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Autore: Bloody Wolf    23/11/2018    10 recensioni
Storia nata da una challenge sul gruppo Boy's Love di FB.
La storia parla di come due atleti si ritrovano a condividere qualcosa di speciale, a capirsi e aiutarsi in un momento difficile per entrambe. La forza di rialzarsi non è sempre così scontata, a volte si ha bisogno di una mano tesa.
Spero che vi piaccia.
Genere: Malinconico, Sportivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccoci qui, siamo giunti al penultimo capitolo di questa... cosa... storia.... va bhe, soprannominiamola abbozzamento di parole per una challenge super fiqua XD
Ok! Questo secondo me è il peggior capitolo che io abbia mai scritto in tutta la mia vita, l'ho letto cinque volte e sei ho cambiato qualcosa quindi oggi ho deciso di buttarlo sul sito così da smettere di farmi le paranoie. Sì devo smetterla.
Capitolo importante ma anche molto di passaggio, sono quasi 2600 parole ma il grosso della storia arriverà nell'ultimo capitolo che devo ancora finire, per lacronaca eh.
XD Spero che vi piaccia e che i sentimenti di Ben siano chiari perchè ho fatto davvero fatica a scriverli.... 
Devo ringraziare enormemente chiunque legge questa storia e vorrei ringraziare chiunque recensisce perchè mi rende felice e vogliosa di continuare questa sfida con me stessa (per chi non lo sa, questa è la mia terza originale e per me non è così semplice)
Va bene, vi lascio alla lettura ma nel frattempo vado a rinchiudermi in un bunker sotterraneo per evitare bombe atomiche o tnt volante, see you soon ^-^

Capitolo 3: Se ti manca l’intenzione, molla tutto.

Benjamin si era ritrovato, dopo qualche giorno, seduto sulla stessa sedia di quando aveva incontrato quel ragazzo spagnolo che lo aveva tirato fuori da quella monotonia apatica e quasi depressiva.

Di fianco a lui c’era un’anziana signora che aveva deciso di raccontargli la sua vita, l’infermiera ogni tanto passava di lì e ridacchiava di fronte al giovane che, con la caviglia bendata e steccata, cambiava mille posizioni per cercarne una in cui riuscisse a non addormentarsi e a stare concentrato

“…e non ti auguro di dover mettere la dentiera quando diventerai vecchio, ragazzo mio è una cosa fastidiosissima. Sai che mia sorella ha un gatto nero cieco e incontinente e che vive con lei in simbiosi?”

Ben alzò gli occhi al cielo gemendo, quasi disperato, mentre gli stavano salendo le lacrime agli occhi, non ce la faceva più, quel posto era un inferno!

Laila appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo per poi conversare con l’anziana e portandola nella propria stanza, graziandolo da quella tortura.

Rimase seduto su quel divanetto sbuffando di tanto in tanto, aveva preso tra le mani il piccolo telecomando e stava facendo passare i canali quando qualcosa attirò il suo interesse…

Lo spagnolo dell’altro giorno era arrivato fino lì accompagnato da una bellissima donna, lei lo aveva abbracciato con dolcezza scoccandogli un bacio sulla guancia per poi andarsene senza voltarsi.

Ben si guardò le mani, quasi imbarazzato di fronte a quella scena, si leccò le labbra pensando che non ci sarebbe stato nulla di male se si fosse alzato per andare a salutarlo, dopotutto il primo passo lo aveva fatto quel ragazzo dalla pelle olivastra invitandolo a giocare a carte, quindi perché lui non doveva azzardarsi a fare il secondo?

Si alzò da quella poltroncina scomoda e, utilizzando le stampelle, si portò vicino a Miguel per parlargli con tono dolce e quasi imbarazzato

“Ehi, per fortuna sei arrivato, mi stavo per addormentare assieme a quelle mummie”

Il pattinatore si ritrovò ad osservare quel sorriso trovandolo perfetto, non poteva negare a se stesso che quel giovane gli interessava, lo intrigava come pochi altri avevano fatto eppure non riusciva a dire cosa calamitasse la sua attenzione verso di lui, sì era un bel ragazzo ma ne aveva conosciuti di molto più belli eppure…

“Anche le mummie laggiù fanno parte della storia e valgono molto più di noi, ne sei consapevole?”

Ben si ritrovò stranito nel sentire quella risposta, l’aveva detta sorridendo, come se avesse detto la cosa più ovvia del pianeta e lui si ritrovò a pensarci: quelle persone avevano passato anni difficili tra guerre, povertà e carestie quindi aveva ragione Miguel nel dire che erano la storia, loro erano solo tasselli di passaggio, nulla che nessuno avrebbe ricordato. Questo pensiero gli mise i brividi, lui non voleva essere uno dei tanti, lui voleva essere ricordato.

La voce calma e calda dell’altro raggiunse il suo orecchio obbligandolo a girarsi e ad annuire sorridendo nel perdersi in quegli occhi azzurri

“Andiamo a fare un giro, magari nei giardinetti, che ne dici?”

Camminarono in silenzio lungo tutto il corridoio fino ad arrivare all’ascensore, Ben restò leggermente dietro e si ritrovò a guardare quel giovane chiedendosi cosa lo avesse portato fin lì ma soprattutto sembrava conoscere a memoria quei labirinti di camere e reparti ed era assurdo per lui, impensabile quasi, che era arrivato da pochissimo, da quanto tempo era lì?

Entrarono in ascensore e Miguel premette il piano dove, ipoteticamente dovevano starci i giardini mentre lui non riuscì più a fare silenzio e chiese, curioso e forse senza molto tatto ma, dopotutto, non ne aveva mai avuto molto quindi per lui non era un problema

“Che cosa hai alla gamba? Usi le stampelle ma non sembri star male… nel senso che non hai gesso o altro...”

Il ragazzo lo guardò alzando un lato della bocca e, alzando le spalle, rispose fissando gli occhi chiari in quelli del giovane pattinatore che, in quel momento, si sentì schiacciare da quell’intensità

“Cambierebbe qualcosa sapere cosa ho io quando la tua caviglia è palesemente operata?”

Deglutì negando con la testa e abbassando lo sguardo sulla propria punta della scarpa, aveva fatto centro, stava cercando qualcuno che lo capisse, senza realmente essere in grado di capirsi da solo ed era strano come uno sconosciuto lo avesse fatto, zittendolo quasi subito, con poche ma mirate parole. Miguel aveva risposto in maniera brusca ma Ben aveva capito perfettamente ciò che volevano dire quelle parole, ovvero che il dolore di uno sconosciuto non avrebbe attenuato il suo.

“Seguimi.”

Ben si ritrovò a seguirlo con calma camminando prudentemente e raggiungendo i giardini in pochi minuti. Uscirono nell’aria fresca e lo seguì fino ad arrivare ad una panchina isolata.

Si sedette tranquillamente appoggiando le due stampelle di fianco a sé, sbadigliò mentre la sua attenzione veniva calamitata dall’altro che cercava, con fatica, di sedersi senza caricare troppo la gambe ferita. Il cuore di Ben ebbe un fremito a quell’immagine e qualcosa di indescrivibile lo obbligò a muoversi appoggiando una mano sulla schiena dell’altro mentre l’altra andava ad accompagnare quel movimento dalla spalla. Non si era nemmeno accorto di ciò che aveva fatto fino a quando si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Miguel che lo guardava curioso e meravigliato, nessuno dei due si era aspettato un gesto del genere.

Lo spagnolo si schiarì la gola riportando entrambe sul pianeta terra, ringraziò sorridendo mentre Ben abbassò lo sguardo e si leccò le labbra per evitare di fare stronzate e avvicinarsi troppo a quel ragazzo.

Ben decise di iniziare a parlare, voleva che quella passeggiata non rimanesse avvolta in quell’imbarazzante tensione che si era creata. Non voleva pensarci troppo, non in quel momento.

“Non potrò più pattinare, la mia caviglia non sarà mai più come prima...”

Lo sguardo chiaro di Miguel si focalizzò sul suo volto, poteva sentirlo su di sé e lo trovava piacevole, quasi in maniera assurda. Non amava essere fissato, sembrava sempre una forma di stalkeraggio e detestava essere al centro dell’attenzione a meno che lui non fosse su una pista di pattinaggio.

“Loro dicono che tornerà al top della forma ma ho molti dubbi a riguardo e non voglio abbandonare tutto.”

Si ritrovò a voltare la testa puntando i propri occhi in quelli dell’altro e sorrise triste di fronte a quella confessione che non aveva fatto a nessuno prima di quel momento. Si sentiva bene, il dirlo ad alta voce gli aveva fatto materializzare quel pensiero, quella paura di rimanere così, uno zoppo che cercava di pattinare.

Gli veniva voglia di piangere, di sfogare quella rabbia repressa che aveva dentro ma qualcosa nell’espressione del giovane lo obbligava a restare immobile ad attendere alcune delle sue parole, voleva sentire la sua voce come un assetato che sente il rumore della fonte e appaga i sensi con essi prima di bere.

“Hai ragione.”

Chiuse gli occhi, Miguel, lasciando che la propria testa cadesse indietro, in religioso silenzio dopo quella risposta così sicura e secca. Non erano amici ma nemmeno quel poco tatto era simpatico, Ben indurì lo sguardo mentre seguiva, con gli occhi, la linea del mento e del pomo d’Adamo del giovane che saliva e scendeva con calma.

“Che significa, scusa?”

Chiese il giovane americano con tono quasi piccato, era abbastanza demoralizzato di suo e non aveva bisogno di altri che glielo dicessero. Qualche giorno prima sarebbe stato già in piedi e già pronto a rientrare in ascensore dopo una risposta di quella portata, non era mai stato bravo a gestire la rabbia e l’andarsene era sempre stata la scelta migliore ma, dopo aver incontrato Miguel, c’era qualcosa che lo teneva lì incatenato ad attendere la sua risposta?

“Significa che hai ragione, la tua caviglia non tornerà mai come prima, semplicemente perché tu per primo non ci credi”

Gli occhi dello spagnolo vagavano verso il cielo, si muovevano calmi mentre seguivano le nuvole con guizzo divertito. Il pattinatore negò con il capo di fronte a quell’affronto, non era il crederci o meno che lo avrebbe guarito, maledizione!

“Sono, anzi ero un pattinatore a livello mondiale… senza una caviglia in ottimo stato sono morto! Capisci che la mia carriera è finita! Il crederci o meno non mi porterà da nessuna maledettissima parte!”

Stava ansimando per aver detto quelle dolorose parole mentre alcune lacrime calde erano sgorgate dai suoi occhi, quelle gocce dispettose erano scivolate via infrangendosi sulla panchina di legno.

“Non puoi capire.”

Quelle lacrime e quell’ultima breve frase formata da tre parole catturarono l’attenzione del giovane che, con una naturalezza disarmante, gli sorrise e parlò con tono amorevole.

“Forse hai ragione, non posso capirti ma se non ci provi credendoci puoi anche lasciar stare di farlo...”

La scintilla di determinazione e di passione che sorvolò quelle iridi celesti mozzarono il respiro del pattinatore, non capiva perché quel discorso lo stesse scuotendo fino a quel punto ma si decise ad ascoltare, mordendosi un labbro per non piangere ancora ed impedirsi di scappare come una ragazzina.

“...sarai solo uno dei tanti che ha mollato la presa, un perdente e null’altro.”

Ben ascoltò quella voce, così calma ma così letale, e negò con la testa, come era possibile che quello straniero parlasse con quella voce morbida e quasi ammaliante mentre nello sguardo aveva quella determinazione e quella carica positiva da farlo fremere?

Non era umanamente possibile, non voleva tutto quello ma…

Affondò i denti nel proprio labbro alzandosi in piedi afferrando le stampelle con decisione, fece un paio di passi incerti senza alzare lo sguardo e si decise a parlare con tono debole e tremolante

“Grazie ma non ho bisogno di qualcuno che mi butti a terra invece di aiutarmi a rialzarmi.”

Miguel rimase seduto su quella panchina per alcuni minuti, immobile a godersi la leggera brezza prima di decidersi ad afferrare il cellulare e, quasi incuriosito, iniziò a cercare l’incidente del ragazzo trovando la notizia del suo infortunio e della sua caviglia.

Ridacchiò tra se, quel ragazzo aveva un’aria da principe. Era la classica persona che bisognava metterla di fronte alle peggiori situazioni per fargli apprezzare ciò che aveva ottenuto ed impedirgli di perderle per sempre.

Lo aveva capito fin dal primo momento in cui lo aveva incontrato, quel suo fare da ragazzo con la puzza sotto il naso era solo una facciata che nascondeva una delle paure più terribili: la solitudine.

Era quasi sicuro di aver centrato appieno il problema e si ritrovò a passarsi le mani nei capelli corti, socchiudendo gli occhi e sbuffando con un sorriso ebete stampato in volto.

Tornò in stanza trovando sua madre che gli aveva preparato la valigia, l’abbracciò con forza mentre annuiva e respirava.

“Sono pronto… torniamo in Spagna.”

Nonostante che il suo femore dovesse ancora guarire del tutto, i medici gli avevano dato il permesso di tornare in patria così da poter restare vicino ai propri parenti.

Stava uscendo dalla hall dell’ospedale quando incontrò Laila, l’infermiera che gli aveva permesso di passare quegli ultimi giorni in compagnia di quel Benedict. Si fermò e la guardò sorridendole affabile mentre lei, subito, si intristì chiedendogli informazioni

“Te ne vai già? E io ora con chi lascio Ben?”

Miguel ridacchiò alzando gli occhi al cielo mentre alzava le spalle in un gesto spontaneo e delicato.

Non era riuscito a chiudere occhio, si era girato e rigirato in quel letto bianco per un numero indicibile di volte ma solo quando aveva guardato l’orologio che indicava le quattro e mezza della mattina aveva deciso di dire basta a tutto quel caos che aveva in testa.

Ben scese dal letto afferrando le stampelle e dirigendosi verso il piccolo bagno, abbassò la tavoletta e ci si sedette sopra sbuffando, afferrò il cellulare scorrendo le storie piene di immagini su Instagram.

I suoi colleghi di pattinaggio si stavano allenando, gareggiavano e si divertivano mentre lui era lì, obbligato in quell’ospedale per via della propria caviglia, inerme di fronte a quella sventura.

“Sono un cretino.”

Quelle parole fluirono dalla sua bocca con dolore e rassegnazione mentre i suoi occhi si colmavano di lacrime nel vedere i volti sorridenti di quelle persone che chiamava amici. Per via del suo carattere, in quel preciso istante voleva solo scoppiare a piangere e distruggere tutto ciò che aveva attorno ma il suo cervello, in quel preciso istante, glielo stava impedendo obbligandolo ad ingoiare un nodo alla gola.

Chiuse gli occhi e fece dei profondi respiri, ricercando dentro di sé quella calma che aveva imparato a controllare quando era sul ghiaccio. Mosse il collo un paio di volte prima di immaginarsi, nella propria mente, su quella lastra trasparente e fredda che ormai considerava come una seconda casa. Immaginò di muoversi vibrando al dolce e familiare suono della lama che fendeva il ghiaccio, il solo ricordo di questa sensazione portò la pelle di Be ad essere percossa da piacevoli brividi che, nella loro semplicità, gli mozzarono il respiro.

Spalancò gli occhi di fronte a quella sua rivelazione, non voleva rinunciare a quelle sensazioni, non si sarebbe arreso per così poco…

Era sicuro che sarebbe caduto ancora, avrebbe quasi sicuramente rotto qualcosa d’altro ma ora aveva la consapevolezza che non doveva lasciarsi mettere in ginocchio da un semplice infortunio.

“Il mio mondo e la mia vita sono sul ghiaccio. Devo tornarci altrimenti morirò, giorno dopo giorno, come in uno di quei film scadenti che nessuno guarda...”

Si sciacquò il volto con dell’abbondante acqua fresca e, abbandonando una delle due stampelle, uscì dal bagno dirigendosi verso il proprio letto con una sicurezza che ultimamente gli era mancata. Mentre camminava si ritrovò a ridacchiare pensando a quanto assomigliasse al Dottor House in quel momento con quell’appoggio precario, da aggraziato pattinatore a grezzo medico zoppo, non male!

Toccò il materasso con le proprie dita e, semplicemente, si girò guardando la distanza tra il letto e il bagno. Ora gli sembrava così lontana ma non impossibile, c’era riuscito, era arrivato fino lì senza una delle due stampelle. Poteva farcela.

Estrasse il telefono dalla tasca della tuta e si scattò un selfie che postò sui social con una scritta semplice quanto d’impatto:   I’m back stronger than before!

Si addormentò con una luce nuova negli occhi, una luce che lo avrebbe portato nuovamente sulla pista.

 

Percorse tutta l’ala dell’ospedale con una sola stampella, Laila era dietro di lui curiosa ma pronta ad afferrarlo in caso di cedimento. Ben fece passare l’intero piano fino a quando, in una della cartelle esposte all’esterno di una camera, trovò il nome di Miguel Rodrigues, entrò guardandosi attorno con il fiatone e gli occhi spalancati.

“E’ stato dimesso ieri, è tornato in patria, pensavo che te lo avesse detto...”

Ben negò con il capo mentre si mordeva il labbro inferiore pensando che, in effetti, non gli aveva lasciato il tempo materiale per dirglielo perchè era stato capace solo di lamentarsi e prendere quelle parole come un’offesa invece di vederle come un incentivo.

Era stato stupido ed infantile e si vergognava. Strinse i pugni annuendo alle parole della donna mentre guardava quelle lenzuola sfatte che dovevano ancora essere cambiate per un nuovo paziente e parlò con voce sicura e con un tono che non ammetteva repliche

“Non so se ci rivedremo ancora ma ti prometto che salirò su quel ghiaccio e farò del mio meglio, sarò più forte di prima, te lo prometto!”

Laila dietro di lui si portò le mani alla bocca sbalordita da quella forza d’animo che aveva mosso quel giovane pattinatore, era stato un incontro quasi del tutto casuale che, però, aveva portato luce nella vita di entrambe gli atleti.

[...To Be Continued...] by BloodyWolf

   
 
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