Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    24/11/2018    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo 22:


"«E non ho finito...» aggiunse il dottore, con una certa timidezza nella voce.
«Che cos’altro è successo?» domandò il poliziotto, in un sussurro. Non sapeva più che cosa aspettarsi.
«Ecco... quando Semir era vigile, io gli ho fatto qualche controllo, prima di lasciarvi soli, ricordi?».
Il ragazzo annuì, invitando il medico a continuare.
«Gli ho chiesto di stringermi la mano e lo ha fatto. Poi però gli ho chiesto di spingere con i piedi verso i palmi delle mie mani...».
«Ti prego, Chris, non dirmi che...».
«Non ho sentito niente, Ben.» lo interruppe Schneider, a bassa voce «Nemmeno una forza leggerissima, niente. L’ho già detto al chirurgo ortopedico, ci lavoreremo insieme. Potrebbe essere stato un problema momentaneo, ma fino a quando Semir non si sveglierà non posso escludere nulla.»."


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GIORNO 28.

Quella mattina, Ben si svegliò decisamente più riposato.
Arrivò in ospedale molto presto, passò da Andrea per salutarla, sempre convinto che lei lo potesse sentire, e imboccò poi il lungo corridoio che lo avrebbe portato verso la stanza di Semir.
Davanti a lui, però, a qualche metro di distanza, il corridoio era ingombrato da un gruppo di persone che avanzavano velocemente.
Ben corrucciò la fronte, poi distinse la Kruger e il commissario dell’LKA e immediatamente si ricordò le parole che gli aveva detto Keller il giorno prima: sarebbe stato trasferito in carcere.
Raggiunse il gruppetto di corsa.
Keller, in piedi sulle sue gambe, era ammanettato e trattenuto da due agenti in divisa dell’LKA, mentre i due commissari guidavano il gruppo lungo il corridoio, verso l’ascensore.
Vedendolo avanzare, Friedrich si arrestò, obbligando tutto il gruppo a fermarsi.
«Jager, vediamo se almeno lei riesce a esaudire le preghiere di un povero condannato a rimanere in un buco a vita.» disse non appena l’ispettore fu abbastanza vicino, in modo che tutti potessero sentirlo.
«Buongiorno, Jager.» fece Kim, ignorando le parole dell’uomo.
Ben la salutò velocemente, soffermando però la sua attenzione sul criminale.
«Che cosa sta dicendo?».
«Ha chiesto di poter passare dalla stanza di Gerkhan prima di essere portato via.» rispose la Kruger al suo posto «Ovviamente non si può fare.».
«Jager...» provò a intromettersi ancora Keller, piantando le sue iridi grigie in quelle scure dell’ispettore.
«Non credo proprio che sia una buona idea.» ribadì il commissario, senza lasciare a Ben il tempo di esprimersi.
Quindi il gruppo ricominciò a camminare, ma Keller si fermò un’altra volta.
Nonostante avesse le manette ai polsi, riuscì a sporgersi in avanti e a tendere la mano destra verso Ben.
Il giovane poliziotto rimase per un attimo immobile, a guardarla interdetto.
«Insomma, Jager, almeno un saluto crede di potermelo concedere?» fece l’evaso.
E Ben, senza capire, gli strinse la mano.
Il gruppo, per la seconda volta, ricominciò a camminare.
Quando raggiunsero la stanza di Semir, Ben si fermò, mentre gli altri proseguivano verso l’uscita.
Sentì Keller sussurrare qualcosa, passando davanti a quella porta, e per un attimo un brivido gli percorse inspiegabilmente la schiena.
«Noi sopravviviamo, Gerkhan.».
Poi Keller sparì in fondo al corridoio, insieme ai poliziotti che lo scortavano.
Finalmente solo, Ben aprì il palmo della mano destra, contemplando interdetto il foglio piegato che l’uomo gli aveva lasciato scivolare tra le mani con la scusa del saluto.
Corrugò la fronte e decise di aprirlo, ma un suono ovattato di passi lo distolse dai suoi pensieri: vide Schneider percorrere il corridoio a grandi falcate, andando verso di lui.
In fretta, ripiegò il foglio in modo che occupasse ancora meno spazio e lo lasciò cadere nella tasca della giacca.

«Pronto?» esclamò Schneider, sorridente, non appena lo ebbe raggiunto.
Ben annuì ricambiando il sorriso, sperando che il medico non avesse notato il foglio, o avrebbe sicuramente fatto domande.
«Allora entriamo.» continuò Chris, abbassando con decisione la maniglia e facendo ingresso nella stanza, seguito dall’ispettore.

Il sole nitido di dicembre penetrava dalla piccola finestra quadrata ritagliata nel muro e la stanza era più illuminata rispetto alle precedenti mattine.
Semir, disteso, aveva già gli occhi aperti.
«Buongiorno, ispettore!» esordì il dottor Schneider, avvicinandosi al letto del paziente «Come si sente oggi?».
Semir si limitò ad annuire leggermente, ad indicare che stava meglio.
In realtà aveva difficoltà persino a respirare, ma immaginava che questo il medico lo avrebbe notato da sé.
Il dottore cominciò a girargli intorno, controllò i monitor dei macchinari che lo circondavano e iniziò i suoi scrupolosi controlli, mentre Ben se ne stava in disparte, lo sguardo perso nel vuoto.
Dopo aver controllato le varie reazioni, Chris scrisse qualcosa sulla cartella, come suo solito, poi annuì.
«Ben, ti aspetto qui fuori.» disse infine, con un sorriso, lasciando la stanza.
Allora Ben sembrò riscuotersi e finalmente si avvicinò all’amico, sedendosi sulla sedia al suo capezzale.
«Ehi socio... come stai?».
Semir girò la testa sul cuscino in modo da poterlo guardare negli occhi.
«Meglio...» mormorò «Ma... le... le...».
«No, Semir, ascolta.» lo interruppe Ben, immaginando dove il collega volesse andare a parare «Domani parliamo di tutto, va bene? Ora devi riposare ancora un po’... okay?».
Il turco annuì debolmente, senza insistere.
«Tu come stai?» chiese ancora il più giovane, sporgendosi verso di lui «Hai ancora tanto dolore?».
«Un... un po’...».
«Starai meglio, Semir, fidati. Ce la farai.».
«Ben, ti prego...» riprovò Semir, con un filo di voce «Dimmi... le bambine...».
Ben sospirò, lanciando un’occhiata all’amico e una all’elettrocardiografo.
«Semir, domani ti racconterò tutto, ma non ti devi preoccupare. Ti fidi di me, socio?».
L’altro annuì, piano.
«Ecco, fidati. Ora ti devi riposare, va bene? Torno tra un po’, Semir, non ti preoccupare.» aggiunse il ragazzo, alzandosi dalla sedia.
Rivolse all’amico un ultimo sorriso e uscì quasi di corsa dalla stanza, fuggendo da quegli occhi che chiedevano solo di sapere.

Semir guardò il collega uscire in fretta dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Dal vetro coperto solo in parte dalle tendine, spiò quello che accadeva all’esterno.
Il dottore, quello che lo aveva visitato poco prima, attendeva a braccia conserte Ben appena fuori dalla porta e non appena lo vide uscire accennò a un sorriso. Poi però cominciò a parlare.
Lo vide scuotere la testa e vide l’amico fare altrettanto, poi chiedergli qualcosa, a cui il dottore rispose con un nuovo movimento negativo del capo.
Semir vide quindi Ben sferrare un pugno contro il muro.
Sentì il cuore fermarsi per un attimo. Immaginava che cosa il dottore potesse avergli detto, ma averne la conferma gli posò un nuovo macigno sull’anima.
Chiuse gli occhi.
Era stanco, aveva mal di testa e un dolore continuo e lancinante all’altezza del bacino e alla schiena, nonostante gli antidolorifici che il medico gli aveva somministrato.
E poi, non sentiva più le gambe. Non sentiva i piedi, niente.
Riaprì gli occhi, constatando stancamente di essere ancora vivo.
Voleva sapere delle sue bambine, nessuno gli diceva niente e lui voleva solo sapere come stessero le sue bambine...

Ben, uscendo, trovò Schneider ad aspettarlo in corridoio a braccia conserte.
Lo accolse con un mezzo sorriso.
«Sei stato poco, Ben.».
«Sì, Chris, perché ho visto la tua espressione quando sei uscito. Che cosa mi devi dire? Che cosa hai notato dai controlli?».
Il medico scosse piano la testa «Le gambe, Ben. Farò un esame specifico e consulterò ancora il neurologo e l’ortopedico, ma il tuo collega ha perso sensibilità alle gambe. Credo sia a causa del trauma da schiacciamento, abbiamo rimesso insieme i pezzi del bacino, ma alcuni nervi sono rimasti inevitabilmente danneggiati a causa dell’altra lesione, quella vertebrale.».
«Mi stai dicendo che... che non potrà più camminare? Mai più?» domandò ancora Ben, con la voce leggermente tremante.
Chris scosse nuovamente il capo.
E il giovane ispettore non ci vide più dalla rabbia.
Prima che Schneider potesse fare qualunque cosa, aveva già scagliato un pugno violentissimo contro il muro, e pezzetti bianchi di vernice erano caduti a terra.
«Ben, calmati.» fece il medico, trascinandolo a forza lontano dal muro e facendolo sedere «Per favore, Ben.».
«Ma che cos’altro deve succedere, Chris?» quasi gridò il ragazzo, con gli occhi asciutti ma la disperazione nella voce «Che cos’altro gli deve succedere?».
«Ben, capisco come ti senti e sono d’accordo con te, tutto questo fa schifo. Il mondo, a volte, fa schifo. Ma tu ora ti devi calmare... fare così purtroppo non serve a niente.».
«Mi spieghi come faccio io, Chris?» continuò Ben, implacabile «Come faccio a dirgli tutto questo? Come farò a spiegargli che sua moglie sta morendo, che sua figlia è morta e che lui non camminerà mai più? Come faccio!»
Il medico stava per replicare qualcosa, ma una voce alle sue spalle lo precedette.
«Posso farlo io.» fece Margaret, con voce sottile «Stavo cercando te, Ben, e ho sentito tutto. Ti aiuterò io, se vuoi parlerò io con Semir... però ti devi calmare, non abbiamo bisogno che ti faccia del male anche tu.».
La ragazza aveva gli occhi spaventati, ma parlava con decisione.
«Posso farlo io.» ripeté, avvicinandosi all’ispettore, poggiandogli una mano sulla spalla, mentre Schneider annuiva lentamente.
«No...» mormorò Ben, guardandola negli occhi e ritrovando improvvisamente la calma «Ti ringrazio Maggie, davvero. Ma devo farlo io...».

 

N.d.A.
Ho saltato una settimana causa problemi con il computer, ma eccomi qui, e sempre a portare buone notizie devo dire...
Grazie sempre a chi continua a seguirmi e a presto!
Sophie

  
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