Dal capitolo 22:
"«E non ho finito...» aggiunse il dottore, con una certa timidezza nella voce.
«Che cos’altro è successo?» domandò il poliziotto, in un sussurro. Non sapeva più che cosa aspettarsi.
«Ecco... quando Semir era vigile, io gli ho fatto qualche controllo, prima di lasciarvi soli, ricordi?».
Il ragazzo annuì, invitando il medico a continuare.
«Gli ho chiesto di stringermi la mano e lo ha fatto. Poi però gli ho chiesto di spingere con i piedi verso i palmi delle mie mani...».
«Ti prego, Chris, non dirmi che...».
«Non ho sentito niente, Ben.» lo interruppe Schneider, a bassa voce «Nemmeno una forza leggerissima, niente. L’ho già detto al chirurgo ortopedico, ci lavoreremo insieme. Potrebbe essere stato un problema momentaneo, ma fino a quando Semir non si sveglierà non posso escludere nulla.»."
GIORNO 28.
Quella
mattina, Ben si svegliò
decisamente più riposato.
Arrivò in ospedale molto presto, passò da Andrea
per salutarla, sempre convinto
che lei lo potesse sentire, e imboccò poi il lungo corridoio
che lo avrebbe
portato verso la stanza di Semir.
Davanti a lui, però, a qualche metro di distanza, il
corridoio era ingombrato
da un gruppo di persone che avanzavano velocemente.
Ben corrucciò la fronte, poi distinse la Kruger e il
commissario dell’LKA e
immediatamente si ricordò le parole che gli aveva detto
Keller il giorno prima:
sarebbe stato trasferito in carcere.
Raggiunse il gruppetto di corsa.
Keller, in piedi sulle sue gambe, era ammanettato e trattenuto da due
agenti in
divisa dell’LKA, mentre i due commissari guidavano il gruppo
lungo il
corridoio, verso l’ascensore.
Vedendolo avanzare, Friedrich si arrestò, obbligando tutto
il gruppo a
fermarsi.
«Jager, vediamo se almeno lei riesce a esaudire le preghiere
di un povero
condannato a rimanere in un buco a vita.» disse non appena
l’ispettore fu
abbastanza vicino, in modo che tutti potessero sentirlo.
«Buongiorno, Jager.» fece Kim, ignorando le parole
dell’uomo.
Ben la salutò velocemente, soffermando però la
sua attenzione sul criminale.
«Che cosa sta dicendo?».
«Ha chiesto di poter passare dalla stanza di Gerkhan prima di
essere portato
via.» rispose la Kruger al suo posto «Ovviamente
non si può fare.».
«Jager...» provò a intromettersi ancora
Keller, piantando le sue iridi grigie
in quelle scure dell’ispettore.
«Non credo proprio che sia una buona idea.»
ribadì il commissario, senza
lasciare a Ben il tempo di esprimersi.
Quindi il gruppo ricominciò a camminare, ma Keller si
fermò un’altra volta.
Nonostante avesse le manette ai polsi, riuscì a sporgersi in
avanti e a tendere
la mano destra verso Ben.
Il giovane poliziotto rimase per un attimo immobile, a guardarla
interdetto.
«Insomma, Jager, almeno un saluto crede di potermelo
concedere?» fece l’evaso.
E Ben, senza capire, gli strinse la mano.
Il gruppo, per la seconda volta, ricominciò a camminare.
Quando raggiunsero la stanza di Semir, Ben si fermò, mentre
gli altri
proseguivano verso l’uscita.
Sentì Keller sussurrare qualcosa, passando davanti a quella
porta, e per un
attimo un brivido gli percorse inspiegabilmente la schiena.
«Noi sopravviviamo, Gerkhan.».
Poi Keller sparì in fondo al corridoio, insieme ai
poliziotti che lo
scortavano.
Finalmente solo, Ben aprì il palmo della mano destra,
contemplando interdetto
il foglio piegato che l’uomo gli aveva lasciato scivolare tra
le mani con la
scusa del saluto.
Corrugò la fronte e decise di aprirlo, ma un suono ovattato
di passi lo
distolse dai suoi pensieri: vide Schneider percorrere il corridoio a
grandi
falcate, andando verso di lui.
In fretta, ripiegò il foglio in modo che occupasse ancora
meno spazio e lo
lasciò cadere nella tasca della giacca.
«Pronto?»
esclamò Schneider,
sorridente, non appena lo ebbe raggiunto.
Ben annuì ricambiando il sorriso, sperando che il medico non
avesse notato il
foglio, o avrebbe sicuramente fatto domande.
«Allora entriamo.» continuò Chris,
abbassando con decisione la maniglia e
facendo ingresso nella stanza, seguito dall’ispettore.
Il
sole nitido di dicembre
penetrava dalla piccola finestra quadrata ritagliata nel muro e la
stanza era
più illuminata rispetto alle precedenti mattine.
Semir, disteso, aveva già gli occhi aperti.
«Buongiorno, ispettore!» esordì il
dottor Schneider, avvicinandosi al letto del
paziente «Come si sente oggi?».
Semir si limitò ad annuire leggermente, ad indicare che
stava meglio.
In realtà aveva difficoltà persino a respirare,
ma immaginava che questo il
medico lo avrebbe notato da sé.
Il dottore cominciò a girargli intorno, controllò
i monitor dei macchinari che
lo circondavano e iniziò i suoi scrupolosi controlli, mentre
Ben se ne stava in
disparte, lo sguardo perso nel vuoto.
Dopo aver controllato le varie reazioni, Chris scrisse qualcosa sulla
cartella,
come suo solito, poi annuì.
«Ben, ti aspetto qui fuori.» disse infine, con un
sorriso, lasciando la stanza.
Allora Ben sembrò riscuotersi e finalmente si
avvicinò all’amico, sedendosi
sulla sedia al suo capezzale.
«Ehi socio... come stai?».
Semir girò la testa sul cuscino in modo da poterlo guardare
negli occhi.
«Meglio...» mormorò «Ma...
le... le...».
«No, Semir, ascolta.» lo interruppe Ben,
immaginando dove il collega volesse
andare a parare «Domani parliamo di tutto, va bene? Ora devi
riposare ancora un
po’... okay?».
Il turco annuì debolmente, senza insistere.
«Tu come stai?» chiese ancora il più
giovane, sporgendosi verso di lui «Hai
ancora tanto dolore?».
«Un... un po’...».
«Starai meglio, Semir, fidati. Ce la farai.».
«Ben, ti prego...» riprovò Semir, con un
filo di voce «Dimmi... le bambine...».
Ben sospirò, lanciando un’occhiata
all’amico e una all’elettrocardiografo.
«Semir, domani ti racconterò tutto, ma non ti devi
preoccupare. Ti fidi di me,
socio?».
L’altro annuì, piano.
«Ecco, fidati. Ora ti devi riposare, va bene? Torno tra un
po’, Semir, non ti
preoccupare.» aggiunse il ragazzo, alzandosi dalla sedia.
Rivolse all’amico un ultimo sorriso e uscì quasi
di corsa dalla stanza,
fuggendo da quegli occhi che chiedevano solo di sapere.
Semir
guardò il collega uscire in
fretta dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Dal vetro coperto solo in parte dalle tendine, spiò quello
che accadeva
all’esterno.
Il dottore, quello che lo aveva visitato poco prima, attendeva a
braccia
conserte Ben appena fuori dalla porta e non appena lo vide uscire
accennò a un
sorriso. Poi però cominciò a parlare.
Lo vide scuotere la testa e vide l’amico fare altrettanto,
poi chiedergli
qualcosa, a cui il dottore rispose con un nuovo movimento negativo del
capo.
Semir vide quindi Ben sferrare un pugno contro il muro.
Sentì il cuore fermarsi per un attimo. Immaginava che cosa
il dottore potesse
avergli detto, ma averne la conferma gli posò un nuovo
macigno sull’anima.
Chiuse gli occhi.
Era stanco, aveva mal di testa e un dolore continuo e lancinante
all’altezza
del bacino e alla schiena, nonostante gli antidolorifici che il medico
gli
aveva somministrato.
E poi, non sentiva più le gambe. Non sentiva i piedi, niente.
Riaprì gli occhi, constatando stancamente di essere ancora
vivo.
Voleva sapere delle sue bambine, nessuno gli diceva niente e lui voleva
solo
sapere come stessero le sue bambine...
Ben,
uscendo, trovò Schneider ad
aspettarlo in corridoio a braccia conserte.
Lo accolse con un mezzo sorriso.
«Sei stato poco, Ben.».
«Sì, Chris, perché ho visto la tua
espressione quando sei uscito. Che cosa mi
devi dire? Che cosa hai notato dai controlli?».
Il medico scosse piano la testa «Le gambe, Ben.
Farò un esame specifico e
consulterò ancora il neurologo e l’ortopedico, ma
il tuo collega ha perso
sensibilità alle gambe. Credo sia a causa del trauma da
schiacciamento, abbiamo
rimesso insieme i pezzi del bacino, ma alcuni nervi sono rimasti
inevitabilmente danneggiati a causa dell’altra lesione,
quella vertebrale.».
«Mi stai dicendo che... che non potrà
più camminare? Mai più?»
domandò ancora
Ben, con la voce leggermente tremante.
Chris scosse nuovamente il capo.
E il giovane ispettore non ci vide più dalla rabbia.
Prima che Schneider potesse fare qualunque cosa, aveva già
scagliato un pugno
violentissimo contro il muro, e pezzetti bianchi di vernice erano
caduti a
terra.
«Ben, calmati.» fece il medico, trascinandolo a
forza lontano dal muro e
facendolo sedere «Per favore, Ben.».
«Ma che cos’altro deve succedere, Chris?»
quasi gridò il ragazzo, con gli occhi
asciutti ma la disperazione nella voce «Che
cos’altro gli deve succedere?».
«Ben, capisco come ti senti e sono d’accordo con
te, tutto questo fa schifo. Il
mondo, a volte, fa schifo. Ma tu ora ti devi calmare... fare
così purtroppo non
serve a niente.».
«Mi spieghi come faccio io, Chris?»
continuò Ben, implacabile «Come faccio a
dirgli tutto questo? Come farò a spiegargli che sua moglie
sta morendo, che sua
figlia è morta e che lui non camminerà mai
più? Come faccio!»
Il medico stava per replicare qualcosa, ma una voce alle sue spalle lo
precedette.
«Posso farlo io.» fece Margaret, con voce sottile
«Stavo cercando te, Ben, e ho
sentito tutto. Ti aiuterò io, se vuoi parlerò io
con Semir... però ti devi
calmare, non abbiamo bisogno che ti faccia del male anche
tu.».
La ragazza aveva gli occhi spaventati, ma parlava con decisione.
«Posso farlo io.» ripeté, avvicinandosi
all’ispettore, poggiandogli una mano
sulla spalla, mentre Schneider annuiva lentamente.
«No...» mormorò Ben, guardandola negli
occhi e ritrovando improvvisamente la
calma «Ti ringrazio Maggie, davvero. Ma devo farlo
io...».
N.d.A.
Ho
saltato una settimana causa problemi con il computer, ma eccomi qui,
e
sempre a portare buone notizie devo dire...
Grazie
sempre a chi continua a seguirmi e a presto!
Sophie