone le nocche rovinate il più delicatamente possibile.

Lo vedo mordersi le labbra per trattenere un lamento di dolore e sento il cuore stringersi in una morsa.

Non ho creduto alla sua bugia nemmeno per un secondo, ma non avrebbe senso insistere per farmi dire la verità, in questo modo Nik si chiuderebbe ancora di più a riccio.

Tutto quello che posso fare è prendermi cura di lui, fargli capire che con me è al sicuro, che può lasciarsi amare.

Dopo avergli bendato la mano con la garza la accarezzo piano, ancora preoccupato. “Ti fa molto male?”

Lui scuote la testa, e mi fa un sorriso piccolo ma sincero che non posso fare a meno di ricambiare, sentendomi già più tranquillo. “Non più adesso.”

Faccio per alzarmi e andare a riporre il disinfettante sullo scaffale, ma Niklaus mi trattiene per un braccio. 

“Elijah… grazie.” Sussurra dopo un po’, la voce improvvisamente seria, intensa. “Per tutto quanto.” Il suo sguardo si posa sul mio polso e le ombre sul suo viso si dissipano un poco. “Lo porti ancora.”

Passo un dito sul braccialetto e sorrido, sollevando il piccolo cuore argentato. “Ti avevo detto che l’avrei portato sempre con me.”

 

Il mio cuore è tuo, Niklaus.

Il tuo cuore è mio.

Tu mi appartieni.

Io ti appartengo. 

Adesso e per sempre.

 

 

“Elijah…” La sua voce trema, il suo sguardo intenso mi brucia la pelle e mi incendia l’anima. “Ho bisogno di te. Resta con me stanotte.”

 

 

**

 

Saliamo le scale stando attenti a non fare rumore, sbirciando attraverso la fessura della porta socchiusa Freya e Rebekah che dormono pacifiche nei loro letti.

Controlliamo anche la camera di Kol, e lo troviamo addormentato con le cuffie nelle orecchie come ogni sera.

La casa è immersa in un silenzio quasi surreale.

L’unico rumore che riesco a sentire in questo momento è il battito forsennato del mio cuore che palpita violentemente, così violentemente che faccio fatica a respirare.

Appena messo piede nelle sua camera  Niklaus chiude la porta a chiave, appoggiandovisi contro con la schiena, immobile per lunghi istanti.

I nostri respiri affannosi riempiono il silenzio, e per molto tempo siamo capaci solo di fissarci, incerti, nervosi, emozionati, terrorizzati. 

I nostri sguardi rimangono incatenati in una lotta serrata, costante, finché, guidati da una forza invisibile, ci avviciniamo lentamente l’uno all’altro.

Afferro delicatamente la mano bendata di Niklaus, attento a non fargli male, e senza dire una parola lo guido verso il letto.

Ci stendiamo insieme sopra le coperte, continuando a tenerci per mano.

Le nostre teste occupano un unico cuscino, i nostri nasi si sfiorano e le nostre labbra sono distanti solo pochi centimetri.

Lentamente, allungo una mano ad accarezzargli la guancia.

Niklaus mi afferra il polso, quello a cui è ancora allacciato il suo braccialetto, e sorride guardandomi intensamente, gli occhi luminosissimi nella penombra, mentre comincia a baciarmi delicatamente ogni dito. 

Sento il mio respiro aumentare. 

Faccio scorrere le mani sul suo collo, sul suo petto, lungo le sue costole, sullo stomaco; il sottile tessuto della sua maglietta è l’unica cosa che separa la mia mano dalla sua pelle.

Niklaus si allontana per un momento e prende tra le mani l’estremità inferiore della maglia del mio pigiama sollevandola fin sopra la testa e gettandola sul pavimento.

Cerco di afferrargli un braccio per bloccarlo, ma mi paralizzo quando lo vedo sollevarsi e sfilarsi la maglietta e i pantaloni, rimanendo solamente in boxer.

Emetto un gemito strozzato. 

Il suo corpo è perfettamente bianco, in forte contrasto con i capelli, quasi infuocati sotto i raggi della luna.

Le labbra sono rosa scuro, le guance leggermente arrossate e gli occhi più azzurri del mare esitanti, incerti.

Sono sopraffatto dalla sua bellezza.

Il mio sguardo scende lungo il suo corpo, sulle sue spalle minute eppure forti, il profilo della clavicola, la pelle tesa dello stomaco, le gambe lunghe e magre. 

Potrei restare a guardarlo per ore. 

“Smettila.” Abbassa lo sguardo con una risatina imbarazzata.

“Di fare cosa?”

“Di guardarmi in quel modo. Nessuno mi hai mai guardato così.”

“Non posso farci niente.” Sorrido, lasciando scorrere i palmi delle mani sulle sue braccia. “Sei bellissimo. In tutti i modi in cui una persona può essere bella. Con tutte le tue imperfezioni. Con tutte le tue maschere. Con tutti i tuoi problemi. Con tutto ciò che pensi sia sbagliato in te e tutto ciò che non lo è.”

“Il vero me.” Mormora Klaus. "Non credo che nessuno lo abbia mai voluto.” 

“Sai… "  Le sue pupille sono nere e dilatate, la vista della sua bocca lucida è quasi dolorosa, mentre mi fissa con occhi lucidi di lacrime, grandi e tremanti come quelli di un bambino spaventato. “Io l’ho visto. Il vero te.”

Niklaus sorride, un sorriso storto e spezzato.  “Davvero?” Il suo tono è quasi di scherno, ma gentile. “E com’è? Il vero me?”

“Incandescente.” Mormoro senza smettere di accarezzarlo. “Emozionante. Senza pari. Meraviglioso.”

La sua pelle è così liscia che sento l’impulso di baciarla. 

Vorrei sentire ogni parte di lui, ma le mie mani si irrigidiscono contro le coperte.

“Possiamo toccarci.” Sussurra Niklaus, come se avesse intuito i miei pensieri. “Toccarci e basta. Non ci sono leggi che lo vietano.”

Fa scivolare piano un dito sul mio stomaco, lungo il petto e nell’incavo del collo. 

Prendendomi la guancia nella mano, si china in avanti per baciarmi.

Chiudo gli occhi, crollando sotto il peso di quelle incredibili sensazioni.

Le mie mani salgono ad accarezzargli il collo, le spalle, il petto, scosse dai tremiti. 

“Mi sento bene. È… bello.” Sussurra lui, la voce incerta, colpevole, nervosa. “Non fermarti.”

Avvolgo il suo corpo tra le mie braccia e lo tiro delicatamente giù sul cuscino, circondandogli i fianchi con le gambe. “Non voglio farti male.” Continuo ad accarezzarlo, sentendolo fremere e inarcarsi contro di me, e ho paura di perdere il controllo, ho così tanta paura di ferirlo…

Niklaus scuote la testa e sorride dolcemente. “So che non me ne farai. Mi fido di te.”

Non servono altre parole.

Possiamo solo perderci l’uno nella pelle dell’altro.

Ed è allora che succede: è allora che ci svestiamo di concetti come io e te, e la nostra pelle si veste di un nuovo e promettente noi.

Eternamente tuo.

Eternamente mio. 

Eternamente nostri.

 

 

**

 

 

Mi sveglio di scatto e mi accorgo che sono da solo nel letto di Niklaus.

Un pezzo di carta con sopra il mio nome è adagiato accanto a me sul pavimento.

Dopo averlo letto mi lascio ricadere sui cuscini, fissando il soffitto dall’intonaco scrostato.

La notte scorsa sembra un sogno.

Non riesco a credere che l’abbiamo trascorsa insieme, nudi, ad accarezzarci a vicenda, che abbia davvero sentito la sua pelle contro la mia.

Temevo che potessimo perdere il controllo e varcare quell’ultima barriera proibita, ma il solo toccarci è stato incredibile, così elettrizzante da togliermi il fiato.

Volevamo di più, ovviamente entrambi avremmo voluto di più, ma è stata una notte bellissima anche se non siamo andati oltre a dei semplici baci e carezze.

Vengo bruscamente sottratto ai miei pensieri dallo sbattere della porta di casa, il tonfo di uno zaino buttato per terra, seguito poi dallo scricchiolio di passi veloci lungo la scala.

La porta della camera si dischiude di colpo e io metto a sedere contro la testiera del letto.

Il volto di Niklaus è illuminato da un sorriso raggiante. “Sei sveglio!” Corre alla finestra e apre le tende con energia, mentre io mi stropiccio gli occhi contro l’intensa luce del mattino. 

Sbadiglio e mi stiracchio, agitando in aria il biglietto che mi ha lasciato.

“Klaus, cosa ti passa per la testa? Non possiamo saltare la scuola.” Il tono di rimprovero sparisce non appena lui balza sul letto accanto a me e intrappola le mie labbra in un lungo bacio che mette a tacere qualsiasi mia protesta.

“Stai dicendo che preferisci stare chiuso in un’aula polverosa e sovraffollata ad ascoltare ore di lezioni noiosissime piuttosto che trascorre questa giornata con un ragazzo… e qui ti cito direttamente, emozionante, senza pari e meraviglioso?”

“Non so, devo pensarci su. Non vorrei alimentare ulteriormente il tuo ego.” Fingo di assumere un’espressione pensierosa, poi sorrido e mi sporgo per catturare le sue labbra in un altro bacio.

Quando ci stacchiamo osservo il suo volto arrossato per il freddo, notando che indossa ancora la divisa di scuola.

“Aspetta… hai fatto credere agli altri che andavi a scuola e invece sei tornato a casa?”

I suoi occhi scintillano furbi. “Prima ho accompagnato Freya e Rebekah, e appena ho visto Kol varcare il cancello sono tornato indietro. Non avrai pensato che ti avrei concesso una giornata libera da solo, vero?” Distende le labbra in un sorrisetto malizioso. “Non dirmi che hai ancora sonno!”

Scuoto la testa e mi porto la mano alla bocca per coprire uno sbadiglio. “Un po’. Come mai non ho sentito la sveglia?”

“L’ho staccata. Dormivi così bene, e negli ultimi tempi mi sei sembrato più stanco del solito, perciò…” La voce gli si spegne, imbarazzata.

Sorrido, sbattendo le ciglia assonnato. “Hai avuto un’ottima idea. Così abbiamo un’intera giornata solo per noi.”

Niklaus mi prende le mani e si sporge in avanti per baciarmi ancora, ridendo contro le mie labbra.

Una fitta di dolore mi riempie il petto. All’improvviso tutto diventa doloroso e non so perché.

“Guarda il cielo.” Mi esorta Nik, appoggiando la testa nell’incavo del mio collo. “È così azzurro…” 

E d’un tratto capisco il motivo di tanta tristezza. 

È tutto così bello, splendido, incredibilmente meraviglioso, eppure so che non può durare e io vorrei conservare intatto questo momento per il resto della mia vita.

Avvolgo le mie braccia intorno a lui e premo la guancia contro la sua nuca. 

Questo significa essere felici: avere di fronte a me un’intera giornata da passare insieme, bellissima nella sua semplicità e nel suo essere vuota.

Niente aule affollate, niente intervalli passati a fingere di ignorarci, niente pranzi in mensa seduti a tavoli diversi nel tentativo di stare lontani, niente responsabilità, niente orologi che ticchettano inesorabili, niente conti alla rovescia dei minuti che mancano alla conclusione di un’altra giornata in cui non possiamo vivere il nostro amore…

Per questo la trascorriamo in una specie di delirio gioioso, cercando di assaporarne ogni attimo, di godere al massimo della nostra bolla di felicità prima che scoppi.

“Voglio portarti in un posto.” Decide improvvisamente Niklaus, gli occhi che brillano di entusiasmo mentre mi afferra la mano e mi trascina fuori di casa.

Scuoto la testa divertito, lasciandomi trascinare senza opporre resistenza, beandomi dei suoi sorrisi, cibandomi di ogni guizzo di felicità nel suo sguardo, tanto rari quanto infinitamente preziosi, sentendomi felice soltanto nel vederlo così allegro, così pieno di vita.

Ho dimenticato l’ultima volta in cui l’ho visto tanto felice.

“Allora, mi dici dove andiamo?” Domando ad un certo punto senza riuscire a trattenere la curiosità, continuando a camminare accanto a lui sul marciapiede.

“È un posto che conosci bene. Ci passiamo davanti tutti i giorni quando dobbiamo accompagnare a scuola Freya e Rebekah.”

Ashmoore Park, in un giorno feriale in pieno inverno, è ovviamente deserto.

Gli alberi sono spogli, con i lunghi rami aguzzi che si stagliano contro il cielo, le grandi distese di verde sono coperte qua e là da chiazze di ghiaccio color argento.

Percorriamo l’ampio viale centrale verso la zona boschiva giù in fondo, mentre il ronzio della città scompare a poco a poco alle nostre spalle.

Il paesaggio deserto è punteggiato solo da alcune panchine bagnate. In lontananza, un signore anziano lancia pezzi di legno al suo cane, mentre i latrati acuti dell’animale infrangono l’aria immobile.

Il parco è vasto e desolato, un’isola fredda e dimenticata nel bel mezzo di una grande città.

Foglie accartocciate color ruggine scivolano sul viale, sospinte da una folata di vento.

Mentre ci avviciniamo agli alberi, alcuni scoiattoli ci tagliano la strada, sfrontati, voltando la testolina in varie direzioni come per squadrarci meglio con i loro luminosi occhietti neri.

In alto, sopra le nostre teste, la sfera bianca del sole fissa il parco con i suoi rigidi raggi invernali, come fosse un gigantesco riflettore.

Lasciamo il viale e ci addentriamo nel boschetto, tra rametti e foglie secche che scricchiolano e si spezzano sotto i nostri piedi a contatto con il terreno gelato leggermente in pendenza.

Seguo Niklaus in silenzio.

Nessuno dei due ha ancora aperto bocca da quando abbiamo varcato i cancelli del parco, lasciandoci il mondo alle spalle, come per disfarci della nostra vita quotidiana fatta di confusione assordante, strade sporche e traffico congestionato.

Quando le piante cominciano ad infittirsi intorno a noi, Nik si infila sotto il tronco di un albero caduto, poi si ferma e mi sorride. “Eccoci qua.”

Siamo in un piccolo avvallamento del terreno, ricoperto di foglie e circondato da felci e da cespugli invernali ancora verdi, racchiusi da un cerchio di alberi spogli.

La terra sotto i nostri piedi è un tappeto color ruggine e oro.

Mi guardo attorno stupito. “Siamo qui per seppellire un cadavere o per dissotterrarlo?”

Niklaus mi lancia un’occhiata ferita, e in quel preciso istante un’improvvisa folata di vento fa ondeggiare i rami sopra di noi, i quali disseminano gelidi raggi di sole in questo piccolo recinto come fossero schegge di vetro, conferendogli un’aspetto magico e misterioso.

“È qui che vengo quando le cose a casa vanno male. Quando voglio starmene un po’ da solo.” Mi spiega, un sorriso amaro gli affiora improvvisamente sulle labbra.

Lo guardo stupito. “Vieni qui da solo? Perché?”

“Quando nostra madre comincia a bere alle dieci di mattina, quando Rebekah corre per casa urlando, quando Kol sembra avercela con me per ogni cosa che va storta nella nostra famiglia, quando tutto sembra troppo da affrontare, questo posto mi dà pace. Mi dà speranza. D’estate è bellissimo. Spegne il frastuono che ho sempre in testa… forse qualche volta potresti venirci anche tu.” Suggerisce a bassa voce. “Tutti hanno bisogno di staccare la spina ogni tanto, Elijah. Anche tu.”

Annuisco distrattamente, cercando di immaginare Niklaus in questo posto tutto solo, seduto contro il tronco di un albero o sdraiato sull’erba, che cerca di combattere il dolore, l’ansia, la paura e la solitudine senza nessuno accanto a lui, senza nessuno che lo aiuti a portare il peso delle sue angosce. “Hai ragione.” Sussurro, avvolgendolo con un braccio e tirandolo contro di me, posandogli un bacio tra i capelli. “D’ora in poi ci verremo insieme. Non sarai più solo.” 

Il suo sguardo incrocia il mio, e per un attimo ho l'impressione di vedere alcune lacrime brillare nei suoi occhi. “Grazie.”

Ci sediamo nello spiazzo erboso, stringendoci l’uno all’altro per tenerci al caldo.

“Ti amo, Elijah.” Mormora ad un certo punto, stringendomi come se avesse paura che avesse paura che potessi dissolvermi tra le sue dita.

Io sorrido, piegando la testa per guardarlo. “Quanto?”

Lui non risponde, ma sento il suo respiro farsi più rapido mentre avvicina la bocca alla mia.

Ci baciamo a lungo, facendo scivolare le mani sui nostri visi, tra i capelli, sotto i diversi strati di vestiti e assorbendo il calore l’uno dell’altro, finché non ho più freddo, anzi, ho il cuore che mi batte forte mentre una specie di pizzicore effervescente mi scorre lungo le vene.

Qui siamo davvero soli. Liberi.

Se qualcuno ci vedesse in questo momento, vedrebbe soltanto due ragazzi che si baciano.

Non due fratelli.

Solo due ragazzi che si amano.

Sento la pressione delle labbra di Niklaus crescere, come se anche lui si rendesse conto di quanto sia prezioso questo fugace momento di libertà.

Restiamo abbracciati per un sacco di tempo, riscaldandoci a vicenda, baciandoci ora con dolcezza ora con ferocia, rannicchiati l’uno contro l’altro.

Ad un certo punto Niklaus si addormenta tra le mie braccia.

E io resto immobile a guardarlo dormire, passandogli un dito sul viso, sul collo, sulla spalla, lungo il braccio e su ognuna delle sue dita. 

L’orologio al mio polso segna il suo inesorabile conto alla rovescia con la sottile lancetta che si fa strada senza alcuna pietà girando in tondo sul quadrante.

Chiudo gli occhi e seppellisco il viso tra i capelli di Niklaus, desiderando con tutto me stesso cancellare quel ticchettio, nel tentativo disperato di impedire al nostro prezioso tempo insieme di scivolarmi via tra le dita come sabbia.

Quando lui si sveglia, sono passate da poco le tre.

Tra poco deve andare a prendere Freya e Rebekah a scuola, mentre io tornerò a casa a rimettere in ordine e rimuoverò con cura ogni indumento rimasto per terra in camera sua.

Prendo tra le mani il suo viso arrossato e assonnato e comincio a baciarlo con un fervore che rasenta l’isteria, pieno di rabbia e disperazione.

Il nostro tempo è scaduto.

 

 

**

 

 

 “Elijah, ti senti meglio? Ci porti tu domani a scuola, Elijah?”

Non appena rientra a casa in compagnia di Freya e Niklaus, Rebekah mi salta in braccio preoccupata.

Anche Freya è in apprensione, ma non così visibilmente come sua sorella. “Sei malato o è solo un semplice raffreddore? Sei già andato dal dottore?”

Di colpo mi rendo conto che aver saltato un giorno di lezioni le ha mandate in paranoia.

In passato ci sono andato anche con la febbre, persino con la bronchite, solo perché dovevo accompagnarle a scuola, tenere d’occhio Kol e non insospettire i servizi sociali, perciò la possibilità di un giorno libero non era mai stata contemplata.

Ma sono consapevole che entrambe tendono anche ad associare a nostra madre ogni problema di salute serio: mamma che crolla ubriaca davanti alla porta di casa, mamma che vomita in bagno con uno di noi costretto a reggerle la fronte, mamma svenuta per terra sul pavimento della cucina.

Sono preoccupate non tanto dal mio supposto mal di testa, quanto il fatto che anch’io possa sparire dalle loro vite.

“Non mi sono mai sentito meglio.” Le rassicuro con sincerità. “Il mal di testa mi è passato completamente. Che ne dite di andare a giocare un po’ fuori?”

È incredibile quanta differenza possa fare prendere un giorno libero da scuola.

Di solito a quest’ora sono già stanchissimo e di pessimo umore, anche se mi sforzo di nasconderlo in tutti i modi, con la voglia di mettere a letto le mie sorelle per trascorrere un po’ di tempo insieme a Nik, finché non crollo addormentato sulla scrivania.

Oggi, mentre ci prepariamo tutti e quattro a giocare a guardie e ladri, mi sento incredibilmente leggero, come se la forza di gravità si fosse ridotta di colpo.

Così, mentre il sole comincia a calare in questo giorno di metà febbraio, io mi ritrovo in piedi in mezzo alla strada deserta, le mani sulle ginocchia, in attesa che i miei fratelli mi corrano incontro, sperando di raggiungere l’altro lato senza essere presi.

Freya è pronta a partire, un piede contro il muro, braccia piegate, mani strette a pugno e uno sguardo forte e determinato in contrasto con i lineamenti dolci e rilassati del viso.

Rebekah sta parlando fitto con Nik, il quale sembra intento ad elaborare strategie alternative per permettere alla sorellina di attraversare la strada di corsa senza farsi prendere.

“Forza, cominciamo!” Grida lei, impaziente.

Niklaus la incoraggia con una carezza sui capelli e sorride, poi si raddrizza con uno sguardo divertito ma feroce negli occhi. Rebekah, accanto a lui, continua a saltellare elettrizzata mentre io faccio il conto alla rovescia.

“Tre, due, uno, via!”

Nessuno si muove. Io scatto di lato per piazzarmi direttamente davanti a Rebekah, e lei squittisce divertita e terrorizzata, appiattendosi contro il muro stile stella marina, quasi a volerci entrare dentro. 

Poi Freya parte come una saetta, lungo una traiettoria angolata. 

Anticipando la sua mossa, le corro incontro  sbarrandole la strada. Lei esita, combattuta tra l'umiliazione di tornare all'immunità del muro e la voglia di tentare il tutto per tutto. Temeraria, sceglie la seconda. 

Io mi metto subito a inseguirla, ma è sorprendentemente veloce nonostante la sua corporatura gracile e minuta.

Riesce a raggiungere la tana per un pelo, con la faccia accaldata per lo sforzo, gli occhi trionfanti.  

Nik ha approfittato della mia distrazione per far partire Rebekah, la quale si mette a correre all'impazzata in direzione di Freya, così desiderosa di raggiungere l'altro lato che finisce quasi per lanciarmisi addosso. 

Io faccio un passo indietro e cerco di spaventarla per farle cambiare direzione, roteando spaventosamente gli occhi e ululando come un fantasma.

Lei si blocca come un coniglio investito dai fari di un'auto, la paura negli occhi azzurri sbarrati. 

Da entrambi i lati della strada, gli altri le gridano istruzioni.

“Torna indietro, torna indietro!” Urla Freya.

“Giragli intorno, schivalo!” Dice invece Niklaus, sicuro che cercherò di acchiapparla solo per finta. “Sei coraggiosa, puoi farcela!”

Rebekah si lancia a destra. Io cerco di afferrarla, sfiorandole il cappuccio del cappotto con le dita, e lei si precipita verso il muro strillando, con tanta foga che rischia di travolgere Freya e buttarla a terra. Si abbracciano vittoriose, osservando i nostri movimenti con gli occhi spalancati e il fiato sospeso.

Adesso l'unico rimasto sul lato opposto della strada è Niklaus: chino con le mani sulle ginocchia, ringhia come un leone inferocito, facendo ridere di gusto Freya e Rebekah.

“Corri, metticela tutta, Nik!” Grida Freya, incoraggiante.

“Passa di là... no, di là!” Squittisce Rebekah, puntando il dito all'impazzata in tutte le direzioni.

Io lancio a Nik un sorriso furbo per avvertirlo che ho tutte le intenzioni di farlo cadere in trappola, e lui ricambia il sorriso con un pizzico di malizia nello sguardo. 

Mani in tasca, mi avvio verso di lui con calma. 

Lui tenta di imbrogliarmi. 

Cogliendomi alla sprovvista, parte molto angolato. 

Io gli sto alle costole e mi metto a ridere, già pregustando la vittoria mentre ci avviciniamo alla tana. 

Poi, all'improvviso, lui mi prende in contropiede e torna indietro di corsa. 

Io mi catapulto di lato, ma è inutile. 

Nik raggiunge il muro opposto con un sorriso di soddisfazione, e subito Freya e Rebekah gli abbracciano le gambe con risate e gridolini di vittoria.

Nel round successivo, riesco a prendere Freya, il cui disappunto si trasforma subito in entusiasmo non appena diventa lei la guardia. 

Punta subito su Rebekah e cerca di afferrarla non appena si stacca dal muro, ma lei riesce a sfuggirgli con un abile scatto, poi si mette a ballare entusiasta in mezzo alla strada, con le braccia spalancate per bloccarci il passaggio. 

Lanciandoci verso di lei, io e Nik ci sforziamo talmente tanto di farci prendere che finiamo per sbattere l'uno contro l'altro e Rebekah afferra entrambi, suscitando grandi risate. Nik ha appena iniziato il suo turno da guardia quando io intravedo in lontananza una sagoma solitaria diretta verso di noi e riconosco Kol, che si trascina avvilito, dopo aver passato un'ora in punizione per aver insultato un insegnante.

“Kol, Kol, stiamo giocando a guardie e ladri!” Grida Rebekah entusiasta. “Vieni anche tu, dai! Freya è troppo lenta, Nik e Elijah sono delle schiappe. L'unica brava sono io!” Gonfia il petto con orgoglio strappando a tutti un sorriso.

Kol si ferma davanti al cancelletto, squadrandoci come se fossimo impazziti. “Sembrate un branco di ritardati” Sentenzia, freddo e caustico come al solito.

Sto per rimproverarlo e intimargli di moderare il linguaggio e di smetterla di comportarsi in questo modo con la sua famiglia, ma Niklaus interviene prima che possa aprire bocca.

“Perchè non vieni tu a ravvivare la partita allora?” Propone con un tono tranquillo, quasi amichevole che prima non aveva mai usato nei suoi confronti. Lo guardo stupito, piacevolmente sorpreso dal cambiamento del suo comportamento. “Sai, mi andrebbe proprio una bella sfida. Altrimenti non c'è gusto per un campione come me.”

Kol abbassa lo zaino e lo vedo esitare, combattuto tra il bisogno di esprimere il suo solito disprezzo per la famiglia e il desiderio di tornare bambino.

“A meno che tu non abbia paura di perdere.” Aggiunge Nik, sfidandolo apertamente.

“Figuriamoci!” Lo canzona lui cominciando già ad avviarsi verso la porta di casa, ma all’ultimo secondo cambia idea e torna indietro. Si toglie bruscamente la giacca.

“Ti faccio vedere io chi è il vero campione!” Ruggisce, mettendosi in posizione.

Io e Niklaus ci lanciamo un breve sguardo complice e sorridiamo. “Fammi vedere cosa sai fare allora!” Grida lui, incitandolo con un gesto della mano a farsi avanti.

Così ci ritroviamo impegnati in un altro round. 

Nik è pronto a inseguire Kol come un'ombra ma senza volerlo acchiappare per davvero, come è ovvio. 

È l'ultimo a staccarsi dal muro, dopo che io e le mie sorelle abbiamo già tutti toccato tana, sani e salvi. 

Resta lì ad aspettare per un'eternità, con il chiaro intento di spazientirlo. 

Nik finge di allontanarsi, gli volta le spalle, si china addirittura ad allacciarsi una scarpa, ma nessuno dei suoi trucchetti sembra funzionare con Kol. 

Solo quando è a un paio di metri da lui, si mette di colpo a correre, quasi a volersi complicare la vita da solo. 

Lo coglie di sorpresa, si butta sulla destra, ha un attimo di esitazione quando Nik gli blocca la strada, e indietreggia. Gli lancia un sorriso ironico, di sfida, e colgo una fiera determinazione nel suo sguardo. 

Kol sguscia via dalla presa di Nik per un pelo e parte a razzo. Lui lo insegue, deciso ad annullare la breve distanza che li separa. 

Lo afferra per il colletto della camicia nell'attimo esatto in cui le sue mani sbattono contro il muro.  

Quando si volta a guardare Nik, il suo viso riluce di un entusiasmo che non gli vedevo più da anni.

Continuiamo a giocare, anche dopo che è calato il buio. Alla fine, Rebekah crolla per la stanchezza e va a sedersi nel tepore dell'ingresso, continuando a guardarci dalla porta aperta gridando tattiche di gioco. 

Dopo un po', anche Freya si unisce a lei, e io le seguo restando a guardare il gioco da lontano.

Nik resta solo con Kol e d'un tratto il gioco si fa più serrato, agguerrito. Alla fine, esausto, lui si scaglia contro Kol, afferrandolo a pochi centimetri dalla tana, ma lui rifiuta di arrendersi, tendendo disperatamente il braccio verso il muro, quasi trascinandolo con sé. 

Cadono entrambi a terra sotto il mio sguardo preoccupato; temo che il loro semplice gioco finisca per trasformarsi in una rissa vera e propria, e per un attimo sono tentato di intervenire per staccarli.

Vedo Nik tirarlo per la camicia per impedirgli di sfuggire alla sua presa.

“Ho vinto, ho vinto!” Grida Kol, rifiutando di arrendersi.

“Non è vero, devi prima toccare il muro! Hai barato!” Replica Nik, continuando a impedirgli di muoversi.

E poi, inspiegabilmente, si mettono a ridere entrambi, contorcendosi per il divertimento.

Kol afferra un pezzo di legno lì vicino e lo usa per toccare il muro.

“Questo non vale!” Lo rimprovera Nik, ma senza astio nella voce, continuando a ridere in modo incontrollabile. 

Alla fine, quando si rialzano dall’asfalto, sono sporchi e pieni di lividi. 

Kol ha delle strisciate di terra in faccia e si è persino strappato il colletto della camicia, mentre entrano in casa zoppicanti ben oltre l'ora di cena e l'ora dei compiti.

Kol tenta di fare lo sgambetto a Nik mentre gli passa accanto lungo il corridoio. “Qui ci vuole la rivincita.” Lo informa. “Sarà meglio che ti alleni un po’.” E sorride. 

Una volta convinti entrambi a lavarsi le mani, crollano seduti al tavolo della cucina insieme a Freya e Rebekah, banchettando a base di merendine e Nutella pescata direttamente dal barattolo.

Io osservo la scena a distanza con un sorriso mentre rimetto in ordine la cucina.

Osservo Niklaus ridere sereno e spensierato con i suoi fratelli per la prima volta da tempo immemore.

E penso che ormai non ha più bisogno di me per essere felice.

Se un giorno non potessi più essere accanto a lui, riuscirebbe a cavarsela bene anche da solo, sarebbe benissimo in grado di occuparsi della famiglia anche senza di me.

Questo pensiero mi conforta e mi spaventa al tempo stesso, è una sensazione che non so spiegare, un triste presagio di un futuro che improvvisamente sembra molto più cupo e minaccioso di quanto non fosse mai stato prima.

  
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