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Autore: Alicat_Barbix    25/11/2018    1 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND
EVERYTHING

 
by Alicat_Barbix
 

Can I Kiss You?
 
 
“Mycroft Holmes.” tuonò irrompendo nello studio del capo dell’MI6, seguito da un paio di uomini dall’aspetto truce che serrarono le mani attorno alle sue braccia non appena si fu fermato. “Holmes. Le dice niente questo cognome, Mycroft?”
Mycroft, che aveva alzato lo sguardo dal documento che stava studiando, inarcò un sopracciglio, la fronte aggrottata in un’espressione pensosa. Gli agenti addetti alla sua protezione, fecero per trascinare via John, ma a quel punto Holmes alzò una mano e chiese che rimanessero soli.
Holmes.” riprese allora John avvicinandosi lentamente alla scrivania dietro cui sedeva il suo capo. “Non è un cognome comune, di certo non come Smith o… Green. Mycroft. Nome particolare, non paragonabile certo a John, ma a Sherlock… Sherlock Holmes. Le dice niente questo nome?”
Mycroft sospirò, sistemandosi più comodamente sulla sedia e intrecciando le dita davanti a sé. “Temo di sì.”
“Chi è?”
“Mio fratello.”
Un sorriso sbigottito illuminò sinistramente il volto di John. “Suo fratello? Sul serio? E lei non mi ha informato che suo fratello lavorava in quel bordello prostituendosi? Cos’è, si vergogna di lui?”
“No, affatto. Stavo solo proteggendo la riuscita dell’operazione.”
“Da chi?”
“Da te.”
John gli puntò addosso uno sguardo allibito. “Da me? E perché mai? Sentiamo.”
Mycroft sospirò e si versò in uno dei suoi bicchieri di cristallo del whiskey, rimandando al primo colloquio avuto con lui. “Dicendotelo, avrei rischiato di metterti nella posizione di prestare più attenzione a mio fratello che alla missione in generale.”
“Non ne vedo il motivo.” ribatté seccamente.
“Per comprarmi.”
John scoppiò a ridere, una risata amara e allucinata. Stentava a credere che quell’uomo avesse davvero proferito simili parole. Ma per chi l’aveva preso? Per uno scalatore sociale? Per un ruffiano? Era davvero così che il suo capo lo vedeva? “Se è questo che pensa di me, signor Holmes, allora non ha la minima idea di chi abbia al suo servizio.” sputò acidamente alla fine. “Io tengo allo smantellamento di quel posto come e forse più di lei. Io ho visto com’è lì. Ho visto come la gente si lascia comprare, come rendono i loro corpi degli oggetti. E’ ripugnante il modo in cui gli stessi dipendenti credono in quello che fanno e scommetto tutto quello che ho che chiunque sia dietro a tutto questo abbia fatto il lavaggio del cervello ad ognuno di loro, suo fratello compreso. E mi creda, signor Holmes, che non ci potrebbe essere niente, niente che possa destarmi dalla mia missione, neanche tirar fuori da quella merda Sherlock solo perché le è congiunto. Sono stato chiaro?”
Mycroft taceva e lo fissava con occhi affilati. “Avevamo appuntamento mezz’ora fa.” se ne uscì infine sporgendosi in avanti e appoggiando i gomiti sulla scrivania.
“Mi sono attardato al Morningstar.”
“Perché?”
“Indagini.” Holmes attese alcuni secondi e John capì perfettamente che sapeva che stava mentendo, ma per questo gli appoggiò sulla scrivania, senza troppa grazia, il block-notes su cui aveva segnato ogni singola informazione che aveva a sua disposizione. “Quel posto è disseminato di telecamere, perfino nelle stanze dei dipendenti.”
“In cui sei, dunque, entrato.” osservò Mycroft con un sorrisetto allusivo mentre sfogliava le pagine del taccuino.
“In quel locale si va da semplici balli erotici al palo” continuò ignorando il commento del superiore. “alla prostituzione. Il tizio che serve al bar, Bill Wiggins, è un tagliaborse di professione, l’ho beccato più di una volta arraffare qualcosa dalle tasche di un cliente, così una sera l’ho seguito in giardino mentre chiamava qualcuno al telefono. Nel corso della telefonata, ha comunicato al tizio in questione di essere stanco di servire cocktail e di fare qualche piccolo borseggio, e di volersi reintegrare nel circolo di quelli che fanno i grandi colpi. Credo che sia lì come una qualche punizione, ma non so altro. Ho aggiunto, al fascicolo dei dipendenti, il profilo di Victor Trevor e-”
“Victor, sì. Mio fratello e lui sono sempre stati legati, fin da bambini. Non mi stupisce che si sia fatto trascinare in quel posto da mio fratello.”
“Non pensa possa essere il contrario?”
“No, Victor dev’essere lì da poco: i miei informatori non l’hanno mai incontrato o, se l’hanno fatto, non gli hanno dato importanza.”
“Crede che allora svolgesse un altro lavoretto all’interno del Morningstar?”
“Probabile. E ha ottenuto una promozione. Ricompense e punizioni, un vero e proprio sistema scolastico. Se hai fatto i compiti con diligenza vieni premiato, se invece hai sgarrato sei fottuto.”
John annuì un paio di volte. “Indagherò più approfonditamente su Wiggins e Trevor. Ora, la droga.”
“La droga?”
“Ho il sospetto che i dipendenti possano usufruirne quando e come vogliono, probabilmente all’interno del locale vi è uno spacciatore fisso, magari della cerchia, che vende loro dosi.”
Mycroft sorrise con amarezza. “Un ritorno di fiamma, eh Sherlock?”
“Faceva uso di droga?” domandò allora John frenando il anche prima di entrare lì dentro.
“Purtroppo sì. Poco prima che sparisse dalla circolazione, probabilmente finendo al Morningstar, era un abituale consumatore di cocaina e morfina.” Sospirò. “Più di una volta l’ho ripescato da un vicoletto lurido completamente imbottito di quelle schifezze.”
John ripensò alla sera prima, a Sherlock completamente sballato da chissà quale droga, alla rabbia mista a preoccupazione di Victor Trevor… Strinse i pugni. Avrebbe dovuto parlare con Sherlock di quell’argomento, tentare di carpire qualche informazione e, contemporaneamente, di farlo desistere dal consumare la droga. Sentiva, forse sbagliando, di essere qualcosa per Sherlock, uno dei pochi a cui portava rispetto, di avere un qualche ascendente su di lui.
“Per quanto riguarda il capo dell’organizzazione?”
“Sono ancora in alto mare, purtroppo.”
“Capisco…” mormorò infine Mycroft. “Hai interrogato qualcuno?”
“Ho tentato, ma probabilmente ho scelto le persone sbagliate. Ho già in mente qualcuno a cui rivolgermi.”
“Bene. C’è altro?” John scosse la testa. “Ottimo. Direi che abbiamo finito, John. Ti ringrazio per la tua solerzia e per… il tuo spirito giusto. Ti avevo sottovalutato.”
“Non importa, signore. Le chiedo solo di non tenermi all’oscuro di altri particolari che potrebbero facilitarmi nella mia missione.”
“Senz’altro.”
John si volse e fece per uscire, quando la voce di Mycroft lo richiamò.
“Potrebbe descrivermi mio fratello?”
Sbatté un paio di volte le palpebre, infine si volse totalmente verso il suo superiore. “Beh, lui è… incredibilmente strafottente e testardo, quando si mette in testa qualcosa pur di ottenerla tende a rendersi ridicolo, ed è… geniale nonostante sia un idiota, tende a nascondere la sua fragilità nonostante abbia bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e… beh, credo sia tutto.”
Il viso di Mycroft celava un sorriso soddisfatto. “Sembra conoscerlo bene.”
“Io e lui… abbiamo parlato e siamo diventati, in un certo senso, amici.”
“Sai, John, tu potresti tirare fuori da mio fratello il meglio.” L’angolo destro della bocca di John guizzò automaticamente verso l’alto. “… o renderlo peggiore che mai. A te la scelta, John.”
L’agente, sbigottito, annuì un paio di volte tra sé e sé, infine si voltò ed uscì.
 
 
La sua casa gli sembrava incredibilmente vuota. Così grande, così bella, così solitaria. Gli era familiare quella sensazione, quella claustrofobia che lo attanagliava una volta solo fra quelle splendide mura. Aveva bisogno di uscire, di respirare Londra, di ascoltare il suo cuore pulsante, di trovare conforto in un paio di pinte in un pub o in un una partita di football della sua squadra del cuore… Ma era sempre così poco risolutivo. Quando, la sera tardi, ritornava a casa e si sdraiava nel suo letto, il malessere tornava e gli pareva come se il soffitto si abbassasse sempre di più, richiudendosi su di lui come la parte superiore di una bocca mastodontica. E lo fece anche quella sera. Si stese lungo, i vestiti ancora addosso, il bianco delle pareti, del pavimento, del soffitto che dominava dittatorialmente e lo accecava. Forse era a causa del bianco che si sentiva così. Il bianco corrispondeva al nulla, al vuoto, all’inesistenza. Il bianco era l’insieme di tutti i colori eppure era niente. Ma stentava a credere che tutto quello si sarebbe cancellato con una verniciata alle pareti.
Sherlock indossava una camicia bianca la notte prima. Non seppe come la sua mente fosse arrivata a fare quel collegamento, come potesse ricordarsi un simile dettaglio di così poca importanza… Però Sherlock indossava una camicia bianca. Anche le lenzuola del suo letto erano bianche. E il comodino da cui aveva tirato fuori il foglietto di carta…
Si ritrovò a sorridere senza alcun motivo, mentre allungava automaticamente la mano verso il suo cellulare, nella tasca della giacca abbandonata sulla sedia accanto al letto. Sulla barra delle notifiche, un messaggio.
 
Non abbiamo un termometro. Stasera avevo intenzione di misurarmi la febbre… SH
 
Riconobbe immediatamente quel tono di indifferenza, quella concisione. Lo conosceva da pochissimo, aveva passato con lui poche ore, eppure già si vantava di conoscerlo appena un po’. Sherlock. Forse era una cattiva idea quella di andare al Morningstar, quella sera. Aveva intenzione di fare delle ricerche negli archivi dell’MI6, trascorrere l’intera nottata a spremersi le meningi di fronte allo schermo del computer… Ma in fondo, che male c’era? Doveva indagare su quel locale, tanto valeva farlo sul campo, o no? Si diede dell’idiota mentre si rialzava e afferrava prontamente la giacca, buttandosela addosso. Il vuoto era scomparso. Un calore estraneo gli ribolliva in cuore. Era bella quella sensazione e avrebbe voluto provarla tutti i giorni della sua vita.
 
 
Le luci della discoteca del locale lo accecarono e la musica lo assordò. Si guardava intorno nervosamente, accarezzando con i polpastrelli della mano sinistra il termometro che aveva infilato in tasca. Dopo la prima sera, aveva trascorso molte altre notti in quei paraggi, avvicinandosi con banali scuse e facendo qualche domanda ai clienti più ubriachi che la mattina dopo non si sarebbero neanche più ricordati di lui. Aveva raccolto molto poco. Gli unici che potevano dargli delle risposte erano i dipendenti stessi. Nonostante tutte quelle serate, ancora non riusciva a sentirsi a proprio agio, lì dentro. Con quelle ragazze e quei ragazzi che ballavano e si spogliavano, lasciando che mani sconosciute infilassero nelle loro mutande degli extra…
Sospirò amaramente. Mentre camminava, scorse Irene Adler, seduta al bancone del bar intenta a parlare con un uomo. John, allora, si fermò. Non sembrava un cliente, o almeno non dall’espressione di lei – grave, attenta, intimorita. Un’idea incredibilmente chiara e nitida svettò nella mente di John. Era lui. Ce l’aveva in pugno. Il capo di tutto quello. Pregò che si voltasse, che palesasse il suo viso, che gli permettesse di imprimerselo in mente, ma quando quello si girò, guardandosi intorno con aria sospettosa, l’adrenalina gli si spense in petto. Sebastian Moran. Nient’altro che un dipendente, il cui viso l’aveva scorto tra le pagine del fascicolo dei lavoratori. Pestò il piede a terra e riprese a camminare in direzione delle scale che lo avrebbero condotto alla ormai conosciuta strada per la camera di Sherlock.
All’improvviso, distratto com’era dai suoi pensieri, urtò una figura esile che a stento, dopo il contatto, si mantenne in piedi.
“Oddio, mi scusi… Scusi tanto.” annaspò avvicinandosi alla ragazza contro cui aveva appena sbattuto.
“Scusi lei. Ero persa nei miei pensieri.” replicò lei, sorridendogli caldamente.
John fece per replicare qualcosa, ma i suoi occhi vennero catturati dal corpo di quella biondina, quasi totalmente nudo, rivestito solo da un babydoll aperto sul ventre e quasi del tutto trasparente sul seno. “I-io…” farfugliò improvvisamente imbarazzato.
“Oh, mi scusi, io… Cielo, è così imbarazzante.” biascicò in risposta lei abbracciandosi la parte di pelle scoperta e abbassando lo sguardo. “Insomma, sono abituata a farmi guardare quando lavoro, ma… beh, mi stavo andando a cambiare e non credevo di imbattermi in qualcuno… Sono tutti ubriachi o impegnati a guardare i colleghi…”
“Oh, q-quindi tu balli?”
“Sì… Sai, una volta lavoravo come semplice barista, poi mi è stato offerto questo posto, l’affitto del mio appartamento è caro…”
Calò il silenzio mentre si scambiavano occhiate sfuggenti e imbarazzate, infine, John si sfilò la giacca e la posò delicatamente sulle esili spalle della ragazza che gli rivolse un sorriso sollevato e grato. “Che maleducato, non mi sono presentato.” si affrettò, dunque, a dire tanto per spezzare il silenzio. “Il mio nome è Andy.”
“Mary.” rispose lei stringendo la mano che le aveva appena porto. “Mi spiace solo di incontrarla nelle mie… condizioni.”
“Si figuri, io sono… abituato a peggio.” Ma di fronte all’espressione stupita e, forse in parte, inorridita di lei, si pentì immediatamente delle sue parole. “Intendo che da quando sono qui sono stato avvicinato da almeno cinque persone che non hanno fatto altro che cercare di portarmi a letto con allusioni piuttosto esplicite. Quindi lei non ha assolutamente nulla di cui vergognarsi, mi creda.”
“Oh, certo... Beh, capisco l’interesse che ha spinto i miei colleghi ad avvicinarsi a lei.” rispose Mary, mordicchiandosi appena il labbro inferiore, con gli occhi che indugiavano nei suoi. “E lei è qui per… insomma, usufruire dei servigi del personale?”
“Io? No, assolutamente no! Sono un medico e uno dei vostri si sente poco bene.”
“Oh, l’Angelo, sì.”
“Lui, esatto.”
“Lo ha mai incontrato di persona?”
“Sì, due volte. Siamo diventati, più o meno, amici.” La risata della ragazza lo colpì come un fulmine a ciel sereno. “Cos’ho detto di tanto divertente?”
“Oh, no, mi scusi! E’ che l’Angelo non ha amici, a parte Victor forse, anche se girano pettegolezzi sul loro conto… Ma amici al di fuori di questo posto… assurdo.”
“Perché le pare tanto strano?” chiese ancora John, ma la sua mente si era momentaneamente estraniata dalla conversazione per contemplare l’idea che Sherlock e Victor condividessero di più. Perché no? Entrambi erano uomini assai affascinanti, schietti, erano cresciuti insieme e stavano affrontando quell’avventura insieme… Perché non ci aveva pensato prima?
“Beh, non dovrei parlare male dei miei colleghi, ma credo che dovrebbe stare in guardia con lui. E’ uno psicopatico. Lei, forse, non lo conosce ancora e si illude di poter essergli amico, ma si ricordi che l’Angelo non rende conto a nessuno e non tiene a nessuno. Lui non ha sentimenti. Pensi che è entrato qui dentro scopandosi il capo, ci crederebbe?”
“Lui e il vostro capo stavano insieme prima che iniziasse a lavorare qui?”
Mary scrollò le spalle. “Sono voci di corridoio, ma questa è una delle più affermate. Poi il capo si è stufato del suo giocattolino e se n’è preso uno nuovo.”
“Chi?”
La ragazza, con un cenno del capo, indicò Irene e Moran seduti fianco a fianco al bar, ancora intenti a conversare di chissà cosa, con espressioni gravi. “Sebastian. Probabilmente non si oppone quando il capo gli percorre il corpo con un pezzo di vetro.”
“Sadico?”
“Per dire un eufemismo.” sospirò Mary ravviandosi i lunghi capelli biondi, i suoi occhi persi in mezzo alla pista da ballo.
“Faceva questo anche con… l’Angelo?”
“Si dice facesse anche di peggio. Ma ripeto, sono solo voci. E’ il gossip a ravvivare un po’ questo posto. Cose inutili, barzellette, qualche drink e questo posto di appare meno merdoso.” La ragazza si legò i capelli con l’elastico che portava al polso. “Ad ogni modo, le va di prendere qualcosa? So che deve visitare l’Angelo, ma le assicuro che sarebbe questione di pochi minuti.”
Il sorriso di Mary era genuino, il suo viso candido, i suoi occhi radiosi. Era raro incontrare qualcuno del genere in quella gabbia di maestri del sesso e della seduzione. Quella ragazza sembrava una bambina, una creatura innocente catapultata lì per caso, a disagio nello scambiare qualche parola con uno sconosciuto, in deshabillé, ma sfrontata nel ballare di fronte ad una folla adorante. E poi, sì, era bella ed immensamente gentile e piacevole. Gli sarebbe piaciuto passare del tempo con lei, conoscerla, e cavarle fuori di bocca altre informazioni preziose come quelle che gli aveva fornito quel giorno. A quel pensiero, il viso di Sherlock gli inondò la vista. Pensò alle parole di Mary, alla relazione che quello aveva intrattenuto col capo, alle esigenze di quest’ultimo… Doveva andare da lui. “Veramente io… devo andare, sono già in ritardo. Ma un’altra di queste sere mi farebbe molto piacere.”
“Ma certo. Domani è il mio giorno libero, però dopodomani sarebbe perfetto, che dice?”
“Dico che va benissimo. A che ora finisce il turno?”
“A mezzanotte e mezza.”
“Bene, allora mi terrò libero e mi farò trovare qui.”
Mary annuì, il sorriso che le si allargava ancora di più. “Bene, allora… a dopodomani, Andy.”
“A dopodomani, Mary.”
Si avviò verso le scale con la testa fra le nuvole, rivolta a quella ragazza dai modi così posati e gentili. Una fiore raro nel bel mezzo di una steppa brulla. Ed era stato bello. Più volte si era chiesto se il vuoto che provava a casa, rigirandosi nel suo letto, fosse dovuto alla sua solitudine, alla sua mancanza di una relazione vera tempi immemori. Quella ragazza lo aveva affascinato in pochissimo tempo, un po’ come Sherlock, ma con Sherlock era diverso, visto che lo vedeva solo come un uomo mortalmente interessante e divertente, come un amico.
“Andy!” lo riscosse una voce alle sue spalle.
“Mary?”
“Sì, ecco… la giacca.”
“Oh, che sbadato. Scusa, non me n’ero accorto.”
“Figurati e… grazie ancora.”
John le rivolse un ultimo sorriso. “Arrivederci.”
“Arrivederci.”
 
 
Arrivato di fronte alla camera, alzò la mano già serrata in un pugno, pronta a bussare, quando l’anta venne improvvisamente spalancata, rivelando la figura pallida e smunta di Sherlock, i capelli sudati che gli ricadevano ribelli sugli occhi acquamarina e un sorriso sghembo ad illuminargli distortamente il volto.
“Sei venuto.” sussurrò quello flebilmente, come se fosse un sogno e avesse paura di rovinare tutto solo parlando.
“Sì, ecco… ti ho portato il termometro.”
“38 e 6.”
“Come, scusa?”
“Ho 38 e 6. L’ho già misurata.”
John sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Quindi ce l’avevi già.”
“Naturalmente, quale stupido non ha un termometro?”
Incrociò le braccia e puntò sull’altro uno sguardo torvo, nonostante dentro stesse cercando di soffocare l’ennesimo sorrisetto dovuto alle fenomenali uscite di quell’uomo. “Mi hai preso in giro.” sentenziò aggrottando le sopracciglia. “Se avevi già quel maledetto termometro, perché mi hai chiesto di-”
“Facciamo sesso, Andy.” lo interruppe il moro con sguardo intenso e facendo un passo avanti, arrivando a pochi soffi dal viso dell’altro.
“Stai diventando ripetitivo.” sospirò allora John, per niente a disagio di fronte a quella vicinanza. “E comunque no, Sherlock. La mia risposta non cambia.”
“Ora sei tu quello ripetitivo. Uno dei due, prima o poi, dovrà smettere di esserlo.”
“E non sarò certo io.” completò con un mezzo sorriso e prendendosi un attimo per contemplare l’uomo davanti a sé: era diverso da quello che aveva conosciuto la notte di sotto al piano bar, non vestiva elegantemente, non teneva i ricci accuratamente pettinati, ma indossava una semplice maglietta di cotone grigia e un paio di pantaloni della tuta neri, i piedi scalzi che sfioravano la moquette azzurra. “Non dovresti essere a letto?”
“Sono stanco di starmene a letto senza far niente. Victor mi ha persino portato uno di quegli stupidi rebus dei giornali risolvibili in ottantasette secondi.” sospirò il moro lasciandogli lo spazio per passare ed entrare in camera.
“Quello è cluedo?” chiese John indicando la scatola del gioco da tavolo sulla sedia accanto al letto.
“Cosa… Ah, sì. Che gioco idiota!”
“Cos’è, sei riuscito a capire la soluzione del gioco dopo due mosse per tre turni consecutivi?”
Sherlock si passò una mano fra i ricci corvini, un’aria esasperata in volto. “Non c’è nessun assassino, Andy. Le regole sono sbagliate, deve trattarsi per forza di suicidio o magari la vittima ha dovuto fingere il suicidio perché minacciata da un qualche-”
“Va bene, va bene, ho capito. Cluedo non rientra fra i tuoi giochi preferiti.” lo interruppe sventolando una mano di fronte a sé. Sherlock si infilò le pantofole, al lato del letto, e si avvicinò nuovamente alla porta della sua stanza, ma quando comprese che l’altro non lo stava seguendo si volse. “Beh, non vieni?”
“Dove?”
“Sono stato chiuso qua dentro per un giorno intero, sono sfinito e ho bisogno di fumare una sigaretta in santa pace. Mi accompagni o devo andare da solo? Ma ti avverto, dottore, sono piuttosto debole e se dovesse succedermi qualcosa in tua assenza non te lo perdoneresti mai.”
John sbuffò e, ripreso il giubbetto, seguì il moro in corridoio e poi giù per la scala di emergenza che conduceva all’esterno, utilizzata, a detta di Holmes, dal personale per uscire senza dare troppo nell’occhio ed essere disturbati.
Il giardino che si apriva sul retro del locale era immenso, con aiuole curate e persino cespugli lavorati nelle forme di animali o di gnomi. John si guardava intorno ammirato da tutta quella perizia nel badare ad uno spazio che, sempre a detta di Holmes, era riservato prettamente al personale. Seguirono un vialetto ciottolato che dalla scala d’emergenza conduceva fino ad uno splendido roseto. Ad un tratto, udì Sherlock soffocare un gemito e, con la coda dell’occhio, lo osservò portarsi una mano all’addome.
“Dolore?”
“No, no… Forse un po’, ma niente di così insopportabile.”
“Sei pallido. Vuoi reggerti a me?”
“Non vorrei che pensassi che sto fingendo solo per guadagnarmi le tue attenzioni.”
John scosse febbrilmente la testa. “No, affatto.”
“Beh, allora forse dovresti.” sorrise con fare quasi triste Sherlock, mentre portava nuovamente gli occhi davanti a sé. L’agente studiò quel volto cinereo e spigoloso, così simile a quello di una statua greca scolpita nel marmo, così perfetto e così irregolare al tempo stesso. Probabilmente non si era mai esageratamente soffermato a contemplare il viso di un altro uomo come stava facendo ora, ma in fondo non gl’importava, perché la bellezza era qualcosa di visivamente percepibile da tutti, indipendentemente dal sesso e quindi perché preoccuparsi? Ma forse, stava indugiando davvero un po’ troppo sul volto dell’altro…
“La mia bellezza è davvero così magnetica?”
La voce di Sherlock lo fece sobbalzare e solo in quel momento si accorse che si erano entrambi fermati e che si stavano fissando intensamente. C’era sempre qualcosa, nell’intimità di quelle occhiate, che scuoteva qualcosa in lui, qualcosa di caldo e avvolgente. “N-no… Io… mi ero solo incantato a pensare-”
“Spero fosse qualcosa di molto erotico e che lo scenario prevedesse me e te insieme.”
“Smettila.”
“Mai.” Con un sorrisetto malizioso, Sherlock alzò la mano e la tese verso di lui. “Effettivamente, ora che ci penso, sono un po’ debole. Ti dispiacerebbe darmi un piccolo supporto?”
“Vuoi che ti tenga la mano?” esclamò John sbattendo ripetutamente le palpebre. “Assolutamente no.”
“Cristo, Andy, è quanto di più platonico riesca a concepire! Non ti sto chiedendo di metterci a sessantanove, solo di tenerci per mano.”
Una risata cristallina lasciò le labbra di John che si ritrovò, come sempre, a scuotere la testa di fronte alla sfacciataggine di quell’individuo. “Tu sei pazzo.”
“Ti facevo più intelligente, Andy. Avresti dovuto capirlo da un pezzo.” rispose Sherlock ridacchiando a sua volta, mentre le sue dita venivano gentilmente intrecciate a quelle di John.
Camminarono in silenzio per un po’, mano nella mano, in un’atmosfera rilassata, quasi naturale. Era estremamente facile lasciarsi guidare dal passo di Sherlock sicuro ma a tratti più incerto a causa della debolezza della malattia. John si lasciò cullare da quel misto orchestrale di suoni – il vento tra le fronde degli alberi, la musica che giungeva smorzata dalla discoteca, e il respiro un po’ affaticato, per il raffreddore, dell’altro. Si fermarono nel bel mezzo di un roseto che dava su un’ulteriore terrazza affacciata su una Londra illuminata dalle luci variopinte della sera. John, di fronte a quella visione, trattenne il respiro e strinse, inconsapevolmente, appena più forte la mano del moro.
“E’ bellissimo.”
“Lo so. Vengo qui quando ho bisogno di un po’ d’aria e di… staccare un po’ dal resto.”
“E’ una sorta di posto segreto?”
“Diciamo così, sì.”
“E ci porti tutti i tuoi clienti?”
Sherlock sospirò. “Tecnicamente quelli che non fanno parte del personale neanche potrebbero stare qui. Comunque no, non ci porto tutti i miei clienti.” Detto questo, si chinò sul suo orecchio. “Solo i soldati a cui vorrei strappare di bocca il mio nome possedendoli animalescamente.”
L’intero corpo di John avvampò a quelle parole e si ritrasse appena, sotto lo sguardo divertito del moro. “Io non… Davvero, Sherlock, dovresti piantarla con le tue battutine a sfondo sessuale.”
“Non sono battute, è la verità.”
“Non possiamo essere amici se continui a propormi di venire a letto con te, dannazione!”
Gli occhi di Sherlock si ingrandirono appena, entrambe le sopracciglia inarcate e la fronte aggrottata. L’ex soldato osservò con stupore quella scena, attendendo delle spiegazioni, ma il viso dell’altro sembrava aver subito una paralisi completa. “Sherlock?” lo chiamò flebilmente temendo una sua qualche improvvisa ed inaspettata reazione. Il silenzio del moro si protrasse per un’altra buona decina di secondi, finché John non mormorò: “Okay, sta diventando alquanto spaventoso, ora.”
“Quindi…” si riprese Sherlock. “Intendi che io sono tuo… Amico?”
Di fronte a tanta sincera ingenuità, il biondo si sciolse in un sorriso. “Certo che lo sei, Sherlock. Forse sei il mio unico amico.”
“Io non ho mai avuto… amici.”
“Victor?” provò John con voce cupa, quasi timoroso di sentire la risposta.
“No, con lui… con lui è diverso.”
“Oh, certo, ho capito.” farfugliò nervosamente distogliendo improvvisamente lo sguardo e puntandolo sulla Londra notturna che gli si palesava davanti agli occhi. “Quindi… siete una coppia?”
“Cosa? No! Non è diverso in quel senso! No.” si affrettò a rispondere Sherlock scuotendo la testa e creando ondate di ricci scarmigliati a destra e a sinistra. “Lui è più… un fratello, per me. Lo è sempre stato. E sì, saremo andati a letto insieme un paio di volte, ma per noi non ha mai significato niente, per me non ha mai significato niente.”
“Okay, bene, sono contento… Cioè, no… Insomma, mi hai capito.”
“Sì, certo, ho capito… E non so perché io abbia tenuto a specificarlo in quel modo.” osservò con una punta di divertimento il moro.
“Già, neanche io so perché abbia risposto così.” concordò John voltandosi verso l’altro e incontrando il suo sguardo sereno. Improvvisamente, a quel viso, si sovrappose quello emaciato e provato dalla droga, quell’uomo in preda al mondo esterno, bisognoso, solo, alla cui richiesta aveva risposto, legandoglisi inevitabilmente. “Senti, Sherlock… Cambiando completamente discorso, lo sai che circolano delle voci su di te?”
“Ne circolano talmente tante e se tu le ascoltassi davvero non saremmo certo qui a chiacchierare.”
“Non mi riferisco alla storia dell’infallibile seduttore dal volto angelico ma dall’animo diabolico, mi riferisco a due voci in generale.”
“D’accordo, allora. .”
John prese un respiro profondo mentre cercava in sé le parole adatte per cominciare. Ripensò a Mycroft, alla sua visibile preoccupazione, a quella luce malinconica che baluginava nei suoi occhi apparentemente freddi… Avrebbe affrontato quella conversazione anche per lui, per salvaguardare la sanità fisica e mentale di suo fratello minore.
“La droga.” sentenziò infine indurendo appena lo sguardo. “Si dice che prima che entrassi in questo posto, fossi un consumatore abituale e anche… in pericolo.”
Sherlock sospirò senza distogliere lo sguardo dalle luci lontane del centro di Londra. “Vedi, Andy, qui dentro tutto quello che c’è stato prima, il passato non conta. Firmando il contratto per diventare uno spogliarellista, una prostituta o anche solo una donna delle pulizie è come segnare un patto col diavolo. Si rinuncia alla propria vita, alla propria essenza, ai propri ricordi, in cambio dell’eternità.”
“Non credo che l’eternità sia così lunga se continui a prendere quello che prendi al ritmo in cui lo prendi.” ribatté John stringendo i pugni, la voce incrinata dalla rabbia.
“Come fai a sapere… Oh, Victor. E’ stato lui, vero?”
L’agente abbassò gli occhi. “Mi ha detto qualcosa, sì, ma solo perché è molto preoccupato per la tua salute, Sherlock, come del resto lo sono anche io.”
Il moro ridacchiò appena, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni della tuta un pacchetto di sigarette. “Sei un po’ stressato, Andy?”
“Per l’amor di Dio, Sherlock, vuoi prendere questa cosa seriamente? Potresti anche rimetterci le penne!” s’infervorò John avvicinandoglisi appena, sperando che quella prossimità portasse l’altro a voltarsi e a guardarlo in faccia, a scorgere il miscuglio di rabbia, paura e preoccupazione che gli scintillavano nelle iridi color del firmamento notturno.
Ma il moro si limitò a sorridere maliziosamente. “Lo stress rovina tutti i giorni della tua vita, la morte solo uno.” L’ex soldato sospirò, stringendo più forte la presa sulla ringhiera metallica. “E comunque” riprese l’altro cancellandosi dal viso ogni traccia di ironia. “non ne sono dipendente e ho tutto sotto controllo. Anche se non si direbbe, ho studiato, all’università, e mi sono laureato in chimica con il massimo dei voti. So calcolare perfettamente le dosi per alleggerire un po’ i momenti di merda e non diventare un completo drogato.”
John inarcò entrambe le sopracciglia. “Hai tutto sotto controllo? Non mi sembrava esattamente così ieri sera.”
“Ieri sera era diverso, lo ammetto, mi sono lasciato prendere la mano. Ma io ti giuro, ti assicuro che non è mai successo da quando sono entrato qua dentro. Prima era diverso, io… non mi sentivo appartenere a niente e a nessuno, ma ora è cambiato, io sono cambiato.”
“Ti senti parte di questa merda?” sputò John indicando con un ampio gesto del braccio l’edificio alle loro spalle.
“Sì, Andy, mi sento parte di questa merda.” rispose con acidità il moro. “Perché, almeno, in questa merda ho trovato qualcosa in cui sono bravo, in cui la gente mi cerca e mi apprezza.”
“Nella seduzione? Nel sesso? Nei servizietti erotici? Come fai a sentirti parte di un mondo in cui vieni trattato come un oggetto, esposto in vetrina, comprato, usato e poi buttato via per trovare un altro giocattolo?”
Sherlock rise amaramente. “Andiamo, Andy, siamo tutti degli oggetti. Abbiamo il nostro tempo, il nostro impiego e quelli superiori a noi che ci sfruttano come meglio credono. I sentimenti, le emozioni, sono solo un’illusione, non esiste niente di tutto questo, e sai perché?” Ora lo guardava, gli occhi che baluginavano nel buio. John rabbrividì sotto quello sguardo.
“Perché?”
“Perché siamo involucri vuoti che la società riempie con immondizia e ideali che non esistono, modelli che cercano di convincerci di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, di qual è la normalità. Non siamo nient’altro che questo, Andy. Scrigni chiusi senza alcun tesoro all’interno.”
Una lieve brezza si alzò su di loro, inghiottendo il silenzio che aveva assorbito quelle ultime parole affilate e, forse, in parte vere. John si trovò a fissare il moro con amarezza, domandandosi come potesse davvero credere a quello che diceva. Anche lui era un cinico, d’accordo, ma a differenza di Sherlock credeva nei sentimenti, nelle emozioni, nell’individualità di ognuno scaturita proprio da quel piccolo particolare che rende chiunque unico nel suo genere e che risiede dentro i singoli. E forse era un idealista, un sognatore, ma preferiva essere così piuttosto che non credere alla vita.
“Che cosa ti ha reso così, Sherlock?” chiese flebilmente.
“Oh, Andy, niente mi ha reso così.” replicò placidamente Sherlock. “Mi sono fatto da solo.”
E John, in quel momento, avvertì come l’impulso di spostare la mano di pochi centimetri, farla scivolare verso la sua e sfiorarla, per dimostrargli che c’era, che era lì, che poteva confidarsi. Improvvisamente, John Watson capì. Fu una rivelazione tanto sconcertante quanto limpida. Voleva salvarlo. Salvare Sherlock Holmes da se stesso e da quell’inferno in cui era stato trascinato da chissà chi. La missione sembrava completamente irrilevante, ora, di fronte a quegli occhi vacui che, ne era certo, stavano disperatamente gridando aiuto. Ma per farlo, doveva prima catturare chiunque fosse dietro a tutto quello.
“Le droghe” riprese dunque, in tono grave. “dove le prendi?”
“Non è importante.”
“Lo è invece.” insorse allora il biondo, nuovamente colmo di rabbia. “Lo è per me, per sapere dov’è che ti procuri quello che schifo, quello che ti sta lentamente distruggendo.”
Sherlock sospirò sonoramente, quasi infastidito da tutta quella melodrammaticità. “Il capo ha le mani in pasto un po’ ovunque nel mondo criminale, non solo nella prostituzione.”
“Quindi c’è un giro di droga qua dentro?”
“Sarebbe strano il contrario, non credi?”
“E avete uno spacciatore fisso? Qualcuno che viene tutte le sere con delle dosi da rivendere ai clienti e a voi dipendenti?”
“Oh, no, noi dipendenti abbiamo diritto a delle dosi personali mensili, un po’ come una sorta di stipendio.” rispose Sherlock. “Però sì, c’è uno spacciatore di fiducia, un tipo piuttosto sveglio anche se dalla faccia non l’avrei mai detto.”
John avrebbe voluto chiedere quello che più lo premeva, come il nome di tale spacciatore o il luogo in cui quelle dosi venivano prodotte, ma sapeva che Holmes era acuto, terribilmente sveglio, e che avrebbe capito che c’era qualcosa di sospetto in quell’interesse spropositato nel giro di droga al Morningstar.
“Sherlock…” sospirò dunque. “… quella roba rischierà seriamente di ammazzarti.”
“Questo posto finirà per ammazzarmi.” sussurrò in risposta l’altro con gli occhi ora traboccanti di tristezza e nostalgia. “Sai, Andy, quella roba la prendo per… per fermare tutto. La verità è che qui dentro la gente entra, mi guarda, s’invaghisce, pretende che me la scopi ben benino e poi se ne va. Il sesso è divertente e i clienti pagano così bene che a volte posso tenere da parte qualche compenso per me. Poi ritornano – ritornano sempre dopo la prima volta – e non ne hanno mai abbastanza. Vorrebbero possedermi, alcuni, forse, s’innamorano – di cosa, poi, non so, visto che vedono solo il mio corpo e urlano quello stupido appellativo con cui ormai sono famoso. E arriva il momento in cui ogni notte, i clienti sono sempre gli stessi e il sesso non è più divertente perché vorrebbero portarmi via e tenermi per loro.” Un sorriso triste gli ferì le labbra. “Vorrebbero salvarmi. Ma io non voglio essere salvato. Io ho scelto la dannazione eterna nel momento in cui ho messo piede qua dentro. Poi, però, ogni notte rimango solo a fissare… il bianco del soffitto e mi sembra quasi che voglia richiudersi su di me come… come una bocca enorme.”
John spalancò appena gli occhi di fronte a quella rivelazione. Era come si sentiva lui. Era esattamente come si sentiva lui. Lui e Sherlock erano più simili di quello che potesse immaginare.
“E allora poi mi sento solo e mi chiedo come potrebbe essere una vita fuori di qui, con qualcuno al mio fianco, magari. Solo che… capisco solo dopo tutti i peggiori film mentali che niente di quello che potrei anche lontanamente sperare potrà accadere.”
La voce di Sherlock era flebile, tremante quasi, latrice di un dolore tanto grande da volerlo quasi soffocare. John sorrise mestamente: Sherlock era fragile, Sherlock era un bambino indifeso, Sherlock era smarrito, ma non perduto, Sherlock stava precipitando, ma non era ancora caduto. Sherlock poteva essere salvato.
“E perché non potrà mai accadere?” chiese facendo scivolare poco più in là la mano, ora così terribilmente vicina a quella del moro.
“Perché nessuno sarà mai in grado di amarmi.” sputò alla fine Holmes con sofferenza. “Sono un casino vivente. Non ho sogni, aspettative, ho un carattere intrattabile e l’unica cosa che riuscirei a mantenere in piedi in una relazione sarebbero i rapporti sessuali. Ma finita anche la passione del momento, non resterebbe niente. E allora la porta di un’ipotetica casa insieme verrebbe aperta e poi richiusa, lasciandomi solo come accade quando se ne vanno i clienti.”
Il cuore di John era stretto in una morsa soffocante. Percepiva il dolore di Sherlock come fosse il suo, tremendamente forte e prorompente, dilagava come un incendio in una foresta, attecchiva ad ogni ramo del suo essere. Vedeva quasi un bambino, di fronte a sé; un bambino con la testa riccioluta e due penetranti occhi azzurri, bellissimo, intelligentissimo, ma colmo di incertezze sul suo futuro, sulla sua vita, e John se ne stava lì, adulto, ad osservare quella sofferenza scorrere furiosamente, abbattere gli argini, allagare i campi e portare via con sé quel bambino che, aggrappatosi ad una roccia, urlava e piangeva.
Gli afferrò la mano, gliela prese come se stesse prendendo quella del bambino naufrago, la strinse con forza, trasmettendogli calore, affetto, vicinanza, empatia… Sherlock lo guardò con un accenno di stupore, ma infine distolse lo sguardo senza però sottrarsi a quel contatto così intimo e vero.
“Sono certo, Sherlock, sono pronto a giurare che là fuori, da qualche parte, c’è qualcuno che sta aspettando solo te, la cui vita non avrà un senso finché non ci sarai tu, che sarà capace di amarti e proteggerti fino alla fine.” sussurrò in una valanga di parole, senza mai smettere di contemplare quel volto incerto.
Il moro sospirò, un sorriso triste sulle labbra. “Sai, ho l’impressione che l’unica forma di amore che io abbia mai davvero condiviso con qualcuno sia stata quella fra me e il mio capo.”
“Lui… lui ti ha fatto del male, non è così?”
Sherlock annuì solennemente. “Immagino questa fosse la seconda voce sul mio conto.” Non attese la risposta di John per continuare: “All’inizio era bello. Volevo essere io ad avere il controllo, sia dentro che fuori dal letto, e a lui andava bene, si sottometteva spontaneamente a me e mi pregava di fargli tutto quello che desideravo. Un giorno se n’è uscito con questa storia del bordello e inizialmente non volevo crederci: mi sentivo ferito, perché non avrei mai pensato che l’uomo che allora credevo di amare potesse accettare, anzi no, progettare di vendermi a persone sconosciute per soddisfare i loro piaceri. Poi, però, è riuscito, non so come, a raggirarmi e a convincermi a firmare quel contratto. Ho cominciato a prostituirmi di notte mentre il giorno lo passavo con lui e via via che la mia fama nel lavoro cresceva anche il nostro rapporto sembrava consolidarsi, perché, in fondo, non era cambiato poi così tanto: io gli appartenevo corpo e anima, che differenza faceva chi mi portassi a letto la notte per guadagnare soldi che avremmo usato per costruirci un futuro? Non so quando, ma a un certo punto ha cominciato a cambiare: era più sfuggente, meno incline a passeggiate romantiche mano nella mano e ad appuntamenti a vedere qualche stupido film al cinema. Gli interessava esclusivamente del sesso ed era sempre… arrabbiato, furioso, è diventato violento, finché una notte non se n’è uscito col voler fare l’attivo. Lì per lì sono scoppiato a ridere semplicemente per il modo e il… momento in cui l’aveva detto, insomma, aveva appena finito di prepararsi ed io… io non sono riuscito a trattenermi. Allora lui mi è saltato addosso e ha cominciato a mordermi, immobilizzandomi sotto di lui, facendomi male…” Serrò gli occhi a quella visione e la sua presa sulle dita dell’altro si rafforzò. “Sono riuscito a sgattaiolare via, in tempo per evitare che mi facesse… qualunque cosa avesse intenzione di farmi. Quando però, qualche sera dopo, a fine turno, è venuto da me, scusandosi, io ho ceduto ed è iniziata la fine: da allora in poi, aveva sempre con sé dei giocattoli… strani, che usava su di me senza preoccuparsi del dolore che mi davano, ma lui diceva che così si sentiva appagato anche lui e che era l’unico modo per accontentare entrambi, visto che ci tenevo così tanto a fare la parte dell’attivo. Ma i suoi giochetti sono diventati sempre più estremi e sempre più pericolosi, finché non è arrivato a tagliarmi la pelle all’altezza della trachea con la lama di un vetro rotto. A quel punto, vedendo la bramosia e l’eccitazione che provava nel farmi del male nei suoi occhi, ho capito che lui non mi amava e che tantomeno io non amavo lui, non più almeno. Ho iniziato a girargli alla larga e, fortunatamente, la presenza di Victor è servita per non rimanere mai solo. In seguito, ho scoperto che già si stava facendo Moran.”
Sherlock tacque, gli occhi ancora chiusi e la mano ancora in quella del biondo. John stava tremando dalla rabbia, mentre in testa gli si delineavano le immagini del racconto dell’altro, il suo dolore fisico, i desideri di quel bastardo…
“Quello non è amore, Sherlock.”
“Credi che non lo sappia? Ma questa è l’unica cosa che mi è permessa qui dentro. Sono maledetto, Andy, da quando ho deciso di entrare qui. Allora non ne ero consapevole, ma ho accettato ingenuamente la mela proibita e sono stato punito.”
“L’Angelo caduto…” osservò John, pensando al serpente dell’Eden che, in realtà, corrispondeva Lucifero, a Satana, all’Angelo caduto.
“Esatto.”
“E lui… lui… insomma, ora come sono i rapporti fra voi?”
“Non facciamo più sesso anche se credo che se lui lo volesse non sarei davvero in grado di sottrarmi. E’ troppo potente anche se non voglio ammetterlo e… sì, gli appartengo ancora e gli apparterrò per sempre finché starò qui dentro. E visto che non ho speranze di uscire…” Sbuffò un anello di fumo che John osservò salire di qualche metro per poi dissolversi. “Ma lui si diverte a… cogliermi impreparato. A tirarmi da parte mentre nessuno sta guardando e a ricordarmi che lui comanda e che comanderà per sempre. In camera mia c’è persino una telecamera che in nessun’altra stanza c’è. Mi guarda mentre mi scopo altra gente per arricchire la sua fottuta cassa e gode nel sapermi impotente, a terra. E io cerco disperatamente di non farglielo capire, ma… sono debole in confronto a lui.” Si tastò il collo. “La sera in cui ci siamo conosciuti io e te, mi ha trascinato in un corridoio secondario e ha preso a baciarmi il collo e a mordermelo, lasciandomi un segno sulla pelle. E io non ho mai permesso a nessuno di marcarmi, perché ancora credo, idealmente, di essere libero e di poter andarmene e cancellare questo capitolo della mia vita quando voglio. E invece… il marchio lui può lasciarlo. Non importa che sia sulla pelle o dentro, nascosto agli occhi, lascerà sempre una traccia che mi riconduca a lui…”
Aveva paura, Sherlock. John avrebbe voluto confessargli di essere lì per aiutare lui e tutti gli altri, di voler sbattere al fresco quel farabutto e di dare a lui la felicità che meritava liberandolo da quel locale, da quella vita. La brezza di poco prima si era trasformata in aria gelida a al cui contatto il moro rabbrividì visibilmente, così, in un gesto che aveva compiuto solo poco prima, John gli circondò le spalle con la giacca in modo che il suo corpo potesse beneficiare di un briciolo di calore. Sherlock chiuse gli occhi e sospirò sorridente a quel gesto e rimasero in silenzio, vicini per un bel po’.
“Clair de la lune, Andy? Non ti facevo così femminile.”
“Non è mio, è di una… amica.”
Si scambiarono un’occhiata complice a quelle parole che rimandarono entrambi alla sera in cui si erano conosciuti e a quel reggiseno rosa fra le mani del moro. Ridacchiarono simultaneamente, i loro fiati che si condensavano a contatto con l’aria gelida della sera.
“Sherlock, voglio che tu sappia che io…” Si morse il labbro, cercando le parole, ma al ricordo della storia dell’altro la rabbia si riaffacciò vivida e incontrollabile, avvampando in lui con una forza e un calore inarrestabili. “… Se metto le mani su quel figlio di puttana, io avrò molta difficoltà a non spezzargli le ossa una ad una. Essendo un medico militare sarei anche capace di chiamarle per nome, è un’abilità di vanto per me, a cui tengo-”
“Andy.” La voce di Sherlock risuonò grave, baritonale alle sue orecchie. I suoi occhi si spostarono alla sua destra, dove il moro si era completamente voltato verso di lui e aveva compiuto qualche passò nella sua direzione, ritrovandosi a pochi centimetri l’uno dall’altro, con i fiati condensati che si scontravano fra loro. John contemplò il proprio riflesso specchiarsi nelle iridi di Holmes, così belle, così fredde eppure così calde, così nostalgiche e tristi eppure così speranzose. Non seppe più niente. Non seppe più dove o chi fosse, perché si trovasse lì e che cosa lo avesse spinto ad avvicinarsi tanto a quell’individuo che tutti ritenevano impenetrabile, inavvicinabile. Provava qualcosa di strano, John o forse Andy, non sapeva neanche se fossero più la stessa persona. Andy, il medico depresso che si era ubriacato al bar di un bordello e si era invaghito del bel straniero che lo aveva salvato, e John, l’agente segreto dell’MI6, entrato in quel locale solo per smantellare la rete criminale tessuta al suo interno. Chi era lui? Cosa voleva lui? Cosa provava lui? Sherlock si avvicinò ulteriormente e forse avrebbe dovuto scansarsi, magari l’avrebbe anche fatto se non avesse ascoltato quel racconto dell’orrore che corrispondeva all’esistenza di un uomo solo e disperato.
“Andy.”
“Cosa?” domandò in un mormorio altrettanto roco.
“Posso baciarti?”
I suoi occhi indaco scivolarono su quelle labbra piene, a pochi centimetri dalle sue, che aveva appena assaggiato la sera prima tanto per accontentare un fatto. “Puoi sempre provarci.” rispose alla fine, con un mezzo sorriso, ed era vero, perché neanche lui poteva prevedere che cosa avrebbe fatto e l’avrebbe scoperto solo dopo che l’altro avesse tentato.
Il volto di Sherlock tradì un sorrisetto divertito mentre chiudeva gli occhi e si avvicinava lentamente al biondo, respirando sulle sue labbra e assaporando l’attesa struggente generata da quel bacio.
“Holmes.” Una voce fredda li fece sussultare, ma nessuno dei due provò ad allontanarsi dall’altro. John seguì lo sguardo schifato di Sherlock e osservò la figura del nuovo arrivato. Era un ometto non troppo alto, con corti capelli e occhi vacui e una barbetta curata che gli adombrava la mascella prominente.
“Moran. Quale spiacevole sorpresa.” sputò il moro rivolgendo all’uomo in questione un’occhiata carica di astio che John fece ricondurre al fatto che il capo lo avesse tradito proprio con quel pezzente di fronte a loro.
“La tua presenza è richiesta.” rispose con altrettanto odio Moran, le mani affondate nelle tasche della giacca verdastra.
“Come mai mi ha fatto chiamare? Non mi fa mai chiamare, e di certo non manderebbe il suo cagnolino a…” Le parole morirono sulla bocca di Holmes. “Oh.” sospirò semplicemente sorridendo appena, in modo quasi cattivo. “Nessun rancore, vero Seb?”
“Attento a quello che dici, Holmes. Attento a quello che dici.” ringhiò Sebastian facendo appena riemergere la mano sinistra dalla giacca e intravedere il brillio di una lama al suo interno. John, a quella visione, aggrappò istintivamente l’orlo della maglietta di Sherlock e la strinse forte, timoroso di quello che sarebbe potuto accadere.
“Sherlock…”
“Va’ a casa, Andy.” lo interruppe però il moro rivolgendogli un’occhiata significativa.
“Cosa… No, non ti lascio andare da solo da quel sadico pazzo ossessionato da te.”
“Non devi preoccuparti, posso cavarmela da solo con lui. Tu, invece, devi andartene.”
John scosse ancora la testa, la presa sulla stoffa sempre più forte e disperata. “Ho detto di no, non voglio andarmene. Io… voglio proteggerti.”
A quelle parole, gli occhi di Sherlock luccicarono appena, tradendo un sentimento di gratitudine, di commozione quasi, e la mano si chiuse sulla sua, ancora stretta alla maglietta. “Ti ringrazio, davvero, ma non ce n’è bisogno, te l’assicuro. L’unica cosa che puoi fare per proteggermi è andartene e tornare quando te lo dirò io. Rimarremo in contatto.”
“Sherlock, io non voglio, se dovesse accaderti qualcosa… Io ti aspetterò qui.”
Il moro sospirò, scuotendo la testa. “Se ho una mezza idea di quello che vuole fare… allora puoi stare certo che non sarà una cosa da pochi minuti, né da poche ore.”
“Sherlock…”
“Moran.” Il suo sguardo era fermo e sicuro. “Accompagna gentilmente il signor Rose alla porta e assicurati che abbia girato i tacchi per bene e che per stasera non rientri nel locale, tanto la strada la ricordo perfettamente e non vorrei procurarti inutile imbarazzo.”
I pugni di Moran si strinsero così tanto che i guanti di pelle nera che li rivestivano scricchiolarono, ma non ebbe tempo di sollevare alcuna minaccia, perché Sherlock si era appena voltato verso John e gli aveva staccato la mano dalla stoffa bianca, portandosela alle labbra e depositandoci un fugace bacio. “Ci teniamo in contatto, dottor Rose.”
“Sherlock, per favore…”
Ma il moro era irremovibile e l’unica cosa che John riuscì a fare fu guardare la sua testa riccioluta sparire dietro un cespuglio di rose bianche. Seguì Moran fino all’uscita del Morningstar, ricambiando la truce occhiata di Robinson, e indugiò sul marciapiede per un tempo che gli parve infinito. Pensava a quello che sarebbe successo, a quello che quel folle avrebbe fatto al suo amico, a quello che sarebbe potuto succedere se non fosse arrivato Moran all’improvviso…
Prese il cellulare e chiamò quel numero che aveva salvato già alla prima telefonata. Uno squillo… due squilli… “Rispondi… Rispondi, rispondi, rispondi…” Segreteria telefonica. Fece un altro paio di tentativi ma il vuoto era tutto ciò che rispondeva alla sua voce carica di preoccupazione. Eccola là la sensazione di asfissia, la claustrofobia, la gabbia. Era Sherlock che lo rendeva libero? Poteva essere che si fosse affezionato tanto a lui in così poco tempo? Si passò una mano tra i capelli e infine dovette scegliere di tornarsene a casa per fare quelle ricerche che aveva rimandato per la serata, anche se, a quanto pareva, i piani non era poi così cambiati…
Uno sbuffo di vento soffiò per il viale mezzo vuoto. Rabbrividì e solo allora si rese conto che non aveva con sé la giacca, che era rimasta con Sherlock, a ripararlo dal freddo, dal mondo. Pregò che potesse difenderlo anche contro la minaccia che avrebbe dovuto affrontare chissà dove con quel matto. Pregò che Sherlock reagisse e non si lasciasse dominare. Pregò che stesse bene. Pregò, quella sera, e l’unica ricerca che fece fu quella della voce del moro dall’altra parte del telefono, fino all’indomani mattina, quando un cangiante color rosa tinse il cielo delle prime luci dell’alba.

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ANGOLO AUTRICI
Salve gente! Bentrovati, cari! Eccoci con il terzo capitolo di questa storia. Questo capitolo è decisivo per capire tutto ciò che prova e pensa il nostro Sherlock, il quale non è quello a narrare la vicenda, bensì quello a raccontare la propria storia - parte di essa - al nostro amato Johnny. Eh beh, ragazzi. Sono cute... Poi, vabbe, arriva il caro Moran a rovinare tutto... Adesso non ci resta che scoprire che cosa mai avrà in mente Jimmy. Eheheh... Tanta roba, ragazzi... Per ora accontentatevi.

Il prossimo sarà un capitolo un po' di passaggio, in cui scopriremo altri pezzi del passato di Sherlock, come il suo rapporto con Jim e anche con qualcun altro... Speriamo di ritrovarvi numerosi e carichi. Ciancio alle bande e andiamo ai saluti: ciao a tutti, guyss e buona settimana. Ancora una volta, la nostra sarà terribile tra greco, chimica e filosofia... *brividi*

Ciauuu
Alicat_Barbix
   
 
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