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Autore: Sognatrice_2000    24/11/2018    1 recensioni
AU-Tutti umani- Ispirato al libro dal titolo omonimo di Tabitha Suzuma-
Fuori, nel mondo, Klaus non si è mai sentito a suo agio.
Gli altri sono tutti estranei, alieni… l’unico con cui può essere se stesso è suo fratello Elijah.
Klaus ed Elijah hanno altri tre fratellini da accudire: Kol, Freya e Rebekah sono la loro ragione di vita e la loro maggiore preoccupazione, da quando il padre violento e alcolizzato è morto e la madre si è trovata un nuovo fidanzato e a casa non c’è mai.
Il tempo passa e solo una cosa ha senso: essere vicini, insieme, legati, forti contro tutto e contro tutti.
Per Elijah, Klaus è il migliore amico. Per Klaus, Elijah è l’unico confidente.
Finché la complicità li trascina in un vortice di sentimenti, verso l’irreparabile.
Qualcosa di meraviglioso e terribile allo stesso tempo, inaspettato ma in qualche modo anche così naturale.
Un sentimento che si rivelerà la loro salvezza e contemporaneamente la loro condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Esther, Klaus, Kol Mikaelson, Mikael, Rebekah Mikaelson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incest, Non-con
Capitoli:
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Elijah

 

 

Non ho mai sentito in vita mia un suono così terribile. 

Un grido di orrore assoluto, di odio, di rabbia e furia allo stato puro. 

E non accenna a smettere, cresce sempre più, sempre più vicino, oscurando il sole, risucchiando via tutto: l'amore, il calore, la gioia. 

Fino a squarciare la luce intensa intorno a noi, sferzando i nostri corpi nudi, strappandoci il sorriso dalla faccia, il respiro dai polmoni.

Niklaus mi afferra saldamente, le braccia strette intorno a me, mi stringe con forza, il viso premuto contro il mio petto come a implorare il proprio corpo di sparire nel mio. 

Per un attimo non so come reagire, continuo semplicemente a stringerlo a me, intento solo a proteggerlo, a fargli da scudo con il mio corpo. 

Poi sento i singhiozzi, acuti e isterici, le accuse strillate, il pianto convulso. 

Alzo la testa a fatica e vedo nostra madre incorniciata dagli stipiti della porta spalancata.

Non appena il suo sguardo inorridito incrocia il mio, lei ci si avventa contro, mi afferra per i capelli e mi tira la testa all'indietro con una forza incredibile. 

Mi tempesta di pugni, mentre le sue unghie lunghe mi graffiano le spalle e la schiena. 

Io non tento nemmeno di respingerla. 

Ho le braccia strette attorno alla testa di Nik, il mio corpo fa da scudo umano tra lui e questa donna impazzita, nel disperato tentativo di proteggerlo dalla sua furia.

Niklaus urla terrorizzato sotto di me, cercando di sprofondare nel materasso. 

Poi le grida di nostra madre cominciano a trasformarsi in parole, che mi perforano il cervello azzerato. 

“Lascialo! Sei un mostro! Lascia il mio bambino! Lascialo! Lascialo subito!”

Io non mi sposto, non intendo staccarmi da Niklaus anche se mamma continua a strattonarmi per i capelli e mi trascina quasi giù da letto. Nik comincia a dimenarsi a fatica per liberarsi dalla mia presa.

“No, mamma! Lascialo! Lascialo! Non ha fatto nulla! Gli stai facendo male, smettila!”

Ora è lui che le urla contro, disperato, sgusciando via da sotto di me, cercando di allungare la mano per respingerla, ma non voglio che loro due entrino in contatto, non permetterò a questa donna inferocita di sfiorarlo.

Quando vedo la sua mano pronta a graffiare il viso di Niklaus, sferro con forza un colpo con il braccio, colpendo mamma alla spalla. 

Lei barcolla all'indietro e si sente un tonfo, seguito dal rumore dei libri che cadono dai ripiani. 

Poi lei si dilegua, con i lamenti che risuonano fino al piano di sotto.

Io balzo giù dal letto, mi scaglio contro la porta della camera e la sbatto con forza, chiudendola con il chiavistello.

Afferro una t shirt a caso e dei jeans dalla sua pila di vestiti e glieli lancio. “Svelto, vestiti. Tra poco tornerà con David o qualcun altro. Il chiavistello non è così resistente…”

Niklaus è seduto in mezzo al letto, con il lenzuolo stretto al petto, i capelli scomposti e arruffati, il volto rigato per le lacrime, terribilmente pallido per lo spavento.

“Tranquillo, Nik. Non preoccuparti. Infilati solo questa roba, per favore. Tra poco sarà di nuovo qui!”

Io trovo solo i boxer, il resto delle mie cose deve essere sepolto sotto la catasta di libri caduti.

Niklaus si riveste, balza in piedi e corre alla finestra aperta. “Possiamo passare da qua.” Propone, ansimando.  “Possiamo saltare giù…"

Lo trascino via, facendolo sedere a forza sul letto.  “Ascoltami. Non possiamo fuggire... ci troverebbero comunque. Rifletti, Niklaus. Che ne sarebbe di Rebekah, di Kol, di Freya? Non possiamo abbandonarli così. Aspetteremo qui, ok? Nessuno ti farà del male, te lo prometto. Nostra madre non voleva aggredirti, voleva solo salvarti. Da me.” Respiro a fatica.

“Non m’importa!” Ricomincia a urlare, mentre le lacrime gli scendono lungo le guance. “Non possiamo rimanere qui ad aspettare che arrivi la polizia senza fare niente!”

Lo afferro per le spalle per impedirgli di sgusciare via dalla mia presa. “Nik, calmati. Devi ascoltarmi. Nessuno ti farà del male, capito? Lei vuole solo proteggerti…”

“Da cosa?” Singhiozza convulsamente, urlando con occhi di fuoco. “Da chi? Non può separarci, non glielo permetterò mai!”

Altre urla. 

Ci blocchiamo entrambi, questa volta il rumore proviene dalla strada. 

Raggiungo la finestra per primo. 

Mamma cammina avanti e indietro davanti alla casa, gridando e strillando al cellulare.  

“Deve venire subito qui!” Singhiozza. “Oh, dio, sbrigatevi! Mi ha già tirato un pugno e ora si è barricato in camera con lui! Quando sono entrata ha cercato di soffocarlo! Credo che lo ucciderà!”

Vicini curiosi sporgono la testa dalle finestre e dalle porte, alcuni già le corrono incontro dall'altra parte della strada. Sento una vampata di sudore freddo e le gambe che minacciano di cedermi.

“Sta chiamando la polizia!” Grida Niklaus, cercando di divincolarsi mentre lo trascino via dalla finestra. 

“Devo scendere giù e spiegare ogni cosa! Devi dire a tutti che non hai fatto niente di male!”

“No, Nik, no. Non puoi! Non farebbe nessuna differenza! Devi restare qui e ascoltarmi. Devo parlarti.”

D'un tratto, so cosa devo fare. 

So che c'è un'unica soluzione, un solo modo per mettere in salvo Niklaus e i nostri fratelli. 

Ma lui non vuole ascoltarmi e continua a dimenarsi, mentre io lo stringo tra le braccia per impedirgli di correre verso la porta. Lo trascino nuovamente sul letto, bloccandolo con il mio peso.

“Nik, devi ascoltarmi. Penso... di avere un piano, ma tu devi ascoltarmi o non funzionerà. Ti prego, Niklaus.” 

Gli poso una mano sulla guancia, accarezzandolo dolcemente per calmarlo.

Lui smette di dimenarsi. “Va bene, ti ascolto.”

Tenendolo ancora stretto, fisso il suo volto per metà arrabbiato per metà terrorizzato, gli occhi sgranati, e faccio respiri profondi nel disperato tentativo di riorganizzare i pensieri, di calmarmi, di trattenere le lacrime che mi salgono e che lo spaventerebbero e basta. 

Stringo la presa sui suoi polsi, tenendomi pronto a bloccarlo se dovesse tentare di correre verso la porta.

 

“Va tutto bene.” Affermo, facendo di tutto per evitare che la voce mi si spezzi. “Anzi, è meglio così. La polizia risolverà tutto. La calmeranno. Mi porteranno in commissariato per interrogarmi, ma sarà solo…”

“Non trattarmi da stupido, Elijah.” La rabbia nella voce di Niklaus è attutita dall'orrore. “Quello che abbiamo appena fatto è contro la legge. Ci arresteranno perché abbiamo infranto la legge.”

Inspiro di nuovo, con la gola che minaccia di serrarsi del tutto. 

Se crollo adesso, è finita. Nik non accetterà mai quello che sto per proporgli. Devo convincerlo che è la soluzione migliore, che non ci sono alternative.

“Niklaus, devi ascoltarmi, dobbiamo risolvere la cosa in fretta, potrebbero essere qui da un momento all’altro.” Nonostante il terrore nei suoi occhi, lui annuisce e basta, in attesa che io prosegua.

“Okay, ora stammi bene a sentire: questo è molto, molto importante. Se ci arrestano entrambi, saremo trattenuti per essere interrogati, e potrebbe volerci qualche giorno. Freya e Rebekah tornerebbero a casa e non ci troverebbero più. La mamma sarebbe di sicuro ubriaca, e anche se così non fosse, la polizia contatterebbe comunque gli assistenti sociali e tutti e tre i ragazzi verrebbero allontanati per via di quello che è successo. Pensa a Freya, a Rebekah, a come sarebbero terrorizzate. Rebekah era preoccupata…” La voce mi si spezza in gola e sono costretto a interrompermi. “Rebekah era preoccupata di passare la notte fuori!” Le lacrime si fanno strada nei miei occhi come lame. “Capisci? Capisci cosa succederà se ci arrestano entrambi?”

Nik annuisce inorridito e silenzioso, ammutolito per lo shock.

“Però c’è un modo.” Proseguo disperato. “Per evitare tutto questo. Nessuno li allontanerà se uno di noi due resta qui a prendersi cura di loro e a coprire le spalle a nostra madre. Tu lo capisci, vero Niklaus?” Comincio ad alzare la voce. “Uno di noi due deve restare qui. E devi essere per forza tu…”

Niklaus  si blocca, con gli occhi azzurri pieni di terrore. 

Le lacrime gli pendono dalle ciglia, il viso ha perso completamente colore. Il silenzio della stanza è rotto solo dai suoi respiri ossessivi.

“No!” Il suo grido mi trafigge il cuore da parte a parte.  Stringo la presa attorno ai suoi polsi, mentre lui lotta per liberarsi. “No, te lo puoi scordare, non lo farò mai!”

“Niklaus, se i servizi sociali li portano via, nessuno di noi due li rivedrà più finché non saranno adulti! Se lasci che vada solo io, ci sono buone probabilità che possa essere rilasciato dopo pochi giorni.” Spero con tutto il cuore che abbia sufficiente fiducia in me da credere a questa bugia.

“Resta tu!” Esclama improvvisamente Niklaus, guardandomi con occhi imploranti. “Sì, faremo così! Tu resti e vado io! Non ho paura.”

Scuoto la testa affranto. “Non funzionerà mai!” Replico esasperato, tentando di farlo ragionare. “Ricordi le cose che ci siamo detti qualche settimana fa? Nessuno ci crederà se diciamo che tu mi hai costretto. E se diciamo alla polizia che era consensuale, ci arresteranno entrambi! Dobbiamo fare così per forza.” Gli prendo il viso tra le mani e sorrido dolcemente, pieno di tristezza e convinzione. 

“Se uno di noi due deve restare, devi essere tu.”

Niklaus si accascia in avanti non appena gli si palesa la verità. Cade verso di me, ma io non posso stringerlo tra le mie braccia, non ancora.

“Ti prego, Nik.” Lo imploro. “Dimmi che lo farai. Dimmelo adesso, subito. Devo avere la certezza che tu e gli altri sarete sani e salvi. Non potrei sopportarlo. Devi farlo a tutti i costi. Per me. Per noi. È a nostra unica possibilità di tornare ad essere una famiglia.”

Lui abbassa la testa, continuando a restare in silenzio.

Ma poi annuisce lentamente. 

“Sì.” Sussurra alla fine, così piano che per un momento credo di averlo soltanto immaginato.

Passano diversi minuti e lui non si muove. 

Poi, d'un tratto, alza la testa con un singhiozzo strozzato  e mi intrappola in un abbraccio così stretto che sento i polmoni bruciare. 

Affonda la faccia nel mio collo con un sospiro che ha il sapore sporco di lacrime trattenute, e io gli avvolgo le braccia intorno alla schiena, consapevole che quella potrebbe essere l’ultima volta. Il nostro ultimo abbraccio. 

Un mormorio di voci sommesse sale dal piano di sotto, sicuramente vicini allarmati, accorsi a confortare nostra madre.  

“C'è un'altra cosa…”Sussurro tra i suoi capelli continuando a tenerlo stretto. “Dobbiamo…metterci d'accordo sulla versione da dare. Altrimenti io sarò trattenuto più a lungo e tu verrai convocato più volte per essere interrogato e le cose peggioreranno e basta…”

Faccio un respiro profondo nel tentativo di calmarmi. 

“Non abbiamo tempo di inventarci nulla.” Continuo, con la voce che mi si spezza ad ogni parola. “Quindi racconteremo le cose esattamente come sono andate. Tutto quello che è successo, com'è iniziata, da quanto va avanti... Se le nostre storie non combaciano, potrebbero arrestare anche te. Perciò devi raccontare la verità, Nik capisci? Qualunque dettaglio ti chiedano!” Chiudo gli occhi per trattenere le lacrime. “L'unica cosa che dobbiamo aggiungere è che… che io ti ho costretto con la forza. Io ti ho costretto a fare tutto quello che abbiamo fatto, Nik.”

Sto per perdere il controllo, le parole tremano come l'aria intorno a me. “La prima volta che ci siamo baciati, ti ho detto che non potevi rifiutarti altrimenti... altrimenti ti avrei picchiato. Ho giurato che se l'avessi raccontato a qualcuno, ti avrei ucciso. Tu eri terrorizzato. Eri convinto che l'avrei fatto sul serio e perciò da quel momento in poi, ogni volta che io... ti volevo, tu... hai fatto come dicevo io.”

Niklaus si stacca di colpo, guardandomi inorridito, con lacrime silenziose che gli scendono ormai inesorabili lungo le guance. “Non puoi chiedermi questo, Elijah! Ti manderanno in prigione!”

“No.” Scuoto la testa, sforzandomi di apparire il più convincente possibile. “Dirai semplicemente che non vuoi sporgere denuncia. Se non c'è nessuna denuncia, non ci sarà alcun processo, e io sarò di nuovo a casa entro pochi giorni.” Lo fisso implorandolo in silenzio di credermi. 

Lui aggrotta le ciglia e scuote la testa lentamente, come se si sforzasse di capire. “Non ha senso…"

“Fidati di me.” Respiro troppo in fretta. “La maggior parte degli abusi sessuali non arriva in tribunale perché le vittime hanno troppo paura o troppa vergogna per sporgere denuncia. Perciò dirai semplicemente che tu non vuoi sporgere denuncia... Ma ricorda una cosa, Niklaus.” Tendo la mano e gli afferro il braccio. “Non dovrai mai e poi mai dire che è stato consensuale. Non dovrai mai e poi mai ammettere di aver preso parte alla cosa di tua spontanea volontà. Ti ho costretto io con la forza. Qualunque cosa loro ti chiedano, qualunque cosa ti dicano, io ti ho minacciato. Hai capito?”

Annuisce debolmente senza guardarmi.

Non convinto, lo strattono per le braccia. “Non ti credo! Dimmi cos'è successo! Cosa ti ho fatto?”

Lui mi guarda con il labbro inferiore che gli trema, gli occhi lucidi. “Mi hai violentato.” Risponde, e si porta le mani alla bocca per soffocare un grido.

Non resisto all’impulso di abbracciarlo di nuovo.

 

 

 

Ho giurato che ti avrei sempre protetto, Niklaus, e ora sto mantenendo quella promessa…

 

 

 

  

Lui è rannicchiato contro di me, con la guancia sul mio petto, tremante per lo shock. 

Io lo stringo a me, mentre fisso il soffitto, con il terrore di scoppiare a piangere, il terrore che lui si accorga di quanta paura abbia davvero, che si renda conto all'improvviso che anche se lui non sporgerà denuncia lo farà qualcun altro.

“Non... non capisco.” Ansima. “Com'è potuto succedere? Perché la mamma è tornata proprio oggi? Come diavolo ha fatto a entrare senza chiavi?”

Sono troppo angosciato per pensarci o preoccuparmene. L'unica cosa che conta è che ci hanno scoperti. 

Denunciati alla polizia. 

L’amore, le risate, la felicità… non riesco a credere che sia finito tutto così.

“Sarà stato qualche vicino. Non siamo stati abbastanza cauti con le tende.” Rispondo distrattamente. 

Niklaus trema con un singhiozzo silenzioso contro il mio corpo. “Non capisco… siamo ancora in tempo, Elijah. Possiamo ancora scappare!” La voce gli sale per l'angoscia.

 

Perché altrimenti non potrò raccontare la mia versione. Quella che voglio dare alla polizia. 

La versione che assolve te da ogni possibile imputazione. Se io scappo, potrebbero arrestare te. 

E se scappiamo entrambi, è come se ci auto accusassimo da soli.

 

 

Non dico niente, mi limito a stringerlo ancora più forte nella speranza che si fidi di me.

Il suono della sirena ci fa sobbalzare entrambi. 

Niklaus si stacca da me all’improvviso, cogliendomi di sorpresa. 

In un attimo balza giù dal letto e tenta di raggiungere la porta. 

Mi frappongo tra lui e la porta all’ultimo momento, un attimo prima che possa fare qualcosa di sconsiderato.

“No, Elijah! Fammi scendere giù a spiegare tutto, altrimenti le cose peggioreranno!”

Deve essere così. 

Deve sembrare la cosa peggiore in assoluto. 

D'ora in avanti dovrò ragionare da stupratore, comportarmi da stupratore. 

Dimostrare che ho abusato di Niklaus contro il suo volere.

Dalla strada sale il rumore di portiere che sbattono. 

Sento di nuovo la voce isterica della mamma. 

La porta di casa si apre di colpo. 

Passi pesanti risuonano lungo il corridoio. 

Niklaus smette di tentare di oppormi resistenza e crolla contro di me, appoggiando la fronte contro il mio petto, le spalle scosse da singhiozzi silenziosi.

“Andrà tutto bene.” Gli sussurro disperato nell'orecchio.   “Sono solo formalità. Mi arresteranno solo per interrogarmi. Quando tu gli dirai che non vuoi sporgere denuncia, mi lasceranno andare.”

Lo stringo forte, carezzandogli i capelli, sperando che un giorno potrà capire, potrà perdonarmi di avergli mentito. Ora devo solo fare attenzione a non pensare, a non andare nel panico, a non capitolare. 

Dal piano di sotto provengono voci concitate, in particolare quella di nostra madre. Il rumore di più passi sulle scale.

“Staccati.” Gli sussurro pressante.

Lui non reagisce, rimane stretto a me con la testa affondata nella mia spalla, le braccia avvolte con forza attorno al mio collo.

“Niklaus, staccati da me, subito!” Cerco di tirargli via le braccia, ma lui rimane inchiodato a me. 

Non vuole staccarsi.

I colpi alla porta ci fanno sobbalzare entrambi con violenza. Il rumore è seguito da una voce secca, perentoria: “Polizia. Aprite.” 

 

 

Mi dispiace, ma ho appena violentato mio fratello e lo sto trattenendo contro la sua volontà. Non posso essere così obbediente.

 

 

 

Mi danno un avvertimento. Poi si sente il primo colpo. 

Niklaus non vuole saperne di allontanarsi. 

È fondamentale che io lo giri di spalle, cosicché una volta entrati, i poliziotti vedranno che lo tengo immobilizzato di schiena, con le braccia strette lungo i fianchi. 

Un altro colpo. Il legno attorno al chiavistello s'incrina. Ancora uno e saranno dentro.

Spingo Niklaus via da me con tutta la mia forza. 

Lo guardo negli occhi, i suoi bellissimi occhi azzurri, e sento salire le lacrime. “Ti amo.” Sussurro. “Mi dispiace.” 

 

Mi dispiace, preferirei morire che infliggerti anche un solo istante di dolore, ma è l’unico modo… perdonami, Niklaus…

 

Poi sollevo la mano destra e lo colpisco con forza in faccia.

Il suo grido riempie la stanza un attimo prima che il chiavistello si spezzi facendo spalancare la porta di colpo. Tra gli stipiti compare una folla di divise scure e ricetrasmittenti che gracchiano. 

Io tengo il braccio avvolto attorno alle braccia e ai fianchi di Niklaus, stringendogli la schiena contro di me. 

Sotto la mano chiusa a tappargli la bocca, sento un rivolo rassicurante di sangue.

Quando mi ordinano di lasciarlo andare e di allontanarmi dal letto, io non riesco a muovermi. 

Devo cooperare ma non sono fisicamente in grado di farlo. Sono paralizzato dalla paura. 

Terrorizzato di togliere la mano dalla bocca di Niklaus, per paura che lui possa confessare la verità. 

Terrorizzato di non poterlo più rivedere.

Mi intimano di alzare le mani.  

Io comincio a staccare la presa da Nik. 

No! Grido dentro di me. 

Non voglio lasciarti, non voglio perderti! 

Sei il mio amore, la mia vita! 

Senza di te non sono niente, non ho più niente. 

Se perdo te, perdo tutto. 

 

 

Alzo le mani molto lentamente, sforzandomi di tenerle in alto, lottando contro l'istinto travolgente di riabbracciarlo di nuovo, di baciarlo un'ultima volta. 

Una donna poliziotto si avvicina cauta, come se Niklaus fosse un animale selvatico pronto a fuggire, invitandolo a scendere dal letto. 

Lui si lascia scappare un piccolo singhiozzo trattenuto, ma lo sento fare un respiro profondo e mantenere il controllo. Qualcuno gli avvolge attorno una coperta. 

Cercano di accompagnarlo fuori dalla stanza.

“No!” Grida lui, ribellandosi ai loro tentativi di condurlo fuori. Si gira verso di me, pericolosamente vicino alle lacrime, con il sangue che gli macchia il labbro inferiore. 

Labbra che un tempo ho sfiorato con tale delicatezza, labbra che conosco così bene, che amo così tanto, labbra che non avrei mai pensato di poter ferire. 

Ma ora, con la bocca sanguinante e il volto rigato di lacrime, Niklaus ha l'aria talmente scioccata e malridotta che, se anche dovesse ripensarci e dire la verità, sono quasi certo che nessuno gli crederebbe.

I suoi occhi incrociano i miei, ma sotto lo sguardo vigile degli agenti di polizia non posso lanciargli neanche un piccolo segnale per rassicurarlo. 

Va’, Niklaus. Lo imploro con gli occhi. Segui il piano. Fallo. Fallo per me.

Non dimenticarti di noi, non dimenticare che ti ho amato veramente, con tutto il cuore, con tutta l’anima.

Non voglio che tu mi ricordi come un mostro pronto a farti del male, non voglio che l’ultima immagine che hai di me sia questa.

Ricordaci come eravamo a Natale, in quella sera magica, in quell’istante perfetto, a baciarci e ridere sotto l’albero, quando credevamo davvero che quella felicità potesse durare per sempre.

Ricorda quel momento, tienilo stretto, legalo con un laccio intorno al cuore.

Ricordaci così. Pensaci per sempre così.

 

 

 

Mentre Niklaus si volta, il suo viso si contrae e io lotto contro l'istinto di gridare a gran voce il suo nome. 

E mi imprimo nella memoria ogni singolo dettaglio di quel volto che ho tanto amato, prima che lui esca dalla stanza.

Non appena lui è considerato fuori pericolo, i due agenti uomini si avventano su di me. 

Afferrandomi un braccio per parte, mi intimano di alzarmi lentamente. 

Io eseguo l'ordine, contraendo ogni muscolo e serrando i denti nel tentativo di smetterla di tremare.  

Sento Nik piangere al piano di sotto, e ad ogni suo singhiozzo mi sento morire dentro un po’ più. “Cosa gli faranno? Cosa gli faranno?” Continua a gridare.

La risposta viene ripetuta più e più volte da una dolce voce femminile. “Non preoccuparti. Ora sei al sicuro. Non potrà più farti del male.”

“Hai qualcosa da metterti addosso?” Mi chiede uno dei due agenti. Robusto, le spalle larghe, i capelli biondo cenere e gli occhi segnati della durezza della vita, gli occhi di chi ha dovuto crescere troppo in fretta, non sembra molto più vecchio di me. 

Da quanto tempo sarà in polizia? Mi domando. 

Avrà già avuto a che fare con un crimine tanto disgustoso?

“In… in camera mia.”

Il giovane agente mi segue nell'altra stanza e mi tiene d'occhio mentre mi rivesto, con la radiolina che gracchia nel silenzio. 

Io sento i suoi occhi sulla schiena, sul mio corpo, pieni di disgusto. Non riesco a trovare niente di pulito. Stranamente, sento il bisogno di indossare qualcosa che sia fresco di bucato. 

Avverto l'impazienza dell'uomo in piedi sulla porta alle mie spalle ma ho talmente tanta voglia di coprirmi che non riesco più a pensare lucidamente, mi sembra di aver dimenticato persino dove tengo i vestiti. 

Alla fine, scelgo le prime cose che mi capitano sotto mano: una t-shirt bianca e un paio di jeans, infilando i piedi nudi nelle scarpe da ginnastica. 

Un altro agente tozzo e tarchiato ci raggiunge nella stanza. 

I due sembrano fin troppo voluminosi per questo spazio ristretto. 

Sono dolorosamente consapevole del letto disfatto, dei vestiti sparsi in giro sulla moquette. 

Il bastone rotto delle tende, la vecchia scrivania scheggiata, le pareti scrostate. 

Improvvisamente mi vergogno di tutto. 

Lancio un'occhiata alla piccola istantanea della nostra famiglia ancora appesa sulla parete sopra il letto, quella scattata il giorno del mio diciottesimo compleanno.

Io che reggo la macchina fotografica con il braccio destro alzato e con l’altro braccio trattengo un Kol imbronciato, che all’ultimo momento stava cercando di sgattaiolare via.

Freya sulle punte dei piedi che sorride dolcemente all’obbiettivo, al fianco di Niklaus, con Rebekah stretta tra le braccia che sorride raggiante.

Di colpo sento il bisogno di portarla via con me. 

Ho bisogno di avere qualcosa, qualunque cosa, che mi ricordi di loro.

L'agente più anziano mi fa alcune domande di routine: nome, data di nascita, nazionalità... 

La mia voce continua a tremare nonostante i miei sforzi per stabilizzarla. Più cerco di non balbettare e più le parole mi si incastrano in gola. 

Quando la mente mi si azzera e non ricordo nemmeno più la mia data di nascita, i due mi fissano dall'alto in basso, convinti che voglia nascondere volutamente il dato in questione. 

Tendo le orecchie per captare la voce di Niklaus, ma non sento più niente. 

Cosa gli hanno fatto? Dove l'avranno portato?

“Elijah Mikaelson.” Recita l’agente biondo in tono piatto e meccanico. “Sei accusato di abuso sessuale nei confronti di tuo fratello sedicenne. Ti dichiaro in arresto per aver infranto l'articolo venticinque della legge sui reati sessuali, avendo espletato attività sessuale con un membro minorenne della famiglia.”

L'accusa mi arriva come un pugno allo stomaco. 

Mi fa sembrare anche peggio di uno stupratore: un pedofilo. E Niklaus, un bambino? Non lo è più da anni. 

Ed è già oltre l'età del consenso! 

Ma ovviamente, mi rendo conto all'improvviso, anche se mancano solo due settimane al suo diciassettesimo compleanno, tecnicamente è ancora un bambino agli occhi della legge. Avendo io diciotto anni, invece, sono considerato un adulto.  

Ora l'agente mi sta leggendo i miei diritti. “Hai il diritto di rimanere in silenzio. Ma potresti arrecare danno alla tua difesa se rifiuti di rispondere a domande su cui poi farai assegnamento in tribunale. Qualsiasi cosa dici potrà essere usata contro di te.” La voce è sicura, perentoria, il volto una maschera: vacua, fredda, senza alcuna espressione. 

Ma questo non è un poliziesco alla televisione. 

Questo è reale. Ho commesso un crimine vero.

Il giovane agente mi informa che ora mi accompagneranno fuori per salire sulla volante. 

Il corridoio è troppo stretto per passare in tre. 

L'agente tozzo ci fa strada, con passo lento e cadenzato. L'altro mi tiene saldamente stretto per il braccio. 

Fino ad ora sono riuscito a nascondere la paura, ma mentre ci avviciniamo alla scala, mi sento invadere da un'improvvisa ondata di panico.  

Mentre scendiamo a fatica lungo le strette scale, sento che la mia maschera sta per sfaldarsi. 

Respirando a fondo, mi mordo il labbro con forza. 

Se Niklaus dovesse vedermi, è fondamentale che io esca di casa senza crollare.

Voci salgono e scendono dalla cucina. La porta è chiusa. Ecco dove l'hanno portato. 

Prego che lo stiano trattando da vittima, dandogli conforto, anziché tempestarlo di domande. 

Devo stringere i denti, irrigidire ogni muscolo del corpo per impedirmi di correre da lui, abbracciarlo, baciarlo un'ultima volta.

Noto una corda rosa, di quelle per saltare, che pende dalla ringhiera. 

Sulla moquette è rimasta ancora una caramella da ieri sera. Scarpe piccole sono sparpagliate accanto all'attaccapanni in soggiorno. 

I sandali bianchi di Rebekah e le scarpe con i lacci che ha finalmente imparato a legarsi, tutte minuscole. 

Le scarpe di scuola di Freya con le suole consumate, e quelle ballerine con i glitter che le piacciono tanto, quelle che le avevo regalato per il suo undicesimo compleanno.

Le amatissime scarpette da calcio di Kol, i guanti da portiere con una striscia rosa di lato che Nik gli aveva regalato due anni fa per fargli uno scherzo, e il suo pallone "fortunato". 

Sopra, le giacche della divisa penzolano dimenticate, vuote, come fossero i loro fantasmi. 

Rivoglio i miei fratelli. Li rivoglio. 

Mi mancano, il dolore è come un buco nel cuore. 

Erano talmente felici di partire che non ho neppure avuto il tempo di abbracciarli. Non li ho nemmeno salutati. 

Ma mentre vengo trascinato davanti alla porta aperta del soggiorno, un movimento cattura la mia attenzione e mi fa bloccare di colpo. 

Giro la testa verso una figura seduta in poltrona e, con mia grande sorpresa, vedo Kol. 

È lì immobile, bianco come un cencio, con una donna poliziotto accanto, i borsoni dell'Isola di Wight preparati con tanta cura gettati malamente ai suoi piedi. 

Quando si gira lentamente verso di me, io lo guardo fisso, senza capire. 

I poliziotti mi spingono da dietro, sento un: “Muoviti.”

“Che ci fai qui?” È assurdo che lui debba assistere a questo. 

È assurdo che siano riusciti a rintracciarlo prima che partisse, coinvolgendolo. 

Ha solo tredici anni! Vorrei urlare. 

Dovrebbe essere in gita e non qui ad assistere all'arresto del fratello per abuso sessuale nei confronti di un membro della sua famiglia. 

Vorrei prenderli tutti a calci, per obbligarli a lasciarlo andare.

I suoi occhi si staccano dal mio viso, scendendo verso le manette che mi stringono i polsi e poi su di nuovo verso i poliziotti che tentano di trascinarmi via. 

Ha il viso smorto, scioccato.

“Gliel'hai detto tu!” Grida lui all'improvviso, facendomi sobbalzare.

Io lo fisso sorpreso, senza capire. “Che cosa?”

“Al mio insegnante! Gli hai detto delle vertigini!” Strilla lui, il viso deformato dalla rabbia. “Mi ha cancellato dalla lista di roccia davanti a tutta la classe! Mi hanno riso tutti dietro, compresi i miei amici! Hai rovinato la più bella settimana della mia vita!”

Sforzandomi di non restare senza fiato, sento il cuore che comincia battermi forte. “Sei stato tu?” Boccheggio.  “Sapevi tutto? Di me e di Niklaus? Lo sapevi?”

Lui annuisce in silenzio.

“Signor Mikaelson, deve venire subito con noi!”

II suo commento su me e Niklaus a casa da soli, la mattina in cui si era presentato davanti alla porta del bagno e credevamo che non avesse visto niente, il rumore alla porta mentre ci baciavamo in cucina... 

Perché non ce l'ha detto prima? 

Perché aspettare fino a ora?

Perché non voleva finire nelle mani degli assistenti sociali. Perché non ha mai avuto intenzione di dirlo. 

Per qualche strano motivo, sento il bisogno di fargli sapere che non ho mai chiesto che venisse cancellato dalla lista di roccia, non ho mai pensato che potesse essere umiliato davanti ai suoi amici, non avrei mai voluto rovinargli la sua prima gita, il più bel giorno della sua vita. 

Ma gli agenti mi urlano dietro, spingendomi fuori dalla porta di casa con grande insistenza.

Mi fanno sbattere con le spalle contro le pareti, mi trascinano verso la volante parcheggiata davanti alla casa. Io mi contorco e ruoto la testa, cercando disperatamente di chiamarlo da dietro le spalle. 

I vicini sono usciti dalla loro case e si sono assemblati attorno alla volante parcheggiata, osservano incuriositi mentre io vengo piazzato a sedere in malo modo sul sedile posteriore. 

Mi allacciano la cintura di sicurezza e chiudono la portiera dalla mia parte, sbattendola con forza. 

L'agente più anziano sale davanti, con la radiolina che ancora gracchia, mentre il più giovane prende posto dietro, accanto a me. 

I vicini ora si accalcano come una lenta ondata, sbirciando, puntando il dito, con le bocche che si aprono e si chiudono in domande mute. 

D'un tratto si sente un colpo violento contro la portiera. 

Giro di scatto la testa e faccio giusto in tempo a vedere Kol che prende freneticamente a pugni il finestrino.

“Perdonami!” Grida, anche se il vetro antiproiettile ne attutisce molto la voce. “Elijah, perdonami, perdonami, perdonami! Non pensavo che sarebbe finita così... non pensavo che mamma avrebbe chiamato la polizia!”

Piange in modo incontrollabile, come non faceva più da anni, con le lacrime che gli rigano le guance, il corpo in preda a violenti singhiozzi, mentre prende a pugni il finestrino nel tentativo folle di liberarmi. “Torna!” Grida a squarciagola. “Torna da noi!”

Armeggio con la portiera, nel disperato tentativo di dirgli che andrà tutto bene, che tornerò presto, anche se so che non è vero. 

Soprattutto vorrei dirgli di non preoccuparsi, so che non era sua intenzione arrivare a questo, capisco che la sua sia stata solo una reazione istintiva di dolore, rabbia e delusione. 

Voglio che sappia che ovviamente lo perdono, che non è affatto colpa sua, che gli voglio bene, gliene ho sempre voluto, al di là di tutto...

Uno dei vicini lo trascina via e la macchina si stacca dal marciapiede. 

Mentre prendiamo velocità, mi giro un'ultima volta e vedo Kol correre verso di noi, con le gambe lunghe che colpiscono ritmiche il marciapiede, l'espressione di concentrazione assoluta che ben conosco: la stessa di quando giocavamo insieme a calcio, a palla avvelenata, a guardie e ladri...

Riesce a starci dietro fino a quando non raggiungiamo la fine della stretta via di casa per poi immetterci sulla strada principale e accelerare. 

Allungando il collo in modo spasmodico per non perderlo di vista, lo vedo infine bloccarsi suo malgrado, con le mani lungo i fianchi, sconfitto, in lacrime.

Non dovete lasciare che Kol perda! Vorrei gridare ai poliziotti. 

Nessuno dei miei fratelli può perdere! Anche quando si gioca all'ultimo sangue, alla fine devi sempre lasciarti prendere!

Kol resta lì a fissare la macchina come se volesse che tornassimo indietro e io lo vedo rimpicciolirsi in fretta, man mano che la distanza tra noi aumenta. 

Ben presto, mio fratello è solo un puntino in lontananza. 

Poi sparisce del tutto.

  
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